TEOLOGIA NATURALE: Esegesi dell’invettiva antigiudaica universale di Gesù Cristo: cose che gli autori greco-romani non potevano sapere, e profezie difficili da indovinare. Svelato il contributo dei marcatori di ebraicità alla storicità di Gesù Cristo.

INTRODUZIONE

Conoscevamo già l’invettiva antifarisaica di Gesù Cristo, contenuta nel Vangelo di Matteo, ma prima di conoscere il problema ebraico, credevamo, erroneamente, che tale invettiva si rivolgesse soltanto ai farisei. In realtà si rivolge in parte ai farisei come singola fazione religiosa nella provincia romana di Giudea, e in parte si rivolge al popolo ebraico nella sua interezza. Un’analisi dettagliata di questa invettiva ci mostra, all’interno di questa, sia i marcatori di ebraicità scoperti da “laquestionegiudaica”, sia le caratteristiche salienti del popolo ebraico, cioè caratteristiche del popolo ebraico che rimangono immutate in tutte le epoche e nazioni, perché la questione giudaica, come sottolineato più volte, è universale.

Ora “l’ipotesi razionale” sull’origine delle religioni, ci dice che fondamentalmente le religioni monoteiste (cioè quelle abramitiche, ovvero islam, cristianesimo e giudaismo), derivano dal paganesimo, perché sembrano sempre rinvenirsi, nei testi sacri di tali religioni, influssi pagani. Secondo questa teoria le religioni monoteiste sarebbero un’invenzione per tenere più uniti gli imperi. In particolare, secondo l’autore Abelard Reuchlin (ebreo), il cristianesimo sarebbe un’invenzione dei Romani per allontanare gli ebrei dal giudaismo e tenere sotto un migliore controllo la provincia di Giudea. In questa ipotesi, autori greco-romani avrebbero inventato il Nuovo Testamento e la figura di Paolo l’Apostolo, nonché quella di Gesù Cristo, facendogli “realizzare” alcune profezie contenute nel Vecchio Testamento, ma questa è un’altra storia. In realtà, per quanto riguarda il cristianesimo, gli influssi pagani, assimilabili a forme di gnosi spuria, non sono rinvenibili né nel Vecchio né nel Nuovo Testamento.

Il massimo che si è riusciti a trovare sono “spunti gnostici”, ai quali accenna uno tra i più grandi esperti al mondo di gnosi spuria, cioè Don Ennio Innocenti, nella sua opera fondamentale, “La Gnosi Spuria” [1]. Altro esperto di gnosi spuria è Luigi Copertino, che fa notare, insieme a Don Ennio Innocenti, come il Vecchio Testamento, ben più antico del Talmud Babilonese, sia rimasto pressoché immune dalla gnosi spuria. Innocenti afferma infatti:-“«Quando il popolo israelitico si sistemò – con lamentevoli compromessi locali – nell’inquinatissima regione oltre il Giordano (occupata da popoli dominatori di origine nordica), esso era già gravemente inficiato della gnosi spuria egiziana. Questa esercitò sulle élites israelitiche una preponderante attrazione fino al tempo di Salomone … Ma anche vari secoli dopo Salomone, i profeti denunciarono la completa corruzione spirituale e religiosa dei sacerdoti ebrei sotto l’influsso egiziano. Dopo Nabucodonosor, peraltro, la cultura ebraica è penetrata anche dalla gnosi spuria mesopotamica e caldaica. I pochi che ritornarono nella terra dei padri, da Babilonia, dovettero ‘ripartire da zero’ e, purtroppo, per nulla immuni da altri influssi spurii (siriaci ed ellenistici). La salvaguardia della gnosi pura in ambiente ebraico ha qualcosa di miracoloso ed è comunque limitata all’elenco ‘canonico’ dei libri sacri ben noti. Ma oltre questa autentica tradizione sacra ce n’è un’altra occulta (contro la quale polemizzava Gesù quando accusava i capi
d’Israele…), che ha i suoi ripetitivi miti … Talmud, Zohar e altri similari scritti
ebraici sono ‘fosse di raccolta’ di liquami gnostici»” [2]. Anche Copertino concorda con Innocenti sul fatto che “il popolo israelita fu inquinato dalla gnosi spuria, sebbene i libri del sacro canone ne siano rimasti, per provvidenziale disposizione divina, del tutto immuni. Certamente in essi è dato registrare “echi culturali esterni” di provenienza spuria come per esempio nel Vecchio testamento le figure, non a caso maligne, del Leviathan e del Behemoth, che saranno utilizzate nell’età moderna da Hobbes nel clima di riemersione in ambito protestante della gnosi spuria. Tuttavia gli Autori dei Libri canonici, ispirati dallo Spirito Santo, pur confrontandosi spesso con intelligenze inquinate, non hanno ceduto mai alla gnosi spuria neanche in età ellenistica” [3]. “I Profeti dell’Antico Testamento e gli Israeliti fedeli al Dio di Abramo, anche quelli del tempo di Gesù come Nicodemo o Giuseppe d’Arimatea, non abbandonarono mai la via luminosa della Rivelazione” [4].

Il Talmud Babilonese – come già scritto – è ricco di influssi gnostici derivanti da miti caldaici, sumeri, babilonesi, ed egizi, come dimostrato da Elizabeth Dilling nel suo libro “Judaism and its influence today” [5].

Si è provato a parlare di Paolo l’apostolo come di uno gnostico, ma come fa notare giustamente Walter Schmithals, l’autore del volume “Nuovo Testamento e gnosi”, si tratta solo di quello che noi chiamiamo “mimetismo espressivo”, ovvero il tentativo dei primi autori cristiani, di parlare con gli stessi moduli espressivi utilizzati dai fomentatori della gnosi spuria, ma che in un altro contesto, portano all’ortodossia o gnosi pura cristiana, o se si preferisce “metafisica della partecipazione”, anziché “metafisica della caduta”, che è sinonimo di gnosi spuria. “Pur dimostrando che il Nuovo Testamento non include alcuno scritto gnostico, Schmithals riesce in modo convincente a scoprire tra gli avversari di Paolo esponenti di tale dottrina allo stato nascente, facendo luce inoltre su aspetti del pensiero paolino e giovanneo che, in misura maggiore o minore, hanno subito l’influsso del linguaggio e dell’immaginario gnostici” [6]. Questo influsso di significanti, che in un contesto diverso, hanno un significato diverso, può essere dovuto al fatto che “sia Giovanni che Paolo pensano di osteggiare più facilmente i loro avversari utilizzando i loro moduli espressivi, nutrendo forse la speranza di conquistarli alla verità” [7].

Infatti lo stesso Paolo l’apostolo lo ammette: “19 Poiché, pur essendo libero da tutti, mi sono fatto servo di tutti, per guadagnarne il maggior numero; 20 con i Giudei, mi sono fatto giudeo, per guadagnare i Giudei; con quelli che sono sotto la legge, mi sono fatto come uno che è sotto la legge (benché io stesso non sia sottoposto alla legge), per guadagnare quelli che sono sotto la legge; 21 con quelli che sono senza legge, mi sono fatto come se fossi senza legge (pur non essendo senza la legge di Dio, ma essendo sotto la legge di Cristo), per guadagnare quelli che sono senza legge. 22 Con i deboli mi sono fatto debole, per guadagnare i deboli; mi sono fatto ogni cosa a tutti, per salvarne ad ogni modo alcuni” [8]. Ha utilizzato sia modi di esprimersi tipicamente greci, che tecniche rabbiniche per vincere i suoi dibattiti con i non-cristiani.  Infatti  dalle sue lettere “traspaiono i metodi argomentativi tipici delle scuole rabbiniche del tempo, testimoniati poi nei Talmud, come, ad esempio, la gezerah shavah (“decreto simile”), che accosta argomentativamente a un passo biblico un altro per un semplice legame di similitudine-analogia (si veda Rm9,6-28 o 3,1-5,12). L’appartenenza di Paolo al Sinedrio, che sembra essere suggerita da At26,10 è solitamente esclusa dai biblisti. At18,18 indica che Paolo era un nazireo, cioè aveva fatto uno speciale voto di consacrazione a Dio, che implicava una vita particolarmente sobria e rigorosa e il portare i capelli lunghi” (è possibile che Atti 26:10 sia quella che noi chiamiamo mutazione a soppressore, una mutazione del testo originale che va a contraddirsi con altri versetti. Se è così, chi l’ha inserita? nda) [9]. Ha anche effettuato un primo tentativo di ripulire dagli influssi gnostici le religioni elleniche, sottolineando – proprio come consiglio da seguire nella vita di tutti i giorni se si vuole cercare la verità – che bisogna prendere ciò che è buono e scartare ciò che non lo è, quando si analizza il pensiero scritto/orale di qualcuno. “Con San Paolo bisogna, ancora una volta, ripetere “esaminate tutto, prendete ciò che è buono”” [10].

