INTRODUZIONE
Conoscevamo già l’invettiva antifarisaica di Gesù Cristo, contenuta nel Vangelo di Matteo, ma prima di conoscere il problema ebraico, credevamo, erroneamente, che tale invettiva si rivolgesse soltanto ai farisei. In realtà si rivolge in parte ai farisei come singola fazione religiosa nella provincia romana di Giudea, e in parte si rivolge al popolo ebraico nella sua interezza. Un’analisi dettagliata di questa invettiva ci mostra, all’interno di questa, sia i marcatori di ebraicità scoperti da “laquestionegiudaica”, sia le caratteristiche salienti del popolo ebraico, cioè caratteristiche del popolo ebraico che rimangono immutate in tutte le epoche e nazioni, perché la questione giudaica, come sottolineato più volte, è universale.
Ora “l’ipotesi razionale” sull’origine delle religioni, ci dice che fondamentalmente le religioni monoteiste (cioè quelle abramitiche, ovvero islam, cristianesimo e giudaismo), derivano dal paganesimo, perché sembrano sempre rinvenirsi, nei testi sacri di tali religioni, influssi pagani. Secondo questa teoria le religioni monoteiste sarebbero un’invenzione per tenere più uniti gli imperi. In particolare, secondo l’autore Abelard Reuchlin (ebreo), il cristianesimo sarebbe un’invenzione dei Romani per allontanare gli ebrei dal giudaismo e tenere sotto un migliore controllo la provincia di Giudea. In questa ipotesi, autori greco-romani avrebbero inventato il Nuovo Testamento e la figura di Paolo l’Apostolo, nonché quella di Gesù Cristo, facendogli “realizzare” alcune profezie contenute nel Vecchio Testamento, ma questa è un’altra storia. In realtà, per quanto riguarda il cristianesimo, gli influssi pagani, assimilabili a forme di gnosi spuria, non sono rinvenibili né nel Vecchio né nel Nuovo Testamento.
Il massimo che si è riusciti a trovare sono “spunti gnostici”, ai quali accenna uno tra i più grandi esperti al mondo di gnosi spuria, cioè Don Ennio Innocenti, nella sua opera fondamentale, “La Gnosi Spuria” [1]. Altro esperto di gnosi spuria è Luigi Copertino, che fa notare, insieme a Don Ennio Innocenti, come il Vecchio Testamento, ben più antico del Talmud Babilonese, sia rimasto pressoché immune dalla gnosi spuria. Innocenti afferma infatti:-“«Quando il popolo israelitico si sistemò – con lamentevoli compromessi locali – nell’inquinatissima regione oltre il Giordano (occupata da popoli dominatori di origine nordica), esso era già gravemente inficiato della gnosi spuria egiziana. Questa esercitò sulle élites israelitiche una preponderante attrazione fino al tempo di Salomone … Ma anche vari secoli dopo Salomone, i profeti denunciarono la completa corruzione spirituale e religiosa dei sacerdoti ebrei sotto l’influsso egiziano. Dopo Nabucodonosor, peraltro, la cultura ebraica è penetrata anche dalla gnosi spuria mesopotamica e caldaica. I pochi che ritornarono nella terra dei padri, da Babilonia, dovettero ‘ripartire da zero’ e, purtroppo, per nulla immuni da altri influssi spurii (siriaci ed ellenistici). La salvaguardia della gnosi pura in ambiente ebraico ha qualcosa di miracoloso ed è comunque limitata all’elenco ‘canonico’ dei libri sacri ben noti. Ma oltre questa autentica tradizione sacra ce n’è un’altra occulta (contro la quale polemizzava Gesù quando accusava i capi
d’Israele…), che ha i suoi ripetitivi miti … Talmud, Zohar e altri similari scritti
ebraici sono ‘fosse di raccolta’ di liquami gnostici»” [2]. Anche Copertino concorda con Innocenti sul fatto che “il popolo israelita fu inquinato dalla gnosi spuria, sebbene i libri del sacro canone ne siano rimasti, per provvidenziale disposizione divina, del tutto immuni. Certamente in essi è dato registrare “echi culturali esterni” di provenienza spuria come per esempio nel Vecchio testamento le figure, non a caso maligne, del Leviathan e del Behemoth, che saranno utilizzate nell’età moderna da Hobbes nel clima di riemersione in ambito protestante della gnosi spuria. Tuttavia gli Autori dei Libri canonici, ispirati dallo Spirito Santo, pur confrontandosi spesso con intelligenze inquinate, non hanno ceduto mai alla gnosi spuria neanche in età ellenistica” [3]. “I Profeti dell’Antico Testamento e gli Israeliti fedeli al Dio di Abramo, anche quelli del tempo di Gesù come Nicodemo o Giuseppe d’Arimatea, non abbandonarono mai la via luminosa della Rivelazione” [4].
Il Talmud Babilonese – come già scritto – è ricco di influssi gnostici derivanti da miti caldaici, sumeri, babilonesi, ed egizi, come dimostrato da Elizabeth Dilling nel suo libro “Judaism and its influence today” [5].
Si è provato a parlare di Paolo l’apostolo come di uno gnostico, ma come fa notare giustamente Walter Schmithals, l’autore del volume “Nuovo Testamento e gnosi”, si tratta solo di quello che noi chiamiamo “mimetismo espressivo”, ovvero il tentativo dei primi autori cristiani, di parlare con gli stessi moduli espressivi utilizzati dai fomentatori della gnosi spuria, ma che in un altro contesto, portano all’ortodossia o gnosi pura cristiana, o se si preferisce “metafisica della partecipazione”, anziché “metafisica della caduta”, che è sinonimo di gnosi spuria. “Pur dimostrando che il Nuovo Testamento non include alcuno scritto gnostico, Schmithals riesce in modo convincente a scoprire tra gli avversari di Paolo esponenti di tale dottrina allo stato nascente, facendo luce inoltre su aspetti del pensiero paolino e giovanneo che, in misura maggiore o minore, hanno subito l’influsso del linguaggio e dell’immaginario gnostici” [6]. Questo influsso di significanti, che in un contesto diverso, hanno un significato diverso, può essere dovuto al fatto che “sia Giovanni che Paolo pensano di osteggiare più facilmente i loro avversari utilizzando i loro moduli espressivi, nutrendo forse la speranza di conquistarli alla verità” [7].
Infatti lo stesso Paolo l’apostolo lo ammette: “19 Poiché, pur essendo libero da tutti, mi sono fatto servo di tutti, per guadagnarne il maggior numero; 20 con i Giudei, mi sono fatto giudeo, per guadagnare i Giudei; con quelli che sono sotto la legge, mi sono fatto come uno che è sotto la legge (benché io stesso non sia sottoposto alla legge), per guadagnare quelli che sono sotto la legge; 21 con quelli che sono senza legge, mi sono fatto come se fossi senza legge (pur non essendo senza la legge di Dio, ma essendo sotto la legge di Cristo), per guadagnare quelli che sono senza legge. 22 Con i deboli mi sono fatto debole, per guadagnare i deboli; mi sono fatto ogni cosa a tutti, per salvarne ad ogni modo alcuni” [8]. Ha utilizzato sia modi di esprimersi tipicamente greci, che tecniche rabbiniche per vincere i suoi dibattiti con i non-cristiani. Infatti dalle sue lettere “traspaiono i metodi argomentativi tipici delle scuole rabbiniche del tempo, testimoniati poi nei Talmud, come, ad esempio, la gezerah shavah (“decreto simile”), che accosta argomentativamente a un passo biblico un altro per un semplice legame di similitudine-analogia (si veda Rm9,6-28 o 3,1-5,12). L’appartenenza di Paolo al Sinedrio, che sembra essere suggerita da At26,10 è solitamente esclusa dai biblisti. At18,18 indica che Paolo era un nazireo, cioè aveva fatto uno speciale voto di consacrazione a Dio, che implicava una vita particolarmente sobria e rigorosa e il portare i capelli lunghi” (è possibile che Atti 26:10 sia quella che noi chiamiamo mutazione a soppressore, una mutazione del testo originale che va a contraddirsi con altri versetti. Se è così, chi l’ha inserita? nda) [9]. Ha anche effettuato un primo tentativo di ripulire dagli influssi gnostici le religioni elleniche, sottolineando – proprio come consiglio da seguire nella vita di tutti i giorni se si vuole cercare la verità – che bisogna prendere ciò che è buono e scartare ciò che non lo è, quando si analizza il pensiero scritto/orale di qualcuno. “Con San Paolo bisogna, ancora una volta, ripetere “esaminate tutto, prendete ciò che è buono”” [10].
Paolo è stato uno dei primi a sottolineare la presenza, nell’ellenismo, di elementi di gnosi pura, chiamati genericamente Logos Spermatikos, che, nell’impianto religioso pagano, si trovavano mescolati ad elementi di gnosi spuria. I teorici del “senso teologico della storia”, come il già citato Don Ennio Innocenti, affermano che è proprio per un disegno divino che il Vecchio Testamento è rimasto immune dalla gnosi spuria per secoli e secoli mentre il Talmud, ben più recente, non ce l’ha fatta. Ed è sempre per un disegno divino che gli elementi di logos spermatikos, o semi di gnosi pura, sono riusciti a persistere all’interno di religioni “spurie”, proprio per preparare i credenti in tali religioni all’accettazione e alla comprensione delle idee del cristianesimo, in altre parole a convertirsi a quest’ultimo. “Lo stesso San Paolo, annunciando Cristo, parlava agli ateniesi del “dio ignoto” e se è vero che non ebbe molto successo, a proposito della resurrezione della carne, è pur vero che quei pagani si mostrarono interessati quasi fossero in attesa di una sorta di parusia del vero Dio da loro presentito e ricercato. Sempre San Paolo, del resto, invitava a tutto esaminare per poi prendere quel che di buono fosse rintracciato anche nelle culture dei popoli gentili” [11]. Questo perché ci sarebbe stato “un progressivo degrado del ricordo, nella memoria storica e religiosa dei popoli, di un’originaria rivelazione divina, della quale alcuni elementi di purezza continuano a sussistere pur in ambito spirituale spurio” [12]. Secondo Innocenti:-“«Dal punto di vista linguistico […]…sembra che i nomi delle supreme divinità vichinghe e romane derivino da una comune radice che significa ‘splendente’ (lo stesso significato conclusivo di Cristo o Messia), che la dice lunga sul lento degrado della gnosi pura in gnosi spuria»” [13]. “A proposito degli elementi di verità insiti nelle tradizioni religiose pre-cristiane, San Giustino, padre della Chiesa morto martire nel secondo secolo dopo Cristo, parlava di “Lògos spermatikòs”, di Verbo seminale, per indicare la seminagione di verità parziali da Dio fatta tra tutte le genti nella prospettiva di ciò che, da canto loro, Eusebio di Cesarea ed altri padri definivano, “praeparatio evangelica” o, in lingua greca, “propaideia Christoù”. Sant’Agostino insegnava che: «Infatti quella che ora è detta ‘religione cristiana’ già esisteva presso gli antichi né venne meno dall’inizio della stirpe umana fino a quando il Cristo stesso s’incarnò, e da allora la vera religione che già da prima esisteva cominciò ad essere chiamata cristiana» (Retractationes 1,13). In altra occasione l’Ipponate ebbe ad affermare: «Questa religione (è detta) cristiana nei nostri tempi, non perché non fosse esistita già nei tempi precedenti, ma perché solo nei tempi ultimi ha preso questo nome» (De Vera Religione 1). I padri della Chiesa, infatti, da un lato flagellavano le aberrazioni idolatriche del paganesimo, ma dall’altro, ogni qualvolta si imbattevano in valori positivi, contenuti di giustizia e verità, in norme etiche valide, in credenze e filosofie che confusamente aspiravano ad una più alta e trascendente fonte di Verità, non esitarono mai a riconoscere in tutto questo il retaggio, più o meno edulcorato o conservato, della rivelazione universale del Dio trinitario o l’ispirazione del Verbo di Dio presso i cuori pagani per prepararli al loro futuro ingresso nella Chiesa cattolica” [14]. Non solo i Padri della Chiesa fecero questo, ma utilizzarono, al pari di Paolo l’Apostolo, il “mimetismo espressivo”:-“«Gli intellettuali cristiani non si limitarono a contrapporre l’opzione soprannaturale di cui erano trasmettitori; fecero di più: riuscirono a presentarla utilizzando le categorie concettuali degli avversari, depurandole ed arricchendole di nuovi significati: in questo modo fu disarmata la gnosi spuria: la ‘gnosi’ era possibile e non necessariamente essa era dominio di empietà. Così prese il largo la nave della teologia cattolica, ‘flante Spiritu Sancto’…»” [15]. “Esempio di tale uso contro gli avversari delle loro stesse armi concettuali, depurate e cambiate di senso da spurio a puro, è nel buon uso che la patristica fece di ciò che nello stoicismo era concorde con la fede e l’etica cristiana in contrapposizione con lo stesso stoicismo “cattivo” nonché con il pitagorismo che sia all’esterno che all’interno della Chiesa tentava di stravolgere il cristianesimo” [16].
ATTENZIONE! Questo modus operandi, ovvero il “mimetismo espressivo”, cioè utilizzare significanti o anche concetti o addirittura storie che, in un altro contesto, assumono un altro significato, sarebbe tipico anche degli autori del Vecchio Testamento. Possiamo dire, da questo punto di vista, che il Nuovo Testamento si pone in continuità con il Vecchio. Infatti il professore Alberto Caturelli fa le seguenti osservazioni:
“Vediamo: “all’inizio ha creato Elohim i cieli e la terra” (ossia tutto) (Gn 1,1); all’inizio (beresith), “indica semplicemente una categoria logica della mente dell’agiografo, che si mette mentalmente all’inizio dell’opera creativa, quando le cose non avevano ancora un’esistenza” [17]. “Il verbo creò (bára’) anche se non indica un’operazione a partire dal nulla “l’interessante – dice il P. Garcìa Corsero – è che, nella Bibbia, il verbo bárá appare sempre avente come soggetto Dio, e senza accusativo di materia: è l’azione divina (…) per produrre qualcosa di nuovo” [18]. “Suppone l’assenza di materia (dalla quale) e la assoluta trascendenza di Yahvé; anche se il racconto include dei miti mesopotamici, viene tolto il loro anteriore contenuto dualista, la creazione non è processione, emanazione, trasformazione, non è cosmogenesi e nemmeno teogenesi; è donazione dell’esistenza (dell’atto dell’essere) a ciò che esiste (“i cieli e la terra”)” [19]. “Nello stesso racconto biblico è chiara l’intenzione demitologizzante; il P. Garcìa Cordero sottolinea “la maestria con la quale l’agiografo, usando materiale mitologico e teogonico, ha lasciato da parte quello che non era utile all’idea del Dio unico e trascendente, preesistente a tutto” quello che fa essere con la sua parola” [20].
E dopo vari giochi di significanti filosofici astrusi e petulanti, che nella globalità del senso delle frasi in cui sono utilizzati non capiremo nemmeno nel duemilamai, il prof. Alberto Caturelli conclude: “La tradizione giudeo-cristiana e il suo incontro con la tradizione antica (a volte duro e polemico) ha prodotto la demitificazione del pensiero antico e man mano ha prodotto la costituzione del proprio contenuto, originale e rigorosamente scientifico della filosofia cristiana. Non solo non ha significato l’annullamento della filosofia antica, di quello che aveva di verità ma l’ha “pulita” dei “vecchi” contenuti non-filosofici. Questo avvenimento viene da me chiamato trasfigurazione della cultura antica: non è solo “giustapposizione”, non è semplice “trasformazione” o completamento, ma in un certo senso non è più la stessa e simultaneamente, dopo di essere demitificata, è stata ancora più se stessa di prima, ha trovato un nuovo essere, ontologicamente nuovo” [21].
Questa operazione di “pulizia demitologizzante”, è stata riscontrata anche dagli archeologi biblici, che hanno riconosciuto la natura peculiare della Bibbia, aldilà della loro posizione ideologico/religiosa:
“Lo studio della letteratura biblica ha visto l’apporto dei testi cananaici, ugaritici, ecc. con le scoperte di generi letterari, forme di prosa e di poesia, tradizioni, storia. Cade il metodo dell’esegesi basata solo sul confronto interno all’AT. Si impone il criterio dell’evoluzione e del progresso, senza scomodare Darwin, da applicare anche al testo (la lingua) e al contenuto (teologia, kerygma) della Bibbia. Si scoprono temi comuni all’AT e ai miti ugaritici (la marcia del dio della tempesta, il tema della montagna, la promessa di un erede, ecc.) e di altre culture antiche (Ebla, Mari, Nuzi, Bogazkoy, Ninive, ecc.). Israele aveva a disposizione un’eredità letteraria enorme che ha assunto, alterato, sviluppato, adattato. Il dio El di epoca patriarcale era il dio personale di qualche gruppo familiare; il nome e la figura erano diffusi nella cultura cananaica e ugaritica (in realtà si è parlato anche del nome “Yahweh”, come nome storpiato del dio “Yawoo”, di un’altra tribù di nomadi che gli israeliti avrebbero incontrato durante il loro viaggio fuori dall’Egitto, altrimenti noto come Esodo nda). Il concetto di alleanza è stato illustrato ampiamente dai testi dei trattati e delle alleanze politiche del III e II millennio a.C. È un tema assente in Egitto e nella Mesopotamia non semitico-amorrea. Il fenomeno della Profezia in Israele è differente in modo vistoso dalle profezie di Mesopotamia (Mari) e di Egitto. La scrittura era un mezzo diffuso tra tutti i popoli dell’Antico Oriente, che Israele ha accettato e usato a proprio beneficio; in altre parole l’ebraico non è una lingua rivelata” [22].
In realtà, i teorici del “senso teologico della storia”, possono ancora obiettare ai teorici dell’ipotesi razionale delle religioni, che i termini “Yawoo” ed “El”, sono in realtà semi del Verbo divino, che gli agiografi – in altre parole Mosé – dei primi libri dell’Antico Testamento hanno selezionato e “ripulito” da contaminazioni di altre culture, per preparare gli altri popoli ad accettare quello che sarebbe poi sfociato nella religione nota come Cristianesimo. Quanto ad altri temi, come “il tema della montagna” (chiaro riferimento al Monte Sinai), bisognerebbe valutare in maniera oggettiva se Israele ha assorbito passivamente miti da culture pagane circostanti, o se c’è un’archeologia biblica dell’Esodo, che smentisce queste affermazioni, relegandole tra le “associazioni spurie”, cioè similitudini soltanto parziali tra miti pagani ed eventi storici effettivamente accaduti nella storia di Israele e tramandatici attraverso la Bibbia in versione integrale, eventi soprannaturali inclusi, per chi crede a questi ultimi. Ma questa è un’altra storia. In definitiva, anche l’operazione di pulizia dei miti pre-filosofici, che vengono riutilizzati, ma senza il contenuto dualista, può essere vista come una distillazione degli elementi puri da quelli spurii, agli occhi dei teorici del “senso teologico della storia”. In altre parole, gli elementi mitici conservati nel Vecchio Testamento, costituirebbero, anch’essi, Logos Spermatikos: semi di gnosi pura, semi del Verbo divino.
C’è un però. Potremmo anche trovarci in una situazione diversa dalle “associazioni spurie”, cioè somiglianze tra il contenuto biblico e miti che casualmente presentano soltanto alcune caratteristiche simili, ad indicare una coincidenza oppure una “pulizia demitologizzante” da parte degli autori biblici. Potremmo trovarci di fronte a delle eresie antibibliche pre-cristiane ad orologeria, basate sul mimetismo ideologico di altre culture nei confronti della Bibbia, attraverso il mimetismo teologico.
Infatti, anche se i ragionamenti del prof. Alberto Caturelli, hanno impressionato gli aderenti al convegno di studi napoletano sull’opera di Don Ennio Innocenti, i più importanti sumerologi e assiriologi dimostrano, con le loro dichiarazioni frutto degli studi di tali civiltà, che gli assunti sui quali Caturelli basa le sue speculazioni, sono errati.
Ad esempio, per quanto riguarda il concetto stesso di Creazione, Daniele Salamone, un biblista ebreo da parte di padre, giustamente si chiede:-“La Genesi mesopotamica ha realmente ispirato la Genesi biblica?”. “Enuma Elis, è un poema mesopotamico che parla della Creazione. Allora, gli esperti Jean Bottero e Samuel Noah Kramer, questi due colossi della sumerologia e assiriologia dicono questa cosa: “<<La composizione dell’Enuma Elis era stata per molto tempo, in mancanza di ulteriori prove, fatta risalire all’epoca di Hammurabi (1792-1750 a. C.). Oggi si è però deciso, in base a solide ragioni […] di abbassarne la datazione di circa mezzo millennio>>”” [23]. Per la filologia biblica tradizionale, Mosé è vissuto intorno al 1450 a. C., dell’Enuma Elis sappiamo che, risale al 1250 a. C., e se crediamo che sia Mosé l’autore del Pentateuco – come le scoperte dell’archeologo amatoriale Ron Wyatt lasciano intendere – allora possiamo affermare che l’Enuma Elis è un’eresia antibiblica precristiana a orologeria, basata sul simulare analogie col resoconto biblico. A tale proposito, se ancora non ci sono solide prove archeologiche, ci diamo a questa speculazione: anche il tema della montagna (chiaro riferimento al Sinai), tipico della mitologia ugaritica, è in realtà un’eresia antibiblica precristiana a orologeria quanto lo è l’Enuma Elis. Se si ottenessero le prove che la mitologia ugaritica deve subire una datazione tardiva post-Pentateuco/Post-Mosè, allora ciò rappresenterebbe un ulteriore elemento di convergenza, verso un quadro che descrive la lotta dei profeti di Israele e dell’Antico Testamento, per proteggere il loro testo più sacro, dai tentativi dei popoli vicini di screditarlo. Sempre sull’Enuma Elis, Salamone continua dicendo che “Giovanni Pettinato, uno studioso ormai scomparso, italiano, il più famoso assiriologo italiano mai esistito scrive: “<<Manoscritti del mito (cioè dell’Enuma Elis nda) si sono trovati nei siti più diversi dell’Assiria e della Babilonia; essi coprono un periodo che va pressappoco dall’anno 1000 al 300 a. C., sicché possiamo ritenere con una certa sicurezza che la sua data di componimento è veramente recente, cioè l’ultimo periodo della civiltà mesopotamica>>”” [24]. La datazione proposta da Giovanni Pettinato, coinvolge il periodo della cattività Babilonese, cioè quando gli ebrei furono condotti prigionieri a Babilonia. È possibile quindi che l’Enuma Elis sia stato composto durante questa prigionia ebraica da parte dei babilonesi, nel tentativo di screditare la Bibbia, specie nel futuro lontano, ipotizzando che se tutti i popoli implementano nella loro mitologia i resoconti biblici, allora i posteri crederanno che il giudaismo vetero-testamentario ha preso ispirazione da miti pagani e ha origini pagane, piuttosto che credere che tutti in passato fossero ossessionati dal distruggere ogni traccia storico/religiosa del popolo ebraico. Anche se l’opera nota come Enuma Elis risalisse al periodo del re babilonese Nabucodonosor I, quindi fosse antecedente alla cattività babilonese, la nostra interpretazione non cambia. È per questo che abbiamo considerato tali eresie come “a orologeria”, perché sembrano concertate, e progettate per demagnetizzare la Bibbia nel futuro lontano, piuttosto che nel periodo in cui sono state effettivamente prodotte. Ma l’errore di Caturelli non sembra esaurirsi con l’Enuma Elis, in quanto “Gilgames è un altro mito mesopotamico, che corrisponderebbe al Noé biblico. Quindi questo Gilgames, è stato tratto in salvo all’interno di una barca, otto persone, raccolse gli animali, sopravvisse al diluvio ecc. ecc., quindi questo testo mesopotamico, sembra effettivamente corrispondere alla Genesi biblica, se noi lo andiamo a leggere nelle varie traduzioni” [25]. “I racconti rinvenuti nei frammenti risalgono al III millennio a. C. (ovvero nel 4000-3000 a. C.), sono stati i musi ispiratori del più antico poema mai scritto: L’Epopea di Gilgamesh, l’opera redatta nella sua versione completa (risale) intorno al 1300 e l’anno 1100 a. C., ovvero, dopo Mosé, […]…dove si parla di Ut-napistim, il Noè sumero-accadico re di Uruk” [26].
A questo punto, se siamo arrivati a parlare addirittura dell’Arca e del suo costruttore, Noè, sarebbe giusto menzionare una prova archeologica dell’esistenza di quest’arca. Riteniamo che l’archeologo Ron Wyatt non solo abbia trovato suddetta arca, che in cubiti egizi ha le stesse misure di altezza lunghezza e larghezza per come sono menzionate nella Bibbia, ma che abbia trovato anche una stele che riassume l’esito dell’evento noto come diluvio universale. Tale stele è comprensiva della raffigurazione di una struttura vulcanica che ha esaurito la sua funzione e la sua esistenza proprio proteggendo l’arca, contribuendo alla sua fossilizzazione. Il che significa che la stele è stata incisa in un periodo che si trova nell’intervallo di tempo necessario per decomporre il legno di una barca nella regione dell’Ararat, congiuntamente col momento delle manifestazioni vulcaniche che hanno cancellato questa struttura vulcanica dalla mappa.
Nelle immagini: in alto a sinistra Ron Wyatt con i suoi amici, mentre posano di fronte ad una stele in cui è inciso il resoconto del Diluvio Universale. Sulla pietra centrale si può vedere raffigurato parte del primo uccello più vicino all’Arca, si può inoltre osservare un pezzo dell’Arca stessa. In seguito il governo turco ha distrutto questa stele. In alto a destra una schematizzazione di ciò che è raffigurato nella stele: una barca con all’interno delle persone, e due uccelli, proprio come vengono menzionati in Genesi, nella quale prima un uccello non trova la terra, poi un secondo uccello la trova. Si può notare dalla schematizzazione anche una struttura montuosa: si tratta del vulcano che con la sua attività ha contribuito alla fossilizzazione dell’Arca. In basso a sinistra: la schematizzazione della stele senza la struttura vulcanica, nella regione dell’Ararat, con le montagne osservabili oggi fisicamente così come sono schematizzate in questa immagine. In basso a destra: dettaglio dei sopravvissuti sull’Arca, in cui troviamo all’estrema sinistra Noè, poi sua moglie, le figure in alto a destra sono femminili, quelle in basso a destra sono maschili e rappresenterebbero i figli di Noè, cioè Sem, Cam e Iafet. Per ulteriori informazioni sulle scoperte archeologiche di Ron Wyatt nella regione dell’Ararat, è visionabile un documentario sul nostro canale Telegram al seguente indirizzo: https://t.me/la_questione_giudaica/179
Ci sono però una serie di problemi, riguardanti l’Arca di Noè:
- Il problema della speciazione: i ciclidi sono organismi modello per lo studio della speciazione e hanno dimostrato che il fenomeno della speciazione esiste perché lo si è osservato come un dato di fatto, quindi nella Genesi cosa si intende per “tipi” o “specie”? Fino a che punto può arrivare il fenomeno della speciazione?
- Il problema dell’insostenibilità trofica dell’Arca: se è vero che tutti gli animali del pianeta sono stati stipati in una barca, esistendo solo in coppie, come si sono retti gli ecosistemi che in seguito si sarebbero formati?
- Il problema biogeografico: è stato posto da Charles Darwin. Se è vero che tutti gli animali del pianeta sono stati su una barca e poi si sono diffusi in giro per il mondo, allora perché ci sono animali esclusivi presenti solo in alcune zone del pianeta? Se partono tutti dallo stesso punto, dovrei trovare le tracce della loro migrazione in posti specifici, da qualche parte, lungo il tragitto. Se la storia dell’Arca di Noè fosse vera, le popolazioni di animali negli ecosistemi dovrebbero essere omogenee tra loro indipendentemente dalla zona geografica considerata, salvo considerando ovvie variazioni ambientali.
Ma questi sono altri problemi, altre storie, non ci occuperemo qui dei problemi relativi all’Arca di Noè a prescindere dal fatto che sia stata scoperta o meno.
Quanto all’ipotesi dell’inesistenza fisica di Paolo l’apostolo – sostenuta dall’ebreo Abelard Reuchlin, che si spinge ad affermare che era in realtà un romano, cioè Plinio il Giovane [27] – questa va contro le prove archeologiche di cui oggi disponiamo, in quanto il sarcofago di Paolo risalente al quarto secolo, contiene frammenti ossei di un solo uomo, che però risulta essere vissuto tra il primo secolo dopo Cristo e il secondo secolo dopo Cristo. Non abbiamo la certezza al cento per cento che si tratti di Paolo l’Apostolo, ma per le tecnologie forensi che c’erano nel quarto secolo dopo Cristo, se i Romani avessero voluto mettere in quel sarcofago le ossa di un impostore qualunque, avrebbero potuto metterci lo scheletro di uomo del secondo secolo dopo Cristo, e nessuno avrebbe avuto gli strumenti per dire che erano le ossa di un impostore. Quindi ci sono più probabilità che si tratti davvero di Paolo che probabilità che non si tratti di lui. A tale proposito, il sito zenit.org riporta: “Anche se gli esami del Carbonio 14 realizzati recentemente nel sarcofago di San Paolo “non confermano” che si tratti effettivamente dei suoi resti, “non lo smentiscono nemmeno”. Lo ha affermato questo venerdì mattina l’Arciprete della Basilica romana di San Paolo fuori le Mura, il Cardinale Andrea Cordero Lanza di Montezemolo” [28]. Riguardo tali indagini, il papa emerito Benedetto XVI ha dichiarato:-“E’ stata praticata una piccolissima perforazione per introdurre una speciale sonda, mediante la quale sono state rilevate tracce di un prezioso tessuto di lino colorato di porpora, laminato con oro zecchino e di un tessuto di colore azzurro con filamenti di lino” [29]. “Vestiti come questi si trovavano solo nelle tombe importanti dei primi secoli. Il Pontefice ha osservato che durante le ricerche gli scienziati hanno constatato la presenza di grani di incenso rosso e di sostanze proteiche e calcaree, e che “piccolissimi frammenti ossei, sottoposti all’esame del carbonio 14 da parte di esperti ignari della loro provenienza, sono risultati appartenere a persona vissuta tra il I e il II secolo”” [30]. “Come ha spiegato il Cardinale Cordero Lanza di Montezemolo, per 20 secoli nessuno ha aperto il sarcofago. L’introduzione della piccola sonda “ha dato dei risultati non solo interessanti” ma che indicano che quanto è stato ritrovato “sembra appartenere a un sepolcro del I o del II secolo”. Secondo il porporato, sono stati trovati altri grani “che indicano anche un aspetto religioso”” [31]. Ma il giornale riporta un’informazione ancora più interessante: “Sono state inoltre rinvenute placche di marmo introdotte sicuramente nella tomba “a scopo di difesa dal Tevere”. Su una di queste è scritto con caratteri primitivi “Paolo apostolo e martire”” [32]. Nel caso in cui si scoprisse che questa scritta è risalente a una data non successiva al I secolo dopo Cristo, ogni dubbio sarebbe fugato, l’unica conclusione che ne potremmo trarre, sarebbe l’esistenza storica del personaggio biblico noto come Paolo l’Apostolo. Ricordiamo che “San Paolo è stato decapitato, secondo la tradizione nel luogo in cui si trova oggi ’abbazia delle Tre Fontane, sulla via Laurentina a Roma. Il suo corpo venne nascosto per vari secoli in un sarcofago familiare. Solo dopo il 313, quando Costantino concesse la libertà di religione nell’Impero romano, iniziò il culto pubblico e la tomba di San Paolo poté essere visitata” [33].
Ma c’è un ulteriore dettaglio, sul quale tutti dovremmo soffermarci, ed è il “prezioso tessuto di lino colorato di porpora, laminato con oro zecchino” senza parlare del “tessuto di colore azzurro con filamenti di lino”, entrambi ritrovati nel sarcofago di Paolo l’apostolo. Essi sono importanti, perché l’intuito ci suggerisce che, in particolare, il tessuto di lino colorato di porpora, sia risalente al I secolo d. C., e sia stato prodotto nella città di Colossi. Infatti, sulla città di Colossi, le cui rovine si trovano nell’odierna Turchia, sappiamo le seguenti informazioni:
“The town had a pretty tight monopoly on wool production until around the 3rd century CE. Even after things started to decline when other towns started cranking out the quality textiles, Colossae was still famous for a special kind of purple fleece that was only made there” [34].
Infatti lo stesso “Plinio il Vecchio racconta che la lana di Colossi diede il suo nome (colossinus) al colore del ciclamino” [35].
Ora, Wikipedia afferma che non ci sono prove “che san Paolo avesse visitato la città prima di scrivere la Lettera ai Colossesi, giacché dice a Filemone che spera di visitarla dopo la liberazione dal carcere (Filemone 1,22)” [36].
Mentre della lettera di Paolo a Filemone sappiamo che alcuni l’avvicinano “alla Lettera ai Galati e alla Lettera ai Filippesi, deducendo che Paolo l’avrebbe scritta ad Efeso negli anni 54-55” [37]. Sappiamo che nella prima metà degli anni cinquanta del primo secolo dopo Cristo, Paolo era in prigione ad Efeso, per via delle sue predicazioni cristiane. Deve essere durante questa prigionia che Paolo ha scritto la lettera a Filemone, in cui dice di voler visitare Colossi. Delle tante mappe dei viaggi di Paolo, ne abbiamo selezionate due:
Nell’immagine soprastante si possono vedere i quattro viaggi di Paolo, incrociando le informazioni dalle lettere paoline e dagli Atti degli Apostoli, in questa mappa, Paolo, nel suo terzo viaggio, non passa per la città di Colossi.
In quest’altra mappa con l’amenità di una Sicilia storta, si possono vedere gli stessi viaggi di Paolo: in questa mappa, nel suo terzo viaggio, Paolo passa per Colossi, anche se non ha mai scritto di esserci stato, né ciò è menzionato negli Atti.
La nostra teoria è che Paolo sia stato sia a Colossi che a Laodicea, nel suo terzo viaggio. Pensiamo inoltre che nel suo terzo viaggio, di nuovo ad Efeso – quindi ben dopo la lettera a Filemone – Paolo abbia affidato la lettera ai Laodicesi e quella ai Colossesi ad un amico fidato, che le ha poi consegnate alle rispettive comunità. Questo spiegherebbe anche Colossesi 2:1: “Voglio infatti che sappiate quale dura lotta io devo sostenere per voi, per quelli di Laodicèa e per tutti coloro che non mi hanno mai visto di persona,” [38]. In questa frase Paolo sembra intendere che i Laodicesi e i Colossesi lo hanno visto di persona, come se “per voi, per quelli di Laodicea” e “per tutti coloro che non mi hanno mai visto di persona” fossero soggetti diversi. Se Paolo non fosse stato visto in faccia da Colossesi e Laodicesi non avrebbe posto l’enfasi su questo aspetto, avrebbe semplicemente scritto “per voi, per quelli di Laodicea e per tanti altri” o anche “per voi, per quelli di Laodicea e per quelli che, come voi, non mi hanno mai visto di persona”.
Consideriamo anche che “Paolo, nella Lettera ai Colossesi (4,16), fa riferimento a un’epistola presumibilmente inviata da lui alla comunità di Laodicea. In passato si è ipotizzato che tale testo si identificasse appunto con la Lettera ai Laodicesi contenuta in alcuni codici della Vulgata; oggi tuttavia si ritiene che quest’ultima sia in realtà pseudoepigrafa. Si tratta in effetti di un testo molto breve (appena 20 versetti), scritto in greco, che si presenta come un vero e proprio collage di passi paolini attinti dalle altre lettere canoniche, e potrebbe essere stata composta probabilmente poco dopo la metà del I secolo (attorno al 60). L’autentica Lettera ai Laodicesi di cui parla Paolo sarebbe quindi andata perduta” [39]. Inoltre la lettera ai Laodicesi “è citata negli scritti di Marcione nella prima metà del II secolo. Il Canone muratoriano (c. 170 d.C.) la indica invece come testo apocrifo” [40]. Non sappiamo se i marcioniti, tra le tante mutazioni che potrebbero aver inserito nelle lettere paoline, si siano anche inventati una lettera ai Laodicesi scritta da Paolo in persona. Ma di Laodicea al Lico sappiamo che in età romana “si sviluppò come centro per la produzione e il commercio della lana e l’industria tessile” [41]. Inoltre “vari tipi di tessuti e vesti che vi erano prodotti sono citati nell’Editto dei prezzi dioclezianeo” [42].
Ma perché ci soffermiamo su tutti questi punti? Paolo nelle sue lettere parlava di umiltà, non di fregiarsi di tessuti dai prezzi esorbitanti. Se si riuscissero a confrontare questi tessuti rinvenuti nel sarcofago di Paolo, con tessuti che sappiamo poter provenire solo da Colossi e da Laodicea nel I secolo dopo Cristo, e trovassimo delle corrispondenze, allora avremmo la prova che Paolo è stato, nel suo terzo viaggio, a Colossi prima, e a Laodicea dopo, per poi andare ad Efeso per la seconda volta. Potremmo affermare che i marcioniti non scherzavano e che c’era davvero una lettera ai Laodicesi, che poi è andata perduta, nonché che la lettera ai Colossesi è indirizzata proprio ai Colossessi perché Paolo vi avrebbe verosimilmente predicato (altrimenti questa lettera ai Colossesi, perché la doveva scrivere proprio a loro? Se Paolo non ha mai messo piede a Colossi, non sarebbe stato a questo punto più logico scrivere una lettera direttamente ad Epafra, che ha fondato le Chiese di Colossi, Laodicea e Hierapolis? Scrivi una lettera a gente che non ti conosce, non ti ha mai visto, né sentito?). E poi visto l’ampio numero di collaboratori, ebrei e non, di cui era circondato Paolo [43], è verosimile che lui sia partito in questi viaggi con testimoni oculari – quindi diretti – della vita di Cristo, proprio per essere creduto. È INVEROSIMILE CHE UN UOMO CHE HA PRESO QUESTO ACCORGIMENTO PUR DI ESSERE PIÙ FACILMENTE CREDUTO, SI SIA MESSO POI A SCRIVERE LETTERE A PERSONE CHE NON HA MAI VISTO NÉ SENTITO!
Durante la sua prigionia è difficile che gli abbiano dato tessuti così costosi, glieli avrebbero tolti le guardie. Difficile era anche che Paolo acquistasse questi prodotti tessili, in quanto viveva per predicare, e non sembrava avere l’indole di chi si fregia di un manto color porpora. L’unica ipotesi che riteniamo plausibile è che Paolo, nel suo terzo viaggio, è stato a Colossi – dove gli ebrei erano molto influenti – e lì è entrato nelle simpatie di romani facoltosi, probabilmente politici che gli garantivano delle protezioni per poter predicare, dandogli un’aria di “intoccabile” grazie a queste vesti. Questi colori sgargianti e vistosi sulle vesti di Paolo, dovevano avere la stessa funzione dei colori sgargianti e vistosi di quelle rane sudamericane talmente velenose che possono uccidere un uomo per avvelenamento transdermico, al minimo contatto con esse. Doveva essere un messaggio molto chiaro per gli ebrei: “Non provate a portare in tribunale quest’uomo dicendo che offende la religione giudaica o quella pagana, perché noi troveremo gli appoggi e i modi per scagionarlo”. Se si trovassero le corrispondenze di cui stiamo parlando, probabilmente scopriremmo che il tessuto di Lino color ciclamino/porpora è tipico dell’industria tessile di Colossi del I secolo dopo Cristo, mentre quello azzurro deve essere una specialità di Laodicea. Se trovassimo queste corrispondenze, potremmo affermare – a causa del terremoto del 60 d. C. che ha posto fine alla città di Colossi – che i resti umani nel sarcofago di Paolo appartengono più probabilmente ad un uomo del primo secolo dopo Cristo, che non del secondo. Chi ci può essere in quel sarcofago, se conosceva tattiche giudaiche come la conversione strategica e l’entrismo (menzionate nelle sue lettere), e usava tecniche rabbiniche come la gezerah shavah (“decreto simile”)? Può mai trattarsi di Plinio il Giovane?!
Chi ci può essere in quel sarcofago se ha indossato i capi più esclusivi di Laodicea e Colossi del I secolo dopo Cristo, e un’iscrizione all’interno del sarcofago recita “Paolo Apostolo e martire”? Se questi capi d’abbigliamento fossero davvero appartenuti ad un semplice magistrato romano, quale era Plinio Il Giovane, non l’avrebbero mai sotterrato insieme con tali vestiti. Il terremoto del 60 d. C., che ha distrutto Colossi, costituisce quello che in gergo si chiama “stop archeologico”, il che significa che se questi tessuti hanno un impronta rinconducibile all’industria tessile di Colossi, allora risalgono a non dopo il 60 d. C. Plinio Il Giovane è morto nel II secolo d. C., il che vuol dire che se ci fosse lui nel sarcofago, allora questi tessuti gli sono stati consegnati invecchiati di almeno vent’anni, visto che Plinio Il Giovane è nato negli anni sessanta del I secolo d. C., quindi è più verosimile che ci sia un autentico Paolo l’Apostolo nel sarcofago, che negli anni cinquanta del I secolo d. C., è stato a Colossi, e ha qui ricevuto i prodotti tessili locali, morendo poi da martire cristiano poco dopo, nella prima metà degli anni sessanta del I secolo d. C.
Questi tessuti costosissimi erano sprecati per finire nella una tomba di un uomo qualunque, a meno che…chi li ha messi nel sarcofago col cadavere non avesse un interesse a nascondere quelle che potrebbero essere delle reliquie sacre. Quei tessuti sono in quella tomba perché avevano un significato simbolico importante per chi ce li ha messi dentro: sono le reliquie di un martire. L’ipotesi che Paolo indossasse vestiti esclusivi e alquanto costosi è tutt’altro che inverosimile, visto che Paolo, da quanto si evince dai suoi scritti, godeva di ottime protezioni politiche. Infatti non dovremmo mai dimenticare che un certo Erasto – romano – era “il «tesoriere» (oikonómos) di Corinto, secondo quanto emerge dai saluti in Rm 16,23. La notizia potrebbe trovare conferma in un’iscrizione dell’epoca, proveniente proprio da Corinto, che parla di un Erasto «responsabile dei lavori pubblici». Secondo la narrazione degli Atti degli apostoli (19,21), un Erasto venne inviato da Efeso in Macedonia, assieme a Timoteo. La Seconda lettera a Timoteo lo descrive nuovamente a Corinto, negli ultimi anni di vita dell’apostolo (2Tim 4,20)” [44]. In questo scenario, Paolo si è fermato ad Efeso per una seconda volta nella sua vita, in particolare nel suo terzo viaggio, ed è a questo punto che ha scritto la lettera ai Colossesi e quella ai Laodicesi. Qui deve aver incontrato una o più persone fidate, alle quali Paolo ha consegnato la lettera ai Laodicesi e la lettera ai Colossesi, da consegnare alle rispettive comunità. Quanto all’ipotesi formulata da Flavio Barbiero – cioè l’amicizia tra Giuseppe Flavio (ebreo) e Paolo l’Apostolo – essa non trova riscontro tra i biblisti, perché non ritengono che Paolo facesse parte del Sinedrio, come abbiamo riportato sopra.
E poi a giudicare dalle congiure che gli ebrei ordivano nei confronti di Paolo, come testimoniato sia in Atti che nelle Lettere, è molto probabile che Giuseppe Flavio e Paolo si schifassero vicendevolmente, e parecchio anche. Le ipotesi di Flavio Barbiero sulle origini del cristianesimo vanno anche contro tre secoli di gnosticismo ebraico giudaizzante, chiamato subdolamente “i primi cristianesimi”. Tale gnosticismo aveva l’intento evidente di distruggere il cristianesimo nella sua essenza, attraverso la Cabala, ed è per questo che Giuseppe Flavio si è posto a capo dell’organizzazione “Sol Invictus Mithra”, nel tentativo di paganizzare il cristianesimo nascente, in continuità con lo gnosticismo, che voleva giudaizzare il cristianesimo nascente. Senza contare che il viaggio a Roma, che avrebbe affrontato Giuseppe Flavio e di cui lui stesso parla, dovrebbe essere raffrontato con la datazione delle lettere Paoline e della biografia di Paolo che danno il numero maggiore di spiegazioni, cioè la datazione proposta dalla prof. Marta Sordi. Per Marta Sordi, il desiderio di Paolo di andare a Roma “è già formulato, secondo gli Atti, quando Paolo si trova a Efeso, ed è espresso anche nella Lettera ai Romani, che secondo la cronologia che io ho ricostruito risale al 53-54, non al 57 come generalmente si ritiene. Infatti tra le personalità romane che nomina ci sono Narciso, un liberto di Claudio morto nel 54, e Aristobulo, che nel medesimo anno venne mandato a governare la Piccola Armenia” [45]. Ha anche affermato che “con la cronologia tradizionale un sacco di questioni rimangono incomprensibili” [46]. Mentre “con quella che propongo io – che si accorda con tutti i dati a nostra disposizione – ogni problema si chiarisce. Tutto dipende da un passo degli Atti (24,27), in cui si dice che «trascorsi due anni, Felice (il governatore romano della Giudea) ebbe come successore Porcio Festo; ma Felice lasciò Paolo in prigione»: generalmente, i due anni vengono riferiti alla prigionia di Paolo, mentre si tratta semplicemente della durata in carica di Felice, che fu governatore, secondo le fonti romane, nel 53-54. Dunque Paolo fu processato sotto il successore Porcio Festo nella prima metà del 55, in forza del suo status di cittadino romano si appellò a Cesare e fu quindi trasferito a Roma, dove giunse agli inizi del 56, e non dopo il 60, come generalmente si ritiene. Nel 56 era prefetto del pretorio Afranio Burro, amico di Seneca, uomo saggio e tollerante, e questo spiega le condizioni della prigionia di Paolo, una sorta di arresti domiciliari molto blandi, in cui era sorvegliato da un pretoriano ma poteva ricevere liberamente chi voleva. Poi venne assolto, verosimilmente da Burro, nella primavera del 58, e qui ha inizio il celebre epistolario con Seneca” [47]. “Paolo rimase agli arresti domiciliari tra il 56 e il 58, venne quindi assolto, e qui si collocano le prime lettere con Seneca. Quindi, dal 59 al 62, c’è un vuoto, durante il quale Paolo si recò in Spagna. Tornò giusto in tempo per subire gli effetti nella svolta di Nerone: proprio in quell’anno morì Burro e Seneca perse il suo ascendente sull’imperatore, sostituito da quello della nuova moglie di lui, Poppea. E in una lettera di Seneca di questo periodo si fa cenno all’ostilità della «domina» nei confronti di Paolo, perché ha «abbandonato la religione dei padri»” [48].
Inoltre oggi sappiamo, grazie alla professoressa Ilaria Ramelli, che un personaggio di cui abbiamo la certezza dell’esistenza storica, cioè il già menzionato Seneca, morto ufficialmente nel primo secolo dopo Cristo (65 d.C.), era in contatto con Paolo l’apostolo, da quanto risulta da un epistolario che, a quanto dice la prof., sarebbe autentico, e non conosciamo argomenti abbastanza forti, avanzati contro la tesi della prof. Ilaria Ramelli. Nel 65 d. C., Plinio il Giovane aveva forse tre o quattro anni, il che significa…nelle teorie dell’ebreo Abelard Reuchlin – per cui Paolo sarebbe stato in realtà Plinio il Giovane – che Seneca scriveva lettere a Plinio Il Giovane mentre doveva ancora avvenire anche solo la scopata che avrebbe poi dato alla luce Plinio il Giovane. In questa interpretazione, le due lettere dell’epistolario considerate sicuramente false, devono essere intese come un’eresia cristiana a orologeria, inserita dagli ebrei per screditare Paolo, e da riscuotere successivamente, con l’avvento della filologia. Possiamo affermare infatti che, in merito a suddetto epistolario, due “sono in particolare gli argomenti forti per negarne l’autenticità. Il primo è rappresentato dal fatto che l’apologeta cristiano Lattanzio, scrivendo nel 324 circa, mostra di ignorare l’esistenza dell’epistolario, visto che afferma che Seneca avrebbe potuto essere cristiano, purché qualcuno gli avesse parlato di Cristo. Il secondo ostacolo è dato dalla XII lettera, o XI secondo altre numerazioni, che è datata nel marzo del 64 e che è attribuita a Seneca: in essa infatti si descrive l’incendio di Roma, che invece avvenne nel luglio dello stesso anno; un errore vistoso, che è impensabile in uno scrittore contemporaneo all’avvenimento” [49]. Ad ogni modo “l’epistolario venne creduto autentico nel corso della tarda antichità e del Medioevo: si andava così dalla testimonianza di san Girolamo (che nel 392 scriveva che le lettere tra i due grandi circolavano e venivano lette da moltissime persone) a quella di intellettuali come Albertino Mussato e il Boccaccio, che non avevano dubbi sia sull’autenticità sia sulla fede cristiana di Seneca” [50]. “Dall’Umanesimo iniziarono invece le critiche demolitrici, sintetizzate da Giusto Lipsio, il filologo fiammingo che affermava che queste lettere sarebbero state scritte per prendere in giro noi lettori, facendoci credere in un epistolario impossibile” [51]. A tale proposito è bene sottolineare che gli ebrei hanno il primato anche come linguisti, la loro versatilità linguistica è impressionante, nonostante tutto hanno inventato lingue come lo Yiddish e il Ladino, che godono di ambiguità linguistica, per consentire agli ebrei di incistarsi meglio nelle società che attaccano. Tali capacità linguistiche hanno raggiunto l’apice nella Russia giudeo-bolscevica, della quale lo stesso Bostunich dirà:-“is even considering replacing the Russian language with the Jewish “Esperanto” (an artificial language combining Italian, French, German and Polish, invented by a Prof. Zamenhof)” (sta anche considerando di rimpiazzare la lingua russa con l’ebraico “Esperanto” (una lingua artificiale che combina italiano, francese, tedesco e polacco, inventata da un Prof. Zamenhof) [52]. Gli ebrei se la cavavano anche con dialetti greci e siriaco-gerolosomitani dei primi secoli dopo Cristo, nonché con l’aramaico. Per questo, la serie di datazioni tardive di molte opere, basate sulla filologia, in molte nazioni, potrebbe dover subire una revisione sistematica, perché non è da escludere che gli ebrei abbiano sviluppato – tra le varie forme di sovversione ideologica di cui sono i maestri insuperati – tecniche/tattiche avanzate di sovversione filologica/linguistica, creando così degli ingranaggi inconsapevoli al servizio del giudeo, grazie all’indottrinamento dei gentili con strumenti di critica testuale falsati. In altre parole, gli ebrei potrebbero aver creato dei “filologi del sabato” inconsapevoli. Dopotutto se gli ebrei sono riusciti a far credere, al mondo intero, che il più grande massacro nella storia dell’umanità è stato commesso dai russi durante il giudeo-bolscevismo, anziché dagli ebrei stessi, perché sarebbe inverosimile parlare anche di giudeo-filologia?
Bisognerebbe infatti, tenere sempre a mente che LA MODERNA FILOLOGIA HA FALLITO MISERAMENTE NEL DATARE IL VECCHIO TESTAMENTO, SOSTENENDO ADDIRITTURA L’INESISTENZA STORICA DELLA STRAGRANDE MAGGIORANZA DEI PERSONAGGI BIBLICI, QUANDO È CHIARAMENTE SMENTITA DA UNA PLETORA DI SCOPERTE DI ARCHEOLOGIA BIBLICA. Un esempio fondamentale, è costituito dagli amuleti di Ketef Hinnom, di cui il sito dell’istituto dei Missionari della Consolata scrive in questi termini:
“L’antichità del testo dell’Antico Testamento è attestata dai due amuleti scoperti al di sotto di una scarpata rocciosa, sulla quale si trova la chiesa di S. Andrea della Scozia, sull’altro lato della valle di Hinnom rispetto alle mura occidentali della città antica di Gerusalemme. Sono conosciuti come gli amuleti di Ketef Hinnom, scoperti nel 1979 da Gabriel Barkay nella caverna 25.
Queste piastre d’argento datate tra il settimo e il sesto secolo a.C., arrotolate così da formare due amuleti (il più grande di 10 x 2,5 centimetri, e il più piccolo di 4 x 1,2 centimetri), riportano incise le parole di Numeri 6,24-26 sull’una, e di Deuteronomio 7,9 sull’altra. Entrambe corrispondono alle parole ebraiche trovate nel Pentateuco e mostrano una straordinaria similitudine con le parole e l’ortografia di queste Scritture. Tutto ciò sfida coloro, che datano il Pentateuco nel periodo post-esilico, a spiegare come due testi dalla Legge di Mosè appaiano molto prima rispetto alla data che la critica accademica ha attribuito loro” [53].
Nella fotografia soprastante: gli amuleti di Ketef Hinnom. Da soli questi reperti invalidano le ipotesi filologiche minimaliste e ultraminimaliste sulla redazione della Bibbia, impostesi in tempi recenti.
Tornando all’epistolario, la prof. “Marta Sordi si pronuncia innanzitutto a favore della probabilità di una conoscenza personale tra Paolo e Seneca. L’arrivo dell’apostolo a Roma andrebbe collocato nel biennio 56-58, quando Seneca era potentissimo a Roma e influente consigliere di Nerone; Paolo avrebbe avuto in quel periodo buone amicizie tra i pretoriani, guidati da quel prefetto, Afranio Burro, che sappiamo amico di Seneca: in tale contesto l’ipotesi di un incontro tra le due grandi personalità non è certo inverosimile, anche se non abbiamo alcuna prova certa in merito. Abbiamo invece la prova di un rapporto tra la famiglia di Seneca, la gens Annaea, e Paolo stesso, attraverso un’iscrizione funeraria della fine del I o dell’inizio del II secolo, trovata a Ostia, luogo del martirio di Paolo. Anche la Sordi esclude, per varie ragioni, la paternità di due lettere dal novero di quelle autentiche: la prima è la XII (o XI) per via della descrizione prima del tempo dell’incendio di Roma; l’altra è la XIV, l’ultima, che con linguaggio diverso dalle precedenti suggerisce addirittura l’idea di una conversione di Seneca al Cristianesimo. Le altre dodici lettere sono quindi riconducibili al periodo che va dal 58 al 62, in cui realmente Seneca era l’uomo più potente del momento e Paolo era sicuramente presente nella capitale dell’impero” [54].
Per la prof. Marta Sordi, escluse le due lettere dimostrate come false dalla prof. Ilaria Ramelli, cadono “gli argomenti che inducevano ad affermare il carattere apocrifo dell’intera raccolta e il problema deve essere riaperto” [55]. Inoltre, Marta Sordi fornisce indizi e prove circostanziali che l’epistolario sia autentico: “Le dodici lettere rimaste, alcune datate con i consoli ordinari e con quelli suffetti, un uso che cessa col III secolo d.C….[…]…Dal punto di vista linguistico, i grecismi sono tutti contenuti nelle lettere di Paolo, mentre la traduzione, da parte di Seneca, horrore divino del paolino phobos theou, sembra escludere la presenza di un falsario cristiano, che avrebbe certamente tradotto timor Dei” [56]. Inoltre Marta Sordi risolve così il “problema dell’ignoranza di Lattanzio” relativamente all’epistolario tra Seneca e Paolo: “Il contenuto non apertamente religioso e il carattere di scambio privato di lettere fra amici giustifica l’ignoranza che i Cristiani ebbero di questo epistolario fino a san Gerolamo: esso è giunto, in effetti, tra le opere di Seneca, non fra quelle di Paolo” [57]. Per Marta Sordi l’epistolario “conferma il periodo della prima prigionia romana di Paolo, 56/58 d.C., risultante dalle fonti migliori relative alle procuratele di Antonio Felice e di Porcio Festo in Giudea; esso permette inoltre di cogliere il momento preciso della svolta anticristiana del governo neroniano, che, se coincide con la svolta generale del 62, trova nell’ostilità della giudaizzante Poppea, sposata in quell’anno dall’imperatore, la sua causa immediata. L’accenno ripetuto all’indignatio della domina per l’allontanamento di Paolo dal giudaismo, con la reticenza incomprensibile in un falsario ma ben giustificabile in un contemporaneo, rivela da parte di chi scrive la conoscenza di fatti (il filogiudaismo di Poppea), che noi conosciamo solo da Flavio Giuseppe, ma che nessun autore cristiano poteva inventare. L’epistolario sembra inoltre presupporre un rapporto che non riguarda solo Seneca e Paolo, ma alcuni dei loro amici e seguaci. Lucilio, amico di Seneca, Teofilo, il cavaliere romano a cui Luca dedica il suo Vangelo” [58].
Per Marta Sordi, il contesto storico fornito dall’epistolario, coincide con quello del dialogo tra stoici pagani e i primi cristiani, come si evince dalle lettere paoline e da personaggi del secondo secolo: “Nella I lettera Seneca ricorda a Paolo un colloquio avvenuto tra lui e Lucilio negli horti Sallustiani, a cui erano presenti quidam disciplinarum tuarum comites: il rapporto non riguarda dunque solo due persone, ma due ambienti, quello cristiano e quello che faceva capo all’ancora potente ministro di Nerone; i convertiti romani al Cristianesimo, presenti anche nella corte neroniana (come risulta del resto anche dalla lettera ai Filippesi, in cui si parla di Cristiani della casa di Cesare) e i seguaci dello Stoicismo romano.
Sono proprio questi rapporti che inducono a non sottovalutare e a non confinare nella leggenda ciò che emerge dall’epistolario, l’esistenza, cioè, di un dialogo in atto fra gli ambienti dello stoicismo romano di età neroniana e la prima predicazione cristiana.
Contatti spesso verbali sono stati riscontrati tra gli scritti neo testamentari e, specialmente, tra le lettere paoline e gli Stoici dell’opposizione neroniana, Musonio Rufo, che Giustino martire proclama martire del logos seminale, Persio, lodato anche da Agostino. Ma è ancora a Seneca e al suo ambiente che ci riporta la tragedia senechiana Hercules Oetaeus, che, se non è di Seneca, è certamente di uno stoico a lui vicino e che rivela, pur essendo sicuramente l’opera di un pagano, quella stessa conoscenza del Cristianesimo, piena di ammirazione e di simpatia, che troviamo nell’epistolario fra Seneca e Paolo” [59]. Per Marta Sordi quindi, nelle opere pagane del I secolo dopo Cristo, si possono rinvenire riferimenti al Cristianesimo, che sono soltanto velati perché non c’era il clima ideale per fare dei riferimenti espliciti ad esso, in quanto stoici pagani e primi cristiani si stavano appena interfacciando, in un ambiente storico e politico inizialmente avverso al cristianesimo. Stoicismo pagano e cristianesimo stavano dialogando, poiché il Logos Spermatikos – cioè l’insieme di semi di gnosi pura precristiana diffusi nella religione pagana – rendeva possibile ciò, facendo da ponte tra le due ideologie, almeno nella ricostruzione dei Padri della Chiesa come Giustino martire e Agostino che hanno lodato personaggi stoici del primo secolo, nonché nell’opinione di tutti quei cattolici che credono alla teoria del senso teologico della storia. Quindi escluse due lettere sicuramente false, non ci sono problemi né linguistici né di contesto storico-politico riscontrabili nel resto dell’epistolario.
Sui lavori di Ilaria Ramelli riguardanti l’eresia nota come apocatastasi, che puzza decisamente di modernismo – pur essendo partita da un padre della Chiesa (eretico) come Origene – ci soffermeremo un giorno, ma quel giorno non è oggi. Possiamo però anticipare perché consideriamo l’apocatastasi un’eresia anticristiana:
- È una puttanata internazionale senza un briciolo di senso, quindi non può essere, in ogni caso, “divinamente rivelata”
- Ripropone la concezione ciclica del tempo, una concezione tipicamente gnostica, mentre il tempo per i cristiani è lineare
- È stata riproposta da un Papa che in realtà è una cellula fantasma, un marrano, al fine di far progredire l’Americanismo all’interno della Chiesa Cattolica
- Questa eresia crea quello che noi chiamiamo “Problema dell’Ultimo Farabutto”
- Porta anche al “Problema del Primo Farabutto”, il più fesso di tutti: quanto è divinamente giusto che debba aspettare all’Inferno prima di ricevere l’Apocatastasi, a parità di peccati commessi rispetto ad altri Farabutti, vissuti in epoche più vicine temporalmente all’Apocatastasi finale? Dobbiamo inserire un concetto relativo di tempo e di come scorre, Farabutto per Farabutto? Come funziona esattamente?
- Porta inevitabilmente, come molte dottrine gnostiche, alla de-moralizzazione di chi abbraccia tale eresia, in quanto gli individui più malvagi e vendicativi potrebbero essere propensi a fare del male in questo mondo a prescindere dall’entità della loro punizione, essendo disposti a tutto pur di ottenere quello che vogliono in questo mondo, e perché tanto sanno che la loro punizione sarà comunque momentanea, prima o poi potranno comunque ricominciare, il che ci riporta al primo punto (vedi sopra).
Per non uscire troppo fuori tema, ci soffermiamo solo sul terzo punto: il problema dell’Ultimo Farabutto. Possiamo enunciare il problema in questo modo: “Posto che l’Apocatastasi avvenga il giorno x, e che in tale giorno “avverrà la redenzione universale e tutte le creature saranno reintegrate nella pienezza del divino, compresi Satana e la morte” [60] e finanche tutti i demoni gli angeli e le restanti creature, esisterà un individuo, noto come Ultimo Farabutto, che sarà il più grande criminale di tutti i tempi, e morirà il giorno x – 1 (il giorno prima dell’Apocatastasi finale di vivi e morti). Se l’Ultimo Farabutto, dopo tutti i crimini che ha commesso, si fa un solo giorno di Inferno al quale segue l’Apocatastasi (cioè il perdono) finale, si può asserire che è stata fatta giustizia divina anche per l’Ultimo Farabutto”? Perché il più grande Farabutto di sempre dovrebbe pagare meno di tutti, solo perché è nato verso la fine dei tempi?
A questo problema segue un logico corollario, che comprende il caso di un’ Apocatastasi che si prolunga nel tempo perché prevede le temporanee espiazioni dell’Ultimo Farabutto anziché il suo perdono immediato: “Se il giorno x – 1, noto come il giorno prima dell’Apocatastasi, muoiono tutte le creature che la devono ricevere, insieme all’Ultimo Farabutto, allora queste creature dove finiranno nell’attesa dell’Apocatastasi? Se fosse vero che prima devono finire le espiazioni dell’Ultimo Farabutto, in quanto i dannati “esistono, ma non per sempre, poiché il disegno salvifico non si può compiere se manca una sola creatura” [61] e quindi l’Apocatastasi non si può compiere, si può dire che i contemporanei dell’Ultimo Farabutto hanno ricevuto giustizia divina? Perché devono aspettare tutto il tempo di espiazione dell’Ultimo Farabutto, quando magari non hanno fatto molto in confronto a lui e meriterebbero l’Apocatastasi anticipata rispetto a lui?
Ad ogni modo, tornando al seminato, un’analisi dettagliata dell’invettiva antigiudaica universale di Gesù Cristo, contenuta nel Vangelo di Matteo, ci ha convinto di diverse cose:
- Gesù Cristo è stato un personaggio, di chiara origine ebraica, storicamente esistito
- Gesù Cristo aveva un’ottima conoscenza degli scritti talmudici che circolavano durante la sua epoca, o comunque delle tradizioni orali giudaiche dell’epoca
- Gesù Cristo aveva una conoscenza tale del popolo ebraico, delle sue caratteristiche salienti, e delle sue usanze, che la sua invettiva non può essere considerata un’ invenzione dell’immaginario antigiudaico di autori greco-romani come Seneca, o Plinio il Giovane, come afferma l’ebreo Abelard Reuchlin in riferimento al Nuovo Testamento nella sua interezza.
- Gesù Cristo è riuscito, con una lucidità impressionante, a prevedere sia eventi che sarebbero poi accaduti di lì a pochi decenni, sia eventi accaduti migliaia di anni dopo. Come ha fatto?
- GESÙ CRISTO ERA CONVINTO – COME LO SONO STATI MOLTI EBREI NELLA STORIA DEL GIUDAISMO – DI ESSERE IL MESSIA. Le prove di ciò sono in Mt 16:18, in cui ha cambiato il nome di Simone in Pietro, come Dio ha cambiato il nome ad Abramo in Abrahamo, nonché in Mt 23:37 e Mt 23:34. Gesù è rimasto convinto di essere il Messia fino al suo ultimo respiro, infatti la frase “Eli, Eli, lama sabactani?” (“Dio mio, Dio mio, perché mi hai abbandonato?”) in Mt 27:46 è in realtà l’inizio del ventiduesimo salmo del re Davide che descriverebbe la fragilità umana di Gesù Cristo ma anche la sua crocifissione e resurrezione.
- È difficile già in partenza affermare che i Vangeli sono dei falsi, perché il Vangelo di Matteo è il più semitico tra i Vangeli, e finanche dell’invettiva antigiudaica universale pronunciata da Cristo, si è sottolineato un tipico stile semitico. Se i Vangeli sono dei falsi storici scritti da dei romani o comunque da dei non-ebrei, come hanno fatto questi ad imitare lo stile semitico senza conoscere poi le tradizioni degli ebrei? Se invece i Vangeli sono stati scritti da degli ebrei, allora come fanno gli ebrei a dire che sono dei falsi? Su quale base affermano ciò?
FINE DELL’INTRODUZIONE
Veniamo dunque al testo integrale dell’invettiva antigiudaica universale cioè Matteo capitolo 23, seguito poi dall’elenco dei marcatori di ebraicità/caratteristiche salienti in essa rinvenuti/e, e dal commento dell’invettiva versetto per versetto:
“1 Allora Gesù si rivolse alla folla e ai suoi discepoli dicendo: 2 «Sulla cattedra di Mosè si sono seduti gli scribi e i farisei. 3 Quanto vi dicono, fatelo e osservatelo, ma non fate secondo le loro opere, perché dicono e non fanno. 4 Legano infatti pesanti fardelli e li impongono sulle spalle della gente, ma loro non vogliono muoverli neppure con un dito. 5 Tutte le loro opere le fanno per essere ammirati dagli uomini: allargano i loro filattèri e allungano le frange; 6 amano posti d’onore nei conviti, i primi seggi nelle sinagoghe 7 e i saluti nelle piazze, come anche sentirsi chiamare “rabbì” dalla gente. 8 Ma voi non fatevi chiamare “rabbì”, perché uno solo è il vostro maestro e voi siete tutti fratelli. 9 E non chiamate nessuno “padre” sulla terra, perché uno solo è il Padre vostro, quello del cielo. 10 E non fatevi chiamare “maestri”, perché uno solo è il vostro Maestro, il Cristo. 11 Il più grande tra voi sia vostro servo; 12 chi invece si innalzerà sarà abbassato e chi si abbasserà sarà innalzato. 13 Guai a voi, scribi e farisei ipocriti, che chiudete il regno dei cieli davanti agli uomini; perché così voi non vi entrate, e non lasciate entrare nemmeno quelli che vogliono entrarci. 14 Guai a voi, scribi e farisei ipocriti, perché divorate le case delle vedove e fate lunghe preghiere per mettervi in mostra; perciò riceverete maggior condanna. 15 Guai a voi, scribi e farisei ipocriti, che percorrete il mare e la terra per fare un solo proselito e, ottenutolo, lo rendete figlio della Geenna il doppio di voi. 16 Guai a voi, guide cieche, che dite: Se si giura per il tempio non vale, ma se si giura per l’oro del tempio si è obbligati. 17 Stolti e ciechi: che cosa è più grande, l’oro o il tempio che rende sacro l’oro? 18 E dite ancora: Se si giura per l’altare non vale, ma se si giura per l’offerta che vi sta sopra, si resta obbligati. 19 Ciechi! Che cosa è più grande, l’offerta o l’altare che rende sacra l’offerta? 20 Ebbene, chi giura per l’altare, giura per l’altare e per quanto vi sta sopra; 21 e chi giura per il tempio, giura per il tempio e per Colui che l’abita. 22 E chi giura per il cielo, giura per il trono di Dio e per Colui che vi è assiso. 23 Guai a voi, scribi e farisei ipocriti, che pagate la decima della menta, dell’anèto e del cumìno, e trasgredite le prescrizioni più gravi della legge: la giustizia, la misericordia e la fedeltà. Queste cose bisognava praticare, senza omettere quelle. 24 Guide cieche, che filtrate il moscerino e ingoiate il cammello! 25 Guai a voi, scribi e farisei ipocriti, che pulite l’esterno del bicchiere e del piatto mentre all’interno sono pieni di rapina e d’intemperanza. 26 Fariseo cieco, pulisci prima l’interno del bicchiere, perché anche l’esterno diventi netto!
27 Guai a voi, scribi e farisei ipocriti, che rassomigliate a sepolcri imbiancati: essi all’esterno son belli a vedersi, ma dentro sono pieni di ossa di morti e di ogni putridume. 28 Così anche voi apparite giusti all’esterno davanti agli uomini, ma dentro siete pieni d’ipocrisia e d’iniquità. 29 Guai a voi, scribi e farisei ipocriti, che innalzate i sepolcri ai profeti e adornate le tombe dei giusti, 30 e dite: Se fossimo vissuti al tempo dei nostri padri, non ci saremmo associati a loro per versare il sangue dei profeti; 31 e così testimoniate, contro voi stessi, di essere figli degli uccisori dei profeti. 32 Ebbene, colmate la misura dei vostri padri! 33 Serpenti, razza di vipere, come potrete scampare dalla condanna della Geenna? 34 Perciò ecco, io vi mando profeti, sapienti e scribi; di questi alcuni ne ucciderete e crocifiggerete, altri ne flagellerete nelle vostre sinagoghe e li perseguiterete di città in città; 35 perché ricada su di voi tutto il sangue innocente versato sopra la terra, dal sangue del giusto Abele fino al sangue di Zaccaria, figlio di Barachìa, che avete ucciso tra il santuario e l’altare. 36 In verità vi dico: tutte queste cose ricadranno su questa generazione. 37 Gerusalemme, Gerusalemme, che uccidi i profeti e lapidi quelli che ti sono inviati, quante volte ho voluto raccogliere i tuoi figli, come una gallina raccoglie i pulcini sotto le ali, e voi non avete voluto! 38 Ecco: la vostra casa vi sarà lasciata deserta! 39 Vi dico infatti che non mi vedrete più finché non direte: Benedetto colui che viene nel nome del Signore!»” [62].
Veniamo dunque ai marcatori di ebraicità/caratteristiche salienti del popolo ebraico:
- Circolazione di scritti talmudici in Giudea nel I secolo dopo Cristo, congiuntamente con mutazioni inserite nel Vecchio Testamento da parte delle autorità rabbiniche (Mt 23:2)
- Ipocrisia giudaica negli insegnamenti rabbinici (Mt 23:3)
- Indolenza giudaica e proiezione giudaica: interpretazione spirituale e letterale non si escludono a vicenda ma vanno integrate (Mt 23:4)
- Vanità giudaica e filantropismo simulato (Mt 23:5-7)
- Occultamento della gnosi pura in grado di far conoscere agli ebrei che Gesù è il Cristo (Mt 23:13)
- Il concetto di “divorce raped” non esiste nella comunità ebraica. Per quanto possa farvi cadere le mascelle per terra dallo stupore, l’invettiva di Cristo sulla negligenza degli ebrei per la causa della vedova, è valida in tutte le epoche e nazioni. Come faceva a conoscere così bene il giudaismo, se gli ebrei continuano a dire che Cristo non è mai esistito? Conoscete degli autori greco-romani che hanno fatto insinuazioni simili? (Mt 23:14)
- Abnegazione giudaica, fervore giudaico e sovversione ideologica. Previsione dei falsi profeti dell’Apocalittica giudaica e dello Gnosticismo (Mt 23:15)
- Logica Giudaica, rispetto religioso per il denaro, radicamento nella materialità (Mt 23:16-22)
- Minuziosità giudaica, rispetto religioso per il denaro, ipocrisia giudaica (Mt 23:23)
- Simulazione giudaica convergente a mezzo di clausole giudaiche (kosher hacks). Demenzialità giudaica (Mt 23:24)
- Sudiciume giudaico e ipocrisia giudaica. La pietra e il concetto di purezza nell’Halacka del I secolo d. C. Anche qui interpretazione materiale e spirituale vanno integrate come due facce della stessa medaglia (Mt 23:25-26)
- Propaganda giudaica (realismo giudaico): la propaganda israeliana di oggi è la quintessenza dei sepolcri imbiancati di ieri (Mt 23:27-29)
- Modulo Kennedy su tutti i profeti (Mt 23:30-32)
- Predizione di persecuzioni anticristiane, e martiri cristiani (Mt 23:34)
- Protagonismo omicida giudaico: tendenza degli ebrei a compiere tutti gli omicidi politici. Modulo Kennedy sul profeta Zaccaria (Mt 23:35)
- Dichiarazione di universalità della questione giudaica e dell’invettiva stessa. Gesù predice il suo omicidio da parte degli ebrei (Mt 23:36)
- Previsione della lapidazione dell’Apostolo Giacomo (Mt 23:37)
- Previsione della distruzione del Tempio di Gerusalemme (Mt 23:38)
- BONUS: Predizione dell’infiltrazione di cellule fantasma del giudaismo nelle future nazioni cristiane. Il consiglio di Cristo per riconoscere gli agenti crittosionisti (Mt 7:15-20). Il significato teologico della “seconda morte” e del protagonismo ereticale giudaico (protagonismo omicida giudaico del II tipo) nella religione cattolica
- Conclusioni: esegesi tipica della questione giudaica attraverso la Bibbia, e nuova definizione del tempo come tipico-lineare
- Conclusioni sul complesso di eresie note come “copycat thesis”, o “teoria dell’emulatore”: queste eresie non hanno un supporto archeologico, né un senso storico o politico. Vanno contro il significato funzionale dello gnosticismo e contro l’ebraicità/crittoebraicità dei suoi esponenti, ignorano l’eccessiva conoscenza del giudaismo che traspare dall’invettiva antigiudaica universale, e che non si rinviene nella letteratura greco-romana neanche in maniera frammentata. Con l’arecheologia cristiana del I secolo, queste eresie mostrano inoltre il cosiddetto “problema generazionale”
- Sfigurazione e trasfigurazione modernisti – descritti nell’enciclica Pascendi dominici gregis – sono i “grimaldelli ideologici” degli agenti crittosionisti (cellule fantasma) per infiltrare la “teoria dell’emulatore” all’interno della Chiesa Cattolica
- Il significato teologico dell’autosussistenza della figura di Melchisedek: fornire un motivo di conversione per gli ebrei, e una cristofania ai gentili per debellare la futura “tipologia inversa” fomentata dal crittoebreo Joseph Atwill. Melchisedek è l’unico tipo biblico di se stesso, l’unico personaggio della Genesi senza genealogia perché non ce l’ha, per questo non potrà mai essere ritrovato in alcuna tavoletta canaanita. È l’easter egg di Dio nel Vecchio Testamento, che parla di come il Figlio sia venuto a suggellare il primo Patto
- Circolazione di scritti talmudici in Giudea nel I secolo dopo Cristo, congiuntamente con mutazioni inserite nel Vecchio Testamento da parte delle autorità rabbiniche (Mt 23:2)
“Sulla cattedra di Mosè si sono seduti gli scribi e i farisei”. Come interpretare questa frase di Gesù Cristo? Sappiamo che Mosè era uno scriba, ma sappiamo anche dal varsetto successivo (Mt 23:3) che Gesù Cristo fa riferimento ad una tradizione di insegnamenti orali dei farisei, e che, tali insegnamenti orali, almeno sul piano formale, per Gesù Cristo erano da considerarsi corretti. È un fatto risaputo però, quello del problema costituito dalla eccessiva violenza veterotestamentaria, per via del fatto che sembra molto di più umanamente che non divinamente rivelata. Questa enorme differenza tra Vecchio e Nuovo Testamento, verrà sottolineata da Marcione con l’eresia anticristiana che è stata poi ribattezzata “marcionismo”, cioè la dottrina per cui il Dio del Vecchio Testamento e quello del Nuovo Testamento sono due divinità a se stanti, completamente diverse tra loro. In particolare, il Dio del Vecchio Testamento sarebbe una divinità malvagia e con “un problema nella gestione della collera”, mentre il Dio del Nuovo Testamento sarebbe quello che salva dalla “dannazione”, un bonaccione, un piacione aperto a tutte le genti disposte a credergli, a differenza di quello che nel libro di Isaia viene definito un “Dio geloso” del fatto che gli ebrei antichi siano caduti nell’idolatria e nella venerazione di altre divinità pagane. La violenza e i genocidi del Vecchio Testamento costituiscono un problema esegetico per la religione cattolica ma non per il giudaismo. Si è provato a risolvere questo problema con quella che possiamo chiamare “teoria del crogiuolo della fede”. Ma non abbiamo affatto intenzione di parlarne qui anche perché ne sappiamo poco. Un’altra spiegazione però, come sembra suggerire anche una parte della filologia biblica, è che il Vecchio Testamento abbia subito vari rimaneggiamenti, da parte di vari autori. È quindi possibile ipotizzare che con la frase “sulla cattedra di Mosè si sono seduti gli scribi e i farisei” Gesù intendesse dire che in taluni passaggi, gli ebrei abbiano utilizzato un po’ di fantasia e ci abbiano messo elementi personali, ricostruzioni magari fittizie, utilizzate a scopo politico, senza però cambiare la legge ebraica nelle sue parti fondamentali. Sappiamo da casi seguenti alla redazione della Bibbia ebraica, che alcuni ebrei hanno provato a cambiare un passo di Isaia. Come scrive Padre Louis-Marie O.P.: “Il rabbino Simmons afferma:
«L’idea cristiana di una nascita verginale ha preso spunto da Isaia 7, 14 dove si parla di un'”‘almah” che ha partorito. La parola ebraica “alma” ha sempre significato “giovane donna”, ma i teologi cristiani, parecchi secoli dopo, l’hanno tradotta come “vergine”».
Il rabbino dimentica che non sono i cristiani che hanno tradotto la Bibbia in greco, ma gli stessi ebrei, molto prima della nascita di Gesù Cristo (la versione greca detta «dei Settanta»). Ora, in questa versione, la parola ebraica ‘almah è tradotta non come «giovane donna», ma come «giovane vergine» (parthènos); è questo stesso termine che San Luca usa per designare la Vergine Maria nel suo racconto dell’Annunciazione” [63]. “È solamente dopo la venuta di Cristo, nel secolo II della nostra era, che gli autori ebrei si prodigarono a fornire una nuova traduzione, per opporla al cristianesimo. Teodozione di Efeso, Aquila del Ponte e Simmaco tradussero ‘almah’ con «giovane donna». Se si vuole considerare il termine ebraico in sé (‘almah) non si può conoscere il senso esatto che esaminando i suoi diversi impieghi nella Bibbia.
Ora, in tutta la Sacra Scrittura non si trova questa parola che una decina di volte. A seconda del contesto, essa designa delle ragazze che sono o certamente o molto verosimilmente vergini; una sola volta, il termine designa una ragazza che è probabile che sia vergine (il contesto non permette di fornire una risposta definitiva)” [64]. “Tutto ciò implica logicamente che:
Nulla si oppone a che il termine ‘almah designi una giovane vergine, (opponendosi al tempo stesso al termine na’arâh, che designa una «ragazza», senza un’ulteriore precisazione, e al termine betûlâh, che designa proprio una vergine, ma senza precisarne l’età);
La probabilità che questo sia il senso esatto di questa parola è forte. Questa probabilità diventa certezza quando si constata che questa parola è stata tradotta come «vergine» nella versione greca dei Settanta” [65]. “Dunque, la realtà è in definitiva rigorosamente contraria alle affermazioni del rabbino Simmons. Non sono i teologi cristiani che, parecchi secoli dopo, hanno tradotto ‘almah’ con «vergine», ma al contrario i traduttori ebrei che, più di un secolo dopo la venuta del Cristo, hanno rigettato la traduzione fino a quel momento accettata per introdurre il termine di «giovane donna». La sfida lanciata da San Girolamo (347-420) agli ebrei del suo tempo è sempre di grande attualità:
«Che gli ebrei ci mostrino dunque un solo passo delle Scritture in cui “‘almah” designa solamente una ragazza e non una vergine, e allora riconosceremo che la parola di Isaia deve intendersi non come “una vergine”, ma come “una giovane donna già sposata”»” [66].
Un altro esempio in cui gli ebrei arrivano a modificare il Vecchio Testamento, è il famoso e discusso capitolo 53 del libro di Isaia, che parla della figura di un “servo sofferente”, che per i cristiani rappresenta chiaramente Cristo, per gli ebrei rappresenta il popolo di Israele nella sua interezza o “un gruppo di giusti”. “Molti israeliti, infatti, hanno dovuto ammettere che questa profezia annunciava il Messia, anche se poi l’hanno sottoposta ad un’esegesi più che acrobatica per cancellarne gli aspetti che li urtavano. Un caso assai significativo è quello del Targum di Gionata, che Padre Marie-Joseph Lagrange (1855-1938) definisce come «un esempio caratteristico e persino divertente dei controsensi cui può condurre la preoccupazione di restare fedeli alle parole di un testo, sottraendosi per quanto possibile al suo spirito»” [67]. Il Targum di Gionata è un esempio di utilizzo di quella che chiamiamo “logica del contrario” o che forse dovremmo chiamare “logica giudaica a inversione”. Nel momento in cui gli ebrei producono una letteratura speciale per modificare – in maniera ridicola – l’interpretazione del Vecchio Testamento al fine di non far trovare in quest’ultimo riferimenti a Gesù Cristo, diventa molto forte il sospetto che l’incredulità giudaica nei confronti di Gesù come il Messia sia un’incredulità soltanto simulata.
Nell’immagine, pagina 50 dell’opera “The Babylonian Talmud”, tradotta da Michael L. Rodkinson (includendo The History of the Talmud), 1903. In questo frammento, il rabbino Rodkinson ipotizza che Cristo fosse a conoscenza delle “Tradizioni dei saggi” (“Traditions of the elders”)
Un esempio pratico nella Bibbia, che è a favore dell’ipotesi documentale – ma fino ad un certo punto perché tale ipotesi è fondamentalmente invalidata dalle scoperte archeologiche di Ron Wyatt – viene fornito da Wikipedia. Infatti, nella pagina sull’esilio babilonese, leggiamo: “Secondo la versione tramandata dalla Bibbia, solo nella tribù di Giuda era sopravvissuto il culto di YHWH, dopo la distruzione del Regno del Nord ad opera degli Assiri. (Ciò contrasta con i dati storici e archeologici, che vedono la persistenza nell’ex Regno del Nord, divenuto la Samaria, del culto di YHWH anche in epoca successiva, arrivando addirittura alla costruzione d’un Tempio rivale sul Monte Garizim, che officiò sotto un sacerdozio legittimamente aronnico fino alla sua distruzione da parte dei Giudei sotto gli Asmonei (con Giovanni Ircano, nel 123 a.C.). Ma per i redattori biblici solo il culto di Gerusalemme era legittimo, pertanto il culto samaritano non meritava d’essere preso in considerazione)” [68].
Contestualmente, alla pagina wiki sul monte Garizim leggiamo: “Separatisi dai Giudei, i Samaritani costruirono sul Garizìm un tempio (2 Maccabei 6:2), nel luogo sul quale – secondo una loro tradizione – avvenne il sacrificio di Abramo. Ai piedi del monte la tradizione situa il pozzo di Giacobbe. Il tempio sul Garizìm, costruito all’epoca di Alessandro Magno (328 a.C.) a imitazione del tempio di Gerusalemme, fu distrutto duecento anni dopo da Giovanni Ircano (128 a.C.). Ma tra i Samaritani restò la convinzione che su quel monte bisognava adorare Dio (cfr. Giovanni 4,20)…[…]…Nel 1964 vennero rinvenuti sul Garizìm i resti dell’antico tempio samaritano” [69]. Si noti la differenza di cinque anni in riferimento alla distruzione di questo tempio, nei due virgolettati.
Dunque, nel secondo libro dei Maccabei, scritto durante la dominazione ellenica di Israele, c’è scritto che “il re inviò un vecchio ateniese per costringere i Giudei ad allontanarsi dalle patrie leggi e a non governarsi più secondo le leggi divine, inoltre per profanare il tempio di Gerusalemme e dedicare questo a Giove Olimpio e quello sul Garizim invece a Giove Ospitale, come si confaceva agli abitanti del luogo” [70], mentre nei libri precedenti della Bibbia, il tempio di Garizim non viene proprio menzionato. Questa sarebbe la prova che il giudaismo “prototalmudico” non ha voluto ammettere in seno a se stesso uno scisma autentico, cioè lo scisma coi Samaritani. Questo è uno dei motivi per cui i libri dei Maccabei non sono ammessi nel canone della Bibbia ebraica ma sono ammessi in quello della Bibbia cristiana: il tentativo di manipolare la storia di Israele – ad opera della classe sacerdotale – a fini politici, in questo caso è evidente. Alla luce di ciò non possiamo non sospettare che ci siano mutazioni nel Vecchio Testamento inserite dagli scribi e farisei di Israele. Un altro esempio, potrebbe essere il famoso passaggio sull’usura contenuto nel Deuteronomio, tale per cui ha fatto scrivere ad un cattolico tradizionalista come Gian Pio Mattogno, di un “dio giudaico”, aprendosi così ad accuse di marcionismo: “<<Quando il Signore, tuo Dio, ti avrà benedetto, come ti ha promesso, presterai a molte nazioni, ma non prenderai a prestito, dominerai molte nazioni, ma esse non ti domineranno>> (Deut. 15, 6).
<<Ora, se darai ascolto alla voce del Signore, tuo Dio, osservando e eseguendo tutti i suoi ordini che oggi io ti do, il Signore ti eleverà sopra tutte le nazioni della terra […] Tu presterai a molte nazioni, ma non prenderai in prestito nulla. Il Signore ti porrà in testa e non in coda, sarai sempre al di sopra, non sarai mai sotto, se darai ascolto agli ordini del Signore, tuo Dio, che oggi io ti do, osservandoli ed eseguendoli >>” [71]. “Qui il Dio giudaico non si limita a promettere a Israele la futura sovranità sui popoli, ma delinea altresì una precisa strategia di conquista: l’usura come strumento di dominio economico” [72]. In questo virgolettato Gian Pio Mattogno ha dimostrato di avere una scarsa conoscenza dell’ipotesi documentale, non riconoscendo che questa tattica giudaica deve essere stata infiltrata all’interno del Pentateuco dalla classe sacerdotale, proprio in occasione della prima prigionia Babilonese, per permettere agli ebrei quella scalata sociale che avrebbe poi garantito loro la libertà.
Riteniamo che Mosè sia realmente esistito e abbia scritto davvero il Pentateuco, probabilmente su delle pelli di animale, nel deserto. È anche verosimile che molte tattiche giudaiche fossero utilizzate dagli ebrei già durante la loro convivenza con gli egizi, ma gli ebrei non avevano forse ancora maturato l’esigenza di usare l’usura in maniera tattica per sopravvivere.