Paolo è stato uno dei primi a sottolineare la presenza, nell’ellenismo, di elementi di gnosi pura, chiamati genericamente Logos Spermatikos, che, nell’impianto religioso pagano, si trovavano mescolati ad elementi di gnosi spuria. I teorici del “senso teologico della storia”, come il già citato Don Ennio Innocenti, affermano che è proprio per un disegno divino che il Vecchio Testamento è rimasto immune dalla gnosi spuria per secoli e secoli mentre il Talmud, ben più recente, non ce l’ha fatta. Ed è sempre per un disegno divino che gli elementi di logos spermatikos, o semi di gnosi pura, sono riusciti a persistere all’interno di religioni “spurie”, proprio per preparare i credenti in tali religioni all’accettazione e alla comprensione delle idee del cristianesimo, in altre parole a convertirsi a quest’ultimo. “Lo stesso San Paolo, annunciando Cristo, parlava agli ateniesi del “dio ignoto” e se è vero che non ebbe molto successo, a proposito della resurrezione della carne, è pur vero che quei pagani si mostrarono interessati quasi fossero in attesa di una sorta di parusia del vero Dio da loro presentito e ricercato. Sempre San Paolo, del resto, invitava a tutto esaminare per poi prendere quel che di buono fosse rintracciato anche nelle culture dei popoli gentili” [11]. Questo perché ci sarebbe stato “un progressivo degrado del ricordo, nella memoria storica e religiosa dei popoli, di un’originaria rivelazione divina, della quale alcuni elementi di purezza continuano a sussistere pur in ambito spirituale spurio” [12]. Secondo Innocenti:-“«Dal punto di vista linguistico […]…sembra che i nomi delle supreme divinità vichinghe e romane derivino da una comune radice che significa ‘splendente’ (lo stesso significato conclusivo di Cristo o Messia), che la dice lunga sul lento degrado della gnosi pura in gnosi spuria»” [13]. “A proposito degli elementi di verità insiti nelle tradizioni religiose pre-cristiane, San Giustino, padre della Chiesa morto martire nel secondo secolo dopo Cristo, parlava di “Lògos spermatikòs”, di Verbo seminale, per indicare la seminagione di verità parziali da Dio fatta tra tutte le genti nella prospettiva di ciò che, da canto loro, Eusebio di Cesarea ed altri padri definivano, “praeparatio evangelica” o, in lingua greca, “propaideia Christoù”. Sant’Agostino insegnava che: «Infatti quella che ora è detta ‘religione cristiana’ già esisteva presso gli antichi né venne meno dall’inizio della stirpe umana fino a quando il Cristo stesso s’incarnò, e da allora la vera religione che già da prima esisteva cominciò ad essere chiamata cristiana» (Retractationes 1,13). In altra occasione l’Ipponate ebbe ad affermare: «Questa religione (è detta) cristiana nei nostri tempi, non perché non fosse esistita già nei tempi precedenti, ma perché solo nei tempi ultimi ha preso questo nome» (De Vera Religione 1). I padri della Chiesa, infatti, da un lato flagellavano le aberrazioni idolatriche del paganesimo, ma dall’altro, ogni qualvolta si imbattevano in valori positivi, contenuti di giustizia e verità, in norme etiche valide, in credenze e filosofie che confusamente aspiravano ad una più alta e trascendente fonte di Verità, non esitarono mai a riconoscere in tutto questo il retaggio, più o meno edulcorato o conservato, della rivelazione universale del Dio trinitario o l’ispirazione del Verbo di Dio presso i cuori pagani per prepararli al loro futuro ingresso nella Chiesa cattolica” [14]. Non solo i Padri della Chiesa fecero questo, ma utilizzarono, al pari di Paolo l’Apostolo, il “mimetismo espressivo”:-“«Gli intellettuali cristiani non si limitarono a contrapporre l’opzione soprannaturale di cui erano trasmettitori; fecero di più: riuscirono a presentarla utilizzando le categorie concettuali degli avversari, depurandole ed arricchendole di nuovi significati: in questo modo fu disarmata la gnosi spuria: la ‘gnosi’ era possibile e non necessariamente essa era dominio di empietà. Così prese il largo la nave della teologia cattolica, ‘flante Spiritu Sancto’…»” [15]. “Esempio di tale uso contro gli avversari delle loro stesse armi concettuali, depurate e cambiate di senso da spurio a puro, è nel buon uso che la patristica fece di ciò che nello stoicismo era concorde con la fede e l’etica cristiana in contrapposizione con lo stesso stoicismo “cattivo” nonché con il pitagorismo che sia all’esterno che all’interno della Chiesa tentava di stravolgere il cristianesimo” [16].

ATTENZIONE! Questo modus operandi, ovvero il “mimetismo espressivo”, cioè utilizzare significanti o anche concetti o addirittura storie che, in un altro contesto, assumono un altro significato, sarebbe tipico anche degli autori del Vecchio Testamento. Possiamo dire, da questo punto di vista, che il Nuovo Testamento si pone in continuità con il Vecchio. Infatti il professore Alberto Caturelli fa le seguenti osservazioni:

“Vediamo: “all’inizio ha creato Elohim i cieli e la terra” (ossia tutto) (Gn 1,1); all’inizio (beresith), “indica semplicemente una categoria logica della mente dell’agiografo, che si mette mentalmente all’inizio dell’opera creativa, quando le cose non avevano ancora un’esistenza” [17]. “Il verbo creò (bára’) anche se non indica un’operazione a partire dal nulla “l’interessante – dice il P. Garcìa Corsero – è che, nella Bibbia, il verbo bárá appare sempre avente come soggetto Dio, e senza accusativo di materia: è l’azione divina (…) per produrre qualcosa di nuovo” [18]. “Suppone l’assenza di materia (dalla quale) e la assoluta trascendenza di Yahvé; anche se il racconto include dei miti mesopotamici, viene tolto il loro anteriore contenuto dualista, la creazione non è processione, emanazione, trasformazione, non è cosmogenesi e nemmeno teogenesi; è donazione dell’esistenza (dell’atto dell’essere) a ciò che esiste (“i cieli e la terra”)” [19]. “Nello stesso racconto biblico è chiara l’intenzione demitologizzante; il P. Garcìa Cordero sottolinea “la maestria con la quale l’agiografo, usando materiale mitologico e teogonico, ha lasciato da parte quello che non era utile all’idea del Dio unico e trascendente, preesistente a tutto” quello che fa essere con la sua parola” [20].

E dopo vari giochi di significanti filosofici astrusi e petulanti, che nella globalità del senso delle frasi in cui sono utilizzati non capiremo nemmeno nel duemilamai, il prof. Alberto Caturelli conclude: “La tradizione giudeo-cristiana e il suo incontro con la tradizione antica (a volte duro e polemico) ha prodotto la demitificazione del pensiero antico e man mano ha prodotto la costituzione del proprio contenuto, originale e rigorosamente scientifico della filosofia cristiana. Non solo non ha significato l’annullamento della filosofia antica, di quello che aveva di verità ma l’ha “pulita” dei “vecchi” contenuti non-filosofici. Questo avvenimento viene da me chiamato trasfigurazione della cultura antica: non è solo “giustapposizione”, non è semplice “trasformazione” o completamento, ma in un certo senso non è più la stessa e simultaneamente, dopo di essere demitificata, è stata ancora più se stessa di prima, ha trovato un nuovo essere, ontologicamente nuovo” [21].

Questa operazione di “pulizia demitologizzante”, è stata riscontrata anche dagli archeologi biblici, che hanno riconosciuto la natura peculiare della Bibbia, aldilà della loro posizione ideologico/religiosa:

“Lo studio della letteratura biblica ha visto l’apporto dei testi cananaici, ugaritici, ecc. con le scoperte di generi letterari, forme di prosa e di poesia, tradizioni, storia. Cade il metodo dell’esegesi basata solo sul confronto interno all’AT. Si impone il criterio dell’evoluzione e del progresso, senza scomodare Darwin, da applicare anche al testo (la lingua) e al contenuto (teologia, kerygma) della Bibbia. Si scoprono temi comuni all’AT e ai miti ugaritici (la marcia del dio della tempesta, il tema della montagna, la promessa di un erede, ecc.) e di altre culture antiche (Ebla, Mari, Nuzi, Bogazkoy, Ninive, ecc.). Israele aveva a disposizione un’eredità letteraria enorme che ha assunto, alterato, sviluppato, adattato. Il dio El di epoca patriarcale era il dio personale di qualche gruppo familiare; il nome e la figura erano diffusi nella cultura cananaica e ugaritica (in realtà si è parlato anche del nome “Yahweh”, come nome storpiato del dio “Yawoo”, di un’altra tribù di nomadi che gli israeliti avrebbero incontrato durante il loro viaggio fuori dall’Egitto, altrimenti noto come Esodo nda). Il concetto di alleanza è stato illustrato ampiamente dai testi dei trattati e delle alleanze politiche del III e II millennio a.C. È un tema assente in Egitto e nella Mesopotamia non semitico-amorrea. Il fenomeno della Profezia in Israele è differente in modo vistoso dalle profezie di Mesopotamia (Mari) e di Egitto. La scrittura era un mezzo diffuso tra tutti i popoli dell’Antico Oriente, che Israele ha accettato e usato a proprio beneficio; in altre parole l’ebraico non è una lingua rivelata” [22].

In realtà, i teorici del “senso teologico della storia”, possono ancora obiettare ai teorici dell’ipotesi razionale delle religioni, che i termini “Yawoo” ed “El”, sono in realtà semi del Verbo divino, che gli agiografi  – in altre parole Mosé – dei primi libri dell’Antico Testamento  hanno selezionato e “ripulito” da contaminazioni di altre culture, per preparare gli altri popoli ad accettare quello che sarebbe poi sfociato nella religione nota come Cristianesimo. Quanto ad altri temi, come “il tema della montagna” (chiaro riferimento al Monte Sinai), bisognerebbe valutare in maniera oggettiva se Israele ha assorbito passivamente miti da culture pagane circostanti, o se c’è un’archeologia biblica dell’Esodo, che smentisce queste affermazioni, relegandole tra le “associazioni spurie”, cioè similitudini soltanto parziali tra miti pagani ed eventi storici effettivamente accaduti nella storia di Israele e tramandatici attraverso la Bibbia in versione integrale, eventi soprannaturali inclusi, per chi crede a questi ultimi. Ma questa è un’altra storia. In definitiva, anche l’operazione di pulizia dei miti pre-filosofici, che vengono riutilizzati, ma senza il contenuto dualista, può essere vista come una distillazione degli elementi puri da quelli spurii, agli occhi dei teorici del “senso teologico della storia”. In altre parole, gli elementi mitici conservati nel Vecchio Testamento, costituirebbero, anch’essi, Logos Spermatikos: semi di gnosi pura, semi del Verbo divino.

C’è un però. Potremmo anche trovarci in una situazione diversa dalle “associazioni spurie”, cioè somiglianze tra il contenuto biblico e miti che casualmente presentano soltanto alcune caratteristiche simili, ad indicare una coincidenza oppure una “pulizia demitologizzante” da parte degli autori biblici. Potremmo trovarci di fronte a delle eresie antibibliche pre-cristiane ad orologeria, basate sul mimetismo ideologico di altre culture nei confronti della Bibbia, attraverso il mimetismo teologico.

Infatti, anche se i ragionamenti del prof. Alberto Caturelli, hanno impressionato gli aderenti al convegno di studi napoletano sull’opera di Don Ennio Innocenti, i più importanti sumerologi e assiriologi dimostrano, con le loro dichiarazioni frutto degli studi di tali civiltà, che gli assunti sui quali Caturelli basa le sue speculazioni, sono errati.

Ad esempio, per quanto riguarda il concetto stesso di Creazione, Daniele Salamone, un biblista ebreo da parte di padre, giustamente si chiede:-“La Genesi mesopotamica ha realmente ispirato la Genesi biblica?”. “Enuma Elis, è un poema mesopotamico che parla della Creazione. Allora, gli esperti Jean Bottero e Samuel Noah Kramer, questi due colossi della sumerologia e assiriologia dicono questa cosa: “<<La composizione dell’Enuma Elis era stata per molto tempo, in mancanza di ulteriori prove, fatta risalire all’epoca di Hammurabi (1792-1750 a. C.). Oggi si è però deciso, in base a solide ragioni […] di abbassarne la datazione di circa mezzo millennio>>”” [23]. Per la filologia biblica tradizionale, Mosé è vissuto intorno al 1450 a. C., dell’Enuma Elis sappiamo che, risale al 1250 a. C., e se crediamo che sia Mosé l’autore del Pentateuco – come le scoperte dell’archeologo amatoriale Ron Wyatt lasciano intendere – allora possiamo affermare che l’Enuma Elis è un’eresia antibiblica precristiana a orologeria, basata sul simulare analogie col resoconto biblico. A tale proposito, se ancora non ci sono solide prove archeologiche, ci diamo a questa speculazione: anche il tema della montagna (chiaro riferimento al Sinai), tipico della mitologia ugaritica, è in realtà un’eresia antibiblica precristiana a orologeria quanto lo è l’Enuma Elis. Se si ottenessero le prove che la mitologia ugaritica deve subire una datazione tardiva post-Pentateuco/Post-Mosè, allora ciò rappresenterebbe un ulteriore elemento di convergenza, verso un quadro che descrive la lotta dei profeti di Israele e dell’Antico Testamento, per proteggere il loro testo più sacro, dai tentativi dei popoli vicini di screditarlo. Sempre sull’Enuma Elis, Salamone continua dicendo che “Giovanni Pettinato, uno studioso ormai scomparso, italiano, il più famoso assiriologo italiano mai esistito scrive: “<<Manoscritti del mito (cioè dell’Enuma Elis nda) si sono trovati nei siti più diversi dell’Assiria e della Babilonia; essi coprono un periodo che va pressappoco dall’anno 1000 al 300 a. C., sicché possiamo ritenere con una certa sicurezza che la sua data di componimento è veramente recente, cioè l’ultimo periodo della civiltà mesopotamica>>”” [24]. La datazione proposta da Giovanni Pettinato, coinvolge il periodo della cattività Babilonese, cioè quando gli ebrei furono condotti prigionieri a Babilonia. È possibile quindi che l’Enuma Elis sia stato composto durante questa prigionia ebraica da parte dei babilonesi, nel tentativo di screditare la Bibbia, specie nel futuro lontano, ipotizzando che se tutti i popoli implementano nella loro mitologia i resoconti biblici, allora i posteri crederanno che il giudaismo vetero-testamentario ha preso ispirazione da miti pagani e ha origini pagane, piuttosto che credere che tutti in passato fossero ossessionati dal distruggere ogni traccia storico/religiosa del popolo ebraico. Anche se l’opera nota come Enuma Elis risalisse al periodo del re babilonese Nabucodonosor I, quindi fosse antecedente alla cattività babilonese, la nostra interpretazione non cambia. È per questo che abbiamo considerato tali eresie come “a orologeria”, perché sembrano concertate, e progettate per demagnetizzare la Bibbia nel futuro lontano, piuttosto che nel periodo in cui sono state effettivamente prodotte. Ma l’errore di Caturelli non sembra esaurirsi con l’Enuma Elis, in quanto “Gilgames è un altro mito mesopotamico, che corrisponderebbe al Noé biblico. Quindi questo Gilgames, è stato tratto in salvo all’interno di una barca, otto persone, raccolse gli animali, sopravvisse al diluvio ecc. ecc., quindi questo testo mesopotamico, sembra effettivamente corrispondere alla Genesi biblica, se noi lo andiamo a leggere nelle varie traduzioni” [25]. “I racconti rinvenuti nei frammenti risalgono al III millennio a. C. (ovvero nel 4000-3000 a. C.), sono stati i musi ispiratori del più antico poema mai scritto: L’Epopea di Gilgamesh, l’opera redatta nella sua versione completa (risale) intorno al 1300 e l’anno 1100 a. C., ovvero, dopo Mosé, […]…dove si parla di Ut-napistim, il Noè sumero-accadico re di Uruk” [26].