Poi c’è da considerare quello che da sempre è ritenuto, da parte di molti rabbini, come uno dei versi biblici più fraintesi di tutta la Bibbia. Tale versetto è Geremia 8:8. Esso recita: “Come potete dire: Noi siamo saggi, la legge del Signore è con noi? A menzogna l’ha ridotta la penna menzognera degli scribi!” In questo video (https://www.youtube.com/watch?v=j62c82unD0Q) il rabbino Tovia Singer prova a spiegare che bisogna “contestualizzare” questo versetto. Basandosi sul fatto che gli ebrei, erano convinti di avere Dio dalla loro parte e di non poter perdere contro i Babilonesi in una guerra, e considerando che la radice ebraica di ciò che è traducibile con la parola “menzogna”, compare un eccessivo numero di volte nel libro di Geremia – rispetto ad altri libri dei profeti – Tovia Singer prova ad asserire che dei falsi profeti emanavano, a quei tempi, profezie false volte a screditare Geremia, e volte a far credere che il Tempio non sarebbe mai stato distrutto, e che tutto ciò rappresenterebbe “la penna menzognera degli scribi”. Ma purtroppo non ci ha convinto: altri profeti di Israele, come ad esempio Zaccaria, hanno menzionato dei falsi profeti, ma non per questo Zaccaria ha scritto/detto che la Legge è stata resa una falsità, che è stata corrotta dall’interno. Semplicemente, la “contestualizzazione” di cui parla il rabbino Tovia Singer non è sufficiente per fornire l’esegesi che il rabbino Singer ha fornito di questo passo biblico.
Quindi mentre i principi fondamentali della Legge possono essere stati conservati nei secoli, è pacifico ipotizzare che qua e là nel Vecchio Testamento ci siano stati dei cambiamenti.
Alla luce di tutto ciò è possibile che gli scribi, e in misura minore i farisei, abbiano cambiato in parte il Vecchio Testamento sedendosi sulla cattedra di Mosè, inoltre i farisei hanno probabilmente adottato delle tradizioni orali in accordo con le mutazioni inserite nel Vecchio Testamento, il tutto per cominciare a formare quel giudaismo “prototalmudico” che prenderà la sua forma definitiva verso il sesto secolo dopo Cristo. Il corpus letterario del giudaismo “prototalmudico” deve essere considerato comprensivo dell’insieme di scritti che vengono nel loro complesso chiamati “Apocalittica Giudaica”. Tali scritti contengono elementi talmudici e sicuramente a questi si cominciavano ad affiancare dei primi scritti propriamente talmudici durante l’epoca di Cristo. Questa è, fondamentalmente, l’interpretazione che abbiamo dato della frase di Cristo “Sulla cattedra di Mosè si sono seduti gli scribi e i farisei”.
In questa stessa invettiva, Gesù Cristo dice al popolo ebraico di seguire i farisei in riguardo a ciò che dicono, senza seguire le loro azioni, perché sono ipocriti. Ma in un discorso sui giuramenti e sull’oro, Gesù riprende nuovamente i farisei su quello che puntualmente dicono. Questo ci fa pensare che i farisei avessero, congiuntamente con gli scribi, una tradizione orale positiva, in accordo con la letteratura biblica e quindi con la gnosi pura, e un’altra tradizione orale negativa, spuria, che si evolverà poi nel Talmud. Di una tradizione scritta positiva, all’insegna della gnosi pura, pure parla Gesù Cristo, ciò è visionabile in un successivo punto di questa invettiva. Quanto ad una tradizione scritta di tipo spurio, già facente parte di un ipotetico Talmud iniziale, ci viene incontro Don Ennio Innocenti, illuminandoci:
“È ben poco convincente la tesi del silenzio ebraico sostenuta da J. Maier: Gesù Cristo e il cristianesimo nella tradizione giudaica antica, Brescia 1994 (cfr. avallo di T. Federici in L’Oss. Rom. del 5/8/94, 3a pag.). Jacqueline Genot-Bismuth, specialista di cultura rabbinica alla Sorbona, ha pubblicato un documento ebraico del I secolo (tratto dallo Sabat che fa parte del Talmud completo) dove si parla di cristiani e si cita Matteo (cfr. Il Sabato del 10 ottobre 1992, p. 59)” [73]. Se gli ebrei avevano tutta questa fretta di schernire i cristiani nel loro Talmud scritto già nel I secolo dopo Cristo, questo ci porta a pensare che una tradizione scritta e spuria esistesse già, e che questo frammento sia chiaramente solo una parte – redatta di recente – di uno scritto molto più antico.
Tutto ciò ci porta a confermare l’esistenza delle economie pure e le antieconomie spurie di cui parla il rabbino convertito Drach nella sua opera “De l’harmonie entre l’Eglise et la Synagogue”.
- Ipocrisia giudaica negli insegnamenti rabbinici (Mt 23:3)
Su questo punto non c’è da soffermarsi molto. L’unica cosa da aggiungere è la precisione di Cristo nel riferirsi a legge orale e a legge scritta di volta in volta. In particolare, il biblista Daniele Salamone fa notare che nel Vangelo di Matteo “Gesù ha fatto affermazioni come:
«Voi avete udito che fu detto agli antichi […]» (5:21);
«Voi avete udito che fu detto […]» (5:27);
«Fu detto […]» (5:31);
«Avete anche udito che fu detto agli antichi […]» (5:33);
«Voi avete udito che fu detto […]» (5:38);
«Voi avete udito che fu detto […]» (5:43).
Se Gesù aevsse voluto riferirsi a ciò che Mosè aveva comandato nella vecchia Legge, probabilmente Egli avrebbe usato una formulazione diversa. Ad esempio, in altri passaggi, quando Gesù si riferiva alla Legge di Mosè, Egli ha pronunziato tali dichiarazioni come «sta scritto» (4:4,7,10) o «Mosè ha prescritto» (8:4). Si noti che queste frasi si verificano nei capitoli immediatamente prima e dopo il «sermone della montagna». Gesù, anziché usare frasi come queste per dimostrare che si riferiva alla Legge di Mosé, Egli ha ripetutamente parlato di cose «che erano state dette» (e non «scritte»). Gesù non ha mai menzionato chi l’ha detto, ma solo che «era stato detto»” [74].
Un altro aspetto interessante dei discorsi di Gesù, “è il fatto che alcune Sue affermazioni non si trovano affatto nell’Antico Testamento. Ad esempio, in Matteo 5:21 Egli dice: «Voi avete udito che fu detto agli antichi: “Non uccidere: chiunque avrà ucciso sarà sottoposto al tribuinale”». La frase «chiunque avrà ucciso sarà sottoposto al tribunale» non si trova da nessuna parte dell’Antico Testamento. Allo stesso modo, quando Gesù ha dichiarato: «Avete udito che fu detto. “Amerai il tuo prossimo e odierai il tuo nemico”» anche questa frase non può essere una citazione dell’Antico Testamento perché la vecchia Legge non ha mai detto «odierai il tuo nemico»” [75]. Vediamo quindi che c’è una tradizione orale contro la quale si scaglia Gesù Cristo, e questa tradizione orale è negativa, stravolge il significato dell’Antico Testamento. Eppure, in questo versetto del Vangelo di Matteo, leggiamo in riferimento agli insegnamenti orali di scribi e farisei: “Quanto vi dicono, fatelo e osservatelo, ma non fate secondo le loro opere, perché dicono e non fanno” (Mt 23:3). Non è affatto una contraddizione, è invece ciò che ci aspettiamo dagli ebrei: ipocrisia giudaica. Un’ipocrisia della quale sono pieni scribi e farisei, che deviano dal significato del Vecchio Testamento con una tradizione orale negativa che gli fa comodo, mentre si attengono al significato del Vecchio Testamento a parole, con un’altra tradizione orale parallela e positiva, utilizzata sempre quando fa loro comodo, mentre le loro opere parlano più delle parole e in maniera diametralmente opposta. E questo Gesù lo sottolinea prontamente in questo versetto.
- Indolenza giudaica e proiezione giudaica: interpretazione spirituale e letterale non si escludono a vicenda ma vanno integrate (Mt 23:4)
“Legano infatti pesanti fardelli e li impongono sulle spalle della gente, ma loro non vogliono muoverli neppure con un dito”. Questa frase, intesa in senso materiale, è un chiaro riferimento all’indolenza giudaica, una caratteristica universale nel popolo ebraico, salvo le dovute e onnipresenti eccezioni. Ricordiamo la celebre espressione di Rosenblum, il redattore capo di Yediot Akhronot, il quotidiano più letto dagli israeliani: “La massa degli ebrei sovietici si è allontanata dal lavoro manuale” [76]. Ma mentre questa è una sentenza sugli ebrei sovietici che avrebbero dovuto dedicarsi – a onor della propaganda giudaica – al lavoro manuale nella regione di Kichinev in Russia, si possono citare esempi di indolenza giudaica anche per quanto riguarda la Palestina, così come in tutte le nazioni del mondo. Infatti, alla fine del “XVIII secolo, un certo numero di hassidim emigrarono dalla Russia. “Alla metà del XIX secolo, si contavano in Palestina dodicimila ebrei”, mentre alla fine dell’XIX ce n’erano venticinquemila. “Queste borgate ebree in terra d’Israele costituivano quello che si chiamava Yishuv”. Tutti i loro abitanti (uomini) non facevano altro che studiare il giudaismo. Vivevano della haluka – sussidi inviati dalle comunità ebraiche d’Europa. Questi fondi erano distribuiti dai rabbini, di qui la loro autorità assoluta. I capi dello Yishuv “rigettavano ogni tentativo di creare nel paese anche solo un embrione di lavoro produttivo di origine ebrea”. Si studiava esclusivamente il Talmud, nient’altro, e a un livello molto elementare. “Il grande storico ebreo G. Gretz, che ha visitato la Palestina nel 1872”, trovò che “solo una minoranza studia per davvero, gli altri preferiscono bighellonare nelle strade, restare in ozio, dedicarsi ai pettegolezzi e alla maldicenza”. Egli ritenne che “questo sistema favorisce l’oscurantismo, la povertà e la degenerazione della popolazione ebrea della Palestina” – e, per questo, dovette subire lui stesso l’herem*” [77]. Sull’indolenza giudaica si espresso affermativamente anche il compianto Bobby Fischer, al primo posto nel giardino degli ebrei giusti tra le nazioni, e alla cui memoria imperitura è dedicato questo sito.
L’interpretazione spirituale di Matteo 23:4, invece, rappresenta l’utilizzo da parte degli ebrei della proiezione giudaica: è colpa di tutto e tutti, tranne colpa loro. I “pesanti fardelli” che “impongono sulle spalle della gente”, dal punto di vista spirituale, sono i crimini commessi dagli ebrei e il peso spirituale che essi comportano. A tale scopo, un’immagine può essere più significativa delle parole:
Nell’immagine soprastante si può osservare la raffigurazione di un ebreo che si porta il peso spirituale dell’oppressione, con altri pesi sulla schiena come, omicidio, furto, e falso. Inutile dire che l’immagine è stata usata a fini filo-giudaici. Tutto il peso di questi fardelli morali, viene proiettato dagli ebrei sui gentili, in continuazione nei secoli.
Il colmo si raggiunge con Jean Paul Sartre (ebreo, non c’è bisogno nemmeno di guardare dei marcatori di ebraicità), ateo della domenica, messianista del sabato, che ha proiettato addirittura la proiezione sui gentili, utilizzando tale meccanismo per poter spiegare lo “strano” fenomeno dell’antisemitismo.
“He authored what has to be one of the most philo-Semitic tracts of all time, “The Anti-Semite and the Jew”. The book takes as its premise the Freudian concept that anti-Semites are just projecting their own shortcomings onto Jews (“If the Jew did not exist, the anti-Semite would invent him”), and ends with the outrageous declaration that “not one Frenchman will be secure so long as a single Jew — in France or in the world at large — can fear for his life”” [78].
In teoria Sartre non è un ebreo, ma sulle sue origini etniche c’è da dubitare, perché ha utilizzato la proiezione giudaica della proiezione giudaica, sui gentili. Difficile che si sia interessato al giudaismo solo in fin di vita, e poi i suoi trascorsi con un ex membro del gruppo Separat, la dicono lunga.
Nella foto soprastante: Jean Paul Sartre, un gentile del sabato fin troppo filo-semita per non essere considerato un crittoebreo.
Ovviamente Cristo in questo versetto si riferiva anche alle operazioni a bandiera falsa degli ebrei. Le operazioni a bandiera falsa giudaiche sono una forma applicata di proiezione, per definizione devono essere addebitate fin dall’inizio a una fazione nemica di Israele, così che Israele possa attaccare tale fazione o per fare in modo che i nemici di tale fazione la attacchino. Per il concetto di bolscevismo invece il discorso è diverso: negli anni venti del novecento gli ebrei di tutte le russie vantavano i loro grandi contributi e menzionavano i grandi nomi ebrei del bolscevismo, quando poi i crimini del comunismo erano troppi per essere coperti ed era in preparazione il finto collasso dell’Unione Sovietica con una simulazione di lungo termine, allora si è deciso di addebitare allo “sciovinismo nazionalistico imperialista russo e in generale slavo” i crimini e i demeriti del comunismo.
- Vanità giudaica e filantropismo simulato (Mt 23:5-7)
Gilad Atzmon (ebreo), in un libro in cui ha discusso cosa sia l’identità ebraica, racconta come si è imbattuto nel filantropismo simulato, che a suo modo di vedere, è simulato dal modo in cui gli ebrei impostano la loro identità: “Durante gli anni trascorsi in Europa ho incontrato gruppi che si chiamavano “Ebrei per la pace”, “Ebrei per la giustizia in Palestina”, “Ebrei contro il sionismo”, “Ebrei per questo” ed “Ebrei per quello”; recentemente, ho sentito che esistono anche gli “Ebrei per il boicottaggio delle merci israeliane”. Di tanto in tanto finisco col chiedermi che cosa animi tutta questa enfasi etnocentrica, separatista, pacifista. Infatti pur avendo – fra l’altro – incontrato molti attivisti per la pace tedeschi, non mi sono mai imbattuto in gruppi chiamati “Solidarietà ariano-palestinese” o “Ariani per la pace” e neanche in attivisti – che so – caucasici contro la guerra. Sono invece gli ebrei e soltanto gli ebrei a impegnarsi in campagne per la pace e la solidarietà basate sulla razza o l’etnia” [79]. Per Gilad Atzmon l’etica si perde nel momento in cui ci si identifica in base a quello che si odia o in base a quello che non si è: questo concetto è chiamato dialettica della negazione. “Nella ricerca di un'”identità politica”, l’ebreo emancipato finisce col soccombere alla dialettica della negazione: la sua identità politica viene definita in negativo piuttosto che in positivo. Riuniti in gruppo, non sono tedeschi, non sono inglesi, non sono ariani, non sono musulmani, non sono semplici proletari o noiosi pacifisti, non sono solo comuni operai: sono ebrei perché non sono nient’altro” [80].
È indubbio il fatto che il popolo ebraico sia il popolo che conta all’attivo il maggior numero di associazioni caritatevoli/filantropiche/di beneficenza al mondo, ma a giudicare da come gli ebrei in tali organizzazioni ignorano volutamente i crimini degli altri ebrei come loro, e a giudicare dallo scopo per cui spesso vengono utilizzate le cosiddette “Organizzazioni Umanitarie” – perlopiù finanziate da George Soros (ebreo) e nelle quali gli ebrei si infiltrano – cioè trovare le coordinate dei punti strategici che la NATO deve bombardare nei paesi nemici di turno esportando la “democrazia delle bombe”, oltre che portare destabilizzazione e caos nei paesi sovrani, possiamo capire cos’è il concetto di filantropismo simulato giudaico.
Nella fotografia soprastante: George Soros (ebreo), alto finanziere e sospetto criminale. È ricercato dalle autorità di più paesi perché sospettato di aver commesso pesantissimi reati di insider trading ai danni delle economie di tali paesi, ad esempio la Malesia. Sospetto insider trader sfruttante soffiate e simulazioni giudaiche nel tempo libero, fervente filantropo simulatore a tempo pieno. Reinveste buona parte dei suoi profitti – ottenuti in maniera fin troppo facile da non sembrare sospetta – nel sostegno e nella creazione di organizzazioni umanitarie, anch’esse accusate di commettere crimini, in particolare creare operazioni psicologiche a fini di guerra non ortodossa e spionaggio a vari livelli. George Soros è stato in gioventù un collaboratore dei nazisti, contribuendo a mandare gli ebrei nei lager. Se c’è a una persona alla quale bisogna guardare quando si parla di filantropismo simulato, quella è sicuramente George Soros.
Il filantropismo simulato lo abbiamo già visto nella simulazione giudaica di colonizzazione agricola in Ucraina e in Crimea che era finalizzata al racket ai danni dei gentili in tutto l’Occidente e nell’Unione Sovietica degli anni venti. E poi il filantropismo simulato degli ebrei è stato notato anche dal saggio Roger Dommergue (ebreo giusto tra le nazioni): ““Israele, il solo paese dove non ci sono ebrei”, perché non è là che stanno coloro che governano il mondo. Quelli che governano il mondo, usano Israele nei governi stranieri, come negli Stati Uniti. Ma non vanno in Israele, pagano qualcuno per andarci, come dice il detto…[…]… I miei zii, le mie zie, non conoscevano assolutamente nulla della Torah. Andavano ai funerali e ad altre cerimonie ebraiche solo per vantarsi, tutto qui”.
Tutta questa serie di episodi, nonché altri eventi simili avvenuti in altre epoche, ci permettono di capire Matteo 23:5-7: “Tutte le loro opere le fanno per essere ammirati dagli uomini: allargano i loro filattèri e allungano le frange; 6 amano posti d’onore nei conviti, i primi seggi nelle sinagoghe e i saluti nelle piazze, come anche sentirsi chiamare “rabbì” dalla gente”.
- Occultamento della gnosi pura in grado di far conoscere agli ebrei che Gesù è il Cristo (Mt 23:13)
“La Sinagoga possedeva, prima dei libri mosaici, una tradizione orale che serviva, in un certo senso, da “anima al corpo della lettera”, e senza la quale il testo correva il pericolo di restare oscuro o incompleto, o di prestarsi ai capricci dell’interpretazione individuale. Mai, sino ai nostri giorni, la Sinagoga avrebbe tollerato questo eccesso di demenza.
Orbene, mentre la legge civile in Israele era custodita dall’intera nazione, l’insegnamento orale fu affidato ad un corpo speciale di dottori, posto sotto l’autorità suprema di Mosè e dei suoi successori. <<Sulla cattedra di Mosè – disse Cristo – si sono seduti gli scribi e i farisei. Quanto vi dicono, fatelo e osservatelo, ma non fate secondo le loro opere, perché dicono e non fanno>>” [81]. “Questa tradizione della Sinagoga antica si divideva in due rami: una evidente, la tradizione talmudica; fu in seguito conservata per iscritto e formò un Talmud puro e distinto da quelli posteriori a Cristo; fissò il senso della legge scritta. Trattava delle prescrizioni mosaiche; si sapeva, attraverso di essa, ciò che era permesso, obbligatorio, illecito; costituiva, inoltre, il livello materiale e pratico della tradizione.
Il secondo ramo era la sua parte misteriosa e sublime. Formava la tradizione cabalistica, o Càbala, cioè, secondo il senso etimologico di questa parola, l’insegnamento ricevuto tramite la parola. Questa càbala trattava della natura di Dio, dei suoi attributi, degli spiriti e del mondo invisibile. Si appoggiava al senso simbolico e mistico dell’Antico Testamento, “che era ugualmente tradizionale”; era, in poche parole, la teologia speculativa della sinagoga. Quel che vi è di essenziale nei misteri della Santissima Trinità e dell’Incarnazione non era omesso in essa, e vari rabbini si convertirono al Cattolicesimo alla sola lettura di questa Càbala” [82]. “I dottori della Sinagoga fanno risalire la Càbala antica fino a Mosè, ammettendo, tuttavia, che i primi patriarchi del mondo avevano conosciuto per rivelazione le sue principali verità.
I dottori dell’antica sinagoga insegnano all’unanimità che il senso nascosto della Scrittura fu rivelato sul Sinai a Mosè e che questo profeta trasmise, per iniziazione, tale conoscenza a Giosuè e ai suoi altri intimi discepoli. Questo medesimo insegnamento discese subito, oralmente, di generazione in generazione, senza che fosse permesso di porlo per iscritto” [83].
“Nondimeno, prima la cattività in Egitto (1300 a. C.), poi quella babilonese (VI secolo a. C.) crearono, all’interno di Israele, un immenso turbamento e la tradizione cabalistica ortodossa finì col cadere nell’oblio; e inoltre, al ritorno dei fedeli a Gerusalemme, Israele ricevette l’ordine da parte di Dio di porla per iscritto, ma i sessanta volumi di cui essa si compone non furono mai resi pubblici ed il profeta Esdra ricevette l’ordine di non affidarli ad altre mani se non a quelle dei saggi” [84]. “In seguito, quando si compirono i tempi, la colpa dei dottori della sinagoga consistette non nelle indiscrete rivelazioni dei depositari – lungi da ciò – ma nella gelosa cura che ebbero, e che il Salvatore rimprovera loro, di nascondere al pubblico la chiave della scienza, l’esposizione tradizionale dei libri santi, alla cui luce Israele avrebbe riconosciuto nella sua sacra persona il Messia” [85].
Queste che avete letto sono le speculazioni di Don Julio Menvielle, che si basa sulle argomentazioni di Drach, un ebreo convertito al cristianesimo. Nessuno è mai riuscito a dimostrare l’esistenza di una Cabala pura precristiana, quindi quelle di Meinvielle restano speculazioni. Solo perché l’ha detto Drach non significa che esistano, o siano esistiti, addirittura sessanta libri contenenti l’interpretazione mistica dell’Antico Testamento, a meglio chiarire le profezie dei Profeti riguardanti quello che i cristiani chiamano il loro Messia.
Ad ogni modo, per come lo riporta il Vangelo di Matteo, Gesù avrebbe detto qualcosa di simile: “Guai a voi, scribi e farisei ipocriti, che chiudete il regno dei cieli davanti agli uomini; perché così voi non vi entrate, e non lasciate entrare nemmeno quelli che vogliono entrarci”. L’interpretazione cattolica che è stata data a questo passo biblico è stata l’omissione – da parte dei rabbini – di una letteratura sulla Cabala cristiana prima di Cristo, che avrebbe potuto portare ad un maggiore tasso di conversioni al Cristianesimo da parte degli ebrei del I secolo d. C. In altre versioni del Vangelo di Matteo, è stata utilizzata proprio l’espressione “chiave della scienza”, da intendersi come chiave interpretativa del Vecchio Testamento, fornita da una letteratura supplementare.
Un’ipotesi suggestiva che ci viene da formulare è che il simbolismo dei giudeo-cristiani del I secolo d. C. – scoperto nelle campagne archeologiche di Emmanuele Testa e padre Bellarmino Bagatti – potrebbe avere le sue chiavi interpretative proprio in questa letteratura di gnosi pura precristiana soppressa, menzionata dal Meinvielle.
- Il concetto di “divorce raped” non esiste nella comunità ebraica. Per quanto possa farvi cadere le mascelle per terra dallo stupore, l’invettiva di Cristo sulla negligenza degli ebrei per la causa della vedova, è valida in tutte le epoche e nazioni. Come faceva a conoscere così bene il giudaismo, se gli ebrei continuano a dire che Cristo non è mai esistito? Conoscete degli autori greco-romani che hanno fatto insinuazioni simili? (Mt 23:14)
“Guai a voi, scribi e farisei ipocriti, perché divorate le case delle vedove e fate lunghe preghiere per mettervi in mostra; perciò riceverete maggior condanna”. Per poter comprendere pienamente il significato di questa frase, dobbiamo guardare a come sono trattate le vedove israelite nella legge ebraica, da oltre duemila anni.
“Batya Oved of Kfar Sava, an Israel Defense Forces widow since 1978 and currently unemployed, was considered a known critic of Pnina Cohen, former chairwoman of the IDF Widows and Orphans organization.
After not receiving a voting slip for the internal elections for the organization’s chair, she found out several of her friends had not received it either. Haaretz has learned they had been blacklisted along with some other 600 widows, most of whom hail from the Bedouin and Druze minorities. The blacklisted widows were not invited to events held by the organization, and excluded from receiving some benefits, according to a document obtained by Haaretz.
The document, in which the names of blacklisted widows are distinctly marked, was exposed by Nava Shoham, an activist for the right of IDF widows. It was prepared by former Chairwoman Pnina Cohen, who had recently been replaced. Cohen denies that such a document exists.
The 600 blacklisted women did not receive any correspondence from the organization, informing them of various benefits and grants afforded to IDF widows. ‘We did not receive invitations to vacations and activities over several years,’ says Oved. ‘These get-togethers are our social circle and our support group. The women marked as Cohen’s detractors were barred, as though the activities of the organization were some sort of private enterprise,’ she accuses” [86].
“In Jewish law as developed by the Rabbis, while orphans inherit their father’s estate, a widow does not inherit her husband’s estate. But the ketuhah consists of a settlement on the estate from which the widow is entitled to maintenance until she remarries.
Many Jewish communities had an orphanage in which the young charges were cared for, not always as kindly as they should have been judging by the frequent complaints found in Jewish literature” [87].
Il sito myjewishlearning.com spiega poi il concetto di “Agunot”, nonché quello di “Agunah” (la moglie incatenata): “The most agonizing moral challenge confronting Jewish law in modern times is nearly 2,000 years old. It is the plight of the agunah, “the chained wife,” which has troubled Jews through the centuries. No one who has read Chaim Grade’s powerful novel The Agunah will soon forget its tragic heroine, whose husband has left her and refuses to give her a get (Jewish divorce), so that she can never remarry” [88].
“Fundamentally, the pathetic situation of these women stems from the fact that the rabbinic interpretation of Deuteronomy 24:1-4 places the initiative for the issuance of a get solely in the hands of the husband. The tragedy has been immeasurably compounded in modern times by the erosion of authority in the Jewish community, so that the community itself is now powerless to compel the husband’s obedience” [89].
“The problem of the agunah was relatively soluble as long as Jewish tradition retained its authority and the Jewish community had the power to enforce its decisions. This condition prevailed everywhere during the Middle Ages and, until our own century, in Eastern Europe. And because it did, there were extralegal procedures, such as public opinion and social ostracism, that could be used to secure the husband’s compliance. In addition, the court could impose a herem (excommunication), which meant total isolation for the offender. Generally, the threat sufficed to bring the husband into line.
Nevertheless, the responsa–the legal decisions of the great rabbinic authorities of the Middle Ages–include many cases of unfortunate women chained to a recalcitrant or nonexistent spouse” [90].
“In sum, four principal categories of the agunah have emerged in modern times and are on the increase:
1. A man divorces his wife in the civil courts and possibly even remarries, but refuses to give his wife a get, either because of malice or greed. All too often the husband tries to extort money from his wife in exchange for the get.
2. A man disappears without leaving a trace, so that he is not available to issue the divorce that halakhah demands. During the early decades of the 20th century , when mass Jewish immigration to the United States from Eastern Europe reached its height, Yiddish newspapers published a regular feature, “The Gallery of Missing Husbands,” asking readers to help locate the errant spouses. Together with photographs, there would appear pathetic pleas for help from the deserted wives.
3. The man is lost in military action or dies in a mass explosion. In modern war, combatants are often blown to bits. Where there is no hard evidence that the soldier is dead, the wife becomes an agunah, since halakhah has no such category as “declared” or “legally” dead.
During the Russo-Japanese war of 1905, some great Russian rabbis visited the troops before they left for the front and persuaded the Jewish soldiers to issue a get al tenai, a “conditional divorce,” so as to free their wives from the status of agunah should the men fail to return. But obviously this temporary procedure, however helpful in individual cases, did not meet the growing dimensions of the problem.
4. Not strictly a case of “desertion” but similar to it is the rarer case of a childless widow who, according to halakhah, requires halitzah (release) from her husband’s brother before she can remarry. [Biblical law requires her brother-in-law to marry her to perpetuate the dead husband’s “name” by providing his wife with a child. The ceremony of halitzah releases the widow from this obligation]. This situation has also served as an occasion for extortion” [91].
È utile anche considerare l’esperienza di una vedova di un docente in un’università israeliana, che ha scritto la sua esperienza sul “The Times of Israel”:
“After my husband died I was entitled to survivors benefits from the Israeli university where he taught. There were all kind of documents that I had to sign in order to complete the transaction, but one paper was especially problematic. It was a contract which specifically stated that in the event that I got remarried I would no longer be eligible to continue getting my late husband’s pension” [92].
“The following month, I started receiving widow benefits from the Israeli Social Security (Bituah Leumi). To my surprise, I discovered that the small allowance came with a heavy price. Here it wasn’t only about getting married, but even living with a partner was enough to cost me my benefits. In order to get the less than 2000 ILS, I had to remain single and live on my own” [93].
“Under those absurd circumstances it is no wonder that most widows my age will not choose to remarry. While for me getting remarried isn’t necessary, it is a serious problem for some women, for example, for Orthodox Jewish women. A friend told me that at her religious community widows get married in secret (in order not to lose their benefits), since it is not an option to live in sin” [94].
- Abnegazione giudaica, fervore giudaico e sovversione ideologica. Previsione dei falsi profeti dell’Apocalittica giudaica e dello Gnosticismo (Mt 23:15)
L’abnegazione giudaica è la diretta conseguenza della tensione messianica insita nel popolo ebraico. Gli ebrei sono sicuri al cento per cento che il loro Messia non solo arriverà, ma che i tempi in cui ciò avverrà sono alquanto vicini. L’abnegazione giudaica porta gli ebrei a sacrificarsi in nome della tribù ebraica, anche facendo enormi rinunce, pagando anche con la vita, se questo può essere un contributo, sia pure infinitesimale, alla venuta del Messia Talmudico. Il Fervore giudaico è l’intensità, la passionalità, la quasi-ossessione giudaica, per le attività che gli ebrei ritengono importanti, che di solito sono: fare soldi a scapito dei gentili, e avvicinare la venuta del Messia Talmudico col proprio operato. Il fervore messianico è un particolare tipo di fervore giudaico, che si contrappone sia all’indolenza giudaica, sia al parassita, al morbo, di cui gli ebrei si fanno vettori da tempi immemori: la gnosi spuria. La gnosi spuria ha diverse definizioni, ed attinge dalla Cabala Ebraica, ma in buona sostanza il più grande esperto di gnosi spuria del pianeta, Don Ennio Innocenti, sarebbe d’accordo con noi, se affermassimo che la gnosi spuria è la forma di sovversione ideologica atta ad infiltrare l’immanentismo assoluto nella mente umana e nelle religioni, nel migliore dei casi, mentre nel peggiore è la forma di sovversione ideologica che porta alla demoralizzazione e all’ostracismo teologico/autodivinizzazione, nel caso di dottrine gnostiche come la metempsicosi e l’apocatastasi per la demoralizzazione, e nel caso delle dottrine gnostiche che impiegano Ein-Soph o pleromi divini per l’autodivinizzazione o indifferentismo teologico, fino a sconfinare nell’ostracismo/ribellismo teologico, cioè nel rifiuto del divino e della trascendenza, pur riconoscendo l’esistenza di entrambi (come infatti fa notare il prof.re Luigi Copertino, esprimendosi in particolare sulla gnosi spuria moderna (anche detta gnosi gioachimita): “è necessario evitare sia la leibniziana esaltazione dell’ordine del mondo sia la critica radicale del mondo: la prima è parente dell’emanatismo, la seconda della protesta gnostica. E proprio questa ha prevalso nel novecento. La critica del mondo, da una parte si deve fermare di fronte alle misteriose possibilità positive dell’essere perfettissimo; dall’altra si deve fermare di fronte ai limiti, che restano positivi, dell’uomo. Se tutta la sofferenza del mondo dipende dal peccato dell’uomo, il peccato stende la sua ombra su tutto e accusa Dio d’impotenza. Ma era il deismo ad allontanare Dio dalla storia che così appare irredenta: di qui la disperazione e la protesta gnostica e la pretesa dell’autonomia totale che elimina il peccato dalla radice, eliminando l’ordine divino e puntando all’utopia dell’uomo nuovo con tragiche tentazioni politiche e tecnocratiche. Se non si è capaci di accettare il mondo, dando un iniziale credito a Dio, non resta che rifiutare sia il mondo sia Dio per fare un mondo nuovo senza Dio, ossia un mondo che sia esso stesso autosufficiente, perfetto, divino e senza peccato. E questa è stata la strada delle gnosi moderne che dall’ottocento in poi utilizzano anche il cristianesimo per perfezionare, con l’idea dell’incarnazione di Dio, l’immanentizzazione del divino nella storia, che ne prende il posto in prospettiva necessariamente magica” (Luigi Copertino, Il confronto con la gnosi spuria secondo Ennio Innocenti, Sacra fraternitas aurigarum Urbis, Roma, 2018, pp. 280-281, https://t.me/la_questione_giudaica/155.). Anche se Don Ennio Innocenti nella sua opera più grande, “La Gnosi Spuria”, tende ad identificare – almeno implicitamente – la gnosi spuria con l’immanentismo, non manca di far notare al lettore che esistono forme di gnosi spuria completamente ribelli all’ordine divino (come abbiamo fatto notare poc’anzi in merito alla gnosi gioachimita), che possono essere riconducibili ad un unico propagatore, cioè il popolo decaduto, quello che si è sentito tradito da Dio tra il primo/secondo secolo avanti Cristo e il primo/secondo secolo dopo Cristo: il popolo ebraico. Tutto questo preambolo per poter affermare la cosa più grave di tutte: il popolo con il più acceso fervore messianico della storia, è lo stesso popolo che, con altrettanto fervore, diffonde tra i non-ebrei l’immanentismo (o ateismo) sotto copertura, cioè la gnosi spuria. Tornando all’abnegazione giudaica, è sempre etnocentrica, cioè gli ebrei agiscono con abnegazione totale per le cause della loro tribù, mai per i gentili. Con queste necessarie premesse possiamo riguardare Mt 23:15 sotto una nuova prospettiva: quella che ci fa vedere la verità. “Guai a voi, scribi e farisei ipocriti, che percorrete il mare e la terra per fare un solo proselito e, ottenutolo, lo rendete figlio della Geenna il doppio di voi”. Attraversare il mare e la terra pur di fare un solo proselito è l’essenza dell’abnegazione giudaica, mentre il fare proselitismo, anche per un solo proselito – nello specifico convertire al giudaismo o a dottrine giudaizzanti – rientra sicuramente nel fervore giudaico, sia esso messianico oppure no. L’espressione “lo rendete figlio della Geenna il doppio di voi” è un riferimento palese alla sovversione ideologica, cioè al tentativo di alterare la percezione della realtà dei gentili. Nessuno vorrebbe essere figlio della Geenna (l’inferno), ma lo diventa nel momento in cui si fa annebbiare il senso del giudizio dalla sovversione ideologica attuata dal giudeo. Che riguardi il giudeo-bolscevismo, o il giudeo-femminismo, o i movimenti per i diritti dei gay o movimenti nazionalistici, sia che si tratti della giudeo-psicanalisi freudiana, i frutti ideologici che l’ebreo offre ai gentili sono o marci dal di fuori, nel migliore dei casi, oppure sono tignosi dall’interno. In un altro passo dei Vangeli, Gesù Cristo parla degli agenti sionisti in maniera chiara, dicendo “dai loro frutti li riconoscerete”. Il giudeo-bolscevismo causa la demoralizzazione degli individui, portandoli a credere che – siccome non c’è trascendenza e l’unico prezzo da pagare è in questa vita, sul piano dell’immanenza – non c’è sacrificio in vite umane che sia troppo grande, quando si tratta di realizzare il comunismo, la rappresentazione del paradiso sulla terra. La mente di una persona affetta dal giudeo-bolscevismo considera la morale un ostacolo per la “nobile” causa del comunismo, in quanto la morale non deriva da un ambito trascendente, ma è frutto degli schemi sociali, creatisi al fine della pacifica convivenza, oramai obsoleta se non falsa, visto che la storia umana è perlopiù una storia di lotta di classe. In quest’ottica, i gentili comunisti sono senza scrupoli, spregiudicati, e cinici, in altre parole sono dei figli della Geenna il doppio di Trotsky (ebreo), pur facendo discorsi intrisi di giustizia sociale e cambiamento. Sul freudismo o psicanalisi si è già soffermato abbastanza Roger Dommergue (un ebreo giusto tra le nazioni), mentre sul giudeo-femminismo è meglio che non ci esprimiamo proprio, per ora.
Immagine di un gay-pride celebratosi nel 2018: questi individui dagli atteggiamenti offensivi nei confronti della religione cristiana, sono dei proseliti di coloro che attraversano il mare e la terra pur di abbindolarli. Questi individui sono dei “figli della Geenna” il doppio degli ebrei che li hanno istigati.
Gesù Cristo, oltre a conoscere la sovversione ideologica, è riuscito a prevedere sia l’esistenza dei falsi profeti dell’Apocalittica, sia quelli successivi dello Gnosticismo sia quelli del Basso Medioevo. L’Apocalittica giudaica è “<<il complesso di scritti pseudonimi giudaici, sorti tra il sec. II a. C. e il sec. II d. C.>>” [95]. Tale letteratura nasce “al tempo in cui l’Ellenismo pagano trionfa in Israele, che è oppresso, e il Tempio viene profanato (168-164 a. C.). Poi, dopo il successo di Antioco Epifane (164 a. C.), la conquista della Giudea da parte di Roma con Pompeo (63 a. C.) e la distruzione del Tempio con Tito (70 d. C.) e della Giudea con Adriano (135 d. C.) si accende sempre più la speranza della riscossa nazionale giudaica, sotto la guida dei “falsi profeti” predetti da Gesù” [96]. Uno dei falsi profeti predetti da Cristo – assimilabile anche tra i falsi Messia adorati di volta in volta dagli ebrei – è stato Simone Bar Kochba, che fallirà nella sua missione profetica/messianica proprio nel 135 d. C., quando Adriano disperderà in maniera definitiva – nella terza e ultima Guerra Giudaica (tra ebrei e romani) – il popolo ebraico, costretto di lì in avanti a vagare tra le nazioni. Se si guarda poi alle relazioni tra Apocalittica Giudaica e Gnosticismo, scoperte dall’autore Robert Grant, risulta ovvio che anche i falsi profeti/falsi Messia dello gnosticismo, sono stati dei sovversori ideologici che attraversavano il mare e la terra pur di fare anche un solo proselito, infatti molti di loro – almeno a quanto scrivevano i Padri Della Chiesa – ad un certo punto della loro “carriera” arrivavano fino a Roma, per poter convertire i gentili alle loro idee. I vari Priscilliano, Montano, Sabellio e compagnia profetica, avevano i centri di diffusione delle loro eresie ai confini dell’impero romano, come se fossero le quinte colonne degli imperi adiacenti (un ruolo che gli ebrei avrebbero ricoperto volentieri), eppure prima o poi giungevano fino a Roma pur di mettersi in mostra. Se poi si osservano – in quanto su internet sono disponibili – le mappe di diffusione di Arianesimo, Manicheismo e altre forme di gnosticismo, è chiaro che i vettori di tali eresie non possono che essere gli ebrei, i cosmopoliti per eccellenza. Quando si guarda alle mappe di diffusione di altri eretici anticristiani come Paoliziani, Bogomili, e Albigesi nel Medioevo, si giunge facilmente alle stesse conclusioni: si tratta dei falsi profeti che attraversano il mare e la terra pur di fare anche un solo proselito, e quando lo fanno, lo rendono un figlio della Geenna il doppio di loro. Come fece Gesù Cristo a prevedere tutto questo? Gli ebrei affermano che i Vangeli sono falsi, o in altre parole, sarebbero stati scritti – non si capisce bene perché – dai Romani. Se è così che stanno le cose, allora cosa pensavano gli autori greco-romani in merito allo Gnosticismo?
- Logica Giudaica, rispetto religioso per il denaro, radicamento nella materialità (Mt 23:16-22)
“Guai a voi, guide cieche, che dite: Se si giura per il tempio non vale, ma se si giura per l’oro del tempio si è obbligati. Stolti e ciechi: che cosa è più grande, l’oro o il tempio che rende sacro l’oro? E dite ancora: Se si giura per l’altare non vale, ma se si giura per l’offerta che vi sta sopra, si resta obbligati. Ciechi! Che cosa è più grande, l’offerta o l’altare che rende sacra l’offerta? Ebbene, chi giura per l’altare, giura per l’altare e per quanto vi sta sopra; e chi giura per il tempio, giura per il tempio e per Colui che l’abita. E chi giura per il cielo, giura per il trono di Dio e per Colui che vi è assiso”.
Questi passi biblici mostrano tutto il pragmatismo e la mancanza di senso di sacralità tipica degli ebrei. Il tempio vale qualcosa nella misura in cui può portare beneficio agli ebrei, ad esempio per depositare l’oro. Non è l’oro ad essere sacro perché viene custodito nel tempio, l’oro è sacro di per se stesso. Questi passi biblici dimostrano tutto l’oppotunismo e lo spirito di sopravvivenza tipico degli ebrei. In altre parole parliamo di radicamento nella materialità da parte degli ebrei, senza un senso di elevazione spirituale. Di radicamento nella materialità – se la memoria non ci inganna – gli ebrei sono stati accusati anche da Wagner, che nei suoi scritti antisemiti ben notava il carattere simulatorio e affettato della recitazione teatrale ebraica.
Per capire invece che cos’è il senso di rispetto religioso per il denaro, dobbiamo capire che gli ebrei sono stati gli inventori della banconota, proprio grazie al fatto che una volta che giurano sull’oro, si sentono vincolati, e soprattutto, mantengono i patti (tranne se si tratta di fare guerra ai cristiani, e non solo, con l’usura).
“E’ storicamente provato che il popolo ebraico , invece di comprare merci mediante l’oro e l’argento , introducesse nel mercato come mezzi di pagamento i titoli rappresentativi dell’oro e dell’argento ed i mercanti stranieri erano ben disposti ad acquistare questi simboli monetari documentali (terafim, mamrè ) in luogo delle monete metalliche, innanzitutto perché utilizzando i titoli rappresentativi evitavano il rischio di essere rapinati dai predoni e poi perché avevano nel simbolo il massimo affidamento, in quanto questa cambiale emessa dal componente il popolo israelita era garantita solidamente da tutta la collettività ebraica. Non ci si può spiegare infatti l’assoluta fiducia riconosciuta al simbolo cartaceo , così come se fosse stato esso stesso d’oro, se non si considera il poderoso influsso che ebbe nel popolo ebraico un fondamentale comandamento mosaico. Mosè infatti comandò al suo popolo l’obbligo del prestito reciproco in caso di bisogno e la remissione dei debiti ogni sette anni, in ricorrenza del cosiddetto anno sabatico (Deuteronomio 15, 1, 11)… Da questo comandamento derivò dunque la responsabilità solidale di tutto il popolo ebraico a garanzia del pagamento del titolo di credito emesso da uno dei suoi componenti a favore degli stranieri” [97].
Se gli ebrei non avessero avuto un rispetto religioso per l’oro e il denaro, non sarebbero mai stati in grado di far accettare ai mercanti stranieri dei titoli rappresentativi dell’oro. I mercanti andavano a fiducia con gli ebrei proprio perché conoscevano questa sorta di “religiosità”, manco gli ebrei fossero “timorati dell’oro”.
Forse i Romani conoscevano aspetti del genere riguardanti il popolo ebraico, ma chi più di un ebreo come Gesù Cristo poteva raccogliere in una singola invettiva così tante caratteristiche perlopiù esclusive del popolo ebraico?
- Minuziosità giudaica, rispetto religioso per il denaro, ipocrisia giudaica (Mt 23:23)
“Guai a voi, scribi e farisei ipocriti, che pagate la decima della menta, dell’anèto e del cumìno, e trasgredite le prescrizioni più gravi della legge: la giustizia, la misericordia e la fedeltà. Queste cose bisognava praticare, senza omettere quelle”. In questa frase si possono cogliere la minuziosità giudaica, il rispetto religioso per il denaro, e l’ipocrisia giudaica. Esistono almeno due tipi di ipocrisia giudaica: quella per la quale gli ebrei accusano altri (ebrei e non) di quello che in realtà sono i primi a fare, e l’ipocrisia per la quale prima gli ebrei hanno un comportamento in una data circostanza, e quando poi conviene a loro hanno un comportamento diametralmente opposto, in forte contrasto con quello che possono aver detto/fatto poco tempo prima. È ipocrita pagare la decima per tante cose, e poi trasgredire le parti più importanti della legge, come se non contassero. Qui Cristo accusa gli ebrei di avere il denaro e/o l’oro come misura di tutte le cose: gli ebrei sono ligi al dovere, o meglio, sono ligi al denaro. Pagano in tempo e altrettanto in tempo vogliono essere pagati. Questa ossessione per i pagamenti è anche un sintomo di minuziosità giudaica, spesso presente anche nelle discussioni rabbiniche nel Talmud. La legge ebraica è piena di clausole e nella letteratura talmudica ci sono una miriade di commenti “chiarificatori”: tutto questo è minuziosità giudaica. Tale minuziosità, si contrappone alla superficialità giudaica, che è tipica degli articoli di giornale scritti dagli ebrei per i gentili o di intere testate giornalistiche dirette da ebrei. In qualunque momento della storia dall’invenzione della stampa, possiamo trovare un ebreo che stampa ricostruzioni di comodo fin troppo superficiali quando si tratta di prendere in giro l’intelligenza dei gentili, quando contemporaneamente lo stesso ebreo di perde nelle minuzie e nei cavilli delle discussioni rabbiniche quando studia il Talmud, magari sempre dandosi un tono e un aspetto “laico” agli occhi dei gentili. In questo caso abbiamo una superficialità simulata, o superficialità giudaica, e possiamo avere anche una minuziosità simulata, o minuziosità giudaica, quando magari un ebreo deve ingannare un gentile coi commenti depistanti nella Ghemara, affinché il gentile non comprenda eventuali crimini giudaici o la supremazia giudaica contenuta nella Mishna, laddove Mishna e Ghemara sono parti integranti del Talmud.
- Simulazione giudaica convergente a mezzo di clausole giudaiche (kosher hacks). Demenzialità giudaica (Mt 23:24)
Gesù Cristo era a conoscenza degli scritti talmudici o comunque della tradizione orale che circolava nella sua epoca. Non sappiamo se parallelamente si sia sviluppato un Talmud orale e una Cabala con speculazioni cristiane prima ancora di Cristo, come vorrebbe asserire l’ebreo Drach, citato da Meinvielle, ma l’espressione “Guide cieche, che filtrate il moscerino e ingoiate il cammello!” è un riferimento in senso spirituale al contenuto depravato della letteratura talmudica. Questa espressione simboleggia la simulazione giudaica convergente per eccellenza. Per simulazione giudaica convergente intendiamo una simulazione che si pone un obiettivo di facciata, ma l’effetto finale della simulazione è opposto o nullo. L’effetto finale si raggiunge tramite quelle che chiamiamo “clausole giudaiche”, altrimenti note come “kosher hacks”, esse sono presenti negli ordinamenti giuridici di tutte le nazioni, nelle teologie spurie di tutte le epoche, e ovviamente, le clausole giudaiche sono presenti nella letteratura talmudica al fine implicito di condonare diversi tipi di crimini. Ad esempio, vediamo come gli ebrei giustificano l’incesto nel loro Talmud, stando all’analisi di Elizabeth Dilling:
“Moses ordered the priests that: “They shall not take a wife that is a whore, or profane … for he is holy unto his God.” (Leviticus 21:7) The laws against incest are most vehement: “The nakedness of thy mother, shalt thou not uncover: she is thy mother … (Leviticus 18:7) And in the Talmud the Pharisee “sages” reverse these Biblical injunctions:
“If a woman sported lewdly with her young son, a minor and he committed the first stage of cohabitation with her — Beth Shammai say, he thereby renders her unfit to the Priesthood.” Here a footnote explains that she could not marry a priest, if this made her profane and the above Leviticus 21:7 is cited precisely.
We then learn that the dispute concerns only the age of the son, not the lewdness of the foul mother: “All agree that the connection of a boy aged nine years and one day is a real connection whilst that of one less than eight years is not [Footnote: “So that if he was nine years and a day or more, Beth Hillel agree that she is invalidated from the priesthood, whilst if he was less than eight, Beth Shammai agree that she is not.”] Here silliness reigns supreme, and one understands why Christ called the Pharisees “fools and blind:” “Beth Shammai maintaining, we must base our ruling on the earlier generations” [Footnote states: “When a boy of that age could cause conception.”] “but Hillel holds that we do not.”
The supposition that boys became fathers at eight is the silly excuse for the Shammai school to argue that the boy must be under eight to leave the mother pure. The standard throughout the Jewish Talmud is that a little boy becomes a person, “sexually mature,” at nine years and one day, — another asininity. The whole argument strains at the “gnat” of age and “swallows the camel” of incest between mother and son. (Matthew 23:24)” [98].
Nell’immagine soprastante: il documento 82 citato da Elizabeth Dilling sull’apologia dell’incesto tramite clausole giudaiche o “Kosher hacks”. Talmud Babilonese, Soncino, 1936 (edito dal rabbino DR. I Epstein, 1935), Sanhedrin 69b, p. 470. Le annotazioni e le sottolineature sono di Elizabeth Dilling.
Anche per il volume sulle norme che gli ebrei devono attuare il sabato, Elizabeth Dilling ha mosso critiche simili:
“No Talmud book illustrates Christ’s depictions of Pharisaism better than the book of Sabbath. He said: “Ye blind guides, which strain at a gnat and swallow a camel.” (Matthew 23:24)
One way to go raving crazy is to study the Talmud book of Sabbath with its rules on what is or what is not permissible on the Sabbath. Concerning the Sabbath, even the digested laws, or Talmud Mishna in the Schulhan Aruch, take up 82 pages of Volume 2 (pages 63-145). The sum and substance of all of them is a game of subversion. A rule is set up. “How many ways are there to get around it and nullify it?” That is the problem, leading to almost endless trivia and discussion” [99].
Questi giochi di sovversione per annullare delle norme prestabilite, sono degli esempi di demenzialità giudaica. Attraverso discussioni quanto mai prolisse e assurde, si arriva a trovare, perlopiù in maniera forzata, i/il cavillo/i che permette di aggirare norme talmudiche o più spesso bibliche.
- Sudiciume giudaico e ipocrisia giudaica. La pietra e il concetto di purezza nell’Halacka del I secolo d. C. Anche qui interpretazione materiale e spirituale vanno integrate come due facce della stessa medaglia (Mt 23:25-26)
La lingua parlata probabilmente da Gesù era il greco. Ciò ha un senso teologico per molti motivi. Molte circostanze descritte nei Vangeli e prove archeologiche odierne, ci segnalano che Gesù era un tagliatore di pietre, e non già un falegname. Infatti, grazie alle scoperte delle autorità israeliane, sappiamo oggi che nel I secolo d. C., esisteva, non lontano da Nazareth, una cava per la lavorazione della pietra [100]. Questa scoperta, insieme ad altri artifatti trovati in questa cava, può fornire un’esegesi archeologica di Levitico 11:32-34 e Giovanni 2:6. Da un punto di vista cristiano, questa scoperta da un’esegesi archeologica anche di Efesini 2:22, Isaia 28:16, 1 Pietro 2:4-8, e Matteo 16:18.
Il sito aleteia.org, riassume così la questione:
“La maggior parte delle traduzioni usa la parola “falegname” per descrivere il mestiere di Gesù e di Giuseppe, ma il termine greco che leggiamo nei Vangeli di Marco e Matteo può essere interpretato in vari modi. La parola usata nei testi evangelici è téktōn, usata per artigiani e lavoratori del legno (e quindi si può tradurre come “falegname”), ma è interessante che si possa riferire anche a scalpellini, costruttori e perfino coloro che eccellevano nel loro mestiere ed erano in grado di insegnarlo agli altri. La traduzione latina che troviamo nella Vulgata, faber, mantiene i vari significati del greco téktōn. Faber era un termine generale usato per lavoratori e artigiani. Un faber poteva sicuramente lavorare come falegname di tanto in tanto, ma un falegname di mestiere era un lignarius.
Il professor James D. Tabor, studioso biblico dell’Università del North Carolina (Stati Uniti), ha suggerito che “costruttore” o “scalpellino”sarebbe una traduzione migliore per il greco téktōn nel caso di Gesù, e per motivi molto specifici. Da un lato, la predicazione di Gesù usa spesso metafore ispirate alla costruzione – riferimenti frequenti alle “pietre angolari” e alla “solide fondamenta” potrebbero suggerire che Gesù avesse familiarità con i dettagli su come progettare, finanziare e costruire una casa –, dall’altro, considerando che la regione in cui Gesù ha vissuto ed è morto non abbonda di alberi e che la maggior parte delle case all’epoca era costruita in pietra, pensare che Gesù e Giuseppe potrebbero aver lavorato con la pietra ha un certo senso.
Ma non è così semplice. Nella Septuaginta (la prima traduzione della Bibbia ebraica dall’ebraico e dall’aramaico in greco), troviamo il termine greco téktōn usato nel libro di Isaia, e anche nella lista degli operai che costruivano o riparavano il Tempio di Gerusalemme nel secondo libro dei Re, per distinguere i falegnami dagli altri lavoratori. Questa distinzione era già classica, e i greci usavano spesso la parola téktōn per riferirsi specificamente a un falegname, impiegando invece il termine lithólogos per i lavoratori della pietra e laxeutés per i muratori. Pensare che questo uso comune del termine sia stato ereditato dagli autori dei Vangeli, che conoscevano bene la Septuaginta, è logico. È però necessario paragonare anche il greco della Septuaginta con l’originale ebraico trovato in Isaia. Il greco téktōn è il termine usato comunemente per tradurre il termine ebraico kharash, usato per “artigiano”. Téktōn xylôn è però la traduzione dell’ebraico kharash-‘etsîm, “falegname”, come si legge in Isaia 44, 13.
Lo studioso biblico ungherese Géza Vermes ha tuttavia suggerito che la parola greca téktōn non sia stata tradotta dall’ebraico kharash, ma corrisponda piuttosto all’aramaico naggara. Vermes ha infatti affermato che quando il Talmud si riferisce a qualcuno come a un “falegname” potrebbe implicare che si trattasse di un uomo molto istruito. Ciò vorrebbe dire, allora, che gli autori dei Vangeli indicavano che Giuseppe era un uomo istruito, non solo saggio ma anche conoscitore della Torah, indipendentemente dal suo mestiere. Si tratta però di una posizione minoritaria, che deve fare i conti col non piccolo ostacolo dato dal fatto stesso che quando Gesù si rivela sapiente, sia da bambino sia da adulto, tutti quanti si chiedono «donde gli venga quella sapienza che gli è data» (Mc 6, 1-6), domanda che nessuno si farebbe se fosse chiaro che Giuseppe era un “grammateus”, cioè un uomo edotto nella legge. La forma sintattica utilizzata in genere dagli evangelisti è proprio quel verbo al passivo senza complemento d’agente – ovvero con il complemento d’agente sottinteso (Dio) – che viene detto “passivo divino”” [101].
Innanzitutto, molti teologi onesti intellettualmente, che hanno letto il Talmud, sono portati a pensare che le “Toledot Jeshu” “Storielle su Jeshu”, siano in realtà riferite proprio a Gesù, in termini molto, molto dispregiativi. La presenza di Gesù nel Talmud è stata denunciata da vari papi nelle cosiddette bolle pontificie sul giudaismo, che coprono un arco di settecento anni, cioè dal XIII° al XX° secolo (le bolle pontificie sul giudaismo sono disponibili sul nostro canale al seguente indirizzo Telegram: https://t.me/la_questione_giudaica/162). Per la tradizione cattolica, per il giudaismo post-biblico (anche se oggi non lo ammette esplicitamente) e per l’autore Peter Schafer, il “figlio di un falegname”, l'”appeso”, “lo stregone che adorava un mattone”, nonché il “figlio di una prostituta”, rappresentano sempre la figura di Gesù Cristo. Quindi i riferimenti fatti da Geza Vermes, non andrebbero nemmeno menzionati. Le polemiche sul “«donde gli venga quella sapienza che gli è data»”, sono polemiche sterili. Dall’analisi di questa invettiva, si evince che le conoscenze dell’Halacka da parte di Gesù erano tali che, non solo tale invettiva non può essere stata scritta dai Romani per dividere gli ebrei, ma che Gesù probabilmente vinceva tutte le diatribe con i farisei della sua epoca, al punto che, se finanche i dottori della Legge non trovavano argomenti contro di lui, la gente a quel tempo si è domandata “«donde gli venga quella sapienza che gli è data»”, perché se venisse solo dalla Torah, Gesù avrebbe trovato con scribi e farisei pane per i suoi denti. Questo passo del Vangelo di Marco, va interpretato in un’ottica cristiana cattolica convinta della divinità di Gesù. Questo passo dimostrerebbe il vacillare degli ebrei del I° secolo d.C., che si chiedevano: “la sapienza di quest’uomo, viene davvero solo dalla Torah? Oppure la sua sapienza gli viene dall’Altissimo?”.
Quanto all’utilizzo del termine téktōn, ci troviamo in una situazione paradossale per cui gli ebrei che hanno scritto la Septuaginta, traducendo la loro Bibbia da ebraico e aramaico in greco, hanno utilizzato tale termine per distinguere i falegnami dagli altri lavoratori, mentre i Greci in epoca classica, hanno usato comunemente téktōn per indicare specificamente la figura del falegname, e gli ebrei che avrebbero scritto i Vangeli avrebbero assecondato questa tendenza, ma quando si tratta, da parte dei non-ebrei, di tradurre dall’originale in ebraico di Isaia “téktōn è il termine usato comunemente per tradurre il termine ebraico kharash, usato per “artigiano”. Téktōn xylôn è però la traduzione dell’ebraico kharash-‘etsîm, “falegname””.
Ma aldilà delle questioni linguistiche, di Nazareth sappiamo che “era un borgo con così poche case, che il “falegname” Giuseppe non avrebbe potuto trovare il reddito necessario al sostentamento della sua famiglia. Tanto più che – come ci ricordano gli studiosi in materia – le case venivano ricavate prevalentemente nelle grotte e dunque le componenti lignee erano minime. Del tutto diverso sarebbe stato se Giuseppe avesse svolto il ruolo di “carpentiere” in giro nei paesi limitrofi. Interessante infatti sapere, a questo proposito, che a mezz’ora di cammino da Nazaret sorgeva Seffori, una delle più grandi città della regione, che era stata distrutta dai Romani nel 4 a.C. a causa di una ribellione. Il Tetrarca della Galilea, Erode Antipa, aveva deciso di ricostruirla e farne la capitale del suo regno.
La città, ribattezzata Autokratis, doveva avere un piano urbanistico simile alle città greco-romane. Era previsto un teatro con 5.000 posti, che l’avrebbe fatta diventare il centro culturale più importante di tutta la Galilea. A Seffori fu allestito un cantiere che durò anni e che dette lavoro alla manovalanza di tutta la zona. In questi cantieri Gesù avrebbe potuto inoltre imparare il greco, lingua che si ritiene conoscesse, tenuto conto – fra l’altro – dei suoi colloqui prima col centurione di Cafarnao poi con lo stesso Pilato” [102].
Il rabbino Tovia Singer (ebreo) ha gioco facile nel dire che non esistono frammenti del Nuovo Testamento scritti in ebraico [103], ma siamo pronti a scommettere che il frammento di Qumran in ebraico nella grotta dove c’erano solo frammenti greci – indicizzato nel 1956, poi mai più menzionato dal 1962 in poi – fosse un frammento di Vangelo in ebraico del I secolo d. C. [104]. È ovvio che sia stato fatto sparire, cosa ci sarebbe di più vergognoso per gli ebrei, se non il dover ammettere l’esistenza di tali frammenti? Gli argomenti del rabbino Tovia Singer riguardo la lingua dei Vangeli possono essere smontati da un cristiano medio, dicendo semplicemente che ormai Gesù sapeva già di dover sancire una nuova Alleanza estesa a tutte le genti, e che per farlo aveva bisogno di imparare il greco e far diffondere i suoi insegnamenti in greco, la seconda lingua più parlata nell’impero più robusto dell’epoca. La lingua parlata da Gesù era in realtà la “Koinè, ovvero una forma molto antica di dialetto greco, conosciuta anche come “Greco Alessandrino” o “Greco Ellenistico”, in quanto fu la lingua che Alessandro Magno portò nei territori da lui conquistati già nel 332 a.C.. E’ anche chiamata “Greco del Nuovo Testamento” o “Greco Biblico”, in quanto fu utilizzata per le prime traduzioni dei testi cristiani dall’aramaico, eventualità che contribuì alla diffusione del cristianesimo. La Koinè è molto importante non solo per il fatto di essere stata la prima lingua “volgare”, ma soprattutto per la sua grande diffusione nelle civiltà del Mar Mediterraneo, durante l’età ellenistica. Una lingua quindi un po’ paragonabile all’inglese di oggi. Fu inoltre la seconda lingua dell’Impero Romano, dopo il latino. E quando i greci conquistarono e colonizzarono tutto il mondo allora conosciuto, questo loro dialetto fu parlato dall’Egitto al nord dell’India. La Koinè poi, oltre ad essere utilizzata come lingua parlata, lo fu anche come lingua letteraria ed amministrativo/burocratica” [105].
E poi ci sono prove archeologiche che gli ebrei del I secolo d. C. parlavano greco, dopotutto sono stati influenzati da Romani (influenzati dai greci), Macedoni, e dalle incursioni di Antioco Epifane IV, senza contare il fatto che gli ebrei sono il popolo con le più sviluppate capacità linguistiche al mondo. Una prova archeologica dell’esistenza di ebrei fluenti in greco nella Palestina del I secolo d. C. è l’iscrizione di Teodoto:
“L’epigrafe che appare nella foto è nota come Iscrizione di Teodoto. Incisa su una lastra di pietra calcarea (lunga 72 cm e larga 42), fu rinvenuta agli inizi del XX secolo sull’Ofel, colle di Gerusalemme. Il testo, scritto in greco, parla di Teodoto come di un sacerdote che “edificò la sinagoga per la lettura della Legge e l’insegnamento dei Precetti” (E. Gabba, Iscrizioni greche e latine per lo studio della Bibbia, Marietti, Torino, 1958, p. 81). L’iscrizione, ritenuta anteriore alla distruzione di Gerusalemme del 70, conferma la presenza di ebrei di lingua greca a Gerusalemme nel I secolo (At 6:1). Secondo alcuni, la sinagoga menzionata sarebbe la “cosiddetta Sinagoga dei Liberti” (At 6:9). L’iscrizione afferma che Teodoto, come pure suo padre e suo nonno, aveva il titolo di archisinagogo, in greco archisynàgogos (“capo della sinagoga”), titolo che compare varie volte nelle Scritture Greche Cristiane (Mr 5:35; Lu 8:49; At 13:15; 18:8, 17). Afferma inoltre che Teodoto edificò alloggi per coloro che arrivavano in città da altri luoghi. Probabilmente ci si riferisce agli alloggi usati dagli ebrei che giungevano a Gerusalemme da fuori città, in particolare in occasione delle feste annuali (At 2:5)” [106].
Tutte queste premesse, ci portano ad una caratteristica saliente del popolo ebraico: il sudiciume giudaico. Nell’interpretazione che bisogna dare a questo passo dell’invettiva, senso materiale e spirituale si fondono, nel senso che il sudiciume fisico giudaico, non è che il riflesso delle sozzure spirituali contenute nel Talmud Babilonese e nell’operato degli ebrei. “Guai a voi, scribi e farisei ipocriti, che pulite l’esterno del bicchiere e del piatto mentre all’interno sono pieni di rapina e d’intemperanza. Fariseo cieco, pulisci prima l’interno del bicchiere, perché anche l’esterno diventi netto!”. Il sudiciume giudaico viene rivelato dal crittoebreo Adolf Hitler, che nel Mein Kampf, si abbandona a varie rivelazioni sul popolo ebraico, tra le quali viene menzionato l’aspetto un po’ sudicio di questi ebrei ortodossi con le loro lunghe treccioline, che Hitler vedeva circolare nell’Austria e nella Germania dei suoi tempi. Il sudiciume giudaico degli ebrei ortodossi si nota anche in un episodio avvenuto in Italia, subito classificato dagli ebrei come antisemitismo: il personale di un albergo aveva messo un cartello nei pressi della piscina che invitava gli ebrei ortodossi a farsi una doccia, nel caso volessero fare un bagno in piscina. Inutile dire che per questo episodio increscioso degli italiani hanno perso il posto di lavoro. E poi c’è la famosa immagine su Internet, del gruppo di ebrei ortodossi che scava nei cassonetti della spazzatura. Se neanche questo dovesse bastare, la prof. Anna Foa (ebrea), sa bene che gli ebrei nel Medioevo venivano considerati come i responsabili della diffusione della peste se non delle malattie in genere, in quanto venivano considerati sporchi al punto da essere considerati come degli autentici vettori di diverse malattie. L’ipocrisia giudaica sta nell’intemperanza e nella rapina di cui sono pieni bicchieri e piatti usati dai farisei. Il collegamento con un punto di vista spirituale qui è evidente. Gli ebrei si fanno belli di fuori, specie agli occhi dei gentili, ma poi commettono ogni genere di crimine. Ma visto il significato assegnato (implicitamente) dall’Halacka del I secolo d. C. alla pietra, cioè un significato legato al concetto di purezza, e visto che la pietra è di solito considerata il simbolo dell’immutabilità, si può speculare che Cristo qui abbia inteso parlare agli ebrei, tra le altre cose, e in maniera implicita, anche di verità immutabili di tipo divino. Considerando che il Talmud Babilonese, ad un’analisi attenta, fallisce nel suo tentativo di accreditarsi come un libro religioso di stampo monoteista, quello che Gesù ha voluto dire in Matteo 23:25-26, è anche questo: “Perché continuate da fuori a spacciarvi come monoteisti, quando dentro i vostri testi dominano paganesimo, superstizioni, idolatria e panteismo da Ein-Soph? Ripulite i bicchieri (cioè i vostri scritti e i vostri discorsi) dall’interno, dai quali attingete parte del vostro nutrimento (spirituale), affinché anche l’esterno diventi netto! Spurgate dagli elementi spurii i vostri scritti e i vostri discorsi, perché chi vi legge e/o ascolta vede che l’esterno del bicchiere non è netto, intuendo la sporcizia (spirituale, oltre alla sporcizia teologica dovuta alle eresie) che vi è all’interno”.
“Or c’erano là sei recipienti di pietra, usati per la purificazione dei Giudei, che contenevano due o tre misure ciascuno” (Giovanni 2:6). “Qualsiasi cosa su cui uno di essi cadesse quando sono morti sarà impura; sia essa un utensile di legno o vestito o pelle o sacco o qualsiasi oggetto usato per lavoro, dev’essere messa in acqua, e sarà impura fino alla sera; poi sarà pura. Qualsiasi vaso d’argilla entro cui uno di essi cade, lo romperete; e tutto ciò che si trova in esso sarà impuro. Ogni cibo commestibile su cui cade l’acqua di tale vaso sarà impuro; e ogni sorso che possa essere preso da esso sarà impuro” (Levitico 11:32-34). Giovanni 2:6 ha una giustificazione archeologica, cioè la cava di pietra di cui abbiamo parlato, e dimostra che gli ebrei trovarono una clausola “di pietra”, un’eccezione, alle regole loro impostegli da Levitico 11:32-34.
“Perciò così dice il Signore, l’Eterno: «Ecco, io pongo come fondamento in Sion una pietra, una pietra provata, una testata d’angolo preziosa, un fondamento sicuro; chi crede in essa non avrà alcuna fretta” (Isaia 28:16). “E io ti dico: Tu sei Pietro e su questa pietra edificherò la mia chiesa e le porte degli inferi non prevarranno contro di essa” (Matteo 16:18). In particolare, per quanto riguarda questo versetto di Matteo, visto che anche di fronte a scribi e farisei Gesù ha fatto riferimento a se stesso come a qualcosa fatto di pietra, con la famosa frase “distruggete questo tempio e io lo ricostruirò in tre giorni”, è probabile che con la frase “su questa pietra edificherò la mia Chiesa” lui si stesse riferendo ancora una volta a se stesso, anziché a Pietro. Ma il dibattito su questa frase è ancora molto acceso, specie quando si tratta di mettere in discussione la legittimità del potere temporale dei Papi, più che necessario per contrastare le innumerevoli eresie che hanno afflitto la Chiesa: se non ci fosse stata una gerarchia, se non ci fosse stato un Capo, il cristianesimo sarebbe finito con la crocifissione del suo fondatore e capo: Cristo. In realtà, è un po’ più complicato di così.
IL CONCETTO DEL CAMBIO DI NOME NELLA BIBBIA OPERATO DA DIO IN PERSONA, E IL CONTESTO LINGUISTICO IN CUI SONO STATI REDATTI I VANGELI, DIMOSTRANO CHE GESÙ NOMINÒ PIETRO SUO SUCCESSORE DIRETTO SULLA TERRA. L’ESPRESSIONE “SU QUESTA PIETRA EDIFICHERÒ LA MIA CHIESA” SI RIFERISCE CONTEMPORANEAMENTE A CRISTO E AL SUO RAPPRESENTANTE/VICARIO SULLA TERRA.
Pietro Dimond, ci dà un’ottima spiegazione – basata sul Vecchio Testamento – per poter interpretare correttamente questo spinoso passo di Matteo che abbiamo appena menzionato. Rivediamolo nel giusto contesto:
“Matteo 16:16-19: “E Simon Pietro, rispondendo, disse: Tu sei il Cristo, il Figliuol dell’Iddio vivente. E Gesù, rispondendo, gli disse: Tu sei beato, o Simone, figliuol di Giona, poiché la carne ed il sangue non t’hanno rivelato questo, ma il Padre mio che è ne’ cieli. Ed io altresì ti dico, che tu sei Pietro, e sopra questa pietra io edificherò la mia chiesa, e le porte dell’inferno non la potranno vincere. Ed io ti darò le chiavi del regno dei cieli; e tutto ciò che avrai legato in terra sarà legato ne’ cieli, e tutto ciò che avrai sciolto in terra sarà sciolto ne’ cieli”” [107].
Qui, secondo Dimond, bisogna soffermarsi su un pronome in particolare:
“Gesù Cristo affermò: “Tu sei Pietro e su questa pietra io edificherò la mia Chiesa Universale”. La parola Greca per questa, nel senso di questa pietra, è il pronome dimostrativo taute. In tale contesto esso significa questa stessa pietra o questa vera e propria pietra. Taute è utilizzata allorché si desidera richiamare l’attenzione con enfasi speciale su di un determinato oggetto, sia in prossimità fisica del narratore che nel contesto letterale dell’autore” [108]. “Nell’Anglosassone versione della “Sacra Bibbia” di Re Giacomo taute in 1 Corinzi 7:20 è tradotta come la medesima ed in 2 Corinzi 9:4 come questa medesima” [109]. “Laonde, l’affermazione di Gesù Cristo nei confronti di San Pietro detenne tale significato: “Tu sei Pietro e su questa medesima pietra Io edificherò la Mia Chiesa Universale“. Dal contesto fornito questa pietra si
riferisce naturalmente a San Pietro” [110]. Ma una questione ancora più importante dell’uso del pronome “taute” nel manoscritto greco di riferimento, è il cambio di nome Simone, figlio di Giona, in Pietro. “Nel Vecchio Testamento un cambio di nome denotava una nomina, una chiamata speciale od un cambio di stato. In Genesi si legge ciò che segue circa Abrahamo. Genesi 17:5: “E tu non sarai più nominato Abramo; anzi il tuo nome sarà Abrahamo; perciocché io ti ho costituito padre d’una moltitudine di nazioni“.
Iddio cambiò il nome di Abrahamo da Abramo ad Abrahamo perciocché il nuovo nome avrebbe denotato il suo ruolo speciale come guida del popolo di Dio. Abrahamo fu scelto per essere il padre di molte nazioni, anch’egli fu appellato roccia, come si dimostra. In Ebraico Abram significa un alto padre, mentre Abraham significa il padre della moltitudine. Parimenti, in Genesi 32:28, si legge che Iddio cambiò il nome di Giacobbe in Israele di modo da tipificare la posizione od il ruolo speciale di quest’ultimo. Pertanto, in aggiunta alle altre cose importanti che Gesù Cristo dichiara a San Pietro in Matteo 16, il cambio del nome di San Pietro da Simone a Pietro serve a confermare la posizione speciale di San Pietro assieme al suo nuovo stato” [111]. Per Dimond, la pietra cui fa riferimento Gesù Cristo in Matteo 16:19, rappresenta contemporaneamente sia Cristo che Pietro, non nel senso letterale, bensì nel senso che si evince dalle sue parole, che contengono ulteriori esempi: “il fatto per cui il Cristo è il basamento od il fondamento, come si legge in Efesini 2:20, non significa che il Cristo medesimo non avrebbe potuto stabilire la possessione di un ufficio perpetuo da parte di un Apostolo, egli stesso da divenire la pietra sopra la quale la Chiesa Cattolica sarebbe stata edificata. I due concetti non si escludono mutualmente. Ad esempio: Gesù Cristo è il Buon Pastore, Giovanni 10:14, ciò malgrado, egli rese a San Pietro la responsabilità di pascere il Suo gregge, come leggesi in Giovanni 21:15-17. Gesù Cristo è quello con le chiavi, Apocalisse 1:18; 3:17, ciononostante, egli rese le chiavi a San Pietro” [112]. O ancora: “Iddio è dichiarato essere la roccia nel mezzo di tutto il Vecchio Testamento, specificatamente in Deuteronomio 32:4, bensì anche Abrahamo è descritto come la roccia in Isaia 51:1-2. Deuteronomio 32:4: “L’opera della Rocca [Dio] è compiuta; Conciossiaché tutte le sue vie sieno dirittura; Iddio è verità, senza alcuna iniquità; Egli è giusto e diritto”. Isaia 51:1-2: “Ascoltatemi, voi che procacciate la giustizia, che cercate il Signore; riguardate alla roccia onde siete stati tagliati, e alla buca della cava onde siete stati cavati. Riguardate ad Abrahamo, vostro padre, ed a Sara, che vi ha partoriti; perciocché io lo chiamai solo, e lo benedissi, e lo moltiplicai”. Il Vecchio Testamento afferma di guardare alla roccia, di guardare ad Abrahamo. Abrahamo è descritto essere la roccia perciocché egli fu il padre di tutti gli Israeliti. Il nome di Abrahamo venne mutato da Abramo all’attuale di modo da significare il suo ruolo come roccia e padre del popolo di Dio. Non calzava, quindi, che Gesù Cristo nel Nuovo Testamento potesse scegliere qualcuno come la roccia e padre del nuovo Israele, la Chiesa Universale? Sì ed è per ciò che il nome di Simone fu cambiato a Pietro, significante pietra” [113].
(Da un punto di vista tipologico, Abrahamo rappresenta il tipo di ciò che verrà, cioè Pietro, l’antitipo. Così come Abrahamo è stato il padre biologico della moltitudine di Israeliti, così Pietro, la nuova roccia, o nuova pietra, rappresenta, nel Nuovo Testamento, il padre spirituale di una nuova moltitudine, quella dei cristiani di tutte le etnie, che diventano così i nuovi Israeliti, i nuovi Ebrei, rendendo l’Alleanza tra Dio ed Abramo il tipo della Nuova ed Eterna Alleanza (antitipo della Vecchia Alleanza), quella tra Cristo e Pietro, nonché tra Dio e Roma. La tipologia biblica è in perfetto accordo con la teologia cattolica del rimpiazzo (“replacement Theology”) per cui i cristiani sono diventati i nuovi Ebrei, il nuovo popolo eletto, attraverso un nuovo Patto siglato col sangue di Cristo e iniziato esattamente quando il sangue del Testimone (Cristo appunto) è stato versato fin sopra l’Arca dell’Alleanza). Infatti, il luogo in cui l’archeologo Ron Wyatt ha affermato di aver rinvenuto l’Arca dell’Alleanza, è l’unico posto in cui ha un senso teologico che vi si trovi, cioè esattamente sotto quello che Ron Wyatt ha identificato come il Golgota.
Secondo Dimond inoltre, esiste l'”evidenza Biblica interna per cui il nome di
Pietro in Greco, Petros, è equivalente a petra, la pietra sopra la quale fu edificata la Chiesa Cattolica. L’evidenza interna proviene da Giovanni 1:42…[…]…Giovanni 1:42: “E Gesù, riguardatolo in faccia, disse: Tu sei Simone, figliuol di Giona; tu sarai chiamato Cefa, che vuol dire: Pietra“. In Giovanni 1:42 il nuovo nome di San Pietro è reso nella sua forma Aramaica: Cefa. Taluni potrebbero domandare: “Io pensavo che il nome Aramaico di San Pietro Cefa fosse reso con la lettera k, non è così?”. Sì, tuttavia, nella versione Italiana di Giovanni 1:42 Cefa è semplicemente la versione Italianizzata del nome Aramaico, scrivibile con la k. Laonde, Giovanni 1:42 detta che Cefa, il nome dell’Apostolo, è tradotto pietra.
Cefa = Il nome di San Pietro (Giovanni 1:42)
Si conosce anche che Cefa potrebbe essere tradotto come petra, la parola per la pietra sopra la quale è edificata la Chiesa Cattolica, Matteo 16:18. Giacché Cefa eguaglia il nuovo nome di San Pietro, come dettato da Giovanni 1:42, e Cefa eguaglia petra, la parola per pietra, è innegabile che il nuovo nome di San Pietro eguaglia petra, la pietra” [114].
A tutto ciò si devono aggiungere altre considerazioni linguistiche:
“I Protestanti argomentano come Gesù Cristo non potesse affermare che San Pietro sarebbe stato la pietra in virtù della differenza tra le due parole in Greco. Essi osservano che nel Greco originale di Matteo 16:18 il nome di San Pietro è Petros, il che significa sasso, mentre la parola denotante pietra è petra, la quale significa pietra, possibilmente larga. Il testo Greco detta: “Tu sei Pietro (Petros) e su questa medesima pietra (petra) Io edificherò la Mia Chiesa Universale”. Tuttavia, tale argomento è confutato dai seguenti punti. Primo, le parole Petros e petra detenevano il medesimo significato, pietra, nel Greco in uso al tempo del Cristo. In della assai più precoce poetria Greca Petros significava piccolo sasso e petra pietra larga, ciò malgrado, tale lieve distinzione era già sparita al tempo della composizione in Greco del Santo Vangelo di San Matteo, circa tale punto si consulti la citazione del Protestante D. Carson (“Nonostante la verità donde Petros e petra possono rispettivamente significare sasso e pietra nel Greco antico la distinzione è largamente confinata alla poetria. In aggiunta, il sottostante Aramaico è in questo caso inopinabile e molto probabilmente cefa fu utilizzata in entrambe le clausole, Tu sei Cefa e su questa cefa, in quanto la parola venne utilizzata sia per il nome che per una pietra… Il testo Greco distingue tra Petros e petra solamente perciocché esso desidera preservare la paronomasia e nel testo Greco il femminile petra potrebbe mai
fungere come nome al maschile” nda)” [115]. “La distinzione minore tra Petros e petra esiste solamente nel Greco Attico e non nel Greco Coinè. Il Santo Vangelo venne stilato in Greco Coinè, nel quale sia Petros che petra significano pietra. In aggiunta, giacché esisteva una parola per sasso Gesù Cristo l’avrebbe potuta utilizzare. Essa è litos. Qualora Gesù Cristo avesse voluto appellare San Pietro un sasso e non pietra, Petros, allora Egli avrebbe utilizzato litos. Egli bensì ciò non fece. Egli utilizzò Petros, significante pietra. Tuttavia, dovesse esistere un’equazione tra San Pietro e la pietra perché allora furono impiegate parole distinte: Petros e petra? La risposta è trovabile nell’importante fatto per cui Gesù Cristo parlava in Aramaico e non in Greco” [116].
Non vogliamo qui usare la tattica dei dizionari rotanti, quella è roba da ebrei. Nessuno può accusarci di fare ciò in quanto aramaico e greco Coiné concordano quando si parla del ruolo di Pietro come pietra sulla quale deve essere edificata la Chiesa. Bisogna inoltre precisare che il termine “Cefa”, in aramaico, è di genere neutro, per questo andava bene in entrambe le proposizioni potendolo ripetere, “petra” in greco è di genere femminile ed è la diretta traduzione di “Cefa”, e per tradurre il cambio di nome di Simone in Pietro serviva un significante diverso, con lo stesso significato di “petra”, ma di genere maschile, “Petros” appunto. È anche presumibile che Gesù parlasse sia l’aramaico che il greco Coiné. Infatti, che credibilità avrebbe un Messia che viene ad annunciare una nuova Legge estesa a tutte le etnie, quando non sa parlare neanche due lingue? In particolare, coi semplici pescatori – suoi discepoli o apostoli – nonché con le folle giudaiche, è probabile che parlasse aramaico, mentre con i Romani, coi mercanti ebrei e anche con alti funzionari religiosi ebraici – i quali dovevano spesso interfacciarsi coi Romani – parlava verosimilmente greco Coiné. Per questo la conversazione tra il fariseo discepolo di Gesù, Nicodemo, e Gesù stesso, ha senso soltanto in greco Coiné e non in aramaico, come giustamente fa notare il rabbino Tovia Singer [117]. La conversazione a cui si riferisce il rabbino è in Giovanni 3:1-5:
“C’era tra i farisei un uomo chiamato Nicodèmo, un capo dei Giudei. Egli andò da Gesù, di notte, e gli disse: «Rabbì, sappiamo che sei un maestro venuto da Dio; nessuno infatti può fare i segni che tu fai, se Dio non è con lui». Gli rispose Gesù: «In verità, in verità ti dico, se uno non rinasce dall’alto, non può vedere il regno di Dio». Gli disse Nicodèmo: «Come può un uomo nascere quando è vecchio? Può forse entrare una seconda volta nel grembo di sua madre e rinascere?». 5 Gli rispose Gesù: «In verità, in verità ti dico, se uno non nasce da acqua e da Spirito, non può entrare nel regno di Dio” [118]. Qui la versione C.E.I. della Bibbia fonde “nascere di nuovo” e “nascere dall’alto” con la formula “rinasce dall’alto”.
Per via di un gioco di parole per cui in greco “nascere dall’alto” e “nascere di nuovo” vengono resi con la stessa parola, e per via del fatto che in aramaico questa frase non avrebbe senso, il rabbino Tovia Singer vorrebbe ridurre il Vangelo di Giovanni a falso storico scritto dai Romani. Ma la questione è lungi dall’essere risolta. Per prima cosa esiste un Nuovo Testamento in aramaico, detto “Khabouri”, e lasciando perdere le speculazioni filologiche degli studiosi, tale traduzione restituisce così gli stessi passi di Giovanni:
E poi se è per questo, caro rabbino Tovia Singer, lei dovrebbe avere l’onestà intellettuale – qualità davvero rara negli ebrei, quasi sempre è apparente perché per un ebreo è legale dire la verità a un non-ebreo, purché mostri agli altri ebrei che sta palesemente mentendo su altri argomenti, e in seguito vedremo degli esempi di questo fenomeno – di dire che se i giochi di parole presenti nel Vangelo di Giovanni hanno senso soltanto in greco anziché aramaico, è vero anche il contrario: ci sono giochi di parole in suddetto Vangelo, che hanno un senso solo con una retroversione in aramaico, come a suggerire che il Vangelo di Giovanni in greco sarebbe una traduzione di un originale in aramaico. Infatti vediamo:
(https://it.wikipedia.org/wiki/Nuovo_Testamento_in_aramaico#Giochi_di_parole)
Il passo di Giovanni in questione (Gv 8:39), recita:
“Gli risposero: «Il nostro padre è Abramo». Rispose Gesù: «Se siete figli di Abramo, fate le opere di Abramo!”.
E adesso come la mettiamo Rabbi? Ad ogni modo, la versione di Tovia Singer potrebbe trovare il contraddittorio che merita nel libro “The Aramaic Origin of the Fourth Gospel” di C. F. Burney. Si potrebbe obiettare che Gv 8:39 riguarda una conversazione tra farisei e Gesù, quindi avrebbe potuto essere benissimo in greco, ma Giovanni 8:1-2 chiarisce che c’era la folla giudaica ad ascoltarlo: “Gesù si avviò allora verso il monte degli Ulivi. Ma all’alba si recò di nuovo nel tempio e tutto il popolo andava da lui ed egli, sedutosi, li ammaestrava”. Quindi è verosimile che per farsi ascoltare e comprendere da tutti, Gesù abbia pronunciato queste frasi in aramaico, anziché nel greco che avrebbero potuto capire solo mercanti ebrei con contatti estesi, oppure funzionari religiosi con un’autorità politica su Israele, che dovevano dialogare con il loro padrone di turno a quel tempo: i Romani. Se nello stesso libro, attraverso retroversioni sia in greco che aramaico riscopriamo dei giochi di parole, o gli autori dei Vangeli erano dei troll professionisti oppure è verosimile che Gesù parlasse sia il greco che l’aramaico, e che facesse giochi di parole in entrambe le lingue, anche se questo poi pone il problema di capire le capacità linguistiche degli autori dei Vangeli, per poter discernere tra giochi di parole “originali” e giochi di parole postumi, inseriti nelle copie dei Vangeli successive ai testi di partenza. Riteniamo che questi giochi di parole siano importanti. Se dovessimo classificarli in qualche modo, useremmo l’espressione “checkpoints linguistici/filologici”, nel senso che rappresentano una finestra sul probabile testo originale dal quale sono stati ricopiati. Non mettiamo in dubbio che gli ebrei siano dei buontemponi che nascondono facezie e easter egg giudaici ovunque, ma gli easter egg giudaici presenti nella Bibbia – anche quelli di recente inserzione – sono comunque migliori di quello che la mente di un ebreo ha partorito per il video-game “Far Cry 4”: chiamare il “cattivo” della quarta edizione di Far Cry col nome “Pagan Min”**.
Tornando invece al discorso di “Tu sei Pietro e su questa pietra costruirò la mia Chiesa”, anche volendo tralasciare le questioni linguistiche, ci sono comunque le questioni del “cambio di nome” come procedura simbolica di assegnazione di un incarico, e dell'”appellativo riferito a più soggetti”, anch’esso tipico del Vecchio Testamento, e rinvenibile nell’esempio Deuteronomio 32:4 – Isaia 51:1-2. Che lavoro certosino che avrebbero fatto i Romani per produrre questi falsi storici antisemiti chiamati Vangeli, dico bene rabbino Tovia Singer?
- Propaganda giudaica (realismo giudaico): la propaganda israeliana di oggi è la quintessenza dei sepolcri imbiancati di ieri (Mt 23:27-29)
La propaganda israeliana è abile nel fare il lavaggio del cervello ai gentili che non conoscono le manipolazioni degli ebrei, e non studiano in contraddittorio la cosiddetta “questione palestinese”. Non ci fraintendete, quando diciamo che gli arabi sono degli animali…INTENDIAMO DIRE CHE SONO PER LA STRAGRANDE MAGGIORANZA DEGLI ANIMALI…mentre gli ebrei sono…loro “cugini” semiti…e non sono certo da meno. Semplicemente gli ebrei sono “più raffinati nel loro essere degli animali”, rispetto agli arabi. Ad ogni modo, l’Israeli Defense Force – le forze di difesa israeliane – si vantano di essere “The World’s most Moral Army” (“il corpo armato più etico al mondo”). C’è solo un problema con questa pubblicità: non è poi così convincente se l’IDF celebra e istiga l’uccisione di civili arabe incinte con lo slogan “One Shot Two Kills” (“un colpo due morti”).