A questo punto, se siamo arrivati a parlare addirittura dell’Arca e del suo costruttore, Noè, sarebbe giusto menzionare una prova archeologica dell’esistenza di quest’arca. Riteniamo che l’archeologo Ron Wyatt non solo abbia trovato suddetta arca, che in cubiti egizi ha le stesse misure di altezza lunghezza e larghezza per come sono menzionate nella Bibbia, ma che abbia trovato anche una stele che riassume l’esito dell’evento noto come diluvio universale. Tale stele è comprensiva della raffigurazione di una struttura vulcanica che ha esaurito la sua funzione e la sua esistenza proprio proteggendo l’arca, contribuendo alla sua fossilizzazione. Il che significa che la stele è stata incisa in un periodo che si trova nell’intervallo di tempo necessario per decomporre il legno di una barca nella regione dell’Ararat, congiuntamente col momento delle manifestazioni vulcaniche che hanno cancellato questa struttura vulcanica dalla mappa.

Nelle immagini: in alto a sinistra Ron Wyatt con i suoi amici, mentre posano di fronte ad una stele in cui è inciso il resoconto del Diluvio Universale. Sulla pietra centrale si può vedere raffigurato parte del primo uccello più vicino all’Arca, si può inoltre osservare un pezzo dell’Arca stessa. In seguito il governo turco ha distrutto questa stele. In alto a destra una schematizzazione di ciò che è raffigurato nella stele: una barca con all’interno delle persone, e due uccelli, proprio come vengono menzionati in Genesi, nella quale prima un uccello non trova la terra, poi un secondo uccello la trova. Si può notare dalla schematizzazione anche una struttura montuosa: si tratta del vulcano che con la sua attività ha contribuito alla fossilizzazione dell’Arca. In basso a sinistra: la schematizzazione della stele senza la struttura vulcanica, nella regione dell’Ararat, con le montagne osservabili oggi fisicamente così come sono schematizzate in questa immagine. In basso a destra: dettaglio dei sopravvissuti sull’Arca, in cui troviamo all’estrema sinistra Noè, poi sua moglie, le figure in alto a destra sono femminili, quelle in basso a destra sono maschili e rappresenterebbero i figli di Noè, cioè Sem, Cam e Iafet. Per ulteriori informazioni sulle scoperte archeologiche di Ron Wyatt nella regione dell’Ararat, è visionabile un documentario sul nostro canale Telegram al seguente indirizzo: https://t.me/la_questione_giudaica/179

Ci sono però una serie di problemi, riguardanti l’Arca di Noè:

  • Il problema della speciazione: i ciclidi sono organismi modello per lo studio della speciazione e hanno dimostrato che il fenomeno della speciazione esiste perché lo si è osservato come un dato di fatto, quindi nella Genesi cosa si intende per “tipi” o “specie”? Fino a che punto può arrivare il fenomeno della speciazione?
  • Il problema dell’insostenibilità trofica dell’Arca: se è vero che tutti gli animali del pianeta sono stati stipati in una barca, esistendo solo in coppie, come si sono retti gli ecosistemi che in seguito si sarebbero formati?
  • Il problema biogeografico: è stato posto da Charles Darwin. Se è vero che tutti gli animali del pianeta sono stati su una barca e poi si sono diffusi in giro per il mondo, allora perché ci sono animali esclusivi presenti solo in alcune zone del pianeta? Se partono tutti dallo stesso punto, dovrei trovare le tracce della loro migrazione in posti specifici, da qualche parte, lungo il tragitto. Se la storia dell’Arca di Noè fosse vera, le popolazioni di animali negli ecosistemi dovrebbero essere omogenee tra loro indipendentemente dalla zona geografica considerata, salvo considerando ovvie variazioni ambientali.

Ma questi sono altri problemi, altre storie, non ci occuperemo qui dei problemi relativi all’Arca di Noè a prescindere dal fatto che sia stata scoperta o meno.

Quanto all’ipotesi dell’inesistenza fisica di Paolo l’apostolo – sostenuta dall’ebreo Abelard Reuchlin, che si spinge ad affermare che era in realtà un romano, cioè Plinio il Giovane [27] – questa va contro le prove archeologiche di cui oggi disponiamo, in quanto il sarcofago di Paolo risalente al quarto secolo, contiene frammenti ossei di un solo uomo, che però risulta essere vissuto tra il primo secolo dopo Cristo e il secondo secolo dopo Cristo. Non abbiamo la certezza al cento per cento che si tratti di Paolo l’Apostolo, ma per le tecnologie forensi che c’erano nel quarto secolo dopo Cristo, se i Romani avessero voluto mettere in quel sarcofago le ossa di un impostore qualunque, avrebbero potuto metterci lo scheletro di uomo del secondo secolo dopo Cristo, e nessuno avrebbe avuto gli strumenti per dire che erano le ossa di un impostore. Quindi ci sono più probabilità che si tratti davvero di Paolo che probabilità che non si tratti di lui. A tale proposito, il sito zenit.org riporta: “Anche se gli esami del Carbonio 14 realizzati recentemente nel sarcofago di San Paolo “non confermano” che si tratti effettivamente dei suoi resti, “non lo smentiscono nemmeno”. Lo ha affermato questo venerdì mattina l’Arciprete della Basilica romana di San Paolo fuori le Mura, il Cardinale Andrea Cordero Lanza di Montezemolo” [28]. Riguardo tali indagini, il papa emerito Benedetto XVI ha dichiarato:-“E’ stata praticata una piccolissima perforazione per introdurre una speciale sonda, mediante la quale sono state rilevate tracce di un prezioso tessuto di lino colorato di porpora, laminato con oro zecchino e di un tessuto di colore azzurro con filamenti di lino” [29]. “Vestiti come questi si trovavano solo nelle tombe importanti dei primi secoli. Il Pontefice ha osservato che durante le ricerche gli scienziati hanno constatato la presenza di grani di incenso rosso e di sostanze proteiche e calcaree, e che “piccolissimi frammenti ossei, sottoposti all’esame del carbonio 14 da parte di esperti ignari della loro provenienza, sono risultati appartenere a persona vissuta tra il I e il II secolo”” [30]. “Come ha spiegato il Cardinale Cordero Lanza di Montezemolo, per 20 secoli nessuno ha aperto il sarcofago. L’introduzione della piccola sonda “ha dato dei risultati non solo interessanti” ma che indicano che quanto è stato ritrovato “sembra appartenere a un sepolcro del I o del II secolo”. Secondo il porporato, sono stati trovati altri grani “che indicano anche un aspetto religioso”” [31]. Ma il giornale riporta un’informazione ancora più interessante: “Sono state inoltre rinvenute placche di marmo introdotte sicuramente nella tomba “a scopo di difesa dal Tevere”. Su una di queste è scritto con caratteri primitivi “Paolo apostolo e martire”” [32]. Nel caso in cui si scoprisse che questa scritta è risalente a una data non successiva al I secolo dopo Cristo, ogni dubbio sarebbe fugato, l’unica conclusione che ne potremmo trarre, sarebbe l’esistenza storica del personaggio biblico noto come Paolo l’Apostolo. Ricordiamo che “San Paolo è stato decapitato, secondo la tradizione nel luogo in cui si trova oggi ’abbazia delle Tre Fontane, sulla via Laurentina a Roma. Il suo corpo venne nascosto per vari secoli in un sarcofago familiare. Solo dopo il 313, quando Costantino concesse la libertà di religione nell’Impero romano, iniziò il culto pubblico e la tomba di San Paolo poté essere visitata” [33].

Ma c’è un ulteriore dettaglio, sul quale tutti dovremmo soffermarci, ed è il “prezioso tessuto di lino colorato di porpora, laminato con oro zecchino” senza parlare del “tessuto di colore azzurro con filamenti di lino”, entrambi ritrovati nel sarcofago di Paolo l’apostolo. Essi sono importanti, perché l’intuito ci suggerisce che, in particolare, il tessuto di lino colorato di porpora, sia risalente al I secolo d. C., e sia stato prodotto nella città di Colossi. Infatti, sulla città di Colossi, le cui rovine si trovano nell’odierna Turchia, sappiamo le seguenti informazioni:

“The town had a pretty tight monopoly on wool production until around the 3rd century CE. Even after things started to decline when other towns started cranking out the quality textiles, Colossae was still famous for a special kind of purple fleece that was only made there” [34].

Infatti lo stesso “Plinio il Vecchio racconta che la lana di Colossi diede il suo nome (colossinus) al colore del ciclamino” [35].

Ora, Wikipedia afferma che non ci sono prove “che san Paolo avesse visitato la città prima di scrivere la Lettera ai Colossesi, giacché dice a Filemone che spera di visitarla dopo la liberazione dal carcere (Filemone 1,22)” [36].

Mentre della lettera di Paolo a Filemone sappiamo che alcuni l’avvicinano “alla Lettera ai Galati e alla Lettera ai Filippesi, deducendo che Paolo l’avrebbe scritta ad Efeso negli anni 54-55” [37]. Sappiamo che nella prima metà degli anni cinquanta del primo secolo dopo Cristo, Paolo era in prigione ad Efeso, per via delle sue predicazioni cristiane. Deve essere durante questa prigionia che Paolo ha scritto la lettera a Filemone, in cui dice di voler visitare Colossi. Delle tante mappe dei viaggi di Paolo, ne abbiamo selezionate due:

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Nell’immagine soprastante si possono vedere i quattro viaggi di Paolo, incrociando le informazioni dalle lettere paoline e dagli Atti degli Apostoli, in questa mappa, Paolo, nel suo terzo viaggio, non passa per la città di Colossi.

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In quest’altra mappa con l’amenità di una Sicilia storta, si possono vedere gli stessi viaggi di Paolo: in questa mappa, nel suo terzo viaggio, Paolo passa per Colossi, anche se non ha mai scritto di esserci stato, né ciò è menzionato negli Atti.

La nostra teoria è che Paolo sia stato sia a Colossi che a Laodicea, nel suo terzo viaggio. Pensiamo inoltre che nel suo terzo viaggio, di nuovo ad Efeso – quindi ben dopo la lettera a Filemone – Paolo abbia affidato la lettera ai Laodicesi e quella ai Colossesi ad un amico fidato, che le ha poi consegnate alle rispettive comunità. Questo spiegherebbe anche Colossesi 2:1: “Voglio infatti che sappiate quale dura lotta io devo sostenere per voi, per quelli di Laodicèa e per tutti coloro che non mi hanno mai visto di persona,” [38]. In questa frase Paolo sembra intendere che i Laodicesi e i Colossesi lo hanno visto di persona, come se “per voi, per quelli di Laodicea” e “per tutti coloro che non mi hanno mai visto di persona” fossero soggetti diversi. Se Paolo non fosse stato visto in faccia da Colossesi e Laodicesi non avrebbe posto l’enfasi su questo aspetto, avrebbe semplicemente scritto “per voi, per quelli di Laodicea e per tanti altri” o anche “per voi, per quelli di Laodicea e per quelli che, come voi, non mi hanno mai visto di persona”.

Consideriamo anche che “Paolo, nella Lettera ai Colossesi (4,16), fa riferimento a un’epistola presumibilmente inviata da lui alla comunità di Laodicea. In passato si è ipotizzato che tale testo si identificasse appunto con la Lettera ai Laodicesi contenuta in alcuni codici della Vulgata; oggi tuttavia si ritiene che quest’ultima sia in realtà pseudoepigrafa. Si tratta in effetti di un testo molto breve (appena 20 versetti), scritto in greco, che si presenta come un vero e proprio collage di passi paolini attinti dalle altre lettere canoniche, e potrebbe essere stata composta probabilmente poco dopo la metà del I secolo (attorno al 60). L’autentica Lettera ai Laodicesi di cui parla Paolo sarebbe quindi andata perduta” [39].  Inoltre la lettera ai Laodicesi “è citata negli scritti di Marcione nella prima metà del II secolo. Il Canone muratoriano (c. 170 d.C.) la indica invece come testo apocrifo” [40]. Non sappiamo se i marcioniti, tra le tante mutazioni che potrebbero aver inserito nelle lettere paoline, si siano anche inventati una lettera ai Laodicesi scritta da Paolo in persona. Ma di Laodicea al Lico sappiamo che in età romana “si sviluppò come centro per la produzione e il commercio della lana e l’industria tessile” [41]. Inoltre “vari tipi di tessuti e vesti che vi erano prodotti sono citati nell’Editto dei prezzi dioclezianeo” [42].

Ma perché ci soffermiamo su tutti questi punti? Paolo nelle sue lettere parlava di umiltà, non di fregiarsi di tessuti dai prezzi esorbitanti. Se si riuscissero a confrontare questi tessuti rinvenuti nel sarcofago di Paolo, con tessuti che sappiamo poter provenire solo da Colossi e da Laodicea nel I secolo dopo Cristo, e trovassimo delle corrispondenze, allora avremmo la prova che Paolo è stato, nel suo terzo viaggio, a Colossi prima, e a Laodicea dopo, per poi andare ad Efeso per la seconda volta. Potremmo affermare che i marcioniti non scherzavano e che c’era davvero una lettera ai Laodicesi, che poi è andata perduta, nonché che la lettera ai Colossesi è indirizzata proprio ai Colossessi perché Paolo vi avrebbe verosimilmente predicato (altrimenti questa lettera ai Colossesi, perché la doveva scrivere proprio a loro? Se Paolo non ha mai messo piede a Colossi, non sarebbe stato a questo punto più logico scrivere una lettera direttamente ad Epafra, che ha fondato le Chiese di Colossi, Laodicea e Hierapolis? Scrivi una lettera a gente che non ti conosce, non ti ha mai visto, né sentito?). E poi visto l’ampio numero di collaboratori, ebrei e non, di cui era circondato Paolo [43], è verosimile che lui sia partito in questi viaggi con testimoni oculari – quindi diretti – della vita di Cristo, proprio per essere creduto. È INVEROSIMILE CHE UN UOMO CHE HA PRESO QUESTO ACCORGIMENTO PUR DI ESSERE PIÙ FACILMENTE CREDUTO, SI SIA MESSO POI A SCRIVERE LETTERE A PERSONE CHE NON HA MAI VISTO NÉ SENTITO!

Durante la sua prigionia è difficile che gli abbiano dato tessuti così costosi, glieli avrebbero tolti le guardie. Difficile era anche che Paolo acquistasse questi prodotti tessili, in quanto viveva per predicare, e non sembrava avere l’indole di chi si fregia di un manto color porpora. L’unica ipotesi che riteniamo plausibile è che Paolo, nel suo terzo viaggio, è stato a Colossi – dove gli ebrei erano molto influenti – e lì è entrato nelle simpatie di romani facoltosi, probabilmente politici che gli garantivano delle protezioni per poter predicare, dandogli un’aria di “intoccabile” grazie a queste vesti. Questi colori sgargianti e vistosi sulle vesti di Paolo, dovevano avere la stessa funzione dei colori sgargianti e vistosi di quelle rane sudamericane talmente velenose che possono uccidere un uomo per avvelenamento transdermico, al minimo contatto con esse. Doveva essere un messaggio molto chiaro per gli ebrei: “Non provate a portare in tribunale quest’uomo dicendo che offende la religione giudaica o quella pagana, perché noi troveremo gli appoggi e i modi per scagionarlo”. Se si trovassero le corrispondenze di cui stiamo parlando, probabilmente scopriremmo che il tessuto di Lino color ciclamino/porpora è tipico dell’industria tessile di Colossi del I secolo dopo Cristo, mentre quello azzurro deve essere una specialità di Laodicea. Se trovassimo queste corrispondenze, potremmo affermare – a causa del terremoto del 60 d. C. che ha posto fine alla città di Colossi – che i resti umani nel sarcofago di Paolo appartengono più probabilmente ad un uomo del primo secolo dopo Cristo, che non del secondo. Chi ci può essere in quel sarcofago, se conosceva tattiche giudaiche come la conversione strategica e l’entrismo (menzionate nelle sue lettere), e usava tecniche rabbiniche come la gezerah shavah (“decreto simile”)? Può mai trattarsi di Plinio il Giovane?!