Nelle fotografie soprastanti: in alto a sinistra una foto di un militare dell’IDF raffigurante una donna araba incinta nel mirino di un cecchino e sotto la scritta “1 shot 2 kills” [119] (“un colpo due morti”). A destra una maglia raffigura un bambino palestinese nel mirino di un cecchino, con la scritta che si legge da sopra a sotto “Better use Durex” [120] (“Uso migliore Durex”, come a significare che i bambini palestinesi uccisi fungono meglio come preservativi nella loro esistenza terrena). Ancora a destra una maglia raffigura un bambino palestinese armato nel mirino di un cecchino e la scritta in ebraico che si legge dall’alto verso il basso (e da destra verso sinistra) “the smaller they are, the harder it is” [121] (“più piccoli sono, più è difficile”). In basso a sinistra una maglia raffigurante l’angelo della Morte vicino a un fucile e a una citta araba, con la scritta in ebraico dall’alto verso il basso “Let every Arab woman know I hold the fate of her child in my hands” [122] (“Lasciate che ogni donna araba sappia che ho il destino di suo figlio nelle mie mani”). In basso a destra una maglia raffigurante una moschea incendiata e sopra la scritta in ebraico “Only God forgives” [123] (“Solo Dio perdona”).
Sopra: immagine della propaganda giudaica raffigurante a sinistra un terrorista islamico che usa una donna con un passeggino come scudo umano, a destra un soldato israeliano che protegge due bambini che giocano con una palla. Sotto si può leggere la scritta “The World’s Most Moral Army” (“L’esercito più etico al mondo”), un chiaro riferimento all’esercito israeliano, anche noto come Israeli Defense Force. C’è un problema in questa immagine: i primi ad usare i bambini come scudi umani sono gli ebrei, mentre accusano gli arabi di fare ciò.
Nell’immagine: stralcio di un articolo del Daily Mail in cui si vede un bambino palestinese legato dagli ebrei su un mezzo militare israeliano: cercavano di evitare che i suoi amici arabi continuassero a tirare pietre sui veicoli.
Esistono diverse prove che Hamas utilizza la sua stessa gente (militanti di Hamas e civili) come scudi umani. Gli ebrei sono più fortunati: hanno abbondanza di palestinesi coi quali farsi scudo.
Al seguente indirizzo Telegram si può vedere un servizio del Guardian sull’utilizzo da parte di Israele, di scudi umani palestinesi: https://t.me/la_questione_giudaica/185
Alla luce di questi elementi, che si possono osservare in questo secolo come anche nei precedenti secoli (cioè i tentativi degli ebrei di accreditarsi agli occhi del mondo come un popolo estremamente morigerato e dagli elevati valori morali/spirituali) possiamo capire ciò che è stato detto da Gesù Cristo nel primo secolo: “Guai a voi, scribi e farisei ipocriti, che rassomigliate a sepolcri imbiancati: essi all’esterno son belli a vedersi, ma dentro sono pieni di ossa di morti e di ogni putridume. Così anche voi apparite giusti all’esterno davanti agli uomini, ma dentro siete pieni d’ipocrisia e d’iniquità. Guai a voi, scribi e farisei ipocriti, che innalzate i sepolcri ai profeti e adornate le tombe dei giusti”.
A proposito di adornare le tombe dei giusti, bisogna osservare un altro fenomeno tipico del giudaismo, in perfetta contrapposizione con quanto scritto poc’anzi: la celebrazione dei macellai. Con questa espressione si intende l’atteggiamento di glorificare grandi criminali di etnia ebraica, mostrando al mondo soltanto quello che di giusto avrebbero fatto, specie per le cause del giudaismo. Non tratteremo questo aspetto in questo scritto. In altre parole, il “realismo socialista” ha origini chiaramente ebraiche, e andrebbe chiamato “realismo giudaico”. Secondo questo realismo, le ricostruzioni storiche o di eventi recenti nella storia del giudaismo, così come le biografie di ebrei famosi, non sono quelle reali secondo verità. Sono versioni affette da realismo giudaico, cioè vengono propinate le versioni dei fatti che più sono ritenute utili dagli ebrei per i fini del giudaismo, comprensive quindi di iperbole strategica – cioè esagerazione dei meriti e delle sofferenze degli ebrei – o di eufemizzazione strategica – cioè la minimizzazione dei demeriti degli ebrei o anche la minimizzazione della loro presenza/coinvolgimento in fatti di cronaca o eventi storici quando in una data occasione conviene fare ciò.
- Modulo Kennedy su tutti i profeti (Mt 23:30-32)
Se dovessimo assegnare un’origine alla tattica giudaica nota con l’espressione “Modulo Kennedy” – cioè la tendenza degli ebrei ad uccidersi tra loro o ad uccidere i loro alleati quando non gli servono più da vivi – di sicuro saremmo portati a dire che il Modulo Kennedy nasce con l’uccisione dei primi profeti di Israele. Di più: se si trovassero le prove archeologiche dell’esistenza della cosiddetta “Arca dell’Alleanza”, noi ci spingeremmo fino ad asserire che gli ebrei, in maniera ipocrita, dopo essersi macchiati del sangue dei loro stessi profeti, andavano a versare quest’ultimo anche sull’Arca, laddove la tradizione vuole che gli ebrei versassero il sangue degli empi, di coloro che sono stati ingiusti. È interessante notare come anche nel Corano, il libro sacro dell’Islam, gli ebrei sono concepiti come gli assassini per eccellenza, in particolare anche nel Corano hanno la nomea di essere degli assassini di profeti, tant’è vero che nel Corano c’è scritto che l’esecutrice materiale dell’omicidio di Maometto – il più importante profeta dell’Islam – è una donna ebrea che lo avvelena attraverso un inganno. La convergenza di Islam e Cristianesimo sulla reputazione degli ebrei come assassini dei profeti, ci dà la sicurezza di poter ipotizzare che questa accusa sia verosimile, e che verosimilmente i primi Moduli Kennedy della storia, siano proprio gli omicidi dei profeti. Dopotutto, è nella Bibbia stessa che si menzionano i dissapori tra gli ebrei e i loro stessi profeti: Zaccaria viene accusato di essere un bugiardo, Geremia viene accusato di intendersela coi Caldei dell’epoca, e il povero Michea si lamenta in continuazione degli ebrei, mostrando un atteggiamento fin troppo negativo, secondo Israele.
Ad ogni modo, i versetti dell’invettiva antigiudaica universale recitano:
“e dite: Se fossimo vissuti al tempo dei nostri padri, non ci saremmo associati a loro per versare il sangue dei profeti; e così testimoniate, contro voi stessi, di essere figli degli uccisori dei profeti. Ebbene, colmate la misura dei vostri padri!”.
Anche qui, a dispetto della posizione ufficiale della Chiesa Cattolica prima del Concilio Vaticano II (o dovremmo dire del 1939?) – cioè una posizione di antigiudaismo, ovvero di opposizione al popolo ebraico da un punto di vista meramente teologico – Gesù Cristo si fa fautore di un antisemitismo biologico, e ciò è confermato dal versetto precedente:
“Guai a voi, scribi e farisei ipocriti, che innalzate i sepolcri ai profeti e adornate le tombe dei giusti”.
L’interpretazione, è semplice: “Cari ebrei, è inutile che fate tanto i perfettini innalzando i sepolcri ai profeti e adornando le tombe dei giusti, quando voi stessi siete i primi ad ammettere che i vostri stessi padri hanno ucciso i profeti. Credete forse che il sangue sia acqua? Se i vostri padri erano degli assassini di profeti cosa vi fa pensare che voi siate migliori di loro? Mostrare del rispetto superficiale per i profeti non basta. Se i vostri padri erano degli assassini di profeti, voi che avete il loro sangue in corpo, vi comporterete in maniera forse migliore, ma comunque simile. Buon sangue non mente, se dite che i vostri padri, della generazione precedente, erano degli assassini di profeti, voi dell’attuale generazione non li smentirete: sarete voi stessi degli assassini di profeti. I vostri peccati rimangono, e sono in buona parte rappresentati dai peccati dei vostri padri”.
Questi versetti ricalcano un tema già affrontato nel Vecchio Testamento: il ricadere dei peccati dei padri, sui figli stessi. Infatti, in Esodo 20:5-6 cioè nei ” 10 comandamenti, Dio affermò di punire l’iniquità dei padri sui figli fino alla terza e alla quarta generazione di quelli che lo odiano, e di usare bontà fino alla millesima generazione verso quelli che lo amano e osservano i suoi comandamenti. Ci sono anche alcuni esempi di figli uccisi perché il loro padre peccò (Gios 7; 2Sam 21:1-9). Questo principio non sembra giusto a noi. Inoltre, alcuni brani dichiarano che i figli giusti non pagheranno per l’iniquità di padri ingiusti (Dt 24:16; Ger 31:29-30; Ez 18:1-20), e dobbiamo capire come riconciliare questi brani con il principio dei 10 comandamenti.
Anche se le versioni italiane di solito traducono nei 10 comandamenti che Dio punisce l’iniquità dei padri sui figli, è forse una traduzione troppo forte. Letteralmente Dio “visita” l’iniquità (come nella versione Diodati e molte versioni inglesi) dei padri sui figli. In altre parole, Dio manda le conseguenze del peccato ad altre generazioni, non la colpa del peccato. Infatti, è la verità che spesso i figli pagano per uno stile di vita sbagliato da parte dei genitori. Un’altra possibile spiegazione è che “quelli che mi odiano” si riferisce ai discendenti. Cioè, i discendenti che odiano Dio sono puniti per l’iniquità degli antenati, perché colpevoli verso Dio proprio come loro. Non ci sarebbe nessuna ingiustizia in questo caso. Però, è anche possibile prendere la frase come una descrizione dei padri, cioè che Dio punisce l’iniquità dei padri che lo odiano sui loro figli, per cui non possiamo essere sicuri che sia l’interpretazione giusta del versetto.
Dall’altra parte, Ger 31:29-30 e Ez 18:1-20 descrivono la situazione che riteniamo sia giusta, che ognuno muore per il proprio peccato. Però c’è una precisione che sarà approfondita nel seguente paragrafo. Dt 24:16 invece descrive una situazione giudiziaria, quello che un giudice dovrebbe fare, non Dio nel suo giudizio.
C’è però un altro principio da considerare, che per noi è molto difficile da comprendere, perché contrario alla nostra cultura. Nelle culture del medio oriente, dove la Bibbia è stata scritta, il principio della solidarietà è scontato. Solo relativamente recentemente nell’Occidente il principio dell’individualismo ha preso il sopravvento. Che sia un principio che Dio usa nel suo modo di trattare le persone è dimostrato da Rom 5:12-19, dove il peccato e la morte sono passati a tutti dal nostro rappresentante Adamo, e la grazia di Dio è passata alle molte persone di cui Gesù Cristo è il rappresentante. Mentre Dt 24:16 proibisce che un tribunale punisca chi è estraneo al peccato di qualcuno, non esclude che il peccato e la colpa possono essere trasmessi da un capo, né che tutti i seguaci del capo (la famiglia, la tribù, la nazione, o altri) sono responsabili per le azioni del capo, sia per bene sia per male. Questo principio spiega due casi difficili. Il primo è la distruzione di tutta la famiglia e i possessi di Acan quando Acan prese dell’interdetto di Gerico (Gios 7). Quando Acan peccò, tutto Israele soffrì (Gios 7:29), perché era come se tutto Israele avesse peccato – infatti il peccato di Acan era chiamato un’infedeltà degli Israeliti (Gios 7:1,11). Quello che Acan fece (come pure quello che noi facciamo) ebbe delle conseguenze sugli altri, sia materiali (la sconfitta dell’esercito) sia spirituali (il popolo non era più santo, ma interdetto) (Gios 7:12). In realtà, tutto il popolo andava distrutto, ma Dio nella sua grazia limitò la distruzione alla famiglia di Acan. Il secondo è la morte di sette nipoti di Saul per un peccato di Saul contro i Gabaoniti (2Sam 21:1-9) quando cercò di farli perire nonostante il patto di pace (Gios 9:3-15). Questa infedeltà al patto richiedeva una punizione, un debito di sangue (2Sam 21:1). Ma Saul era già morto, e il debito di sangue andava ancora pagato – per questo motivo Dio aveva mandato una carestia nel paese (perché in questo senso le conseguenze del peccato di Saul, in quanto capo di Israele, estendevano su tutta la nazione). Il debito di sangue poteva però essere ancora pagato, perché era stato trasmesso ai figli di Saul (perché in questo senso il debito creato da Saul, in quanto capofamiglia, estendeva su tutta la famiglia). I figli non ereditarono il peccato di Saul, né furono puniti per il suo peccato, ma pagarono il debito di Saul verso i Gabaoniti (con la morte dei loro stessi figli, ovvero i nipoti del defunto Saul, nda)” [124].
In generale, ci può essere un passaggio del peccato, come nel caso del famigerato peccato originale, trasmesso da Adamo istigato da Eva istigata dal serpente, ci può essere un passaggio delle conseguenze del peccato, come nel caso un po’ dubbio di Esodo 20:5-6, ci può essere un passaggio della punizione, come nel caso del peccato di Acan, per cui prima soffre tutto Israele, poi in particolare la famiglia di Acan. Ci può essere poi un passaggio del debito, come il debito di sangue che Saul aveva contratto con i Gabaoniti per averli traditi in maniera meschina: offrendogli la pace con una mano, e la pugnalata mortale alle spalle con l’altra mano.
Ad ogni modo, nel caso qui analizzato, uccidere i profeti, cioè i messaggeri di Dio in persona, non è certo un peccato da quattro soldi. È un po’ come uccidere degli innocenti pieni, oltre che mettere una bella museruola a Dio, manco fosse Hannibal Lecter. Cercare di zittire Dio, privandolo del suo mezzo per comunicare con gli uomini – seguendo la formula consolidata “gesta Dei per homines” – non può mai concludersi con qualcosa di positivo per chi cerca di fare ciò. In questo caso, vista anche la natura del problema ebraico come interna al giudeo, e vista l’immutabilità l’universalità e la costanza del problema ebraico, si può parlare di passaggio del peccato dai padri ai figli, nel senso che com’è vero che i figli appartengono ai loro rispettivi padri, altrettanto vero è che i figli commetteranno gli stessi peccati dei padri. Ma perché eseguire il Modulo Kennedy su tutti i profeti? I profeti sono autori di libri che portano il loro stesso nome, sono fondamentalmente degli scrittori. Se c’è un movente per il quale degli scrittori sono morti ammazzati, o è perché il mandante dell’omicidio non vuole che lo scrittore pubblichi nuove indiscrezioni scottanti, oppure perché il mandante si deve impossessare dell’opera dello scrittore, magari modificandola nelle edizioni successive, relegando nell’oblio la prima edizione, un po’ scomoda per le troppe informazioni scottanti ai danni del mandante. Ora, o gli ebrei, specie i membri del Sinedrio, prevedono il futuro, nel senso che sanno già quello che i profeti stanno per scrivere, o hanno la certezza che i profeti prevedano il futuro e che quindi loro non possano nascondere le loro magagne agli occhi dei profeti, in quanto questi ultimi vedono tali magagne perché è Dio che gliele fa vedere attraverso le visioni, oppure i mandanti degli assassinii dei profeti avevano un interesse a modificare i libri dei profeti, per dare una visione di comodo più consona agli obiettivi che si prefiggevano.
Ad ogni modo, con la frase “e così testimoniate, contro voi stessi, di essere figli degli uccisori dei profeti. Ebbene, colmate la misura dei vostri padri!” Gesù Cristo fonde il materiale con lo spirituale ancora una volta, perché l’aspetto materiale, cioè il sangue dei padri, assassini di profeti, è stato trasmesso ai figli, che già solo svelando la natura omicida dei loro padri (cioè una loro mancanza spirituale) testimoniano contro se stessi, perché hanno rivelato ciò che stanno per fare: uccidere dei profeti.
È interessante notare, inoltre, che questa visione impregnata di antisemitismo biologico, per un periodo relativamente lungo è stata sposata dalla stessa Chiesa Cattolica, pur non comparendo in via ufficiale nelle bolle pontificie sul giudaismo. Stiamo parlando degli statuti sulla purezza del sangue, utilizzati come fonti del diritto interne all’Ordine dei Gesuiti. Attraverso una serie di norme contenute in tali statuti, i gentili Gesuiti erano convinti di poter contenere se non addirittura bloccare del tutto l’infiltrazione dei marrani, o se si preferisce, conversos, all’interno della loro organizzazione. Avevano ragione a preoccuparsi, e probabilmente molti sequestri di bambini ebrei da parte di diversi Papi al fine di battezzarli forzatamente e convertirli, sono serviti come “esperimenti sociali” per verificare proprio questo: se la refrattarietà del popolo ebraico al Cristianesimo non fosse di natura biologica, anziché essere legata ad un retroterra culturale impregnato di giudaismo talmudico, e antecedente ai tentativi di convertire gli ebrei. Infatti, l’autore Robert Aleksander Maryks scrive: “Purity of blood (pureza de sangre) was an obsessive concern that originated in mid-fifteenth-century Spain, based on the biased belief that the unfaithfulness of the “deicide Jews” not only had endured in those who converted to Catholicism but also had been transmitted by blood to their descendants, regardless of their sincerity in professing the Christian faith. Consequently, the Old Christians “of pure blood” considered New Christians impure and morally inadequate to be active members of their communities” [125].
I Gesuiti però non avevano fatto i conti con le innumerevoli tattiche giudaiche, adoperate dagli ebrei con la coerenza di un laser pur di sfuggire alle spade dei loro nemici. Per questo le indagini che i Gesuiti attuavano fino alla quinta generazione, non funzionavano: gli ebrei aggiravano facilmente le manovre dei gentili con l’inseminazione sporca e la dispersione strategica. È importante considerare che i Gesuiti credevano che le caratteristiche salienti degli ebrei si trasmettessero in maniera verticale e pressocché immutata attraverso le generazioni, interpretando questa stessa invettiva antigiudaica universale – cioè il capitolo 23 del Vangelo di Matteo – con la chiave di lettura della natura biologica del problema ebraico.
- Predizione di persecuzioni anticristiane, e martiri cristiani (Mt 23:34)
“altri ne flagellerete nelle vostre sinagoghe e li perseguiterete di città in città”, è così che recita la seconda metà del versetto 34 del capitolo 23 del Vangelo di Matteo. Se la prima parte si riferiva a Pietro e a Cristo, questa parte del versetto 34 ci parla dei cristiani comuni, opportunamente flagellati nelle sinagoghe, con omicidio rituale ebraico finale, e perseguitati di città in città, com’è sempre stato. Abbiamo ampiamente parlato della persecuzione dei cristiani ortodossi in Unione Sovietica da parte dei giudeo-bolscevichi, accennando al sistema dei gulag nel quale gli ebrei hanno ucciso milioni di persone, specie alle isole Solovki e nella regione di Kolyma, senza parlare dei campi per la costruzione del canale tra il Mar Bianco e il Mar Baltico. E quando gli ebrei vi dicono che da questo o quel campo di concentramento nazista “tornarono vivi soltanto alcuni” voi rispondetegli apertamente che gli ebrei al dominio assoluto dell’NKVD, dalle isole artiche di Novaya Zemlya non hanno fatto tornare proprio nessuno vivo! [126].
Ma le persecuzioni contro i cristiani si sono verificate anche nella Vandea in Francia (crimini poi proiettati dagli ebrei sui nazisti nel Modulo Kennedy di massa noto come processo di Norimberga), durante il periodo della Rivoluzione Francese, al punto tale che secondo Don Ennio Innocenti “l’accanimento anticristiano degli anni roventi di quella rivoluzione è inspiegabile con ragioni sociologiche: solo una “religione” di segno opposto a quella delle cattedrali cristiane può suggerire motivazioni se non adeguate almeno di qualche credito” [127]. Senza contare i motivi per i quali oggi come ieri Giovanni Calvino viene etichettato come una cellula fantasma (un crittoebreo) in quanto dovunque il Calvinismo prese il sopravvento, “anche nella Francia rinascimentale, si verificarono cacce ai preti cattolici che venivano martirizzati gettandoli in precipizi, saccheggi di chiese e cattedrali, profanazione di tombe e di ostie consacrate che venivano calpestate e date in pasto ai cavalli, stupri di monache e massacri di religiosi inermi, bollitura nell’olio bollente o sventramento o strappo della lingua per chiunque non aderisse alla chiesa riformata” (queste ultime due torture erano guarda caso tipiche anche dei giudeo-bolscevichi) [128]. Poi c’è la questione della macellazione dei Cristeros messicani, una delizia che gli ebrei, inebriati dal sangue cristiano e dal loro protagonismo omicida di massa, non possono essersi lasciati scappare. Innocenti sintetizza così questa tragedia: “La costituzione liberale messicana del 1917 aveva una forte connotazione anticristiana. La costituzione proibisce l’insegnamento religioso, toglie alla Chiesa tutti i beni, limita l’esercizio del ministero sacerdotale, definisce regione per regione il numero dei sacerdoti che possono officiare, obbliga i sacerdoti al servizio militare, ecc. nel 1919 vengono esiliati in USA ben 11 vescovi, 2 a Cuba, altri in europa. Centinaia di sacerdoti e religiosi vengono espulsi dal paese, chiuse migliaia di scuole cattoliche, compresi seminari e conventi. Una serie di dittatori si susseguono. Venustiano Carranza, adotta una specie di comunismo giacobino ed è sostenuto finanziariamente dalla massoneria e dal protestantesimo statunitense dato che il governo nord-americano aveva sentito odore di petrolio, appena scoperto. Siamo nell’epoca dei Pancho Villa e dei Zapata. Segue Alvaro Obregòn, massone, che non cambia la politica giacobina anticattolica ed anzi l’accentua. Tutta la classe dirigente è massonica e persegue con decisione la scristianizzazione della nazione. Il partito rivoluzionario istituzionalizzato guidato dal generale plutarco Elias Calles, potente fratello 33°, prosegue nella stessa politica. Calles, nato negli Stati Uniti, è un massone dichiarato. Per sua ammissione ha la Chiesa Cattolica quale nemico e si autonomina “nemico personale di Dio”. Calles sale ufficialmente al potere nel 1924 dopo l’assassinio del dittatore generale Alvaro Obregòn. Nel 1925 istituisce una scismatica Chiesa messicana con riti liturgici blasfemi che prevedevano la sostituzione del vino e dell’acqua della consacrazione con il liquore locale “mezquite”. Entusiasta delle idee anticristiane di Calles, arriva in Messico anche Augusto Sandino (1895-1934) a dare manforte alla politica scristianizzatrice. Vi ritornerà nel 1929, sotto la presidenza Portes Gil, per fare una brillante e rapidissima carriera nella massoneria messicana per poi entrare nella sezione locale dell’ EMECU (Escuela Magnético Espiritual de la Comuna Universal) ed aderire a questa setta spiritista tuttora esistente. I cattolici si ribellano e si arriva al 14 giugno 1926 con la promulgazione della “Legge Calles” con la quale la Chiesa viene privata di tutti i suoi diritti, viene ulteriormente ristretta la libertà religiosa e consegnato a laici nominati dai sindaci il possesso delle chiese. I vescovi, appoggiati da Pio XI, decidono di sospendere il culto pubblico in tutto il Messico. Iniziano gli assassinii di religiosi e fedeli e scoppiano le prime rivolte armate (64 nei 5 mesi che vanno dall’agosto al dicembre 1926). Pio XI emana l’enciclica Iniquis afflictisque (18.11.1926), con la quale richiama l’attenzione del mondo sulla terribile situazione del Messico, lamentandosi nel contempo con Mussolini perché la stampa, ma non solo quella italiana, non dà spazio a quanto accade in Messico. La Società delle nazioni e la Croce Rossa Internazionale non si interessarono minimamente di quanto stava accadendo in Messico. Praticamente i cattolici messicani erano abbandonati da tutti e la memoria di quanto avvenne è tutt’ora quasi completamente disattesa. Iniziò così la rivolta dei Cristeros. Nel 1927 sono oltre 25.000 i rivoltosi armati, tra di loro anche una ventina di sacerdoti. Nel 1926 mons. Curley, arcivescovo di Baltimora, ebbe ad affermare: «Carranza e Obregòn hanno regnato sul Messico grazie all’appoggio di Washington. Le mitragliatrici che hanno aperto il fuoco, qualche settimana fa, contro il clero e i fedeli di San Luis Potosì, erano
americane. I fucili utilizzati contro le donne a Città del Messico, per profanare la chiesa della Sacra Famiglia, provenivano dal nostro Paese. Siamo noi, per il tramite del nostro governo, che armiamo gli assassini professionisti di Calles, noi che li sosteniamo, in quest’abominevole piano che egli ha intrapreso di distruggere persino l’idea di Dio nel cuore di milioni di bambini messicani». Molti optarono per la resistenza pacifica ma non per questo furono risparmiati da prigione, uccisioni e terribili torture. Sono moltitudine i veri martiri della fede. All’inizio del 1929 i Cristeros erano sul punto di vincere la partita sotto la guida sapiente e organizzata del generale Enrique Gorostieta y Velarde, un liberale, non cattolico, che aveva abbracciato la causa cristera in nome della libertà religiosa e che, mediante, questa esperienza trovò la via per la fede. I vescovi però, alla vista dello spaventoso numero di morti, consapevoli dell’incontenibile ostilità statunitense, decisero di aprire trattative con il governo, alle quali parteciparono anche emissari del governo degli Stati Uniti e tra essi l’ambasciatore americano in Messico, Dwight Whitney Morrow, finanziere del gruppo bancario ebraico Morgan, che fu il vero mediatore fra le parti. Le trattative si conclusero il 21 giugno 1929. Ma l’illusione durò ben poco: venne, sì, dato il permesso di riaprire le chiese, ma la legislazione antiecclesiatica rimase inalterata e continuarono in sordina le persecuzioni e le uccisioni dei Cristeros che nelle trattative non ebbero nessuna garanzia di salvaguardia. Nel 1931 Pio XI con l’enciclica “Acerba animi” manifestava tutta la sua amara delusione. Nei successivi anni continuarono le vendette governative e centinaia di Cristeros vennero ancora assassinati” [129]. Insomma Massoneria, gruppi finanziari ebraici, mancata copertura mediatica, disinteresse planetario – compreso quello della Società delle Nazioni e della Croce Rossa Internazionale – la puzza del giudaismo nel massacro dei Cristeros si riesce a sentire lontano un miglio. Della persecuzione dei cristiani copti e dei cristiani maroniti si è occupato l’Isis, passato fuori moda con l’emergenza coronavirus. Di questa organizzazione si sa poco o nulla, tranne il fatto che hanno minacciato di attaccare la Palestina, e hanno fatto più stragi di arabi e di cristiani, che non di ebrei. Come si faccia a dire che si tratta di un’organizzazione islamica, non sappiamo dirlo. Dell’Isis si sa inoltre che i suoi principali leader sono dei diversori strategici che in passato erano utilizzati da Vladimir Putin per controllare milizie islamiche da lanciare contro i ceceni. Insomma, anche le persecuzioni di maroniti e copti attuate dall’Isis, puzzano di giudaismo. Si riscontrano tra gli istruttori militari dell’Isis anche alti ufficiali dell’Israeli Defense Force. Su internet c’è abbastanza materiale per capire se l’Isis è o non è una diversione strategica del giudaismo, non ce ne occuperemo in questo articolo.
Nelle immagini soprastanti: a sinistra, una schermata di un titolo del quotidiano israeliano Haaretz, che recita testualmente “Il direttore del Mossad si è recato a Doha, ha esortato il Qatar a continuare il sostegno finanziario di Hamas” [130], a destra, una schermata, che recita: “Gaza – Gruppo affiliato a Daesh rivendica un attacco contro una base di Hamas
di Roberta Papaleo
Un gruppo di militanti jihadisti recentemente emerso nella Striscia di Gaza ha rivendicato la responsabilità di un attacco a colpi di mortaio contro una base appartenente al movimento palestinese Hamas.
In una dichiarazione diffusa su internet, il gruppo, che si fa chiamare Sostenitori di Daesh (ISIS) a Gerusalemme, ha dichiarato di aver sparato colpi di mortaio contro la base usata dal braccio armato del movimento, le Brigate Ezzedine al-Qassam, situata a Khan Kunis a sud della Striscia.
Militanti jihadisti gazawi avevano già promesso la loro fedeltà a Daesh in passato, ma l’organizzazione non ha mai ufficialmente confermato la propria presenza nell’enclave.
(ArabPress, 8 maggio 2015)” [131].
Un altro genocidio di cristiani molto importante è il genocidio degli armeni, anch’essi cristiani d’Oriente. La responsabilità del genocidio degli armeni ricade sul Primo Ministro dell’impero Ottomano dell’epoca, Mustafa Kemal Ataturk (ebreo). Tale primo ministro è stato una cellula fantasma del giudaismo per conversione strategica all’Islam, o in altre parole, si tratta di un dunmeh. Il genocidio degli armeni è avvenuto tra il 1915 e il 1918.
Nella foto soprastante: Mustafa Kemal Ataturk (ebreo), è stato riconosciuto come dunmeh dal rabbino ebreo Joachim Prince nel suo libro “The Secret Jews”. Ataturk è il responsabile del genocidio di oltre un milione di cristiani di origine armena. Ovviamente, nel governo ottomano dell’epoca, lui non era l’unico dunmeh.
La macellazione degli armeni non riesce a trovare una giustificazione sufficiente né con la scusa della “vendetta per le persecuzioni della Chiesa contro gli ebrei”, né con la scusa dell’utilizzo di milizie armene a fini terroristici che lo zar Nicola II avrebbe utilizzato per mettere i bastoni tra le ruote all’Impero Ottomano.
Un’altra persecuzione anticristiana molto famosa è quella attuata dai giudeo-bolscevichi in Spagna, durante i primi anni trenta del Novecento, e continuata puntualmente durante la guerra civile spagnola avvenuta nel periodo che va dal 1936 al 1939. Tratteremo anche questa persecuzione in un’altra sede. Limitiamoci a dire che gli ebrei appendevano i preti cattolici su dei ganci da macellaio, con al collo dei cartelli con su scritto: “Carne di porco in vendita”. Esiste infatti una lettera di combattenti francesi a Franklin Delano Roosevelt che dimostra l’ebraicità e la realtà storica di questa persecuzione:
“Parigi, 20 novembre 1938. Voi non ignorate, signor Presidente, che sedicimila sacerdoti cattolici sono stati uccisi dai rossi in Ispagna. Come sono stati uccisi? Crocifissi e bruciati vivi: ancora sui muri si vedono le tracce. Agganciati ai ganci delle macellerie con il cartello “carne di porco”. “Le monache sono state violate e imprigionate nelle case di tolleranza. Chiunque conservava un segno della religione cristiana è stato fucilato. Le chiese cristiane sono state incendiate, trasformate in scuderie o in lupanari: molte furono distrutte con la dinamite. Gli altari sono stati profanati e le croci capovolte. Che avete detto voi per simili azioni. Che ha detto il mondo? Tutti hanno pensato che trattavasi di episodio banale, come quando in Russia milioni di uomini furono assassinati dai dirigenti ebrei. Si diceva che questa era una strana “esperienza sociale”. Credete signor Presidente, noi in Francia rispettiamo tutte le opinioni; ma abbiamo orrore dell’ipocrisia. L’ipocrisia ci disgusta ovunque e da chiunque manifestata. La giustizia non deve regnare solo per alcuni uomini. Gridare come voi fate, in favore degli ebrei, è una bella cosa: ma a condizione di gridare anche contro tutti i massacri e i delitti che rassomigliano ai peggiori supplizi dei tempi antichi. E soprattutto a condizione di gridare contro la barbarie. Il sol dispiacere nostro è che la Francia accoglie molti ebrei, i quali portano via il pane ai francesi che hanno difeso la Patria con ogni sacrificio durante quattro anni di guerra. Se la grande democrazia, il grande paese della libertà, della giustizia e dell’ umanità, cioè se la vostra America volesse ospitare tutti gli ebrei e specialmente le molte migliaia di ebrei che vivono in Francia, renderebbe un servigio all’umanità e alla Francia stessa. Comunque, noi ex combattenti della Grande Guerra non abbiamo, signor Presidente, alcun desiderio di rifare la guerra per vendicare gli ebrei tedeschi. In nessun caso noi combatteremo” [132]. Luigi Cabrini conclude la nota in cui ha tradotto la lettera così: “Seguono le firme dei combattenti con decorazioni al V. M., mutilazioni e ferite, indirizzi. Vedi “Action Francaise” del 20 nov. 1938″ [133].
A sinistra: Aleksandr Orlov (ebreo), direttore dell’NKVD in Spagna all’epoca della guerra civile spagnola del 1936-39. È il principale responsabile del massacro del clero cattolico in Spagna. Il crittoebreo Stalin lo richiamerà a Mosca ma Orlov capirà che si tratta di una trappola per attuare il Modulo Kennedy su di lui, quindi diserterà e fuggirà in Canada, minacciando i suoi capi precedenti e successivi (rispettivamente di GPU e di NKVD) di rivelare i nomi degli operativi sovietici operanti in Occidente. Alla morte di Stalin pubblicherà un memoriale che elencava i crimini segreti di Stalin perpetrati utilizzando la GPU, poi NKVD. Se n’è anche uscito con la scemenza giudaica che lui e altri barlordi ebrei stavano progettando un colpo di stato per sostituire Stalin perché aveva appreso dagli archivi zaristi che Stalin era un agente dell’Okhrana zarista. Stalin avrebbe “scoperto” il piano e iniziato le purghe, ma ciò è una stupidaggine, metà del giudaismo mondiale era nell’Okhrana zarista prima della Rivoluzione Ebraica del 1917, gli ebrei si conoscevano benissimo tra loro. Orlov è anche coinvolto nel furto di centinaia di milioni di dollari in oro fisico dalle riserve spagnole, un tesoro in buona parte arrivato a Mosca. A destra si può osservare Moses Rosenberg (ebreo), anche noto come Marcel Rosenberg. Ambasciatore sovietico in Spagna all’epoca della guerra civile, è stato anche un funzionario dell’NKVD e ha avuto anche lui un ruolo nel massacro di cristiani in Spagna. Anche Rosenberg ha avuto un ruolo nel furto di oro dalle casse spagnole.
Probabilmente anche tutte le altre “rivoluzioni laiche” hanno visto dei massacri dei cristiani, ma ciò è censurato nei programmi di studio dello yeshiva per gentili. A queste persecuzioni di cristiani si devono aggiungere quelle che attualmente avvengono nello stesso stato di Israele, dove gli ortodossi sputano in faccia ai cristiani e compiono atti vandalici verso i loro luoghi di culto. È interessante notare che i libri più bruciati in Israele…sono i Vangeli! Potremmo anche parlare delle persecuzioni anticristiane effettuate dai nazisti nel Terzo Reich: quanti sono i nazisti kosher, i crittoebrei nazisti che sicuramente vi hanno partecipato? E che dire di quando i mujaideen di tredici paesi islamici sono andati in pellegrinaggio in Bosnia, a macellare cristiani ortodossi serbi, crocifiggendoli e torturandoli? Siamo sicuri che anche lì, qualche ebreo dunmeh è andato a fare il birbante in mezzo ai fanatici islamici massacrando cristiani per sport, dopotutto la guerra in Bosnia è stata forse l’unica guerra in cui Hollyjews e Pallywood sono andate a braccetto, d’amore e d’accordo.
Altre persecuzioni invece risalgono ai tempi dell’impero Romano. I primissimi cristiani contemporanei di Paolo l’Apostolo ne sono stati testimoni, ma le persecuzioni continuano anche nei secoli successivi, e la rivista mensile “Il Timone”, ne fa una intelligente rassegna. “Gesù aveva detto: «Quando poi vedrete Gerusalemme circondata da eserciti, sappiate allora che la sua desolazione è vicina. Allora coloro che sono in Giudea fuggano ai monti, quelli che sono nella città si allontanino…» (Lc 21,20-21). Così fecero i seguaci di Gesù nel 70, in gran parte giudei divenuti cristiani, dissociandosi dalla sanguinosa rivolta antiromana. I cristiani non parteciparono nemmeno alla rivolta del 132-135 capitanata da Bar Kochba, anzi pagarono caramente.
Alcuni decenni dopo, Giustino di Nablus scriveva: «I Giudei ci considerano loro nemici e loro avversari. Come voi, anch’essi ci perseguitano e ci mettono a morte quando possono farlo […]. Ne potete avere le prove. Nell’ultima guerra di Giudea, Bar Kochba, il capo della rivolta, faceva subire ai soli cristiani gli stessi supplizi se non rinnegavano Cristo» (Apologia 1, 31,6). Eusebio aggiunge: «se non lo bestemmiassero» (Storia Ecclesiastica IV,8). Alcuni ritornarono da Pella, in Transgiordania, ove si erano rifugiati e si stabilirono, secondo la testimonianza di Epifanio nel Trattato dei pesi e delle misure, attorno alla “piccola chiesa” del Sion, nella parte meridionale di Gerusalemme.
La rottura tra cristianesimo e giudaismo si consumò a Yamnia, centro a sud di Jaffa, dove i rabbi farisei presero in mano le redini della nazione, per ridare fiducia ai sopravvissuti al massacro compiuto dai romani e alle deportazioni, prendendo decisioni ardue al fine di riorganizzare la comunità ormai priva del Tempio e delle autorità sacerdotali e nazionali. Si confrontarono posizioni moderate e conciliazioniste, come quelle di rabbi Johanan ben Zakkai e Rabbi Joshua ben Hananyah, e posizioni dure e intransigenti, come quelle di Rabbi Eliezer ben Hircanos e di rabbi Gamaliel. Queste ultime, maggioritarie, prevalsero al momento di definire e approvare le cosiddette 18 Decisioni vincolanti per la comunità, e di passare alla stesura delle 18 Benedizioni, con l’aggiunta di quella dei Minim, ossia gli apostati – invero una maledizione (Birkat-haMinim) – inclusiva dei giudeo-cristiani” [134]. “La Birkat-haMinim finì per sancire la rottura tra l’ebraismo farisaico rappresentato dai Sapienti e la Chiesa Madre di Gerusalemme: sia gli uni che gli altri, infatti, la considerarono una vera e propria scomunica. Il testo, conservato nella ghenizah del Cairo (luogo della sinagoga dove si conservano i libri sacri) recita: «Che gli apostati non abbiano speranza e che il regno dell’insolenza sia sradicato ai nostri giorni. Che i Nozrim (i nazareni) e i Minim spariscano in un batter d’occhio. Che siano rimossi dal libro dei viventi e non siano scritti tra i giusti. Signore che abbassi gli orgogliosi». Con tale scomunica vennero così colpite tre categorie: i Giudei collaborazionisti del vincitore romano, l’impero romano in quanto tale e i Giudei seguaci di Gesù. Veniva sancita la rottura definitiva tra la Sinagoga e la Chiesa nascente. Tale posizione causò la caccia al giudeo divenuto cristiano. Al punto che l’imperatore Costantino nel 315 promulgava alcune leggi, come quella indirizzata ai capi giudei, in cui proibiva di molestare quanti avevano abbracciato la nuova religione, ribadendo la legislazione precedente che proibiva agli incirconcisi di diventare ebrei, insieme all’abolizione del supplizio della croce, del crurifragio – lo spezzar le gambe ai condannati a morte – e del marchio a fuoco sulla fronte degli schiavi. Nel 329, il 18 ottobre, l’imperatore promulgava una legge per proteggere i convertiti dal giudaismo, condannando a morte i Giudei che avessero lapidato chiunque «era fuggito dalla setta omicida e aveva rivolto gli occhi al culto di Dio (diventato cristiano)». Viene alla memoria il protomartire Stefano, ucciso tre secoli prima dagli ebrei ellenisti.
(La Birkat-haMinim, citando sia Nozrim che Minim, conferisce un contesto profondamente anticristiano in generale, infatti è impossibile che non si riferisca anche ai gentili cristiani, oltre che ai già citati giudeo-cristiani nda)
Ancora il 21 ottobre del 335, Costantino decretava la punizione per i Giudei che avessero perseguitato un ebreo convertito al cristianesimo. Anche Valentiniano III e Teodosio II l’8 aprile 426 emanarono una legge con cui proibivano alle famiglie giudee e samaritane di diseredare i loro membri convertiti al cristianesimo. Al tempo dell’imperatore Focas, gli Ebrei o almeno i più fanatici tra loro non perdevano occasione per ripagare autorità e popolazione cristiana con ogni genere di offese, come descrive Giacobbe, un convertito dal giudaismo: «Io odiavo la legge dei cristiani e il ricordo di Cristo, e non volevo udire la profezia di profeti che avevano profetizzato a riguardo di lui; ma restavo a macchinare contro i cristiani in ogni sorta di mali e li oltraggiavo enormemente» (Sargis d’Aberga 63)” [135]. Interessante è sia la somiglianza linguistica tra il termine nokhrim (“stranieri”) e il termine nozrim, sia la traduzione “Cristiani” per il termine Nozrim, fornita sia da Wikipedia (la voce dei sionisti su internet), sia dalla rivista Christian History Institute. Quest’ultima si esprime in questo modo sui Nozrim: “Missionaries and communities of Hebrew Christians in Israel noted in the mid-twentieth century that for Israeli Jews, the term Nozrim (Hebrew for Christians) meant an alien, if not hostile, religion. In contrast, Meshichiyim, meaning Messianists, held an aura of hope, emphasizing the Messianic element of the faith. Especially among themselves many Messianic Jews identified as Maaminim, “Believers” (in Jesus). In recent years many have preferred the more inclusive “Jewish Believers in Jesus,” which includes all Jews who accept the Christian faith and remain connected to their Jewish roots, regardless of their communal affiliation.