Chi ci può essere in quel sarcofago se ha indossato i capi più esclusivi di Laodicea e Colossi del I secolo dopo Cristo, e un’iscrizione all’interno del sarcofago recita “Paolo Apostolo e martire”? Se questi capi d’abbigliamento fossero davvero appartenuti ad un semplice magistrato romano, quale era Plinio Il Giovane, non l’avrebbero mai sotterrato insieme con tali vestiti. Il terremoto del 60 d. C., che ha distrutto Colossi, costituisce quello che in gergo si chiama “stop archeologico”, il che significa che se questi tessuti hanno un impronta rinconducibile all’industria tessile di Colossi, allora risalgono a non dopo il 60 d. C. Plinio Il Giovane è morto nel II secolo d. C., il che vuol dire che se ci fosse lui nel sarcofago, allora questi tessuti gli sono stati consegnati invecchiati di almeno vent’anni, visto che Plinio Il Giovane è nato negli anni sessanta del I secolo d. C.,  quindi è più verosimile che ci sia un autentico Paolo l’Apostolo nel sarcofago, che negli anni cinquanta del I secolo d. C., è stato a Colossi, e ha qui ricevuto i prodotti tessili locali, morendo poi da martire cristiano poco dopo, nella prima metà degli anni sessanta del I secolo d. C.

Questi tessuti costosissimi erano sprecati per finire nella una tomba di un uomo qualunque, a meno che…chi li ha messi nel sarcofago col cadavere non avesse un interesse a nascondere quelle che potrebbero essere delle reliquie sacre. Quei tessuti sono in quella tomba perché avevano un significato simbolico importante per chi ce li ha messi dentro: sono le reliquie di un martire. L’ipotesi che Paolo indossasse vestiti esclusivi e alquanto costosi è tutt’altro che inverosimile, visto che Paolo, da quanto si evince dai suoi scritti, godeva di ottime protezioni politiche. Infatti non dovremmo mai dimenticare che un certo Erasto – romano – era “il «tesoriere» (oikonómos) di Corinto, secondo quanto emerge dai saluti in Rm 16,23. La notizia potrebbe trovare conferma in un’iscrizione dell’epoca, proveniente proprio da Corinto, che parla di un Erasto «responsabile dei lavori pubblici». Secondo la narrazione degli Atti degli apostoli (19,21), un Erasto venne inviato da Efeso in Macedonia, assieme a Timoteo. La Seconda lettera a Timoteo lo descrive nuovamente a Corinto, negli ultimi anni di vita dell’apostolo (2Tim 4,20)” [44]. In questo scenario, Paolo si è fermato ad Efeso per una seconda volta nella sua vita, in particolare nel suo terzo viaggio, ed è a questo punto che ha scritto la lettera ai Colossesi e quella ai Laodicesi. Qui deve aver incontrato una o più persone fidate, alle quali Paolo ha consegnato la lettera ai Laodicesi e la lettera ai Colossesi, da consegnare alle rispettive comunità. Quanto all’ipotesi formulata da Flavio Barbiero – cioè l’amicizia tra Giuseppe Flavio (ebreo) e Paolo l’Apostolo – essa non trova riscontro tra i biblisti, perché non ritengono che Paolo facesse parte del Sinedrio, come abbiamo riportato sopra.

E poi a giudicare dalle congiure che gli ebrei ordivano nei confronti di Paolo, come testimoniato sia in Atti che nelle Lettere, è molto probabile che Giuseppe Flavio e Paolo si schifassero vicendevolmente, e parecchio anche. Le ipotesi di Flavio Barbiero sulle origini del cristianesimo vanno anche contro tre secoli di gnosticismo ebraico giudaizzante, chiamato subdolamente “i primi cristianesimi”. Tale gnosticismo aveva l’intento evidente di distruggere il cristianesimo nella sua essenza, attraverso la Cabala, ed è per questo che Giuseppe Flavio si è posto a capo dell’organizzazione “Sol Invictus Mithra”, nel tentativo di paganizzare il cristianesimo nascente, in continuità con lo gnosticismo, che voleva giudaizzare il cristianesimo nascente. Senza contare che il viaggio a Roma, che avrebbe affrontato Giuseppe Flavio e di cui lui stesso parla, dovrebbe essere raffrontato con la datazione delle lettere Paoline e della biografia di Paolo che danno il numero maggiore di spiegazioni, cioè la datazione proposta dalla prof. Marta Sordi. Per Marta Sordi, il desiderio di Paolo di andare a Roma “è già formulato, secondo gli Atti, quando Paolo si trova a Efeso, ed è espresso anche nella Lettera ai Romani, che secondo la cronologia che io ho ricostruito risale al 53-54, non al 57 come generalmente si ritiene. Infatti tra le personalità romane che nomina ci sono Narciso, un liberto di Claudio morto nel 54, e Aristobulo, che nel medesimo anno venne mandato a governare la Piccola Armenia” [45]. Ha anche affermato che “con la cronologia tradizionale un sacco di questioni rimangono incomprensibili” [46]. Mentre “con quella che propongo io – che si accorda con tutti i dati a nostra disposizione – ogni problema si chiarisce. Tutto dipende da un passo degli Atti (24,27), in cui si dice che «trascorsi due anni, Felice (il governatore romano della Giudea) ebbe come successore Porcio Festo; ma Felice lasciò Paolo in prigione»: generalmente, i due anni vengono riferiti alla prigionia di Paolo, mentre si tratta semplicemente della durata in carica di Felice, che fu governatore, secondo le fonti romane, nel 53-54. Dunque Paolo fu processato sotto il successore Porcio Festo nella prima metà del 55, in forza del suo status di cittadino romano si appellò a Cesare e fu quindi trasferito a Roma, dove giunse agli inizi del 56, e non dopo il 60, come generalmente si ritiene. Nel 56 era prefetto del pretorio Afranio Burro, amico di Seneca, uomo saggio e tollerante, e questo spiega le condizioni della prigionia di Paolo, una sorta di arresti domiciliari molto blandi, in cui era sorvegliato da un pretoriano ma poteva ricevere liberamente chi voleva. Poi venne assolto, verosimilmente da Burro, nella primavera del 58, e qui ha inizio il celebre epistolario con Seneca” [47]. “Paolo rimase agli arresti domiciliari tra il 56 e il 58, venne quindi assolto, e qui si collocano le prime lettere con Seneca. Quindi, dal 59 al 62, c’è un vuoto, durante il quale Paolo si recò in Spagna. Tornò giusto in tempo per subire gli effetti nella svolta di Nerone: proprio in quell’anno morì Burro e Seneca perse il suo ascendente sull’imperatore, sostituito da quello della nuova moglie di lui, Poppea. E in una lettera di Seneca di questo periodo si fa cenno all’ostilità della «domina» nei confronti di Paolo, perché ha «abbandonato la religione dei padri»” [48].

Inoltre oggi sappiamo, grazie alla professoressa Ilaria Ramelli, che un personaggio di cui abbiamo la certezza dell’esistenza storica, cioè il già menzionato Seneca, morto ufficialmente nel primo secolo dopo Cristo (65 d.C.), era in contatto con Paolo l’apostolo, da quanto risulta da un epistolario che, a quanto dice la prof., sarebbe autentico, e non conosciamo argomenti abbastanza forti, avanzati contro la tesi della prof. Ilaria Ramelli. Nel 65 d. C., Plinio il Giovane aveva forse tre o quattro anni, il che significa…nelle teorie dell’ebreo Abelard Reuchlin – per cui Paolo sarebbe stato in realtà Plinio il Giovane – che Seneca scriveva lettere a Plinio Il Giovane mentre doveva ancora avvenire anche solo la scopata che avrebbe poi dato alla luce Plinio il Giovane. In questa interpretazione, le due lettere dell’epistolario considerate sicuramente false, devono essere intese come un’eresia cristiana a orologeria, inserita dagli ebrei per screditare Paolo, e da riscuotere successivamente, con l’avvento della filologia. Possiamo affermare infatti che, in merito a suddetto epistolario, due “sono in particolare gli argomenti forti per negarne l’autenticità. Il primo è rappresentato dal fatto che l’apologeta cristiano Lattanzio, scrivendo nel 324 circa, mostra di ignorare l’esistenza dell’epistolario, visto che afferma che Seneca avrebbe potuto essere cristiano, purché qualcuno gli avesse parlato di Cristo. Il secondo ostacolo è dato dalla XII lettera, o XI secondo altre numerazioni, che è datata nel marzo del 64 e che è attribuita a Seneca: in essa infatti si descrive l’incendio di Roma, che invece avvenne nel luglio dello stesso anno; un errore vistoso, che è impensabile in uno scrittore contemporaneo all’avvenimento” [49]. Ad ogni modo “l’epistolario venne creduto autentico nel corso della tarda antichità e del Medioevo: si andava così dalla testimonianza di san Girolamo (che nel 392 scriveva che le lettere tra i due grandi circolavano e venivano lette da moltissime persone) a quella di intellettuali come Albertino Mussato e il Boccaccio, che non avevano dubbi sia sull’autenticità sia sulla fede cristiana di Seneca” [50]. “Dall’Umanesimo iniziarono invece le critiche demolitrici, sintetizzate da Giusto Lipsio, il filologo fiammingo che affermava che queste lettere sarebbero state scritte per prendere in giro noi lettori, facendoci credere in un epistolario impossibile” [51]. A tale proposito è bene sottolineare che gli ebrei hanno il primato anche come linguisti, la loro versatilità linguistica è impressionante, nonostante tutto hanno inventato lingue come lo Yiddish e il Ladino, che godono di ambiguità linguistica, per consentire agli ebrei di incistarsi meglio nelle società che attaccano. Tali capacità linguistiche hanno raggiunto l’apice nella Russia giudeo-bolscevica, della quale lo stesso Bostunich dirà:-“is even considering replacing the Russian language with the Jewish “Esperanto” (an artificial language combining Italian, French, German and Polish, invented by a Prof. Zamenhof)” (sta anche considerando di rimpiazzare la lingua russa con l’ebraico “Esperanto” (una lingua artificiale che combina italiano, francese, tedesco e polacco, inventata da un Prof. Zamenhof) [52]. Gli ebrei se la cavavano anche con dialetti greci e siriaco-gerolosomitani dei primi secoli dopo Cristo, nonché con l’aramaico. Per questo, la serie di datazioni tardive di molte opere, basate sulla filologia, in molte nazioni, potrebbe dover subire una revisione sistematica, perché non è da escludere che gli ebrei abbiano sviluppato – tra le varie forme di sovversione ideologica di cui sono i maestri insuperati – tecniche/tattiche avanzate di sovversione filologica/linguistica, creando così degli ingranaggi inconsapevoli al servizio del giudeo, grazie all’indottrinamento dei gentili con strumenti di critica testuale falsati. In altre parole, gli ebrei potrebbero aver creato dei “filologi del sabato” inconsapevoli. Dopotutto se gli ebrei sono riusciti a far credere, al mondo intero, che il più grande massacro nella storia dell’umanità è stato commesso dai russi durante il giudeo-bolscevismo, anziché dagli ebrei stessi, perché sarebbe inverosimile parlare anche di giudeo-filologia?

Bisognerebbe infatti, tenere sempre a mente che LA MODERNA FILOLOGIA HA FALLITO MISERAMENTE NEL DATARE IL VECCHIO TESTAMENTO, SOSTENENDO ADDIRITTURA L’INESISTENZA STORICA DELLA STRAGRANDE MAGGIORANZA DEI PERSONAGGI BIBLICI, QUANDO È CHIARAMENTE SMENTITA DA UNA PLETORA DI SCOPERTE DI ARCHEOLOGIA BIBLICA. Un esempio fondamentale, è costituito dagli amuleti di Ketef Hinnom, di cui il sito dell’istituto dei Missionari della Consolata scrive in questi termini:

“L’antichità del testo dell’Antico Testamento è attestata dai due amuleti scoperti al di sotto di una scarpata rocciosa, sulla quale si trova la chiesa di S. Andrea della Scozia, sull’altro lato della valle di Hinnom rispetto alle mura occidentali della città antica di Gerusalemme. Sono conosciuti come gli amuleti di Ketef Hinnom, scoperti nel 1979 da Gabriel Barkay nella caverna 25.

Queste piastre d’argento datate tra il settimo e il sesto secolo a.C., arrotolate così da formare due amuleti (il più grande di 10 x 2,5 centimetri, e il più piccolo di 4 x 1,2 centimetri), riportano incise le parole di Numeri 6,24-26 sull’una, e di Deuteronomio 7,9 sull’altra. Entrambe corrispondono alle parole ebraiche trovate nel Pentateuco e mostrano una straordinaria similitudine con le parole e l’ortografia di queste Scritture. Tutto ciò sfida coloro, che datano il Pentateuco nel periodo post-esilico, a spiegare come due testi dalla Legge di Mosè appaiano molto prima rispetto alla data che la critica accademica ha attribuito loro” [53].

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Nella fotografia soprastante: gli amuleti di Ketef Hinnom. Da soli questi reperti invalidano le ipotesi filologiche minimaliste e ultraminimaliste sulla redazione della Bibbia, impostesi in tempi recenti.

Tornando all’epistolario, la prof. “Marta Sordi si pronuncia innanzitutto a favore della probabilità di una conoscenza personale tra Paolo e Seneca. L’arrivo dell’apostolo a Roma andrebbe collocato nel biennio 56­-58, quando Seneca era potentissimo a Roma e influente consigliere di Nerone; Paolo avrebbe avuto in quel periodo buone amicizie tra i pretoriani, guidati da quel prefetto, Afranio Burro, che sappiamo amico di Seneca: in tale contesto l’ipotesi di un incontro tra le due grandi personalità non è certo inverosimile, anche se non abbiamo alcuna prova certa in merito. Abbiamo invece la prova di un rapporto tra la famiglia di Seneca, la gens Annaea, e Paolo stesso, attraverso un’iscrizione funeraria della fine del I o dell’inizio del II secolo, trovata a Ostia, luogo del martirio di Paolo. Anche la Sordi esclude, per varie ragioni, la paternità di due lettere dal novero di quelle autentiche: la prima è la XII (o XI) per via della descrizione prima del tempo dell’incendio di Roma; l’altra è la XIV, l’ultima, che con linguaggio diverso dalle precedenti suggerisce addirittura l’idea di una conversione di Seneca al Cristianesimo. Le altre dodici lettere sono quindi riconducibili al periodo che va dal 58 al 62, in cui realmente Seneca era l’uomo più potente del momento e Paolo era sicuramente presente nella capitale dell’impero” [54].