The term “Messianic Jew” resurfaced in America in the early 1970s; a vigorous and assertive movement formed out of American Jews who had accepted Jesus as their Savior. Members of the Baby Boomer generation filled these new communities; as in other forms of Boomer religion, Messianic Judaism sought to put together elements that previous generations had considered to be in contrast to each other” [136]. In questo modo, gli ebrei, utilizzano una delle loro tattiche giudaiche preferite: RIPROPORRE MENZOGNE VECCHIE. Nella loro ipocrisia giudaica continuano a recensire libri antisemiti su Amazon dicendo che gli autori di tali libri ripropongono menzogne vecchie già smontate, quando loro sono i primi a riproporle. In altre parole, il movimento “Jewish Believers in Jesus” è la riproposizione di un’eresia vecchia già affrontata dalla Chiesa Cattolica: l’ebionismo, che nel primo secolo si chiamava eresia dei giudaizzanti, debellata nel concilio di Gerusalemme. L’autentica iniquità dell’eresia dei giudaizzanti, sta proprio nelle sue varianti, come quella comparsa a Novgorod migliaia di anni dopo ad opera dell’ebreo Skharia. Quanto a Wikipedia, assegna al termine “Nozrim” lo stesso significato assegnato dalla rivista cristiana sopra menzionata, cioè “Cristiani”. https://en.wikipedia.org/wiki/Hebrew_Christian_movement#Early_congregations In entrambi i casi vediamo che sono gli stessi ebrei a fornire il termine “Cristiani” come traduzione del termine “Nozrim”. In conseguenza di ciò, oltre che della definizione di Minim fornita dall’Enciclopedia Giudaica, possiamo concludere senza timore di smentita che la maledizione Birkat-haMinim è indirizzata verso i cristiani in generale, siano essi ebrei oppure dei gentili. Queste sette di ebrei messianici, hanno utilizzato il termine meschichyim non per la fuffa che dicono loro, ma perché sanno che il termine Nozrim, oltre a significare “cristiani”, non gli si addice perché è indicativo dei non ebrei, a sottolineare ancora di più il loro atteggiamento talmudico e simulatore, perché se fossero stati dei veri cristiani genuinamente convertiti, sarebbero andati fieri di farsi chiamare Nozrim. Peccato che le “connotazioni negative” alle quali si riferiscono, per quanto riguarda la parola “Nozrim”, sono presenti nella letteratura rabbinica, quindi soprattutto nel Talmud Babilonese. È interessante notare anche che questi ebrei messianici si sono talvolta identificati come “Maaminim” quando il termine “Minim” oltre ad avere molte connotazioni negative nel Talmud Babilonese, secondo l’Enciclopedia Giudaica indica gli eretici, con particolare riferimento ai giudeo-cristiani. Si vede che per gli ebrei messianici è meglio essere chiamati eretici simulatori giudeo-cristiani che sporchi gentili cristiani, cioè Nozrim. L’Enciclopedia Giudaica ha inoltre fornito come traduzione di “Nozeri”, “Cristiano”, e “Nozeri” è il singolare di “Noz(e)rim”]. In altre parole, gli ebrei “messianici” sono dei marrani, dei simulatori. Fingono di credere nella divinità di Gesù. Quindi sono assimilabili agli eretici noti come ebioniti o giudaizzanti. Tale eresia, è ricomparsa, secondo lo storico musulmano Muhammad al-Shahrastani, anche nel XII secolo in Arabia Saudita, sempre ad opera di ebrei che seguivano la legge veterotestamentaria e credevano che Gesù fosse un profeta senza attributi divini. Una teoria affascinante è quella che vuole gli ebioniti/giudaizzanti all’origine del Corano e dell’Islam: un gruppo di crittoebrei ebioniti avrebbe forgiato la figura di Cristo nell’Islam, dato la fama di assassini di profeti agli ebrei e avrebbe inserito nel Corano la gnosi spuria e i deliri talmudici tipici degli ebrei, aggiungendo un po’ di gematria e varie simmetrie e easter eggs di tipo matematico, per dare una parvenza di ispirazione divina al Corano. È anche plausibile che i cugini semiti degli ebrei, gli arabi appunto, abbiano semplicemente avuto degli intellettuali ebrei come “Agenti Esther”, suggeritori che hanno iniettato il giudaismo nell’Islam alla stessa nascita e formazione di quest’ultimo. Secondo questa teoria, l’intero mondo islamico sarebbe vittima di un’ampia operazione di sovversione ideologica giudaica poiché dei crittoebrei sarebbero i fondatori di questa religione abramitica. Inoltre i deliri talmudici inseriti dagli ebioniti nel Corano – come ad esempio le spose bambine e l’apologia della pedofilia – sarebbero la prova della loro natura simulatrice, altro che seguaci del Vecchio Testamento. In questo secolo, in Israele, è avvenuta la ricomparsa più recente dell’eresia dei giudaizzanti, il cui principale fautore è stato l’ebreo talmudico simulatore e cabalistico Simcha Jacobovici, in quella che abbiamo ribattezzato la “simulazione giudaica di Talpiot”, una simulazione giudaica demagnetizzante la figura di Gesù Cristo e ripropositrice dell’eresia dei giudaizzanti, attraverso la novità dell’utilizzo, da parte degli israeliani, di strumenti di “sovversione archeologica”. Tale riproposizione di questa eresia vecchia ha forse dato filo da torcere per un po’ alla stessa Santa Sede. Ma non ne parleremo qui. Un esempio importante di “ebraismo messianico”, è sicuramente la cantautrice Elihana Elia (ebrea), che canta di Yeshua e di Yahweh, ma ottimo materiale di studio per il professore Paul Ekmann sarebbe il video-messaggio di Elihana alle Nazioni Unite, rinvenibile sul suo canale Youtube. Non siamo degli esperti di microespressioni facciali ma, ad occhio e croce riusciamo a vedere in Elihana tutto il suo odio feroce e talmudico, verso gli arabi e le Nazioni Unite, un’organizzazione inutile e impotente, che gli ebrei odiano con tutte le loro forze, perché sanno che non potranno mai controllarla completamente, almeno non nel mondo delle fonti aperte, cioè il mondo moderno. Meglio non parlare poi degli sproloqui di Elihana sull'”Olocausto”.
Le persecuzioni di Giustino Martire e in generale dei cristiani del secondo secolo dopo Cristo da parte dei Romani, invalidano da sole le tesi dell’ebreo Abelard Reuchlin e dei vari rabbini, tra cui Tovia Singer, in quanto non ci poteva essere nessun vantaggio per i Romani nel perseguitare gli aderenti ad una religione antisemita, nell’ambito di una guerra non ortodossa al giudaismo. Se è vero che i Vangeli sono dei falsi storici scritti dai Romani, al fine di unificare l’Impero e convertire gli stessi ebrei per raffreddare i loro bollenti spiriti da Apocalittica Giudaica, allora perché i Romani sono stati i primi a perseguitare i seguaci di questa nuova religione? Quale sarebbe il vantaggio del rendere l’antisemitismo (neotestamentario) un crimine che non paga mai? Del processo a Giustino Martire, esiste ancora il verbale, a quanto afferma Wikipedia:
https://it.wikipedia.org/wiki/Giustino_(filosofo)#Biografia
La religione cristiana è nata in seno al giudaismo, nella provincia romana di Giudea, identificabile in buona parte con l’odierna Palestina, e non c’è più nessun rabbino capace di convincerci del contrario. I primi tre secoli del cristianesimo sono stati colmi del sangue dei martiri, perché i cristiani venivano perseguitati dai Romani, visti con sospetto dagli altri pagani, e letteralmente sterminati dagli ebrei.
Per quanto riguarda il vandalismo in Israele, possiamo limitarci a una notizia del Jerusalem Post:
“The capital’s Dormition Abbey compound of the Orthodox Church of Jerusalem, located near Zion Gate outside the Old City, was vandalized early Sunday morning by alleged Jewish extremists for the second time in nearly a year.
The Benedictine monastery, on Mount Zion, is near a site where many Christians believe Jesus held the Last Supper, as well as a tomb revered as the resting place of the biblical King David, which draws many Jewish worshipers.
The words “Christians to Hell,” “Death to the heathen Christians the enemies of Israel,” and “May his name be obliterated,” accompanied by a Star of David, were crudely scrawled in red ink on a wall in the compound.
Police spokesman Micky Rosenfeld said a forensics team was sent to analyze the writing, and an investigation into the hate crime has been opened, although no arrests have been made” [137]. “May his name be obliterated” è la prova che gli ebrei ortodossi sono i primi ad interpretare l’epressione Jeshu – contenuta nel Talmud – come l’acronimo di una maledizione ebraica che significa “Possa il suo nome essere cancellato per sempre”. Hanno fornito loro stessi l’interpretazione della parola Jeshu. Con il loro modo di esprimersi gli ebrei ortodossi testimoniano contro se stessi, e colmano la misura dei loro padri, che versarono il sangue di Cristo. Tutto questo succede mentre gli ebrei – in particolare i sefarditi sul Corriere dei Sefarditi – prendono in giro l’intelligenza dei gentili. Infatti, in occasione di una prima traduzione italiana “integrale” del Talmud, hanno fatto le seguenti dichiarazioni: “Nella storia dei rapporti tra cristiani ed ebrei, il Talmud è stato motivo di dispute feroci. Che spesso si concludevano con il rogo pubblico del testo sacro (il primo nel 1244) o con il sequestro dei volumi trovati nei Ghetti. Questo perché frasi estrapolate dal contesto portavano ad accuse di «perfidia» e «blasfemia». Addirittura, siccome in alcuni brani sparsi qua e là («che messi insieme in totale non fanno più di 2 o 3 fogli, un millesimo dell’intera opera», spiega rav Di Segni), si parla di un certo «Yeshu» (Gesù) e di una certa «Miriam» (Maria) — con riferimenti molto dubbi ai personaggi del Vangelo —, nei secoli il Talmud ha subito censure e autocensure, e dunque le edizioni classiche sono state «espurgate» dei delicati riferimenti” [138].
Il rabbino Di Segni, nella sua superficialità giudaica, vorrebbe farci credere che gli ebrei ortodossi che imbrattano le Chiese dei cristiani in Israele come riportato dal Jerusalem Post, abbiano mal interpretato la definizione del termine “Yeshu” nel Talmud. Il problema è, rabbino Di Segni, quali rabbini hanno insegnato loro questa “interpretazione”, per portarli a tali atti di vandalismo? E soprattutto, in quali e quanti Yeshiva si insegna questa “interpretazione”?
Un’altra persecuzione anticristiana effettuata dagli ebrei, di cui ci preme parlare, avviene in un territorio non controllato dalla Chiesa di Roma, dove gli ebrei non hanno “giustificazioni legate alla vendetta”. Stiamo parlando del massacro dei cristiani in Yemen, nel sesto secolo dopo Cristo:
“In 500 AD, the inhabitants of Najran in southern Arabia converted to Christianity, but in 522 the Jewish Himyarite king of Yemen began the persecution of Christians, who asked for the Ethiopian assistance. With the Himyarite defeat of the Ethiopians in 523 the Najran Christians were massacred. Najran had been the first place in South Arabia where Christianity was established, and had a large community with the seat of a Bishopric. The Jewish King of Yemen, Yusuf As’ar Dhu Nuwas, aimed to create a “Davidic”
kingdom, but Christian Najran was an important trade route in the way. When the Najran Christians refused to abandon their faith 20,000 were said to have been burned alive, or beheaded and their bodies thrown into flaming pits. A document by Bishop Simeon of Beth Arsham on the Najran holocaust records that a Najran noblewoman named Ruhm brought her daughter before Dhu Nuwas and defiantly stated: “Cut off our heads, so that we may go join our brothers and my daughter’s father.” The daughter and a granddaughter were decapitated and Ruhm was forced to drink the blood. King Dhu Nuwas then asked, “How does your daughter’s blood taste to you?” to which Ruhm replied: “Like a pure spotless offering: that is what it tasted like in my mouth and in my soul”” [139].
Sopra: una raffigurazione di Dhu Nuwas (ebreo), anche noto come Yusuf Asar Yathar, re dello Yemen dal 515 al 525 dopo Cristo. È stato un sadico e un massacratore di cristiani, come molti ebrei in tutte le epoche e nazioni dopo la nascita del cristianesimo. L’Enciclopedia Giudaica del 1906 insiste che Dhu Nuwas non fosse ebreo, ma ci sono fonti siriache che affermano il contrario, e poi la violenza con la quale ha perseguitato i cristiani…non lascia alcun dubbio sulle sue origini etniche, siamo sicuri che nella letteratura araba e in iscrizioni sopravvissute fino a noi e risalenti al periodo in cui è vissuto, si potrebbero ritrovare notevoli marcatori di ebraicità.
Concludiamo dunque la nostra carrellata di persecuzioni da parte degli ebrei – a dimostrazione del loro anticristianesimo di origine biologica – con il genocidio di cristiani avvenuto a Mamilla. La casa editrice Effedieffe, sul suo sito internet, ne fa un breve resoconto:
“Mamilla era – è – un vasto serbatoio a forma di piscina rettangolare lunga 300 metri; fino a poco tempo fa era ancora visibile appena fuori delle mura di Gerusalemme, a 700 metri dalla porta di Jaffa. Era un serbatoio romano per dare acqua alla città santa, ampliato, si dice, dal procuratore Ponzio Pilato. Era ancora in funzione nel 614 dopo Cristo, quando le sue acque divennero rosse di sangue cristiano. All’epoca, Gerusalemme era diventata integralmente cristiana, fioriva sotto l’impero di Bisanzio. […] Le mura di Gerusalemme ancora sussistono. Ma non difesero la città quando l’esercito sassanide, nel quadro della guerra bizantino-persiana (602-628), dopo aver conquistato d’impeto Cesarea Marittima, capitale amministrativa della provincia, la strinsero d’assedio. In soli venti giorni i persiani sfondarono la resistenza e vi affluirono in massa, le armi in pugno. Il motivo era facile da capire: s’erano uniti ai conquistatori gli ebrei, che di Gerusalemme conoscevano tutti gli angoli, e le segrete debolezze difensive. La storia riporta i nomi di due maggiorenti della comunità talmudica che s’era stabilita a Tiberiade, Nehemia Ben Hshiel e Benjamin di Tiberiade: quest’ultimo, che i cronisti dicono «uomo di immensa ricchezza», armò di tasca sua ventimila ebrei della Galilea desiderosi di vendetta, li rafforzò con una banda di mercenari arabi stipendiati. Investita da forze tanto schiaccianti, la guarnigione di Bisanzio si arrese quasi senza combattere. …[…]… lo scià, di nome Sharbaraz, nominò governatore il sopra citato Nehemia ben Hushiel, il maggiorente ebraico. Immediatamente intraprese le opere preliminari per la ricostruzione del Tempio; Benjamin di Tiberiade, al suo fianco, prese a compulsare le genealogie per selezionare una nuova linea genetica di alti sacerdoti. Per loro ordine, le chiese cristiane furono sistematicamente incendiate, diroccate, rase al suolo. Le folle ebraiche parteciparono con zelo alla distruzione; […]…Ma non fu la devastazione il peggior crimine ebraico…[…]… L’orrore ebbe luogo quando i persiani vincitori concentrarono i cristiani superstiti, come prigionieri di guerra, nella cisterna di Mamilla per venderli come schiavi. Allora gli ebrei fecero a gara per comprarli all’asta ad uno ad uno, ed immediatamente sgozzarli di propria mano. «La sete di vendetta del popolo ebraico fu più forte della loro avarizia», ha scritto lo storico britannico di Oxford Henry Hart Milman nella sua “History of the jewish people”: «Non solo non esitarono a sacrificare i loro tesori nella compra di questi prigionieri, ma misero a morte tutti coloro che avevano comprato a ricco prezzo». Il professore di Oxford ritiene che 90 mila cristiani siano stati massacrati, la valutazione più alta dei cronisti dell’epoca. Il testimone oculare, Strategius di San Saba (un monaco dell’omonimo monastero, distrutto in quella tragedia) valuta gli sterminati a 66 mila…[…]…«Il vile popolo giudaico godeva e tripudiava», ha scritto Strategio. «I giudei riscattavano i cristiani dalle mani dei soldati persiani a caro prezzo e poi li sgozzavano con gran diletto a Mamilla, che traboccava di sangue… Come in antico avevano comprato il Signore con argento, così comprarono i cristiani concentrati nella cisterna. Quanti cristiani furono trucidati nella cisterna di Mamilla! Quanti son morti di fame e sete! Quanti monaci e sacerdoti passati a fil di spada… Quante fanciulle, rifiutandosi al loro oltraggio, ricevettero la morte per mano del nemico. E quanti genitori perirono sui corpi dei loro bambini, quante persone furono macellate dai giudei e divennero confessori di Cristo… Chi può contare la moltitudine di cadaveri che furono ammazzati a Gerusalemme?». Furono i persiani a fermare gli ebrei ubriachi di sangue, quando si resero conto delle dimensioni del massacro. Avversari, non erano tuttavia “inimici generis humani”. La religione di Zoroastro ignora i dettami del Deuteronomio, cui gli ebrei hanno sempre obbedito «con diletto» (Strategius) ogni volta che ne hanno avuto il modo: «Tutti i popoli che il Signore tuo Dio ti dà in mano, tu li divorerai, né avrai alcuna pietà di loro» (7,16)…[…]…Alla fine degli anni ’80, il professor Reich ha condotto una campagna di scavi nelle antiche aree cimiteriali attorno a Gerusalemme, luoghi usati nei secoli anche dai musulmani. L’antico monaco Strategio parlava di 35 fosse comuni dove sarebbero stati seppelliti in fretta i corpi cristiani. Reich ha identificato sette di queste inumazioni di massa, tutte immediatamente al difuori delle mura della città antica, e sicuramente datate al periodo del massacro, grazie alla presenza, fra gli ossami, di piccole monete bizantine emesse dall’imperatore Fokas (602-610 d.C).…[…]…La più significativa di queste scoperte è una caverna tagliata nella roccia viva contigua alla cisterna di Mamilla, e 120 metri dalla porta di Giaffa. La caverna artificiale, lunga dodici metri e larga tre, era piena zeppa di ossa umane, molte delle quali fratturate: centinaia di individui vi dovevano essere stati ammucchiati a forza. Tutti molto più giovani rispetto alla media dei seppelliti nei cimiteri consueti, e senza traccia di malattie (il che permise di escludere fossero vittime della peste del 542) e – particolare tremendo – le donne superavano di gran lunga i maschi…[…]…Strategius monaco attesta […]…, nella sua cronaca, che un certo Tomaso e suoi aiutanti «raccolsero in gran fretta e con molto zelo quelli (i corpi) che trovarono, e li tumularono nella grotta di Mamel»…[…]…i bizantini tornarono nella Città nel 628, sgombrarono le macerie e cominciarono la restaurazione dei santuari e delle basiliche. La restaurazione durò poco; nel 638 la debole guarnigione di Bisanzio cedette davanti alla formidabile armata di Omar ben Kattab, compagno del Profeta. Il patriarca Sofronio capitolò ponendo una condizione, che resta agli atti nel documento di resa “Sulha A-Quds”, e che si capisce solo con la viva memoria del massacro sofferto dalla generazione precedente: il patriarca domandava al vincitore di proteggere gli abitanti «dalla ferocia dei giudei». La risposta di Omar è anch’essa rimasta agli atti, nel trattato di resa: «Nel nome di Allah, il clemente misericordioso. Questa è la salvaguardia accordata agli abitanti di Aelia [Aelia Capitolina: usava ancora il nome romano dato a Gerusalemme, ndr] dal servo di Dio Omar, comandante dei credenti. Egli concede la salvaguardia per le loro persone, i loro beni, le loro chiese, le loro croci – siano queste in buono o cattivo stato – e il loro culto. Le loro chiese non saranno destinate ad abitazione, né distrutte; esse e le loro pertinenze non subiranno danno alcuno e sarà lo stesso per le loro croci e i loro beni. Nessuna costrizione sarà attuata contro di essi in materia di religione,. Nessun giudeo sarà autorizzato ad abitare ad Aelia con loro. Gli abitanti di Aelia dovranno versare la jizya (il tributo) come quelli delle altre città…» ” [140].
Inutile dire che gli israeliani appena hanno scoperto la fossa comune di cristiani alla quale si riferiva Strategius si sono affrettati a seppellirla ed edificarci un museo del Centro Simon Wiesenthal.
A sinistra: una mappa che mostra la distribuzione delle sette fosse comuni di cristiani attorno a Gerusalemme, scoperte dall’archeologo israeliano Reich, a destra la grotta di Mamel nella quale il monaco Strategius dice che Tomaso e colleghi hanno tumulato i corpi dei cristiani macellati dagli ebrei.
Soltanto dopo aver elencato tutti questi genocidi di cristiani, si può capire davvero il significato di Matteo 23:34. “Perciò ecco, io vi mando profeti, sapienti e scribi; di questi alcuni ne ucciderete e crocifiggerete, altri ne flagellerete nelle vostre sinagoghe e li perseguiterete di città in città“. Ci siamo convinti che l’espressione “li perseguiterete di città in città” si riferisca proprio a questo tipo di persecuzioni anticristiane, puntualmente predette da Gesù Cristo.
- Protagonismo omicida giudaico: tendenza degli ebrei a compiere tutti gli omicidi politici. Modulo Kennedy sul profeta Zaccaria (Mt 23:35)
Questo punto è stato dimostrato da più parti in questo blog, e le conferme del protagonismo omicida ebraico le ritroveremo mano a mano che continueremo ad accusare gli ebrei di commettere sempre più omicidi politici. Possiamo aggiungere che, in taluni casi, sembra che si disinteressino addirittura del rapporto tra vantaggi e rischi nel commettere un omicidio politico, come se volessero semplicemente aumentare la confusione intorno a loro, oppure accreditare nelle loro biografie nascoste ai gentili, l’omicidio di personaggi politici di spicco o l’esecuzione di stragi efferate. È difficile ritenere che, da un punto di vista ebraico, tutti gli omicidi politici che hanno commesso fossero inderogabili e fondamentali per l’avanzamento socio-economico di questo popolo, sia che tale avanzamento fosse fine a se stesso o destinato ad accelerare la venuta del Messia Talmudico.
- Dichiarazione di universalità della questione giudaica e dell’invettiva stessa. Gesù predice il suo omicidio da parte degli ebrei (Mt 23:36)
“In verità vi dico: tutte queste cose ricadranno su questa generazione”. Questo è ciò che dice Gesù verso il finale della sua invettiva antifarisaica. L’espressione “ricadranno su questa generazione”, significa, in senso letterale, che tutte le immoralità e l’essenza del fariseismo entreranno a far parte degli ebrei del I secolo d. C., un’intera generazione, quella in cui ha vissuto Gesù, avrà la stessa bassezza morale dei farisei, e dimostrerà tale bassezza commettendo bassezze, comportandosi esattamente come i farisei. Quindi gli ebrei che ascoltavano Cristo, avrebbero avuto le stesse parole, pensieri, e atteggiamenti dei farisei. Ovvio dire che, se un’intera generazione si comporta allo stesso modo, è verosimile che la generazione successiva si comporti in maniera simile, se non addirittura peggio. Quello che Gesù vuole dire in questo passo biblico, è che dopo la sua morte gli ebrei sarebbero diventati tutti quanti dei farisei con le stesse caratteristiche di questi ultimi. Per questo, in tutte le epoche e nazioni, possiamo vedere il modulo kennedy, la proiezione giudaica, il filantropismo simulato, la vanità giudaica, l’indolenza giudaica e tutti gli altri marcatori descritti precedentemente: Cristo è il fautore di un antisemitismo biologico, e afferma che la questione giudaica o problema ebraico, è universale, e le caratteristiche salienti del popolo ebraico, come se fossero insite nel genoma dello stesso, si trasmettono da una generazione all’altra, praticamente inalterate. In particolare, col termine “ricadranno”, Gesù dà ad intendere che gli ebrei non sono ancora spiritualmente/materialmente (spirituale e materiale, nell’invettiva si intrecciano fino a diventare la stessa cosa) dei farisei, ma che lo diventeranno nel caso in cui rifiuteranno Gesù, pur essendo informalmente già dei simulatori con atteggiamenti tipici dei farisei. L’evento che avrebbe poi segnato il marchio a vita del fariseismo sugli ebrei, avverrà sul Golgota, e costituisce la crocifissione di Gesù Cristo. Da un punto di vista cristiano cattolico ciò ha senso perché le profezie materiali di Dio sono sempre state condizionali, e quelle spirituali…anche. Infatti come scrive Padre Louis Marie: “Le promesse di prosperità temporale inviate da Dio al suo popolo sono promesse condizionate: se sarete fedeli, io voi proteggerò e vi benedirò; ma se disubbidite, vi consegnerò ai vostri nemici e vi disperderò. È quasi il riassunto di tutto l’Antico Testamento” [141]. “«È ciò che si è visto sotto i Giudici, da Giosuè fino a Samuele; sotto i re, da Saul fino a Sedecia; sotto i Maccabei, da Mattatia fino a Hircan. Quando erano fedeli, Dio li proteggeva in modo miracoloso; appena cessavano di esserlo, li puniva; e queste punizioni erano sempre proporzionate alla grandezza della loro rivolta: talvolta erano di sette anni, altre volte di dieci o di venti, a seconda dell’enormità dei loro crimini. Ma poiché i loro crimini si protrassero fino ai tempi dell’empio Manasse, la pena che Dio comminò per la cattività fu più lunga di tutte le altre; essa durò settant’anni»” [142]. “Le promesse temporali sono sempre condizionate. E quando la condizione non è esplicita, è sottintesa, come Dio stesso ha indicato, mettendo in guardia contro un’interpretazione troppo assoluta delle sue promesse:
«Talvolta nei riguardi di un popolo o di un regno io decido di sradicare, di abbattere e di distruggere; ma se questo popolo, contro il quale avevo parlato, si converte dalla sua malvagità, io mi pento del male che avevo pensato di fargli. Altra volta nei riguardi di un popolo o di un regno io decido di edificare e di piantare; ma se esso compie ciò che è male ai miei occhi non ascoltando la mia voce, io mi pentirò del bene che avevo promesso di fargli» (Ger 18, 7-10).
Nessuna delle promesse temporali dell’Antico Testamento è dunque assoluta. Ciò che è assoluto, in compenso, per il popolo dell’Alleanza, è il legame tra fedeltà e premio, infedeltà e castigo. Il capitolo ventiseiesimo del Libro del Levitico enumera tutta una serie dei flagelli con cui Dio punirà l’infedeltà, e conclude con la più grave, quella della dispersione:
«Se, nonostante tutto questo, non vorrete darmi ascolto, ma vi opporrete a me, anch’io mi opporrò a voi con furore e vi castigherò sette volte di più per i vostri peccati […]. Quanto a voi, vi disperderò fra le nazioni e vi inseguirò con la spada sguainata; il vostro paese sarà desolato e le vostre città saranno deserte […]. A quelli che fra di voi saranno superstiti infonderò nel cuore costernazione, nel paese dei loro nemici: il fruscio di una foglia agitata li metterà in fuga; fuggiranno come si fugge di fronte alla spada e cadranno senza che alcuno li insegua. Precipiteranno uno sopra l’altro come di fronte alla spada, senza che alcuno li insegua. Non potrete resistere dinanzi ai vostri nemici. Perirete fra le nazioni: il paese dei vostri nemici vi divorerà. Quelli che tra di voi saranno superstiti nei paesi dei loro nemici, si consumeranno a causa delle proprie iniquità; anche a causa delle iniquità dei loro padri periranno» (Lv 26, 27-39)” [143].
“Secondo il rabbino spagnolo Mosé Maimonide (1138-1204), e la maggior parte degli ebrei attuali, questo esilio sarebbe solamente un mezzo per disperdere nel mondo intero la testimonianza ebraica, come un lievito nella pasta; una misteriosa purificazione estrema (ma interminabile) prima dell’avvento del Messia. Ma anche in questa ipotesi, l’esilio dovrebbe essere – innanzi tutto e necessariamente – un castigo, poiché le promesse formali di Dio legano indissolubilmente dispersione e punizione.
Il fatto che la cattività di Babilonia abbia preparato la venuta del Messia diffondendo le profezie non impedisce che essa sia stata soprattutto un castigo per il popolo eletto. Qualunque sia il modo di rivoltare il problema, la domanda rimane sempre la stessa: quale crimine è stato commesso per attirare un simile castigo?” [144].
La risposta a questa domanda, ha provato a darla Padre Vincent-Toussaint Beurier (1715-1782), nel 1778: “«Sono più di diciassette secoli che Dio vi punisce nel modo più rigoroso; occorre dunque che siate più colpevoli di quanto non lo furono i vostri padri, gli stessi che vivevano al tempo di Manasse. Ora, quale può essere il vostro crimine? Non è l’idolatria che Dio rimproverò così spesso ai vostri antenati; avete tutti un lodevole orrore del culto degli idoli. Non è neanche la disubbidienza alla legge che Dio vi aveva imposto di non mescolarvi con le nazioni diverse dalla vostra; in questo campo vi siete spinti più lontano di quanto si possa andare. Quale può essere dunque un crimine più grande dell’idolatria e di tutte le altre abominazioni che si commisero al tempo di Manasse se non la morte che avete inflitto al Messia? Ecco, sono più di diciassette secoli che siete dispersi in tutti i luoghi del mondo, e malgrado ciò continuate ad esistere. Non è forse il compimento letterale della profezia di Davide che dice al Salmo 58: “Non ucciderli, perché il mio popolo non dimentichi, disperdili con la tua potenza” (Sl 58, 12, 1)»?” [145].
Se gli ebrei si fossero convertiti, sarebbero restati nella loro patria, altrimenti sarebbero stati dispersi. In altri termini, gli ebrei del primo secolo d. C., avevano già in buona parte abbracciato il fariseismo, ma sarebbero diventati in massa gli “scribi e farisei ipocriti”, soltanto dopo la Crocifissione. Secondo la tradizione cattolica, il “deicidio” è la premessa necessaria per il successivo degrado morale/spirituale osservato nel giudaismo post-biblico, pur essendo stati gli ebrei bacchettati dalla loro stessa gente, già in tempi molto anteriori, a cominciare da Mosé, come abbiamo già visto, senza parlare dei primi dieci capitoli del libro di Isaia, che sono pieni di astio e di “stizza divina” verso gli ebrei, che vengono considerati i traditori per eccellenza sui quali si deve abbattere lo sdegno divino, che si materializza talvolta con le incursioni dei Babilonesi, tal altre volte con l’attacco ad Israele da parte degli Assiri. Anche se un rotolo completo di Isaia ritrovato a Qumran risale al terzo secolo a. C., si può già vedere negli scritti del famoso profeta il concetto di senso teologico della storia – espresso poi formalmente nel cristianesimo – per cui i piani di Dio si esplicherebbero attraverso le azioni degli uomini, anche malvagi. I profeti maggiori, cioè Isaia, Daniele, Ezechiele e Geremia, hanno provato più di qualunque altro ebreo a dare un senso teologico ai vari esili, alle varie persecuzioni, alle varie guerre e occupazioni affrontate dal popolo ebraico. Per questo affermare che il concetto di “senso teologico della storia” è un concetto nato col cristianesimo, è cosa inesatta; il senso teologico della storia è un concetto espresso già nel giudaismo. Il senso teologico della storia, diventa poi il principio fondante dello storicismo cristiano -formulato da Don Ennio Innocenti in risposta allo storicismo immanentista – il quale dice ““Jesus est rex” e da questa verità parte per descrivere “gesta Dei per homines”; donde se ne trae la convinzione dell’immanenza della Provvidenza sotto la trama di errori e di peccati degli uomini. In questo modo viene recuperato il significato della storia in una dimensione che è di tipo teologico” [146].
Nei versi precedenti Gesù afferma “io vi mando profeti, sapienti e scribi; di questi alcuni ne ucciderete e crocifiggerete, altri ne flagellerete nelle vostre sinagoghe e li perseguiterete di città in città; 35 perché ricada su di voi tutto il sangue innocente versato sopra la terra, dal sangue del giusto Abele fino al sangue di Zaccaria, figlio di Barachìa, che avete ucciso tra il santuario e l’altare”. Questi due versetti, parte del 34 e tutto il versetto 35, vogliono dimostrare che gli omicidi compiuti dagli ebrei durante gli eventi ascrivibili al Vecchio Testamento, sono in continuità ideologica con le persecuzioni anticristiane profetizzate da Cristo: in altre parole, così come si è sempre detto che il Nuovo Testamento serve a spiegare ed espandere quello Vecchio, il modus operandi degli ebrei nel Nuovo Testamento, conferisce una spiegazione “retroattiva” degli omicidi commessi dagli ebrei nel periodo del Vecchio Testamento. Per Gesù, il rifiuto del Nuovo Testamento da parte degli ebrei costituisce la cartina di tornasole per dimostrare il loro disprezzo verso il Vecchio Testamento e i profeti, nonché il fatto che gli ebrei sono incapaci di cambiare. In questi passi Gesù fa una profezia autoreferenziale e al contempo afferma che il Nuovo Testamento si realizza con lui. L’espressione “di questi alcuni ne ucciderete e crocifiggerete” è chiaramente un riferimento di Gesù a se stesso e all’apostolo Pietro. Tra quelli che gli ebrei uccideranno e crocifiggeranno, ci sono profeti e sapienti, e indubbiamente, per i marcatori d’ebraicità presenti in questa invettiva e riscontrabili universalmente nella storia, Gesù Cristo era sia un profeta che un sapiente. Con l’espressione “io vi mando”, Gesù esprime anche il dogma cristiano della Trinità: “Io, il Padre, vi mando me, mio Figlio, un sapiente e un profeta che voi ucciderete e crocifiggerete”. Gesù parla in riferimento a se stesso quando prevede la sua crocifissione, ma in più parti del Vangelo afferma di essere mandato dal Padre in mezzo agli ebrei, per compiere il Nuovo Testamento. Alla luce del fatto che dice di essere mandato, anziché venire per conto suo, l‘espressione “io vi mando”, e l’autoreferenzialità legata alla crocifissione, possono essere conciliate solo affermando che il Padre e il Figlio sono una cosa sola pur essendo due cose diverse. La cosa che più si avvicina a spiegare questo concetto, è stata trasposta nel cartone animato Dragon Ball, in riferimento al namecciano Junior, ma è un paragone un po’ improprio perché lì si parla di reincarnazione di Al-Satan (il padre), nel corpo di Junior (il Figlio). Qui invece il Padre non si reincarna nel figlio, il Padre ha generato il Figlio e il Figlio è anche il Padre pur essendo i due entità separate. Diciamo che nel periodo “io vi mando profeti, sapienti e scribi; di questi alcuni ne ucciderete e crocifiggerete”, la prima proposizione può essere considerata come pronunciata dal Padre, la seconda invece è pronunciata dal Figlio, un po’ come si sente a tratti la voce di Al-Satan a tratti quella di Junior, uscire entrambe dalla bocca di Junior, in alcuni episodi di Dragon Ball. Questa nostra teorizzazione per cercare di spiegare anzitutto a noi stessi il dogma trinitario, però, potrebbe essere considerata da alcuni come una forma di quasi-patrissianesimo. Allo stato attuale, non abbiamo la preparazione teologica necessaria per capire se questo nostro modo di vedere il dogma trinitario cristiano, è eretico oppure no. Ma questa è un’altra storia. Ad ogni modo, la genesi e il ruolo di Al-Satan*** nel cartone animato Dragon Ball, nonché il nome stesso “Al-Satan” rappresentano nel loro complesso un easter egg giudaico con un significato preciso: manifestare l’identità dei creatori dello gnosticismo. Di più, questo semplice easter egg giudaico fa capire che non solo gli ebrei comprendono dal punto di vista razionale il dogma tridentino cristiano, ma sono in grado di esprimerlo, quando vogliono, in maniera più rigorosa di come lo esprimono i non ebrei.
Non sappiamo qual’è il termine esatto nelle versioni più antiche del Nuovo Testamento, ma è indubbio il fatto che la crocifissione fosse un metodo di esecuzione tipicamente romano, quindi con il termine “crocifiggerete” Gesù intende dire che i romani crocifiggeranno dei cristiani su istigazione e pressione da parte degli ebrei, oppure potrebbe anche sottindendere il ruolo di crittoebrei nei panni di Romani, nella crocifissione di martiri cristiani successivi a Cristo. In altri diversi punti dei Vangeli, Gesù Cristo, sottolinea che gli ebrei lo avrebbero ucciso. Nel resoconto offerto dai Vangeli, Ponzio Pilato se ne lava le mani, e il popolo ebreo, nella sua interezza, ha l’ultima parola sulla vita di Gesù, e opta per la crocifissione. Quindi è un ricadere di un peccato su un’intera generazione, e non una semplice lite tra fazioni come possono essere quelle di Farisei e Sadducei. Le fazioni politico/religiose e i semplici civili erano d’accordo, alla quasi unanimità, nell’uccidere Gesù Cristo. La stragrande maggioranza degli ebrei, vedeva in un Messia crocifisso un autentico scandalo, perché ha sempre pensato che il Messia fosse un personaggio militante, in grado di guidare gli ebrei verso l’emancipazione materiale e la liberazione dal giogo dello straniero di turno, che a quell’epoca, era rappresentato dai Romani.
- Previsione della lapidazione dell’Apostolo Giacomo (Mt 23:37)
“Gerusalemme, Gerusalemme, che uccidi i profeti e lapidi quelli che ti sono inviati, quante volte ho voluto raccogliere i tuoi figli, come una gallina raccoglie i pulcini sotto le ali, e voi non avete voluto!”. È importante qui soffermarsi sulla prima parte del periodo, cioè “Gerusalemme, Gerusalemme, che uccidi i profeti e lapidi quelli che ti sono inviati”. In questa frase si scorge di nuovo il dogma trinitario: la prima frase è detta dal Padre, la seconda dal figlio. “Gerusalemme, Gerusalemme, che uccidi i profeti (tramite i quali vi parlo io, il Padre nda) e lapidi quelli che ti sono inviati (gli Apostoli, gli “inviati” nel senso giornalistico del termine, i cronisti della vita di Cristo, ovvero me, il Figlio, nda). Il senso di questo periodo è, cercare di far comprendere al lettore la cecità e l’ostinazione giudaica, di fronte ai profeti che parlano a nome del Padre – di cui quindi gli ebrei avrebbero prova indiretta – e di fronte agli inviati, gli Apostoli, che hanno visto e sentito, hanno riscontri diretti del Padre tramite le prove concrete del Figlio. In una sola frase, cioè “lapidi quelli che ti sono inviati”, grazie al verbo al tempo presente e al complemento oggetto al plurale, congiuntamente col participio passato plurale “inviati”, (utilizzato per indicare una situazione al presente) Cristo dice comtemporaneamente due cose: “tirate le pietre a me, inviato dal Padre, nel tempo presente (in altri punti dei Vangeli gli ebrei tirano pietre a Gesù), ma ATTENZIONE, perché io non sarò l’unico, perché uno o più miei contemporanei, da me inviati per fare da testimoni diretti, verranno lapidati da voi!”. In questa frase presente e futuro coesistono, come se si sovrapponessero l’uno con l’altro. L’apostolo Giacomo è sicuramente inviato da Gesù, nella sua epoca, a testimoniare per lui, a Gerusalemme, e guarda caso, un certo Giacomo, nel primo secolo d. C., è stato lapidato, infatti “l’ebreo romanizzato Flavio Giuseppe, nel suo libro Antichità Giudaiche, precisa che il sommo sacerdote Ananos, nell’anno 62, per poter uccidere l’apostolo Giacomo, dovette aspettare, come occasione favorevole, l’assenza del governatore romano” [147]. Ennio Innocenti ha stabilito che il Giacomo di cui parla Giuseppe Flavio sia necessariamente l’apostolo Giacomo. Tutto può essere, ma se c’è una cosa che abbiamo imparato dai rabbini, è che le coincidenze “non sono kosher”. Questa lapidazione ha un significato importante. Non è un caso se, ad essere stato lapidato, è stato proprio l’apostolo Giacomo, il fratello di Gesù. La parafrasi della prima parte di Matteo 23:37 è la seguente: “Ai profeti in preda alle visioni inviategli da mio Padre, NON AVETE VOLUTO CREDERE, a me, il figlio, NON AVETE VOLUTO CREDERE, E finanche a mio fratello, da me inviato, e che per primo, dopo aver visto e sentito, NON MI HA CREDUTO PRIMA PER DOVERSI POI RICREDERE SUCCESSIVAMENTE (come affermato in altri punti dei Vangeli nda), ebbene perfino ad un ex scettico come lui, NON AVETE VOLUTO CREDERE. Ora lapidate me, e in futuro lapiderete mio fratello“. In una prospettiva cristiana, Gesù è il Cristo, e quindi conosce anche il futuro, a riprova della sua natura divina. In una prospettiva giudaica, questo non può essere, quindi i Vangeli devono essere stati scritti almeno centocinquantanni dopo i fatti a cui si suppone che essi si riferiscano, o in altre parole, sarebbero dei falsi storici in cui certe profezie vengono “fatte realizzare” a posteriori, cioè prima sono successi i fatti, e anni dopo si è scritto che tali fatti sarebbero successi, spacciando gli scritti per anteriori ai fatti. Peccato per gli ebrei che la prima Chiesa della storia del cristianesimo, sia sita proprio in Gerusalemme, e sia risalente a non oltre il primo secolo d. C. Tale Chiesa aveva vie di fuga per sfuggire ai Romani, era utilizzata da ebrei convertiti al cristianesimo, cioè giudeo-cristiani, e al suo interno sono stati ritrovati reperti archeologici recanti simbolismo giudeo-cristiano anteriore al 70 d. C., anno della distruzione del Tempio di Gerusalemme. Tutto ciò ci fornisce un’esegesi archeologica dei capitoli quattro e cinque degli Atti degli Apostoli. Potete osservare tale Chiesa primitiva ai seguenti indirizzi Telegram: https://t.me/la_questione_giudaica/168——https://t.me/la_questione_giudaica/167. È davvero difficile che il popolo più intelligente della storia, al vertice dell’intellighenzia in tutte le epoche e nazioni, si perda poi in un bicchiere d’acqua costruendo Chiese-sinagoghe nel primo secolo dopo Cristo, solo perché ha letto dei libri che parlano di un tizio chiamato Gesù. La verità è che i giudeo-cristiani furono i diretti testimoni del passaggio di Cristo in questo mondo, e ne sono rimasti sconcertati. Se così non fosse stato, non avrebbero costruito una Chiesa nel primo secolo dopo Cristo, quando il Tempio di Gerusalemme era ancora intatto per giunta. Non avrebbero rischiato l’herem dagli ebrei e le persecuzioni dai romani contemporaneamente.
- Previsione della distruzione del Tempio di Gerusalemme (Mt 23:38)
“Ecco: la vostra casa vi sarà lasciata deserta!”. Questo è chiaramente un passo relativo alla distruzione del Tempio di Gerusalemme, dove i farisei si erano messi di casa, riducendo “la casa di Dio” in un mercato, anziché un luogo di rispetto e di preghiera. Nel capitolo successivo del Vangelo di Matteo, Gesù si fa ancora più chiaro, dicendo che del Tempio non resterà “pietra su pietra” – anche se in realtà questo passo (Matteo 23:38), parla di un avvenimento che è propedeutico alla distruzione del Tempio, lo preannuncia per così dire. Gli ebrei non solo hanno ucciso i Profeti, ma hanno anche ignorato, se non addirittura manipolato, le profezie dei Profeti. Per questi motivi, Gesù ha affermato che il Tempio di Gerusalemme sarebbe rimasto “deserto”. Curzio Nitoglia specifica che “il nazionalismo esasperato dell’Apocalittica e del Messianismo rabbinico spinsero – tramite gli “zeloti” o “sicari” (da “sica” piccolo pugnale) – la Giudea contro Roma, che con Pompeo Magno (63 a. C.) invase la Terra Santa per giungere poi, nel 70 d. C. alla distruzione del Tempio, privo ormai della “shekinah****” dopo il deicidio” [148], intendendo con l’espressione “shekinah”, “la presenza di Dio” [149]. In altre parole, con l’espressione “la vostra casa vi sarà lasciata deserta!”, Gesù intende dire che la shekinah, o presenza di Dio, abbandonerà il Tempio (dove i farisei si erano stabiliti come se fosse la loro casa), e che soltanto dopo, non ne rimarrà “pietra su pietra”, cioè sarà distrutto.
- BONUS: Predizione dell’infiltrazione di cellule fantasma del giudaismo nelle future nazioni cristiane. Il consiglio di Cristo per riconoscere gli agenti crittosionisti (Mt 7:15-20). Il significato teologico della “seconda morte” e del protagonismo ereticale giudaico (protagonismo omicida giudaico del II tipo) nella religione cattolica
“Guardatevi dai falsi profeti che vengono a voi in veste di pecore, ma dentro son lupi rapaci. Dai loro frutti li riconoscerete. Si raccoglie forse uva dalle spine, o fichi dai rovi? Così ogni albero buono produce frutti buoni e ogni albero cattivo produce frutti cattivi; un albero buono non può produrre frutti cattivi, né un albero cattivo produrre frutti buoni. Ogni albero che non produce frutti buoni viene tagliato e gettato nel fuoco. Dai loro frutti dunque li potrete riconoscere” [150]. Queste parole pronunciate da Cristo, e rinvenibili nel Vangelo di Matteo, sembrano mettere in guardia contro generici “falsi profeti”, dei quali si occuperà anche Paolo l’Apostolo. In realtà, Cristo si riferisce ai futuri marrani, gli ebrei che diventeranno cellule fantasma per conversione strategica al cristianesimo, nel tentativo di soffocare e compromettere la sua corretta diffusione. Questo sarà particolarmente evidente nei primi tre secoli della storia della Chiesa cattolica ufficiale (dal secondo secolo dopo Cristo al quarto secolo dopo Cristo), con la diffusione dello gnosticismo, maliziosamente chiamato “un insieme di cristianesimi primitivi”. È OPPORTUNO RICORDARE CHE LA PATROLOGIA, CIOÈ IL COMPLESSO DI RICOSTRUZIONI STORICO-BIOGRAFICHE FORNITE DAI PADRI DELLA CHIESA, È A DIR POCO UNANIME NELL’IDENTIFICARE LA STRAGRANDE MAGGIORANZA DEI PROFETI (FALSI) DELLO GNOSTICISMO COME EBREI DICHIARATI DELL’EPOCA O CRITTOEBREI CONVERTITISI STRATEGICAMENTE AL CRISTIANESIMO.
La figura del lupo, nei Vangeli, rappresenta principalmente il crittoebreo, ma non ci dilungheremo qui nel dimostrare questo collegamento.
Per quanto riguarda invece le altre immagini presenti in Mt 7:15-20, il libro di Isaia riporta in più punti i rovi e i pruni (pruni selvatici che sono più comunemente detti spini). E nei passi di Isaia in cui rovi e pruni (spini) sono menzionati, quasi sempre essi si riferiscono a delle persone fisiche. In particolare, si riferiscono al popolo di Israele. C’è da premettere però che nella frase del Vangelo di Matteo sopra menzionata e cioè “Si raccoglie forse uva dalle spine, o fichi dai rovi?”, si rinviene una mutazione missenso, di cui non sappiamo stabilire esattamente la comparsa. Infatti non ha nessun senso raccogliere uva dalle spine, la frase è riferita a due piante: gli spini (o pruni) dai quali non si può certo raccogliere uva, e i rovi, dai quali non si possono certo raccogliere i fichi. Ad ogni modo, gli esempi riportati nel libro di Isaia sono: Is 5:6, Is 7:23, Is 7:24, Is 9:17, Is 10:17, Is 27:4.
Se analizziamo l’inizio del capitolo cinque del libro di Isaia, è inequivocabile il riferimento di rovi e pruni al popolo ebraico:
“Voglio cantare per il mio diletto il mio cantico d’amore per la vigna. Il mio diletto possedeva una vigna sopra un fertile colle. Egli l’aveva disossata e sgombrata dai sassi e vi aveva piantato viti pregiate; in mezzo vi aveva costruito una torre e scavato anche un tino. Egli aspettò che producesse uva; essa produsse, invece, acini acerbi. E ora, abitanti di Gerusalemme e uomini di Giuda, siate voi giudici fra me e la mia vigna. Che cosa dovevo fare ancora alla mia vigna che io non abbia fatto? Perché, mentre attendevo che producesse uva, essa ha prodotto acini acerbi? Ora voglio farvi conoscere ciò che sto per fare alla mia vigna: taglierò la sua siepe e si trasformerà in pascolo; demolirò il suo muro di cinta e verrà calpestata. La renderò un deserto, non sarà potata né vangata e vi cresceranno rovi e pruni; alle nubi comanderò di non mandarvi la pioggia. Ebbene, la vigna del Signore degli eserciti è la casa di Israele; gli abitanti di Giuda sono la sua piantagione preferita” [151].
L’espressione “gli abitanti di Giuda sono la sua piantagione preferita” è rivelatoria: il popolo di Israele, metaforicamente rappresentato dalle viti della vigna di Dio – cioè la casa di Israele – non ha prodotto col suo operato dei frutti decenti, bensì “acini acerbi”. Così Dio degrada gli abitanti di Giuda – la sua piantagione preferita nella vigna – dalla loro condizione privilegiata, con un pogrom o una guerra antigiudaica, in modo che gli ebrei sopravvissuti, non rappresenteranno più delle viti, bensì rovi e pruni. Da un punto di vista cristiano, questi passi di Isaia preconizzerebbero l’avvento di una nuova religione, una nuova alleanza tra Dio e i non ebrei, nonché una rottura dell’ Alleanza tra Dio e gli ebrei, in quanto Dio non avrebbe proprio ottenuto “i frutti” che si aspettava da questo popolo, cioè non ha osservato in questo popolo delle opere metaforicamente accostabili all’uva. Dio voleva l’uva e nei suoi piani avrebbe affidato ad altri popoli l’oneroso compito di produrla. Inoltre questa trasformazione del popolo ebraico, da un “popolo di viti improduttive” a “popolo di rovi e pruni”, potrebbe simboleggiare l’inizio ufficiale di quella tradizione talmudica deviata dal giudaismo veterotestamentario, contro la quale Gesù Cristo polemizzava. Contestualmente a questa tradizione talmudica si sarebbe sviluppata in maniera sistematica e completa la Cabala spuria dalla quale derivano le eresie, il che ci riporta alla famosa frase “dai loro frutti li riconoscerete”, intendendo con questa espressione i frutti della Cabala, cioè le conseguenze sul vivere umano, derivanti dal credere alle teologie spurie. Tutto ciò rappresenta il passaggio dal giudaismo veterotestamentario ad un giudaismo “prototalmudico”. Tale passaggio, dal giudaismo veterotestamentario a quello “prototalmudico”, dovrebbe coincidere con la nascita dei Targumim, cioè le traduzioni della Bibbia in aramaico, lingua che si è indissolubilmente legata all’ebraico durante la prigionia babilonese. Durante l’esilio babilonese la classe dirigente ebraica è costretta ad imparare l’aramaico, fino a fare di questa lingua la loro lingua principale.
Il capitolo nove del libro di Isaia è altrettanto eloquente nel riferirsi al popolo ebraico con l’espressione “rovi e pruni”:
“Il Signore suscitò contro questo popolo i suoi nemici, stimolò i suoi avversari: gli Aramei dall’oriente, da occidente i Filistei che divorano Israele a grandi morsi. Con tutto ciò non si calma la sua ira e ancora la sua mano rimane stesa. Il popolo non è tornato a chi lo percuoteva; non ha ricercato il Signore degli eserciti. Pertanto il Signore ha amputato a Israele capo e coda, palma e giunco in un giorno. L’anziano e i notabili sono il capo, il profeta, maestro di menzogna, è la coda. Le guide di questo popolo lo hanno fuorviato e i guidati si sono perduti. Perciò il Signore non avrà pietà dei suoi giovani, non si impietosirà degli orfani e delle vedove, perché tutti sono empi e perversi; ogni bocca proferisce parole stolte. Con tutto ciò non si calma la sua ira e ancora la sua mano rimane stesa. Brucia l’iniquità come fuoco che divora rovi e pruni, divampa nel folto della selva, da dove si sollevano colonne di fumo. Per l’ira del Signore brucia la terra e il popolo è come un’esca per il fuoco; nessuno ha pietà del proprio fratello. Dilania a destra, ma è ancora affamato, mangia a sinistra, ma senza saziarsi; ognuno mangia la carne del suo vicino. Manàsse contro Efraim ed Efraim contro Manàsse, tutti e due insieme contro Giuda. Con tutto ciò non si calma la sua ira e ancora la sua mano rimane stesa” [152].
Qui, sempre secondo la formula “gesta Dei per homines”, il “fuoco” che deve divorare “rovi e pruni” è la guerra e l’essere passati a fil di spada. L’iniquità del popolo ebraico viene consumata consumando rovi e pruni, cioè gli ebrei stessi. Il piano è semplice: contenere l’iniquità dell’intellighenzia ebraica per mano dello straniero – Filistei e Aramei – e bruciare l’iniquità dei ceti ebraici inferiori mettendo le tribù ebraiche le une contro le altre, mostrando gli uni con gli altri la propria iniquità. Il fuoco è una guerra fratricida, e il popolo di Israele è il materiale combustibile che attira su di sé il fuoco.
Il capitolo dieci del libro di Isaia, è ancora più imbevuto di senso teologico della storia, perché non solo gli Assiri vengono rappresentati come un mezzo per uno scopo, ma poi raggiunto quest’ultimo, vengono anche contenuti da Dio, come se fossero dei meri oggetti:
“Oh! Assiria, verga del mio furore, bastone del mio sdegno. Contro una nazione empia io la mando e la comando contro un popolo con cui sono in collera perché lo saccheggi, lo depredi e lo calpesti come fango di strada. Essa però non pensa così e così non giudica il suo cuore, ma vuole distruggere e annientare non poche nazioni. Anzi dice: «Forse i miei capi non sono altrettanti re? Forse come Càrchemis non è anche Calne? Come Arpad non è forse Amat? Come Damasco non è forse Samaria? Come la mia mano ha raggiunto quei regni degli idoli, le cui statue erano più numerose di quelle di Gerusalemme e di Samaria, non posso io forse, come ho fatto a Samaria e ai suoi idoli, fare anche a Gerusalemme e ai suoi simulacri?». Quando il Signore avrà terminato tutta l’opera sua sul monte Sion e a Gerusalemme, punirà l’operato orgoglioso della mente del re di Assiria e ciò di cui si gloria l’alterigia dei suoi occhi…[…]…Può forse vantarsi la scure con chi taglia per suo mezzo o la sega insuperbirsi contro chi la maneggia? Come se un bastone volesse brandire chi lo impugna e una verga sollevare ciò che non è di legno! Perciò il Signore, Dio degli eserciti, manderà una peste contro le sue più valide milizie; sotto ciò che è sua gloria arderà un bruciore come bruciore di fuoco; esso consumerà anima e corpo e sarà come un malato che sta spegnendosi. La luce di Israele diventerà un fuoco, il suo santuario una fiamma; essa divorerà e consumerà rovi e pruni in un giorno, la magnificenza della sua selva e del suo giardino; il resto degli alberi nella selva si conterà facilmente, persino un ragazzo potrebbe farne il conto…[…]…Poiché anche se il tuo popolo, o Israele, fosse come la sabbia del mare, solo un suo resto ritornerà; è decretato uno sterminio che farà traboccare la giustizia, poiché un decreto di rovina eseguirà il Signore, Dio degli eserciti, su tutta la regione. Pertanto così dice il Signore, Dio degli eserciti: «Popolo mio, che abiti in Sion, non temere l’Assiria che ti percuote con la verga e alza il bastone contro di te come già l’Egitto. Perché ancora un poco, ben poco, e il mio sdegno avrà fine; la mia ira li annienterà». Contro di essa il Signore degli eserciti agiterà il flagello, come quando colpì Madian sulla rupe dell’Oreb; alzerà la sua verga sul mare come fece con l’Egitto” [153].
Le pestilenze e altre sventure capitate ai nemici di Israele, sono spesso attribuite al trafugamento da parte di questi ultimi della cosiddetta “Arca dell’Alleanza” tra Dio e il popolo ebraico. O almeno così asserisce la tradizione giudaica. Qui gli Assiri vengono prima aizzati contro gli ebrei, e poco dopo vengono puniti anche loro, a dare una bella lezione di teologia ad entrambi. Il collegamento tra piaghe inflitte da Dio e Arca dell’Alleanza trafugata, sarebbe il motivo per cui Isaia menziona anche la volontà degli Assiri di razziare e saccheggiare gli altri popoli, nelle parole del re Assiro dell’epoca. Dio avrebbe dimostrato agli Assiri che ci sono ricchezze delle quali non ci si può appropriare – cioè l’Arca dell’Alleanza – senza conseguenze nefaste. Isaia riporta nel capitolo dieci del suo libro, oltre alla meritata punizione per “rovi e pruni”, anche le parole arroganti del re d’Assiria:
“«Con la forza della mia mano ho agito e con la mia sapienza, perché sono intelligente; ho rimosso i confini dei popoli e ho saccheggiato i loro tesori, ho abbattuto come un gigante coloro che sedevano sul trono. La mia mano, come in un nido, ha scovato la ricchezza dei popoli. Come si raccolgono le uova abbandonate, così ho raccolto tutta la terra; non vi fu battito d’ala, nessuno apriva il becco o pigolava»” [154].
Tornando invece a Mt 7:15-20, l’espressione “in veste di pecore”, ha un significato spirituale e uno letterale, che non si contraddicono tra loro, anzi, vanno integrati. Infatti, deduciamo il significato letterale di questa espressione dal sito laparola.net:
“Le vesti degli antichi profeti erano fatte di pelli di pecore, o di pelli di cammello Matteo 3:4; 2Re 1:8, e senza dubbio i falsi profeti si vestivano nella medesima guisa per imitarli. Zaccaria 13:4, dice che questi si mettevano «il mantello di pelo per mentire». L’idea è: essi vengono a voi coll’apparenza della dolcezza e della sincerità, e pretendono d’insegnare dottrine di Cristo, ma dentro sono lupi rapaci” [155].
Il significato spirituale del venire “in veste di pecore”, lo si può dedurre da alcuni passi del Vangelo di Giovanni:
“Giovanni 21:15-17: “Ora, dopo ch’ebbero desinato, Gesù disse a Simon Pietro: Simon di Giona, m’ami tu più che costoro? Egli gli disse: Veramente, Signore, tu sai ch’io t’amo. Gesù gli disse: Pasci i miei agnelli. Gli disse ancora la seconda volta: Simon di Giona, m’ami tu? Egli gli disse: Veramente, Signore, tu sai ch’io t’amo. Gesù gli disse: Pasci le mie pecore. Gli disse la terza volta: Simon di Giona, m’ami tu? Pietro s’attristò ch’egli gli avesse detto fino a tre volte: M’ami tu? E gli disse: Signore, tu sai ogni cosa, tu sai ch’io t’amo. Gesù gli disse: Pasci le mie pecore”” [156]. Le pecore rappresentano chiaramente i cristiani, gli aderenti alla nuova religione proposta da Gesù. Secondo gli avvertimenti di Gesù, ebrei erano i falsi profeti veterotestamentari che mettevano “il mantello di pelo per mentire”, ed ebrei sarebbero stati quelli che fintisi cristiani (cioè presentantisi in veste di pecore) avrebbero tentato di sviare i veri cristiani dagli insegnamenti di Cristo e degli apostoli. Senza contare che Gesù Cristo in alcuni passi dei Vangeli dice a diversi ebrei che non fanno parte del suo “gregge”. Le testimonianze dei Padri della Chiesa, nonché i contenuti delle teologie dello gnosticismo e le stesse simulazioni tra gli gnostici, sono in accordo con questa interpretazione riguardo il significato delle “vesti di pecore”.
Con l’espressione “dai loro frutti li riconoscerete”, Gesù Cristo intendeva le conseguenze sul vivere umano che le teologie spurie – diffuse dagli ebrei o da chi per loro – comportano per chi le abbraccia. Possiamo in realtà estendere questo ragionamento alle ideologie in generale, anche se nel passo specifico, Cristo si riferisce ad eresie che gli ebrei vogliono inserire nel cristianesimo.
Le clausole giudaiche, o kosher hacks, sono contenute in queste teologie e, illudono chi le assorbe nella propria mente, convincendolo che può perdere il compasso morale, o che non è tenuto ad impegnarsi più di tanto in questo mondo pur di “essere salvo”. Altri effetti di queste teologie spurie possono essere l’autodivinizzazione, l’indifferentismo teologico, o l’ateismo totale. A proposito del concetto di indifferentismo teologico, causato dalla penetrazione capillare della gnosi spuria, è bene fornire una definizione. La definizione di quello che qui è stato chiamato indifferentismo teologico, è stata fornita nel secondo convegno di studi sull’opera di Don Ennio Innocenti, da Padre Giandomenico Mucci, che ci fa notare come “Gaspare Barbiellini Amidei parla di “dissonanza cognitiva” per indicare il “costume religioso, oggi molto diffuso, di credere in Dio e di comportarsi come se si fosse certi che Dio non esista”” [157]. La dissonanza cognitiva e l’analfabetismo funzionale vanno a braccetto, e possono essere considerati entrambi dei sottoprodotti della sovversione ideologica del giudeo. È solo un’intuizione, ma confidiamo nella speranza che prima o poi qualche sociologo/psicologo intellettualmente onesto sarà in grado di dimostrare, in maniera scientifica e rigorosa, questo nostro assunto. In questo caso in particolare, la dissonanza cognitiva non è solo una conseguenza della sovversione ideologica in forma gnostica per portare all’indifferentismo teologico, ma è quasi propedeutica all’indifferentismo. Se non genero prima nei gentili una forma di dissonanza cognitiva, non potrò portarli a credere in Dio ma farli comportare come se non esistesse. Questo è quello a cui hanno pensato i sovversori ideologici giudaici mentre fomentavano e fomentano la gnosi spuria in mezzo a noi.
Tutti questi effetti, o conseguenze o come le vogliamo intendere, rappresentano i “frutti” attraverso i quali possiamo riconoscere i crittoebrei (o i gentili del sabato che si fanno imboccare dagli ebrei) intorno a noi. Con queste parole Cristo sembra anche sottolineare il carattere profondamente anticristiano di ogni eresia. I frutti che gli ebrei offrono, o sono more avvelenate oppure prugne marce, volendoci rifare ai “rovi e pruni” di cui parla anche Isaia. Oltre al protagonismo omicida giudaico quindi – cioè la tendenza a compiere tutti i crimini di sangue più importanti della storia – Cristo ci parla anche di un protagonismo ereticale giudaico, cioè la tendenza da parte degli ebrei a fomentare tutti i tipi di eresie, fungendo, nei secoli e nelle diverse nazioni – specie se cristiane – da cinghia di trasmissione che collega l’albero buono all’albero cattivo. Laddove l’albero cattivo sarebbe la Cabala spuria giudaica, dalla quale secondo fior di teologi derivano la maggior parte se non addirittura tutte le eresie. L’albero buono sarebbe invece il cristianesimo.
Ovviamente questo tipo di ragionamenti deve essere universale, per poterne parlare in questi termini, il che significa che anche nel nostro secolo, dobbiamo poter osservare dei lupi travestiti da agnelli, riconoscibili dai frutti che hanno da offrire, almeno per quanto riguarda la teologia. L’esempio più clamoroso è forse quello del pastore Steven Anderson…un pastore battista americano che segue la Bibbia di Re Giacomo. Orbene questo pastore ripropone eresie vecchie come il quietismo e la negazione della presenza reale nell’eucaristia, nonché l’istigazione al suicidio di massa degli omosessuali accusandoli di essere soggetti “irrecuperabili”. E a ben vedere, il quietismo e l’omofobia sono in contraddizione tra loro, non possono uscire dalla bocca dello stesso predicatore, infatti Anderson afferma che gli assassini che si convertono si salvano, mentre gli omosessuali no. Questo è in contraddizione con il quietismo tipico del protestantesimo, non si può dire che una volta che hai il sentimento religioso puoi commettere tutti i tipi di peccati tutti i giorni, perché tanto sei salvo una volta credente, e poi fare un’eccezione per l’omosessualità. Ad ogni modo, un bel giorno – dopo aver insegnato a molte persone tutte queste sciocchezze – Steven Anderson si è fatto il test del DNA, e con sua “sorpresa”, il laboratorio in cui ha fatto il test gli ha permesso di fare la scoperta della sua vita: “NON SAPEVA DI ESSERE EBREO”! Padre Michele Dimond ha confutato le eresie del crittoebreo Steven Anderson in questo video: https://www.youtube.com/watch?v=3lwwfCpvXnc&feature=emb_rel_pause
Qui si può visionare il video in cui Steven Anderson (ebreo) mostra i risultati del suo test del DNA: https://t.me/la_questione_giudaica/194
- Conclusioni: esegesi tipica della questione giudaica attraverso la Bibbia, e nuova definizione del tempo come tipico-lineare
Qualunque storico del giudaismo se lo è chiesto non appena ha cominciato a studiare in maniera sistematica il giudaismo. Ogni storico del giudaismo che si rispetti, sia Hervé Ryssen che Gian Pio Mattogno, e come loro Aleksandr Solgenitsin e molti altri ancora, si sono accorti che la questione giudaica è restata pressocché costante in tutte le epoche e i luoghi in cui gli ebrei si siano mai insediati. La storia del giudaismo è una storia di lenta e irresistibile scalata sociale, più o meno esplicita, alla quale segue puntualmente la persecuzione e l’espulsione degli ebrei da parte dei gentili. Don Ennio Innocenti ha fatto una sintesi magistrale della storia del giudaismo, evidenziando molti aspetti del problema ebraico, presenti già nel Vecchio Testamento, e risalenti fino ad Abramo (il fondatore del popolo ebraico):
“Leggendo i primi libri della Bibbia non si sfugge ad impressioni che suggeriscono piste significative delle ragioni relative al risentimento antiebraico.
L’ingresso di Abramo in Egitto aveva creato problemi e, quindi, rigetto. Al tempo di Giacobbe troviamo l’ebreo Giuseppe al vertice del potere egiziano che attua una politica (certamente non indolore) con caratteri di comunismo statalistico. Successivamente le masse ebree restano passivamente coinvolte nelle maglie di quella macchina sfruttatrice, la quale – tuttavia – le teme e le odia…finché si arriva ad un nuovo rigetto. Gli ebrei procedono alla conquista della terra dei Filistei conducendo una terroristica guerra di sterminio: è comprensibile che le popolazioni residue abbiano conservato risentimenti.
Nell’epoca dei Re notiamo che gli ebrei attuano una politica ondeggiante tra Egitto e Assiria che li espone alle accuse di tradimento e alle vendette di tutte e due le potenze.
Durante il loro radicamento babilonese vediamo ebrei ai vertici del potere e (se non è punto avventato ipotizzarli coinvolti in fazioni ed intrighi pericolosi) è sicuro che essi assurgono – in quella regione – ad un enorme potere finanziario che suscita invidie, gelosie, appetiti, risentimenti…è anche sicuro che essi si vendicano con stragi d’impressionanti proporzioni: tutto ciò provoca un nuovo rigetto. Dopo la conquista di Alessandro il Macedone, notiamo la netta emergenza di un fenomeno nuovo: i libri dei Maccabei sono inequivocabili nell’indicare i principali responsabili ed orchestratori della prima persecuzione antinazionale ed antisemita: sono ebrei rinnegati che vogliono una completa assimilazione della nazione al mondo ellenistico alessandrino. Gli stessi libri dei Maccabei, che denunciano il tradimento perpetrato da ebrei divenuti persecutori dei fratelli ed esaltano – per contro – la Romanità, ci raccontano della “fides” giurata tra il Senato dell’Urbe e la nuova aristocrazia ebraica. Ma, successivamente, i romani hanno seri motivi di lamentarsi della mancata “fides” degli ebrei, nonché di altri aspetti lesivi del bene comune conseguenti alla condotta ebraica, su vari piani (soprattutto sul piano economico-finanziario). Ne conseguono ripetute tragedie e nelle fasi più atroci di queste tragedie nazionali notiamo – attingendo alle stesse fonti ebraiche – che sono proprio elementi ebraici a scatenare i disastri più immani […]…Leggendo i libri neotestamentari, nei quali vengono narrate le persecuzioni ebraiche contro Gesù, contro gli apostoli e contro le prime comunità cristiane, si deve prendere atto che tali scritti insistono nel mettere in guardia contro insidie perenni. La storia delle eresie cristiane nei primi secoli mostra la frequente connessione del fenomeno ereticale con elementi ebraici […]…Nel primo Novecento vediamo la politica inglese e statunitense in mano
a banchieri privati che sono ebrei come lo sono quelli che dominano il continente europeo. E riemerge il fenomeno già rilevato dai Maccabei: Morgan è antisemita, Montagu Norman è antisemita, Rathenau è ultrarazzista e antisemita…sono ebrei che odiano l’identità autentica della tradizione religiosa ebraica e odiano specialmente le comunità ebraiche dell’Europa Orientale, le più religiose, le meno assimilate all’illuminismo, quelle comunità dove molti ebrei sono ancora biblici” [158].
Don Ennio Innocenti, senza volerlo né saperlo, espone qui diverse tattiche giudaiche e caratteristiche salienti del popolo ebraico, mostrandoci chiaramente che queste sono presenti nei testi biblici, redatti dagli ebrei stessi. Si notano continue cacciate di ebrei e risentimento nei loro confronti, tanto per cominciare. Poi vediamo Giuseppe, nei panni di agente Esther all’interno del governo egiziano dell’epoca. Tra l’altro Giuseppe è un esempio di cellula fantasma per dispersione strategica e reclutamento, infatti viene venduto dai suoi stessi fratelli, e poi si incontra di nuovo con essi nel giudaismo. Lo stesso si può dire di Mosè, una delle prime cellule fantasma nella storia del giudaismo: disperso sulle rive del Nilo, e allevato dalla famiglia del Faraone di turno, ne diventa in breve l’agente Esther, un consigliere politico in forma di scriba, salvo poi incontrarsi di nuovo coi suoi simili nel giudaismo. L’atteggiamento doppio e ambiguo degli ebrei li espone alle vendette di assiri ed egizi. È risaputa la mancata fiducia negli ebrei, lo abbiamo visto anche quando gli ebrei se la intendevano con gli islamici per invadere la penisola iberica mentre manipolavano i cristiani. Oppure come quando gli ebrei facevano il doppio gioco con l’impero romano mentre se la intendevano coi persiani, causando il già citato genocidio di Mamilla, una delle emosbronze più abbondanti e concentrate nella storia del giudaismo (i persiani li hanno fermati per non farli andare in coma ematico, tanto erano inebriati dal sangue dei cristiani). E poi c’è il caso Pollard, il caso Dreyfuss, la questione delle spie giudeo-bolsceviche con cittadinanza americana che hanno rubato i segreti nucleari statunitensi per venderli all’Unione Sovietica e donarli allo stato di Israele, senza parlare dello “stab in the back”, la pugnalata alle spalle, come la chiamavano i tedeschi, quando i banchieri ebrei della famiglia Warburg nonché Jacob Schiff (ebreo) e altri, prima hanno dato il supporto al bolscevismo in funzione antirussa favorendo la Germania, e poi i tedeschi si sono ritrovati rivoluzionari ebrei come Eisner, Rosa Luxemburg, e Carl Radek, in Baviera, pronti ad esportare la rivoluzione in Germania, nella logica Trozkista della “rivoluzione permanente”. Per quanto riguarda le violazioni di numerus clausus, la loro ascesa economico-sociale sembra irresistibile perfino a Babilonia, dove in origine erano stati condotti come prigionieri. Poi, dopo aver fatto pratica in diverse civiltà scalandole dai gradini più bassi, gli ebrei si sentono abbastanza sicuri di se stessi, tanto da poter introdurre per la prima volta nella storia la tattica giudaica dell’antisemitismo simulato, come si può vedere nei libri dei Maccabei. I libri dei Maccabei registrano il primo utilizzo ufficiale, sul piano storico, della tattica giudaica nota come diversione strategica, e che ancora oggi, viene insegnata nelle scuole militari della NATO come una tattica sovietica, quando il suo “ideatore ufficiale” in Unione Sovietica è stato Felix Dzerjinsky (ebreo). I libri dei Maccabei ci mostrano un ritratto, o per meglio dire un tipo, di ciò che oggi chiamiamo “nazisti kosher” (i nazisti che “non sapevano di essere ebrei”), nonché degli Yevsektzias (giudeo-bolscevichi ipocriti alla Kalinin, che prima vogliono rendere gli ebrei laici, poi fanno vari giri di parole petulanti contro l’assimilazione, proponendo progetti come le regioni autonome per soli ebrei in Unione Sovietica). Nazisti kosher e Yevsektzias sono l’antitipo degli ebrei ellenizzanti ai tempi della rivolta dei Maccabei. Il retroscena della guerra antiellenica condotta dagli ebrei – nel periodo a cui si riferiscono i libri dei Maccabei – è quello delle simulazioni giudaiche tra gli ebrei presenti in entrambe le fazioni in guerra. Tali simulazioni sono state rese efficaci usando proprio la diversione strategica, cioè la quinta colonna di Israele ai vertici politico-militari del regno di Antioco Epifane IV. Così, mentre gli ebrei tentavano di liberarsi degli ellenici, strizzavano già l’occhio ai romani, tanto per mantenere le opzioni aperte, nel caso non ce l’avessero fatta da soli contro Antioco Epifane IV. Anche in questo caso, è presente la doppiezza degli ebrei, come testimoniato da Wikipedia: “Di ritorno dalla spedizione in Egitto, Antioco si fermò a Gerusalemme e la saccheggiò, sterminò gran parte della popolazione, rapinò gli arredi sacri del tempio e proibì la pratica della religione ebraica. Le ragioni di questo gesto efferato non sono chiare: secondo alcuni, volle punire i Giudei dell’atteggiamento ambiguo che avrebbero avuto nella guerra contro l’Egitto; secondo altri, una sommossa organizzata dal ex sommo sacerdote Giasone lo indusse a castigare la popolazione” [159]. Era naturale che anche nella guerra di riconquista del tempio di Gerusalemme gli ebrei nei ranghi di Antioco e quelli di Israele si sarebbero comportati in maniera ambigua. Antioco Epifane IV cadde ingenuamente nella ragnatela di Israele, senza imparare dai propri errori. Quanto al rapporto tra ebrei e romani, l’elogio della romanità che si può riscontrare nei libri dei Maccabei, può essere visto come la ripetizione della doppiezza degli ebrei, che elogiavano un potenziale alleato mentre erano in lotta con gli ellenici, nemici di turno: infatti non appena sono stati liquidati questi ultimi, l’elogio della romanità ha lasciato il posto a sommosse antiromane, culminate sempre con vere e proprie guerre, cioè le tre guerre giudaiche contro l’Impero Romano. Per i teorici del senso teologico della storia, invece, l’elogio della romanità viene ingenuamente visto come una “prova” che gli ebrei erano pronti a ricevere il cristianesimo e che Dio aveva scelto l’Impero Romano per diffondere il cristianesimo tra le genti. Se così fosse stato, a convertirsi e diventare giudeo-cristiani sarebbero stati la maggioranza degli ebrei, non un’esigua parte di loro.
Per concludere, Ennio Innocenti nota, ingenuamente – come ha fatto nei libri dei Maccabei – l’antisemitismo di ebrei del novecento come Walther Rathenau, senza capire che si tratta di antisemitismo simulato. Rathenau, in preda ai suoi deliri di onnipotenza giudaica, si è abbandonato a un po’ troppe rivelazioni mentre è stato alla guida della Repubblica di Weimar, così gli ebrei hanno deciso di tappare per sempre la bocca al cialtrone: il Modulo Kennedy per Rathenau non è tardato ad arrivare.
Come giustificare dunque questa costanza così inquietante? Alla luce della dichiarazione di universalità dell’invettiva antigiudaica di Gesù Cristo, possiamo fornire una spiegazione in una visione cristiana, pur restando la certezza della matrice biologica del problema ebraico (che però da sola difficilmente spiega suddetta costanza). Per il cristianesimo, specie quello primitivo, gli eventi del Vecchio Testamento, oltre ad essere degli eventi reali – come l’archeologia biblica ci sta facendo scoprire – sono prefigurativi di ciò che si è poi compiuto nel Nuovo Testamento. Chiamiamo questo tipo di esegesi con l’espressione “esegesi tipica” o “esegesi tipologica”. L’esempio più importante di esegesi tipica, lo abbiamo con la storia di Giona che finisce nel ventre della balena:
“L’interpretazione allegorica medievale della storia di Giona vede in essa la sepoltura e la risurrezione di Cristo, mentre lo stomaco della balena è la tomba. Infatti, Giona chiamò il ventre della balena “Sheol”, la terra dei morti. Così, ogni volta che si trova un’allusione a Giona in arte o nella letteratura medievale, di solito si tratta di un’allegoria della sepoltura e risurrezione di Cristo” [160].
Gli ebrei sono accusabili di aver usato un modo simile di interpretare la Bibbia ebraica, infatti molti ebrei, specie molti rabbini, concordano nell’affermare che Edom rappresenta Roma ed Esaù l’Occidente cristiano, mentre Ismaele rappresenterebbe l’Islam, il bastone che Israele deve usare per distruggere il cristianesimo, una condizione che sarebbe “sine qua non”, per la venuta del Messia Talmudico tanto atteso dagli ebrei. Possiamo affermare che, in un certo qual modo, gli ebrei considerano gli edomiti come il tipo, e i romani prima e il Vaticano (o dovremmo dire l’Italia?) oggi come l’antitipo degli edomiti coi quali gli ebrei hanno avuto a che fare millenni prima. In altre parole, per gli ebrei, le profezie sanguinarie di Isaia sul regno di Edom sarebbero prefigurative di ciò che accadrà a Roma e in Italia prima di ciò che loro chiamano “la pace universale” e la venuta del Messia Talmudico. Forse non si chiama tipologia biblica nel loro caso, ma il concetto è comunque molto simile.
Ad ogni modo, tornando all’invettiva antigiudaica universale, se la interpretiamo come è stata interpretata da “laquestionegiudaica”, allora dobbiamo asserire che OVUNQUE NELLA STORIA DEL MONDO, LA GENERAZIONE DEGLI EBREI CHE VI HA VISSUTO È STATA L’ANTITIPO DELLA GENERAZIONE PRECEDENTE E IL TIPO DELLA GENERAZIONE SUCCESSIVA. Ogni generazione si è comportata in un modo che prefigurava come si sarebbe comportata anche la generazione successiva, e così via, di generazione in generazione. Questo è, a nostro modesto parere, l’unico modo per poter spiegare l’universalità dell’accusa del sangue, nonché la continuità della gnosi spuria moderna con quella antica affrontata dalla Chiesa nascente, passando per la gnosi spuria luterana e rinascimentale. Per quanto riguarda l’accusa del sangue, bisogna precisare che uno dei primi ad averla formulata, è stato il profeta Isaia. Infatti in Isaia 57:3-5 leggiamo:
“3 Ora, venite qui, voi, figli della maliarda, progenie di un adultero e di una prostituta. 4 Su chi intendete divertirvi? Contro chi allargate la bocca e tirate fuori la lingua? Forse voi non siete figli del peccato, prole bastarda? 5 Voi, che spasimate fra i terebinti, sotto ogni albero verde, che sacrificate bambini nelle valli, tra i crepacci delle rocce” [161].
Il riferimento di Isaia al sacrificare “bambini nelle valli, tra i crepacci delle rocce”, è legato alla prescrizione talmudica di non dare sepoltura ai figli dei non-ebrei che vengono sacrificati, perché sono considerati come animali. Al massimo li si può nascondere sotto le rocce. È per questo motivo che, nella storia dell’accusa del sangue, sono pochissimi i casi in cui i cadaveri dei bambini sacrificati sono stati dissotterrati. Nel 99% dei casi, o venivano trovati all’aperto, o gettati in riva a un fiume, o in un cimitero, oppure tra le rocce, oppure venivano trovati appesi al muro, crocifissi brutalmente. Il modus operandi ci mostra una similitudine con Isaia 57:5 che non può essere ignorata. Sarebbe stato facile lo stesso accusare gli ebrei di omicidio rituale seppellendo i cadaveri di molti bambini cristiani, facendoli poi dissotterrare durante le inchieste che si sono susseguite. Se dovessimo cercare le prove dell’omicidio rituale ebraico in America, cominceremmo dalle Everglades e dal Gran Canyon.
Questa teologia cristiana applicata al popolo ebraico nella sua interezza, ci spiega che le persecuzioni e gli omicidi dei profeti sono il tipo delle persecuzioni e degli omicidi degli apostoli, che ne costituiscono, a loro volta, l’antitipo. Con questa teologia si riesce a spiegare la continua e sistematica riproposizione del paganesimo nel Talmud Babilonese, che è durata dai tempi in cui Isaia inveiva contro il suo popolo (e anche prima), fino ai giorni nostri, senza interruzioni, come dimostrato da Elizabeth Dilling nel suo libro “Judaism and its influence today”. Ora la concezione ciclica del tempo, spesso legata ad un concetto di “necessità”, è tipicamente gnostica. Nel cristianesimo, come esplicitato da Sant’Agostino, il tempo è lineare. Eppure quando si tratta della questione giudaica la storia si “ripete”, in maniera simile, e gli eventi si ripetono in successione, come se fossero uno l’antitipo dell’evento precedente e il tipo dell’evento successivo più simile. I cristiani che sono coscienti del problema ebraico, devono introdurre nel loro vocabolario l’espressione di tempo “tipico-lineare”: il tempo è lineare, ma è anche tipico, nel senso che eventi accaduti secoli prima sono prefigurativi di ciò che accadrà secoli dopo, specie quando si parla della storia del giudaismo. E forse, c’è addirittura una necessità in tutto ciò. In questa analisi abbiamo dimostrato come molte delle critiche di Cristo siano immortali, avendo cioè dei riscontri sia da casi precedenti a quelli a cui si riferiva lui, sia da casi avvenuti successivamente alla sua epoca, come il discorso sulla causa della vedova, per citare un altro esempio. In altre parole: la storia non si ripete, ma può far rima con un’altra storia molto simile. Il tempo come tipico-lineare dovrebbe diventare, in questa visione delle cose, un aspetto, anche importante, della teoria del senso teologico della storia. In una visione cristiana, ogni generazione di ebrei è il tipo della generazione successiva e l’antitipo della generazione precedente, attraverso una conservazione ossessivo-compulsiva di usi e costumi, oltre che crimini, vecchi quanto i volumi originali del Vecchio Testamento. Questa anomalia, questa sorta di “bug del giudaismo” sarebbe usata come prova da parte di Dio che il resoconto biblico (almeno nelle critiche al popolo ebraico presenti nei libri dei profeti) è veritiero. In quest’ottica il comportamento degli ebrei in tutte le epoche e nazioni darebbe validità alla Bibbia secondo la formula “gesta Dei per homines”, o sarebbe meglio usare, in questo caso, l’espressione “gesta Dei per iudeos”. Possiamo concludere dicendo che anche Monsignor Henri Delassus, nel suo saggio sull’Americanismo, si è molto soffermato sulla persistenza e sulla miracolosa sopravvivenza del popolo ebraico in tutti questi millenni: infatti è forse l’unico popolo dell’antichità che è sopravvissuto ai più potenti imperi e alle più avanzate civiltà che la storia abbia conosciuto (persiani, assiri, egizi, romani, macedoni, ellenici, norreni, indios, barbari, babilonesi, sumeri, ugariti, cananei, filistei, caldei, edomiti, amaleciti, arabi in genere ecc.). Tali civiltà sono scomparse, la civiltà ebraica resta, e Delassus, facendo riferimento anche a fonti ebraiche, ha provato ad attribuire – come gli stessi ebrei fanno – un senso teologico alla persistenza della civiltà ebraica. L’immutabilità e la costanza del problema ebraico e del comportamento degli ebrei, deve essere visto in maniera unitaria con la persistenza e le capacità di sopravvivenza del popolo ebraico, per comprendere la teoria dell’esegesi tipologica della questione giudaica.
Il problema dell’interpretazione tipologica della questione giudaica di generazione in generazione – così come il senso teologico che sottosta alla costanza della questione giudaica – è che lascia spazio al fatalismo, e a posizioni predestinaziane, dove non si capisce molto bene dove va a finire la libertà individuale degli ebrei, cioè il cosiddetto libero arbitrio. Se infatti gli ebrei sono costretti per volere divino a colmare la misura dei loro padri comportandosi sempre allo stesso modo, allora dov’è per gli ebrei la via d’uscita dalla dannazione? Come possono esercitare il libero arbitrio di scegliere da che parte stare? Come fanno a convertirsi al cristianesimo, se supponiamo che la loro avversione al cristianesimo sia addirittura di origine biologica? Il modo per uscire da queste contraddizioni, è postulare che l’omicidio di Cristo abbia come effetto una corruzione e quindi una condanna a cascata di generazioni di ebrei l’una dietro l’altra – per cui gli ebrei sarebbero un popolo maledetto da Dio verso una corruzione spirituale presente già alla nascita, il che li porterebbe automaticamente a commettere crimini e assumere “comportamenti talmudici” – e che questo corso degli eventi termina parzialmente con una seconda venuta di Cristo, IN CUI DEVE NECESSARIAMENTE AVVENIRE L’OPPOSTO DI QUELLO CHE È ACCADUTO DURANTE LA SUA PRIMA VENUTA: LA MAGGIORANZA DEGLI EBREI SI DEVONO CONVERTIRE AL CRISTIANESIMO PER NON ESSERE PIÙ L’ANTITIPO DEI LORO ANTENATI, MENTRE UNA PICCOLA RELIQUIA NON SI CONVERTIRÀ. Nella prima venuta di Cristo, i Vangeli attestano il contrario: una piccola reliquia si è convertita, costituendo il nucleo dei “giudeo-cristiani”, mentre la maggioranza degli ebrei ha rigettato Cristo.
Per avere ulteriori esempi di tipologia biblica, che fornirebbero prove che nel Vecchio Testamento sarebbe menzionato Gesù Cristo, abbiamo caricato sul nostro canale Telegram un video interessante: https://t.me/la_questione_giudaica/182
- Conclusioni sul complesso di eresie note come “copycat thesis”, o “teoria dell’emulatore”: queste eresie non hanno un supporto archeologico, né un senso storico o politico. Vanno contro il significato funzionale dello gnosticismo e contro l’ebraicità/crittoebraicità dei suoi esponenti, ignorano l’eccessiva conoscenza del giudaismo che traspare dall’invettiva antigiudaica universale, e che non si rinviene nella letteratura greco-romana neanche in maniera frammentata. Con l’arecheologia cristiana del I secolo, queste eresie mostrano inoltre il cosiddetto “problema generazionale”
- Sfigurazione e trasfigurazione modernisti – descritti nell’enciclica Pascendi dominici gregis – sono i “grimaldelli ideologici” degli agenti crittosionisti (cellule fantasma) per infiltrare la “teoria dell’emulatore” all’interno della Chiesa Cattolica
- Il significato teologico dell’autosussistenza della figura di Melchisedek: fornire un motivo di conversione per gli ebrei, e una cristofania ai gentili per debellare la futura “tipologia inversa” fomentata dal crittoebreo Joseph Atwill. Melchisedek è l’unico tipo biblico di se stesso, l’unico personaggio della Genesi senza genealogia perché non ce l’ha, per questo non potrà mai essere ritrovato in alcuna tavoletta canaanita. È l’easter egg di Dio nel Vecchio Testamento, che parla di come il Figlio sia venuto a suggellare il primo Patto
*”Herem (parola ebraica): condizione di colui che è cacciato dalla comunità a causa di un’impurità o di una consacrazione. L’individuo in stato di herem è un proscritto. Sorta di scomunica [N.d.T.]” [162].
** Col nome “Pagan Min” si intende l’antagonista principale del videogioco “Far Cry 4”. Nella trama del videogioco, Pagan Min è il padre biologico della sorellastra del protagonista, Ajay Ghal. Il videogioco è ambientato nella località fittizia nota come “Kyrat” pur essendo liberamente ispirato ad eventi realmente accaduti. “Pagan” in inglese significa “pagano”, e “Min” in ebraico ha lo stesso identico (o quasi) significato. “Pagan Min” rappresenta chiaramente un easter egg giudaico, una “sorpresa” lasciata da uno o più sviluppatori del videogioco Far Cry 4, per mostrare in maniera sottile la presenza ebraica tra gli sviluppatori del videogioco o forse a livelli più alti, nonché per prendere in giro i cristiani. Questo easter egg è una figura retorica, una ripetizione a rotazione di significanti (due parole diverse in due lingue diverse, vengono utilizzate per ripetere lo stesso significato). Siccome la religione cristiana – da un punto di vista halackico – è considerata idolatria, e idolatria e paganesimo vanno a braccetto, quasi diventando sfumature diverse dello stesso concetto, possiamo asserire che il termine Min è principalmente riferito ai cristiani in genere, più che agli eretici giudeo-cristiani, come vorrebbe far credere l’Enciclopedia Giudaica. Infatti, tra i tanti usi di questo vocabolo, c’è il sostituirsi alla parola “cristiano”: “In passages referring to the Christian period, “minim” usually indicates the Judæo-Christians, the Gnostics, and the Nazarenes, who often conversed with the Rabbis on the unity of God, creation, resurrection, and similar subjects (comp. Sanh. 39b). In some passages, indeed, it is used even for “Christian”; but it is possible that in such cases it is a substitution for the word “Noẓeri,” which was the usual term for “Christian”” [163].
***L’espressione “Al-Satan” in ebraico ha una serie di significati, il principale tra questi è “avversario” o “oppositore”. La figura di Al-Satan nel cartone animato Dragon Ball rappresenta un easter egg giudaico che svela gli autori dello gnosticismo. Infatti, possiamo asserire che la formazione di Al-Satan come parte malvagia del Supremo, dal quale si distacca, è gnostica. Per quale motivo un termine ebraico è associato ad un evento del genere? È chiaramente un easter egg giudaico. Al-Satan è necessario al Supremo come il Supremo ad Al-Satan, questo è un punto di vista spesso condiviso tra i rabbini quando si parla del rapporto tra Al-Satan e Yahveh. Nella gnosi pura esiste un concetto di indipendenza e irriducibilità ontologica di Dio, che crea gli esseri per dono, non per sua necessità, né tanto meno per emanazione. Tale punto di vista non si può mai conciliare con questi easter eggs, giudaici e gnostici.
****Con l’espressione “shekinah” si intende anche la cosiddetta presenza divina che gli ebrei sostengono che ci sia presso il cosiddetto “Muro del Pianto”. Cioè la cabalistica (gnostica) emanazione femminile di Jahveh sarebbe chiamata “Shekinah”. Nella preghiera ebraica, la tefillah, anglicizzata col termine “davening”, gli ebrei simulano un movimento pelvico di accoppiamento con questo muro dal quale sarebbe emanata la shekinah, mentre la loro cabalistica emanazione divina maschile, l'”Ein-Soph”, feconda la shekinah, e questo forse viene fatto nel tentativo di “concepire il Messia Talmudico”. L’ex rabbino convertito alla fede ortodossa, Nathanael (ebreo), afferma che il “Muro Occidentale”, anche noto come “Muro del Pianto”, non sarebbe affatto un resto del Tempio di Gerusalemme, bensì della Fortezza di Antonia, una fortezza romana, quindi pagana. In un video, Nathanael afferma anche che gli ebrei sono perfettamente consapevoli di ciò, riproponendo forme di paganesimo presso una costruzione pagana: “this so-called divine presence at the Wailing Wall is actually the Kabbalistic feminine emanation, of their false God, the Shekinah. Whatch closely…how the rabbis thrust their pelvises and penises back and forth, in a prescribed prayer movement called davening, in which the Jew copulates whith the Shekinah, in order to give birth in an erotic union with the Ein-Soph, the Kabbalistic masculine emanation, of their false God” [164].
(https://it.wikipedia.org/wiki/Muro_Occidentale#Storia) (https://it.wikipedia.org/wiki/Fortezza_Antonia#Storia)
Anche se da lontano può sembrare che un ebreo pianga di fronte alla fortezza di Antonia, da vicino sembra evidente il suo movimento pelvico come nel tentativo di pompare il “Muro del Pianto”, o fecondare la “shekinah” che sarebbe emanata da questo muro, infatti, il rabbino Michael Leo Samuel (ebreo), citando il rabbino Israel Baal Shem Tov, scrive: “Hassidic literature teaches that one of the reasons given for Hassidim swaying in prayer is based upon the analogy of the movement that occurs in the act of love making. Prayer is like “making love to the Shekhinah.” The Baal Shem Tov is purported to have taught:
Prayer is zivug (coupling) with the Shechinah.’ Just as there is motion at the beginning of coupling, so, too, one must move (sway) at the beginning of prayer. Thereafter one can stand still, without motion, attached to the Shechinah with great deveikut (“cleaving to God”). As a result of your swaying, you can attain great bestirment. For you think to yourself: “Why do I move myself? Presumably it is because the Shechinah surely stands before me” [165]. Seguono poi da parte del rabbino una serie di sproloqui inutili e pseudognostici tirando in ballo perfino lo psicologo Carl Jung, ma non riprodurremo tali sproloqui qui.
Ad ogni modo, diversi archeologi affermano che il Monte del Tempio o “Spianata delle Moschee” (“Temple Mount”), non è il luogo del Tempio di Gerusalemme, bensì quello della fortezza di Antonia. Se le cose stanno così, è impossibile che gli ebrei non lo sappiano, visto il loro attaccamento alle tradizioni. In altre parole, quello che milioni di ebrei da tutto il mondo mettono in scena da centinaia di anni di fronte a quel muro, non sarebbe altro che UNA SIMULAZIONE GIUDAICA DEMAGNETIZZANTE, VOLTA A SCREDITARE LA PERSONA DI GESÙ CRISTO E L’INIZIO DEL CAPITOLO 24 DEL VANGELO DI MATTEO, IN CUI CRISTO DICE CHIARAMENTE CHE DEL TEMPIO NON SAREBBE RIMASTA “PIETRA SU PIETRA”.
Ad ogni modo, Elizabeth Dilling, citando l’Enciclopedia Giudaica, parla di questa sorta di “rapporto sessuale con Dio”, in termini analoghi: “”Jewish mystics described the highest degree of love of man for God in sensuous forms in terms taken from marital life” (Jewish Encyclopedia, page 465). “Closely connected … is the doctrine of the transmigration of the soul on which the Cabala lays great stress” (same reference, page 476)” [166]. Anche se, nella ricostruzione di Dilling, i ruoli sembrano quasi invertirsi: “In the Cabala the Talmudists represent themselves as the Divine Presence, or Shekinah, and when the Female Shekinah is copulating with her male, then “Israel” will be ruling the world” [167]. Citando invece il libro di Gershom Sholem (ebreo) “Lo Zohar. Il libro dello splendore”: “The section of the book, “The Rose of Sharon” is another intercourse scene in which “the Community of Israel is called Rose of Sharon; because her desire to be watered from the deep stream …. She is named ‘Rose’ when she is about to Join with the King and after she has come together with him in her kisses, she is named ‘lily.'” That excerpt, extended, however, is not enough. The Rabbis are quoted on: “the true devotion of the Community of Israel to God, and her longing for him, for these souls make possible the flow of the lower waters toward the upper, and this brings about perfect friendship and the yearning for mutual embrace in order to bring forth fruit. When they cleave one to another, then says the Community of Israel in the largeness of her affections: ‘Set me a seal upon thy heart'” (same book, pages 69-70)” [168].
ARTICOLO IN FASE DI COSTRUZIONE
Fonti:
[1] https://t.me/la_questione_giudaica/164
[2] Luigi Copertino, Il confronto con la gnosi spuria secondo Ennio Innocenti, Sacra fraternitas aurigarum Urbis, Roma, 2018 p. 10. https://t.me/la_questione_giudaica/155 Cfr. E. Innocenti La gnosi spuria – I. Dalle origini al Seicento, Sacra fraternitas Aurigarum in urbe, Roma, 2003, pp. 12-13
[3] Ibidem, p. 15.
[4] Luigi Copertino, Vera e Falsa Gnosi. Disponibile al seguente indirizzo: https://www.maurizioblondet.it/vera-falsa-gnosi-luigi-copertino/
[5] https://t.me/la_questione_giudaica/107 Vedi capitoli 6 e 7.
[6] https://www.ibs.it/nuovo-testamento-gnosi-libro-walter-schmithals/e/9788839908353
[7] https://t.me/la_questione_giudaica/163 Se è per questo, successivamente si è verificato anche l’opposto, infatti, in maniera estremamente subdola, e restituendo pan per focaccia, “gli gnostici usavano espressioni di origine biblica, riprendendole dall’ambiente ellenistico, spesso espressioni paoline e giovannee, ma del tutto svuotate del loro senso autentico” (L. Copertino, op. cit., p. 15).
[8] 1 Corinzi 9:19-22 https://www.laparola.net/testop.php?riferimento=1Corinzi%209%3A1-22
[9] https://it.wikipedia.org/wiki/Paolo_di_Tarso
[10] L. Copertino, op. cit., p. 373.
[11] Ibidem, p. 12.
[12] Ibid.
[13] Ibid. Cfr. E. Innocenti La gnosi spuria – I. …op. cit., nota 24 p. 10.
[14] Ibidem, pp. 12-13.
[15] Ibidem, pp. 17-18.
[16] Ibidem, p. 18.
[17] Aa. Vv., “La gnosi tra luci e ombre” Atti del secondo convegno di studi sull’opera di don Ennio Innocenti, Napoli 29-31 Ottobre 2009, Sacra Fraternitas Aurigarum in Urbe, Roma 2010, p. 61. Cfr. A Colunga – M. Garcia Cordero, Biblia comentada, vol. I, p. 47, B.A.C., Madrid, 1960.
[18] Ibidem, pp. 61-62. Cfr. supra. Cfr. Teologia de la Biblia, vol I, p. 328, 3 vols. BAC, Madrid, 1970; cfr. H. Pinard “Création”, Dictionnaire de Théologie Catholique, vol. III, col. 2042 – 2202, Paris, 1908.
[19] Ibidem, p. 62.
[20] Ibid. Cfr. Op. cit., I, p. 392.
[21] Ibidem, p. 63. Abbiamo poi deciso di ribattezzare col nome di trasfigurazionismo, quella che consideriamo essere un’eresia anticristiana contro il Vecchio Testamento, volta a far credere che gli eventi narrati in tale Testamento siano in realtà miti presi in prestito da altre culture e riadattati in chiave monoteistica (non si capisce poi per quali ragioni ci sia stato questo adattamento monoteistico). Tale eresia vecchia è stata riproposta – nonostante le moderne scoperte di assiriologia e sumeriologia – da un ebreo, in merito alla famosa “Arca di Noè”: “A recently deciphered 4,000-year-old clay tablet from ancient Mesopotamia — modern-day Iraq — reveals striking new details about the roots of the Old Testament tale of Noah. It tells a similar story, complete with detailed instructions for building a giant round vessel known as a coracle — as well as the key instruction that animals should enter “two by two” […]…
It’s also the subject of a new book, “The Ark Before Noah,” by Irving Finkel, the museum’s assistant keeper of the Middle East and the man who translated the tablet.
Finkel got hold of it a few years ago, when a man brought in a damaged tablet his father had acquired in the Middle East after World War II. It was light brown, about the size of a mobile phone and covered in the jagged cuneiform script of the ancient Mesopotamians…[…]…
Finkel said, a round boat makes sense. Coracles were widely used as river taxis in ancient Iraq and are perfectly designed to bob along on raging floodwaters.
“It’s a perfect thing,” Finkel said. “It never sinks, it’s light to carry.”…[…]…
Elizabeth Stone, an expert on the antiquities of ancient Mesopotamia at New York’s Stony Brook University, said it made sense that ancient Mesopotamians would depict their mythological ark as round.
“People are going to envision the boat however people envision boats where they are,” she said. “Coracles are not unusual things to have had in Mesopotamia.”
The tablet records a Mesopotamian god’s instructions for building a giant vessel — two-thirds the size of a soccer field in area — made of rope, reinforced with wooden ribs and coated in bitumen…[…]…” (http://www.timesofisrael.com/british-museum-prototype-for-noahs-ark-was-round/).
Dal canto suo, Irving Finkel (ebreo), afferma che le tavolette mesopotamiche successive hanno perso questi dettagli tecnici perché si incentravano sulla narrativa, sulla favoletta: “The flood story recurs in later Mesopotamian writings including the “Epic of Gilgamesh.” These versions lack the technical instructions — cut out, Finkel believes, because they got in the way of the storytelling” (Idem).
Salvo poi contraddirsi subito dopo, poiché parla del diluvio come di un evento realmente accaduto, mentre l’Arca coi suoi dettagli tecnici farebbe parte del folklore, ovvero della mitologia: “He believes the tale was likely passed on to the Jews during their exile in Babylon in the 6th century B.C. And he doesn’t think the tablet provides evidence the ark described in the Bible existed. He said it’s more likely that a devastating real flood made its way into folk memory, and has remained there ever since” (Idem).
È chiaro che ci vorranno anni per smontare le menzogne dell’ebreo simulatore Irvin Finkel, come ci sono voluti anni per smontare le menzogne dell’ebreo simulatore Simcha Jacobovici, uno dei tanti ripropositori dell’ebionismo.
Nelle immagini: a sinistra una tavoletta che si ritiene essere risalente a quattromila anni fa, conservata al British Museum. I caratteri cuneiformi sarebbero stati decifrati dallo studioso Irvin Finkel. A destra Irvin Finkel (ebreo), curatore delle tavolette d’argilla cuneiformi presso il British Museum, con in mano la tavoletta poc’anzi citata. Visti i casi precedenti come quello di Simcha Jacobovici e molti altri, riteniamo che Irvin Finkel sia un simulatore che ripropone il trasfigurazionismo, un’eresia anticristiana volta a far credere che non ci sia un senso teologico della storia né un intervento della Provvidenza in quest’ultima, poiché la Bibbia sarebbe un riadattamento in chiave monoteistica di miti pagani politeisti. Queste due negazioni (del senso teologico della storia e dell’intervento divino nella storia) sono – tralasciando il motivo per cui si arriva a concepirle – guarda caso, i due cavalli di battaglia del modernismo, un complesso di eresie anticristiane che riteniamo essere un riadattamento audace dell’Americanismo. Tale modernismo proseguirà nella sua “successione ideologica”, diventando progressivismo al fine di infiltrarsi in maniera diretta in Vaticano. Il principale frutto avvelenato del progressivismo in ambito cristiano, è probabilmente il cattolicesimo liberale (che in realtà forse si dovrebbe chiamare teologia della liberazione, perché il cattolicesimo liberale, è un frutto avvelenato un po’ più vecchio, anteriore allo stesso modernismo, almeno a detta di Julio Loredo). Riteniamo che la tavoletta di argilla riguardante “l’Arca di Noè prima di Noè”, sia un falso, ma non sappiamo quali indagini archeologiche e/o chimico-fisiche possano confermarne la falsità.
[22] Pietro A. Kaswalder, Giudea e Neghev, edizioni Terra Santa, Milano, 2018, pp. 14-15. Disponibile qui: https://t.me/la_questione_giudaica/166 È doveroso sottolineare che le speculazioni di Kaswalder sono, con altissima probabilità, sbagliate, per quanto riguarda l’alfabeto ebraico. Infatti l’archeologo e paleografo Douglas Petrovich, avrebbe scoperto che il più antico alfabeto della storia non è quello dei fenici, bensì quello degli ebrei, il popolo al vertice di tutte (o quasi tutte) le intellighenzie di sempre. “Dr. Douglas Petrovich has gathered sufficient evidence to claim that the ancient Israelites took Egyptian hieroglyphics and transformed it into a writing system of 22 alphabetic letters which correspond to the widely recognized Hebrew alphabet used today.
Archaeologist, epigrapher and professor of ancient Egyptian studies at Wilfrid Laurier University in Waterloo, Canada, Dr. Petrovich used Hebrew and the Bible to translate inscriptions found on 18 ancient stone slabs. His findings have truly rocked Bible critics to the core” (https://www.breakingisraelnews.com/81129/a-hebrew-discovery-that-will-shake-bible-critics-to-the-core/). “Following Petrovich’s study of the inscribed Egyptian stone slabs, he asserted that the writings are actually an early form of Hebrew. He believes that the stones recall the Bible’s descriptions about the Israelites living in Egypt and concludes that they transformed Egyptian hieroglyphics into Hebrew more than 3,800 years ago…[…]…Petrovich’s theory is that the Israelites sought to communicate in writing with other Israelites in Egypt. They therefore simplified Pharaoh’s complex hieroglyphic writing system into a 22 letter alphabet” (Idem).
Nell’immagine a sinistra: schematizzazione di una delle lastre di pietra studiate da Petrovich, con le lettere in paleoebraico segnate in nero, e le corrispondenti lettere ebraiche moderne segnate in verde. Petrovich avrebbe trovato il nome di Mosè inciso in paleoebraico su questa lastra di pietra. A destra: fotografia della lastra di pietra denominata reperto “Sinai 361”. Tale lastra di pietra è stata datata dal professor Petrovich al quindicesimo secolo avanti Cristo. Ha infatti dichiarato: ““I absolutely was surprised to find [a reference to] Moses, because he resided in Egypt for less than a year at the time of his provoking of astonishment there”” (Idem).
Inoltre le speculazioni di Kaswalder sulle origini del monoteismo ebraico potrebbero essere il frutto di interpretazioni sbagliate, in quanto Peter Gentry, professore di interpretazione del Vecchio Testamento, ha affermato, in un’intervista, che le tavolette in ugaritico trovate a Ras Shamra (cioè quella che poi si è scoperto essere Ugarit), mostrano, secondo lui, un’evoluzione al contrario, cioè da un antico monoteismo verso un politeismo in cui Baal diventa la divinità principale e tutte le altre sono i suoi “sottoposti”. L’interpretazione di Peter Gentry è in accordo con quella di Don Ennio Innocenti sul lento degrado della gnosi pura in gnosi spuria, ed è in accordo con la tradizione consolidata dai Padri della Chiesa. L’intervista al professore Gentry è rinvenibile sul nostro canale Telegram: https://t.me/la_questione_giudaica/202 Se qualcuno ha qualche segnalazione da fare su della letteratura in grado di dimostrare la “devoluzione”, la terremo sicuramente in considerazione. L’ipotesi della devoluzione dal monoteismo al politeismo è sostenuta anche da Don Richardson, che ha trovato prove a sostegno di tale ipotesi nelle religioni orientali, infatti è citato da Dan Story sul CHRISTIAN RESEARCH JOURNAL: “Missionary and author Don Richardson, well known for his anthropological and linguistic work among primitive peoples, writes that the earliest reference to religion in China is a Supreme God called “Shang Ti — the Lord of Heaven,” which “predates Confucianism, Taoism and Buddhism by an unknown number of centuries”” (Dan Story, DOES THE OLD TESTAMENT TEACH THE DEVOLUTION OF RELIGION, AND DOES PAUL CONFIRM IT IN ROMANS CHAPTER 1?, CHRISTIAN RESEARCH JOURNAL, volume 40, number 01 (2017). Cfr. Don Richardson, Eternity in Their Hearts, rev. ed. (Ventura, CA: Regal Books, 1984), 62–63. Disponibile sul nostro canale Telegram: https://t.me/la_questione_giudaica/203). L’ipotesi della devoluzione viene ritrovata anche nella “Encyclopedia of Religions and Ethics”: ““The Chinese language possesses two terms which, as far as etymology goes, [Shang Ti] seems adequate to stand for God.…The earliest reference to Shang Ti, or indeed to any religion whatever, in the ancient history of China” refers to this ancient term” (Ibid. Cfr. Encyclopedia of Religion and Ethics, vol. 6, ed. James Hastings (New York: Charles Scribner’s Sons), p. 272).
[23] Jean Bottero, Samuel Noah Kramer, Uomini e dèi della Mesopotamia, Mondadori, Milano, 2012, p. 641.
[24] Giovanni Pettinato, Mitologia assiro-babilonese (UTET – Torino, 2005), p. 101.
[25] https://www.youtube.com/watch?v=diBQyYtPSDw
[26] Idem.
[27] https://pisoproject.wordpress.com/latin-phrases-pliny-as-the-nt-paul/
[28] https://it.zenit.org/articles/illustrata-in-vaticano-l-indagine-condotta-nel-sarcofago-di-san-paolo/
[29] Idem.
[30] Idem.
[31] Idem.
[32] Idem.
[33] Idem.
[34] https://www.shmoop.com/ephesians-and-colossians/setting.html
[35] https://it.wikipedia.org/wiki/Colossi
[36] Idem.
[37] https://it.wikipedia.org/wiki/Lettera_a_Filemone#Data_e_luogo
[38] http://www.laparola.net/testo.php?riferimento=Colossesi+2,1&versioni%5B%5D=C.E.I.
[39] https://it.wikipedia.org/wiki/Lettera_ai_Laodicesi
[40] Idem.
[41] https://it.wikipedia.org/wiki/Laodicea_al_Lico
[42] Idem.
[43] http://www.gliscritti.it/blog/entry/249
[44] Idem.
[45] Roberto Persico, Marta Sordi spiega la nuova cronologia della vita di Paolo e conferma l’autenticità del suo carteggio con Seneca, Tempi, 19 maggio 2008. Disponibile sul canale Telegram di “laquestionegiudaica” al seguente indirizzo: https://t.me/la_questione_giudaica/183
[46] Idem.
[47] Idem.
[48] Idem.
[49] https://www.avvenire.it/agora/pagine/san-paolo-e-seneca-si-incontrarono_200901151017200330000
[50] Idem.
[51] Idem.
[52] Dr. Gregor, A Sea of Blood, Bamboo Delight Company, Los Gatos, California, USA, 2011, p. 18. Disponibile qui: https://t.me/la_questione_giudaica/100
[54] https://www.avvenire.it/agora/pagine/san-paolo-e-seneca-si-incontrarono_200901151017200330000
[55] http://www.paginecattoliche.it/CARO-SAN-PAOLO-CARO-SENECA/
[56] Idem.
[57] Idem.
[58] Idem.
[59] Idem.
[60] https://it.wikipedia.org/wiki/Apocatastasi
[61] Idem.
[62] https://www.laparola.net/testo.php?riferimento=Matteo+23&versioni%5B%5D=C.E.I.
[63] Padre Louis-Marie O.P., Perché gli ebrei non credono in Gesù? Traduzione dall’originale francese Pourquoi les juifs ne croient pas en Jésus, apparso sulla rivista Le Sel de la terre (nº 59, Inverno 2006-2007), a cura di Paolo Baroni. Il termine parthènos dei Settanta, designa sempre una vergine. Anche nel greco classico, questo vocabolo designa, nel suo senso principale, una vergine ancora giovane (vedi, ad esempio, il Dizionario di Bailly o il Lexicon di Zorell).
[64] Idem. Per il dettaglio, vedi, ad esempio, P. F. Ceuppens O.P., De Prophetiis messianicis in Antiquo Testamento, Collegium Angelicum, Roma 1935, pagg. 192-196; PP. Lusseau-Collomb, Manuel d’études bibliques («Manuale di studi biblici»), vol. III, Téqui, Parigi 1934, pagg. 148-149.
[65] Idem.
[66] Idem. Cfr. San Girolamo, Contra Jovinianum, I, 32; PL 23, 254.
[67] Idem. Cfr. P. M. – J. Lagrange O.P., Le Messianisme chez les juifs (150 a.C. à 200 d.C.), Gabalda, Parigi 1909, pag. 241. Ma le mutazioni inserite dagli ebrei, non si fermerebbero ai Targumim nemmeno per quanto riguarda le profezie inerenti il Messia. Infatti quest’accusa è già comparsa nella storia della Chiesa: “essi hanno consapevolmente alterato il testo dell’Antico Testamento con la pratica dell’emendazione scribale (tiqqun soferim “correzione degli scribi”): così facendo hanno cancellato per sempre ulteriori prove veterotestamentarie della messianicità di Gesù e della verità del Cristianesimo” (Luca Benotti, Un manuale ebraico di polemica anti-cristiana del XIII secolo. Il manoscritto Or. 53 della Biblioteca Nazionale Centrale di Roma. Introduzione, traduzione e commento. Università degli studi di Padova, 2012, p. 47. Cfr. Così Parente, Fausto “La Chiesa e il Talmud. L’atteggiamento della Chiesa e del mondo cristiano nei confronti del Talmud e degli altri scritti rabbinici, con particolare riguardo all’Italia tra XV e XVI secolo” in Storia d’Italia, Annali 11: Gli Ebrei in Italia a cura di Corrado Vivanti, Einaudi, Torino, 1996 (vol. 1: Dall’alto Medioevo all’età dei ghetti, p. 148). “Questo, che può sembrare un dettaglio, in realtà compromette totalmente il paradigma teologico agostiniano secondo cui gli Ebrei sono da tollerare poiché hanno conservato intatto il sistema profetico delle Scritture; Martini (Raimondo Martini, allievo della scuola di Raimondo di Peñaforte, nda), al contrario, non solo afferma (nella sua opera “Pugio Fidei”, nda) che essi hanno volontariamente corrotto molti altri passaggi recanti l’annuncio della venuta di Cristo rispetto a quelli pervenuti; ma anche che essi, fintanto che rimarranno Ebrei, persevereranno nel peccato” (Ibid.). Chiaramente però questa tesi non è condivisibile per quanto riguarda il libro di Isaia, di cui oggi abbiamo un rotolo praticamente completo e di molto antecedente rispetto all’epoca di Gesù Cristo.
[68] https://it.wikipedia.org/wiki/Esilio_babilonese#L’Esilio_dei_Giudei
[69] https://it.wikipedia.org/wiki/Garizim
[70] https://www.laparola.net/testo.php?versioni[]=C.E.I.&riferimento=2Maccabei6
[71] Gian Pio Mattogno, Gli usurai ebrei nell’Italia medievale e rinascimentale, Lanterna, 2013, p. 53. Cfr. G.P. Mattogno, L’usura come strumento dell’imperialismo ebraico. Appunti per una ricerca storica.
[72] Ibid. Cfr. supra.
[73] Julio Meinvielle, Influsso dello gnosticismo ebraico in ambiente cristiano, Sacra Fraternitas Aurigarum in Urbe, Roma 1995, p. 249. Disponibile sul canale Telegram di “laquestionegiudaica”, al seguente indirizzo: https://t.me/la_questione_giudaica/153
[75] Idem.
[76] Aleksandr Solgenitsin, Due Secoli Insieme, t. 2, Controcorrente, Napoli, 2007, p. 503. Cfr. G. Rosenblum, V. Perelman, Krushenie shuda: pritshiny i sledstvia* [Il crollo di un miracolo: cause e conseguenze], VM (I Tempi e Noi [Vremia i my], rivista internazionale di letteratura e problemi sociali, Tel Aviv, 1977, n. 24, p. 120.
[77] A. Solgenitsin, op. cit., t. 1, pp. 308-309.
[78] https://nationalvanguard.org/2018/11/jewish-merchants-of-sin-and-porn-part-7-second-wave-feminism/
[79] Gilad Atzmon, L’errante chi?, Zambon 2012, p. 95.
[80] Ibidem, p. 96.
[81] Julio Meinvielle, Dalla Cabala al Progressismo, Effedieffe, Proceno di Viterbo, 2018, p. 38. Cfr. Matteo 23, 2.
[82] Ibid. Cfr. Drach, De l’harmonie entre l’Eglise et la Synagogue, Parigi, 1844, tomo I, pp. X-XI.
[83] Ibidem, pp. 38-39.
[84] Ibidem, p. 39. Cfr. Drach, op. cit., tomo II, p. XXI, 1844.
[85] Ibid. Cfr. Gougenot des Mousseaux, Le juif, le judaisme et la judaisation des Peuples chrétiens, Plon, Parigi, 1869, pag. 512.
[86] https://www.haaretz.com/1.4813824
[87] https://www.myjewishlearning.com/article/widows-in-jewish-tradition/
[88] https://www.myjewishlearning.com/article/agunot-a-different-kind-of-hostage/
[89] Idem.
[90] Idem.
[91] Idem.
[92] http://blogs.timesofisrael.com/the-poor-womans-lamb-the-state-of-israel-and-its-widows/
[93] Idem.
[94] Idem.
[95] Henri Delassus, L’Americanismo e la congiura anticristiana, Effedieffe, Proceno di Viterbo, 2015, p. 13.
[96] Ibidem, pp. 13-14. Bisogna però precisare che ci sono scritti dell’Apocalittica giudaica precristiana i cui riferimenti sono rinvenibili – considerando l’intero canone di Vecchio e Nuovo Testamento – soltanto nei Vangeli. Ad esempio il frammento 4Q521 è stato “datato paleograficamente da Emile Puech della Ecole Biblique et Archéologique di Gerusalemme alla seconda metà del I sec. a.C. (tra il 100 e l’80 a.C.); l’analisi al radiocarbonio 14C eseguita nel 1994 dall’Università dell’Arizona (U.S.A.) ha dato come risultato una data di stesura attorno al 30 a.C. con una precisione di ± 30 anni circa” (Gianluigi Bastia, 4Q521 Apocalisse Messianica – 24/02/2007, p. 1. Disponibile sul nostro canale Telegram: https://t.me/la_questione_giudaica/192 Cfr. Radiocarbon, vol. 37, n. 1, 1995, pp. 11-19 (A.J.T. Jull, D.L. Donahue, M. Broshi, E. Tov, Radiocarbon Dating of Scroll and Linen Fragments from the Judean Desert)). “La datazione paleografica sembra comunque più attendibile. E’ altamente probabile che il manoscritto non sia un autografo in quanto contiene tra le righe numerose correzioni e quindi sembra essere copia di un documento più antico” (Ibid.). Parte del frammento recita: “1 [poiché i cie]li e la terra ascolteranno il suo Messia 2 [e tutto ci]ò che è in essi non devierà dai precetti dei santi. 3 Rinforzatevi, voi che cercate il Signore nel suo servizio! vacat 4 Forse che non troverete in ciò il Signore, (voi) tutti che aspettate nel loro cuore? 5 Perché il
Signore osserverà i pii e chiamerà per nome i giusti, 6 e poserà il suo spirito sugli umili, e con la sua forza rinnoverà i fedeli, 7 perché onorerà i pii su un trono di regalità eterna, 8 liberando i prigionieri, rendendo la vista ai ciechi, raddrizzando i piegati. 9 Per [sem]pre mi attaccherò a quelli che aspettano e nella sua misericordia […] 10 e il frutto di una [ope]ra buona non sarà procrastinato a nessuno 11 e il Signore farà azioni gloriose che non ci sono mai state, come ha det[to], 12 perché curerà i feriti e farà rivivere i morti e darà l’annuncio agli umili, 13 colmerà i [po-ve]ri, guiderà gli espulsi e arricchirà gli affamati 14 e gli istr[uiti …] e tutti loro, come san[ti …] [Trad. F. G. Martinez…[…]…]” (Ibid. Cfr. F. Garcia Martinez, Testi di Qumran, ediz. italiana a cura di C. Martone, PAIDEIA, Brescia, 1996, pp. 608-610). Confrontando la versione greca del Vangelo di Matteo con la versione greca della Bibbia detta dei Settanta, Bastia conclude che “in Matteo 11:5 ritroviamo allusioni, cioè citazioni tacite, silenti, a Isaia 35:5-6 e Isaia 61:1” (Ibidem, p. 3). Ma “nei citati passi di Isaia, oltre alla guarigione dei lebbrosi (λεπρος nel testo greco), manca tuttavia un elemento fondamentale: il cenno alla risurrezione dei morti (και νεκροι εγειρονται nel testo greco) che è una peculiarità di questo passo di Matteo (cfr. v. 11:5) e di 4Q521 (v. fr. 2., col. II, linea 12, “perché curerà i feriti e farà rivivere i morti e darà l’annuncio agli umili”). Si può anzi osservare anche che in tutto l’Antico Testamento non esiste alcun riferimento alla risurrezione dei morti nei tempi messianici. Questa dottrina è invece presente in 4Q521 per cui si conclude da questa analisi che il passo di Matteo potrebbe alludere anche a questo documento e non soltanto ai passi di Isaia, che non contengono alcun riferimento alla risurrezione” (Ibid.). “Esiste quindi sostanziale accordo tra Matteo 11:4-6 (e il passo parallelo in Luca (7:22-23 nda)) e documenti quali 4Q521 e Isaia. Interpretato in quest’ottica 4Q521 potrebbe essere la profezia dell’avvento di Gesù come Messia o viceversa: i primi cristiani avrebbero visto in documenti come questo – oltre che negli altri brani più tradizionali dell’Antico Testamento – la “prova” tangibile che i tempi messianici erano ormai giunti e che Gesù era il Messia atteso. Posto poi che esista davvero un collegamento fra i passi di Matteo, Luca e 4Q521, rimarrebbe da spiegare perché Marco non riporta il passo. Questo viene usualmente spiegato con il fatto che Matteo e Luca avrebbero attinto dalla famosa fonte “Q”, una collezione di scritti che invece Marco non avrebbe utilizzato. 4Q521 potrebbe essere uno dei documenti della fonte “Q”, soprattutto in quanto contenente il riferimento
alla “risurrezione dei morti”?” (Ibid.). Alla luce di tutto ciò sembra un po’ improbabile che gli autori dei Vangeli siano stati dei Romani, dubitiamo che si mettessero a leggere il paleo-ebraico dell’Apocalittica Giudaica e implementarlo nei Vangeli ai fini di distogliere gli ebrei dal giudaismo per fargli credere a una nuova religione chiamata cristianesimo. Il livello di dettaglio in questi documenti, è tale per cui gli autori dei Vangeli, erano verosimilmente i primi giudeo-cristiani della storia, che avendo assistito a determinati eventi, decisero di metterli per iscritto, anche a costo di sembrare eretici agli occhi di tutta la comunità ebraica, anche se scrivere tali libri avrebbe comportato per loro l’herem, cioè l’essere banditi per sempre dalla comunità ebraica.
Tutto ciò costituisce un problema per le ricostruzioni del probabile crittoebreo Bruno Bauer, dell’ebreo Abelard Reuchlin, dell’altro probabile crittoebreo Joesph Atwill, e della crittoebrea Emilia Bassano, quest’ultima sarebbe la vera autrice delle opere di Shakespeare e avrebbe fatto dei riferimenti all’origine romana dei Vangeli nelle opere Skakespseariane, almeno a quanto scrive Joseph Atwill. Tutti o quasi tutti i fautori dell’ipotesi dell’origine romana dei Vangeli sono degli ebrei o dei crittoebrei e non hanno delle prove archeologiche per supportare le loro affermazioni, bensì hanno solo “prove” o per meglio dire interpretazioni filologiche e di analisi del testo. E non è la prima volta che l’archeologia smonta anni e anni di costrutti filologici campati per aria.
[97] Dagoberto Huseyn Bellucci, Il governo mondiale ebraico, cap. 11. Disponibile sul canale Telegram di “laquestionegiudaica” al seguente indirizzo: https://t.me/la_questione_giudaica/96
[98] Elizabeth Dilling, Judaism and its influence Today, Elizabeth Dilling Foundation, Chicago 1983, pp. 54-55. Disponibile al seguente indirizzo: https://t.me/la_questione_giudaica/107
[99] Ibidem, p. 62.
[100] https://t.me/la_questione_giudaica/172
[101] https://it.aleteia.org/2019/02/11/gesu-cristo-giuseppe-erano-falegnami/
[103] https://www.youtube.com/watch?v=tFMmiaI3an4
[104] “In realtà E. Muro ha fatto notare che in una lista del materiale rinvenuto nelle Grotte 7-10, compilata da R. de Vaux sulla Revue Biblique, 63 del 1956 (pag. 572), risultava la presenza di un frammento (7Q21) in ebraico su cuoio rinvenuto nella Grotta 7 (cfr. E. Muro, 7Q21: What is it? Where is it?, pubbl. internet, http://www.breadofangels.com, 1999). Questo frammento tuttavia non compare nella successiva DJD III del 1962, la prima pubblicazione ufficiale dei
documenti della Grotta 7, e nemmeno in successive liste. Ci si chiede quindi se questo reperto sia mai esistito o si tratti di una svista, dove eventualmente sia collocato e se sia davvero significativo”. Gianluigi Bastia, Identificazione del frammento 7Q5, disponibile sul canale Telegram di laquestionegiudaica al seguente indirizzo: https://t.me/la_questione_giudaica/173
[106] https://wol.jw.org/it/wol/d/r6/lp-i/1001072152 L’iscrizione di Teodoto è visionabile anche a questo indirizzo: https://www.youtube.com/watch?v=1jSMtQy5dWg
[107] Pietro Dimond, La sacra Bibbia dimostra gli insegnamenti della Chiesa Cattolica, Monastero della Famiglia Santissima, New York, 2009, p. 34. Disponibile al seguente indirizzo: https://t.me/la_questione_giudaica/184
[108] Ibid. Cfr. E. Dana e G. Mantey, Una grammatica manuale del Nuovo Testamento Greco (A manual grammar of the Greek New Testament), SUA, pagina 127.
[109] Ibid.
[110] Ibid.
[111] Ibidem, p. 35.
[112] Ibidem, p. 37.
[113] Ibid.
[114] Ibidem, p. 40.
[115] Ibidem, p. 38.
[116] Ibid.
[117] https://www.youtube.com/watch?v=tFMmiaI3an4
[118] https://www.laparola.net/testo.php?riferimento=Giovanni+3,1-5&versioni%5B%5D=C.E.I.
[119] https://www.cbsnews.com/news/israeli-t-shirts-joke-about-killing-arabs/
[120] http://news.bbc.co.uk/2/hi/middle_east/7960071.stm
[121] Idem.
[122] https://www.haaretz.com/1.5090720
[123] Idem.
[124] https://www.laparola.net/brani/brani.php?b=119
[125] Robert Aleksander Maryks, The Jesuit Order as a Synagogue of Jews, p. XVI. Cfr. Yosef Hayim Yerushalmi, Assimilation and Racial Anti-Semitism: The Iberian and the German Models, Leo Baeck memorial lecture, 26 (New York: Leo Baeck Institute, 1982), pp. 7–8.
[126] “There seem, indeed, to have been camps on the Artic islands of Novaya Zemlya from which no one returned at all: but of these practically nothing is known”. Vedi Robert Conquest, Kolyma: The Artic Death Camps, Oxford University Press, Oxford 1979, pp. 13-14.
[127] Julio Meinvielle, Influsso dello gnosticismo ebraico in ambiente cristiano, Sacra Fraternitas Aurigarum in Urbe, Roma 1995, p. 260. Disponibile sul canale Telegram di “laquestionegiudaica”, al seguente indirizzo: https://t.me/la_questione_giudaica/153.
[128] L. Copertino, op. cit., p. 45.
[129] Ibidem, pp. 397-399.
[131] https://www.ilvangelo-israele.it/indexmag15-I.html Un sito di cristiani evangelici chiaramente sionisti e filosemiti.
[132] Luigi Cabrini, Il Potere Segreto, Lanterna, 2012, pp. 117-118.
[133] Ibidem, p. 118.
[134] http://www.iltimone.org/news-timone/archivio-quando-gli-ebrei-perseguitavano-i-cristia/
[135] Idem.
[136] https://christianhistoryinstitute.org/magazine/article/nozrim-and-meshichyim
[139] Kerry R. Bolton, Grave Desecrations, Rabbi’s Death Show Rare Glimpses of Israel’s Religious Fanaticism, Foreign Policy Journal, 17 ottobre 2013. Disponibile sul canale Telegram di “laquestionegiudaica” al seguente indirizzo: https://t.me/la_questione_giudaica/181
[140] http://www.effedieffe.com/index.php?option=com_content&id=318817&Itemid=100021
[141] http://www.centrosangiorgio.com/apologetica/pagine_articoli/perche_gli_ebrei_non_credono_in_gesu.htm
[142] Idem. Cfr. P. V.-T. Beurier, L’aveuglement de ceux qui ont tué Jésus-Christ («L’accecamento di quelli che hanno ucciso Gesù Cristo»). Padre Beurier era un religioso eudista.
[143] Idem.
[144] Idem.
[145] Idem. Cfr. P. V.-T. Beurier, op. cit.
[146] Aa. Vv., Don Ennio Innocenti la figura – l’opera – la milizia, Atti del convegno di studi la Croce e la spada, Roma 23-24 aprile 2004, Bibliotheca Edizioni Roma, 2004. Disponibile sul canale Telegram di laquestionegiudaica al seguente indirizzo: https://t.me/la_questione_giudaica/174
[147] Julio Meinvielle, Influsso dello gnosticismo ebraico in ambiente cristiano, Sacra Fraternitas Aurigarum in Urbe, Roma 1995, p. 246. Disponibile sul canale Telegram di “laquestionegiudaica”, al seguente indirizzo: https://t.me/la_questione_giudaica/153
[148] Henri Delassus, L’Americanismo e la congiura anticristiana, Effedieffe, Proceno di Viterbo, 2015, p. 14, n. 7.
[149] Ibidem, p. 13, n. 7.
[150] http://www.laparola.net/testo.php?riferimento=Matteo+7,15-20&versioni%5B%5D=C.E.I.
[151] https://www.laparola.net/testo.php?riferimento=Isaia+5&versioni%5B%5D=C.E.I.
[152] https://www.laparola.net/testo.php?riferimento=Isaia+9&versioni%5B%5D=C.E.I.
[153] https://www.laparola.net/testo.php?riferimento=Isaia+10&versioni%5B%5D=C.E.I.
[154] Idem.
[155] http://www.laparola.net/testo.php?riferimento=mt%207:15-20&versioni[]=Commentario
[156] P. Dimond, p. 43. Disponibile al seguente indirizzo: https://t.me/la_questione_giudaica/184
[157] Aa. Vv., “La gnosi tra luci e ombre” Atti del secondo convegno di studi sull’opera di don Ennio Innocenti, Napoli 29-31 Ottobre 2009, Sacra Fraternitas Aurigarum in Urbe, Roma 2010, p. 11. Cfr. G. Barbiellini Amidei, Crolla Marx si riscopre Dio, in Il Tempo, 10 ottobre 1991, 3.
[158] Julio Meinvielle, Influsso dello gnosticismo ebraico in ambiente cristiano, Sacra Fraternitas Aurigarum in Urbe, Roma 1995, pp. 269-270. Disponibile sul canale Telegram di “laquestionegiudaica”, al seguente indirizzo: https://t.me/la_questione_giudaica/153
[160] https://it.wikipedia.org/wiki/Tipologia_(teologia)#Esempi_di_tipologie
[161] https://www.laparola.net/testo.php?riferimento=Isaia+57,3-5&versioni%5B%5D=C.E.I. È bene sottolinearlo, chi non crede all’accusa del sangue deve allora credere ad una cospirazione giudeo-cristiano-pagano-islamo-nazista nei confronti degli ebrei, vista la vastità con la quale questa famigerata accusa si è propagata nel corso dei secoli. Infatti è bene ricordare che, pur essendo sempre stata, quella del sangue, un’accusa formulata dai cristiani, bisogna segnalare che un “grammatico alessandrino del I secolo, Apione, muove accuse infamanti nei confronti degli ebrei, tra cui quella di essere misantropi, di adorare una testa d’asino, di non rispettare le divinità locali, e di praticare omicidi rituali” (https://www.osservatorioantisemitismo.it/approfondimenti/dallantigiudaismo-cristiano-delle-origini-alle-crociate/). Una più corretta traduzione di Isaia 57:5, si può trovare nella bibbia di re Giacomo: “Enflaming yourselves with idols under every green tree, slaying the children in the valleys under the clifts of the rocks”(https://biblehub.com/kjv/isaiah/57.htm). Qui Isaia accusa gli ebrei, non solo di commettere omicidi rituali, ma anche di praticare “tree idolatry”, idolatria verso gli alberi. L’idolatria dell’albero, a ben vedere, non è una forma di semplice animismo, ma è proprio l’anticamera della variante di gnosi spuria moderna – anche detta gnosi gioachimita perché iniziata formalmente da Gioacchino da Fiore – oggi nota come gnosi ecologista, che praticamente sostiene l'”Ipotesi di Gaia”, quella “teoria” gnostica (o comunque utilizzabile in maniera gnostica) per la quale l’intera Terra resta in omeostasi per via di una teleologia per così dire, attuata da tutto il biota che collabora – interagendo con se stesso e le componenti inorganiche (abiotiche) della Terra – a mantenere stabili le variabili ambientali terrestri. Da qui in poi il passo verso la teoria della “Madre Terra” – con la concezione della Terra come autentico organismo vivente – è breve, e porta all’idolatria della Terra e al panteismo. Non è difficile vedere dove va a parare la gnosi ecologista, i cui semi sono contenuti nel Talmud Babilonese, sono stati piantati da Gioacchino da Fiore, e hanno prodotto i loro frutti maturi negli ultimi due secoli.
[162] A. Solgenitsin, op. cit., p. 309, n. 9.
[163] http://jewishencyclopedia.com/articles/10846-min (Elizabeth Dilling, pure cita la Jewish Encyclopedia del 1905, per fornire la definizione del termine “minim”. “The 1905 Jewish Encyclopedia states: “During the first century of Christianity the Rabbis lived on friendly terms with the minim” (Christians)”. Il termine “friendly” è usato dall’Enciclopedia giudaica come modo di dire (E. Dilling, p. 36)).
[164] https://t.me/la_questione_giudaica/186
[165] https://www.sdjewishworld.com/2013/12/27/davening-at-victorias-secret/
[166] E. Dilling, p. 72.
[167] Ibidem, p. 92.
[168] Ibidem, pp. 76-77.
“L’odio si copre di simulazione, ma la sua malizia apparirà pubblicamente” (Pr 26:26)