Per la prof. Marta Sordi, escluse le due lettere dimostrate come false dalla prof. Ilaria Ramelli,  cadono “gli argomenti che inducevano ad affermare il carattere apocrifo dell’intera raccolta e il problema deve essere riaperto” [55]. Inoltre, Marta Sordi fornisce indizi e prove circostanziali che l’epistolario sia autentico: “Le dodici lettere rimaste, alcune datate con i consoli ordinari e con quelli suffetti, un uso che cessa col III secolo d.C….[…]…Dal punto di vista linguistico, i grecismi sono tutti contenuti nelle lettere di Paolo, mentre la traduzione, da parte di Seneca, horrore divino del paolino phobos theou, sembra escludere la presenza di un falsario cristiano, che avrebbe certamente tradotto timor Dei” [56]. Inoltre Marta Sordi risolve così il “problema dell’ignoranza di Lattanzio” relativamente all’epistolario tra Seneca e Paolo: “Il contenuto non apertamente religioso e il carattere di scambio privato di lettere fra amici giustifica l’ignoranza che i Cristiani ebbero di questo epistolario fino a san Gerolamo: esso è giunto, in effetti, tra le opere di Seneca, non fra quelle di Paolo” [57]. Per Marta Sordi l’epistolario “conferma il periodo della prima prigionia romana di Paolo, 56/58 d.C., risultante dalle fonti migliori relative alle procuratele di Antonio Felice e di Porcio Festo in Giudea; esso permette inoltre di cogliere il momento preciso della svolta anticristiana del governo neroniano, che, se coincide con la svolta generale del 62, trova nell’ostilità della giudaizzante Poppea, sposata in quell’anno dall’imperatore, la sua causa immediata. L’accenno ripetuto all’indignatio della domina per l’allontanamento di Paolo dal giudaismo, con la reticenza incomprensibile in un falsario ma ben giustificabile in un contemporaneo, rivela da parte di chi scrive la conoscenza di fatti (il filogiudaismo di Poppea), che noi conosciamo solo da Flavio Giuseppe, ma che nessun autore cristiano poteva inventare. L’epistolario sembra inoltre presupporre un rapporto che non riguarda solo Seneca e Paolo, ma alcuni dei loro amici e seguaci. Lucilio, amico di Seneca, Teofilo, il cavaliere romano a cui Luca dedica il suo Vangelo” [58].

Per Marta Sordi, il contesto storico fornito dall’epistolario, coincide con quello del dialogo tra stoici pagani e i primi cristiani, come si evince dalle lettere paoline e da personaggi del secondo secolo: “Nella I lettera Seneca ricorda a Paolo un colloquio avvenuto tra lui e Lucilio negli horti Sallustiani, a cui erano presenti quidam disciplinarum tuarum comites: il rapporto non riguarda dunque solo due persone, ma due ambienti, quello cristiano e quello che faceva capo all’ancora potente ministro di Nerone; i convertiti romani al Cristianesimo, presenti anche nella corte neroniana (come risulta del resto anche dalla lettera ai Filippesi, in cui si parla di Cristiani della casa di Cesare) e i seguaci dello Stoicismo romano.

Sono proprio questi rapporti che inducono a non sottovalutare e a non confinare nella leggenda ciò che emerge dall’epistolario, l’esistenza, cioè, di un dialogo in atto fra gli ambienti dello stoicismo romano di età neroniana e la prima predicazione cristiana.

Contatti spesso verbali sono stati riscontrati tra gli scritti neo testamentari e, specialmente, tra le lettere paoline e gli Stoici dell’opposizione neroniana, Musonio Rufo, che Giustino martire proclama martire del logos seminale, Persio, lodato anche da Agostino. Ma è ancora a Seneca e al suo ambiente che ci riporta la tragedia senechiana Hercules Oetaeus, che, se non è di Seneca, è certamente di uno stoico a lui vicino e che rivela, pur essendo sicuramente l’opera di un pagano, quella stessa conoscenza del Cristianesimo, piena di ammirazione e di simpatia, che troviamo nell’epistolario fra Seneca e Paolo” [59]. Per Marta Sordi quindi, nelle opere pagane del I secolo dopo Cristo, si possono rinvenire riferimenti al Cristianesimo, che sono soltanto velati perché non c’era il clima ideale per fare dei riferimenti espliciti ad esso, in quanto stoici pagani e primi cristiani si stavano appena interfacciando, in un ambiente storico e politico inizialmente avverso al cristianesimo. Stoicismo pagano e cristianesimo stavano dialogando, poiché il Logos Spermatikos – cioè l’insieme di semi di gnosi pura precristiana diffusi nella religione pagana – rendeva possibile ciò, facendo da ponte tra le due ideologie, almeno nella ricostruzione dei Padri della Chiesa come Giustino martire e Agostino che hanno lodato personaggi stoici del primo secolo, nonché nell’opinione di tutti quei cattolici che credono alla teoria del senso teologico della storia. Quindi escluse due lettere sicuramente false, non ci sono problemi né linguistici né di contesto storico-politico riscontrabili nel resto dell’epistolario.

Sui lavori di Ilaria Ramelli riguardanti l’eresia nota come apocatastasi, che puzza decisamente di modernismo – pur essendo partita da un padre della Chiesa (eretico) come Origene – ci soffermeremo un giorno, ma quel giorno non è oggi. Possiamo però anticipare perché consideriamo l’apocatastasi un’eresia anticristiana:

  • È una puttanata internazionale senza un briciolo di senso, quindi non può essere, in ogni caso, “divinamente rivelata”
  • Ripropone la concezione ciclica del tempo, una concezione tipicamente gnostica, mentre il tempo per i cristiani è lineare
  • È stata riproposta da un Papa che in realtà è una cellula fantasma, un marrano, al fine di far progredire l’Americanismo all’interno della Chiesa Cattolica
  • Questa eresia crea quello che noi chiamiamo “Problema dell’Ultimo Farabutto”
  • Porta anche al “Problema del Primo Farabutto”, il più fesso di tutti: quanto è divinamente giusto che debba aspettare all’Inferno prima di ricevere l’Apocatastasi, a parità di peccati commessi rispetto ad altri Farabutti, vissuti in epoche più vicine temporalmente all’Apocatastasi finale? Dobbiamo inserire un concetto relativo di tempo e di come scorre, Farabutto per Farabutto? Come funziona esattamente?
  • Porta inevitabilmente, come molte dottrine gnostiche, alla de-moralizzazione di chi abbraccia tale eresia, in quanto gli individui più malvagi e vendicativi potrebbero essere propensi a fare del male in questo mondo a prescindere dall’entità della loro punizione, essendo disposti a tutto pur di ottenere quello che vogliono in questo mondo, e perché tanto sanno che la loro punizione sarà comunque momentanea, prima o poi potranno comunque ricominciare, il che ci riporta al primo punto (vedi sopra).

Per non uscire troppo fuori tema, ci soffermiamo solo sul terzo punto: il problema dell’Ultimo Farabutto. Possiamo enunciare il problema in questo modo: “Posto che l’Apocatastasi avvenga il giorno x, e che in tale giorno “avverrà la redenzione universale e tutte le creature saranno reintegrate nella pienezza del divino, compresi Satana e la morte” [60] e finanche tutti i demoni gli angeli e le restanti creature, esisterà un individuo, noto come Ultimo Farabutto, che sarà il più grande criminale di tutti i tempi, e morirà il giorno x – 1 (il giorno prima dell’Apocatastasi finale di vivi e morti). Se l’Ultimo Farabutto, dopo tutti i crimini che ha commesso, si fa un solo giorno di Inferno al quale segue l’Apocatastasi (cioè il perdono) finale, si può asserire che è stata fatta giustizia divina anche per l’Ultimo Farabutto”? Perché il più grande Farabutto di sempre dovrebbe pagare meno di tutti, solo perché è nato verso la fine dei tempi?

A questo problema segue un logico corollario, che comprende il caso di un’ Apocatastasi che si prolunga nel tempo perché prevede le temporanee espiazioni dell’Ultimo Farabutto anziché il suo perdono immediato: “Se il giorno x – 1, noto come il giorno prima dell’Apocatastasi, muoiono tutte le creature che la devono ricevere, insieme all’Ultimo Farabutto, allora queste creature dove finiranno nell’attesa dell’Apocatastasi? Se fosse vero che prima devono finire le espiazioni dell’Ultimo Farabutto, in quanto i dannati “esistono, ma non per sempre, poiché il disegno salvifico non si può compiere se manca una sola creatura” [61] e quindi l’Apocatastasi non si può compiere, si può dire che i contemporanei dell’Ultimo Farabutto hanno ricevuto giustizia divina? Perché devono aspettare tutto il tempo di espiazione dell’Ultimo Farabutto, quando magari non hanno fatto molto in confronto a lui e meriterebbero l’Apocatastasi anticipata rispetto a lui?

Ad ogni modo, tornando al seminato, un’analisi dettagliata dell’invettiva antigiudaica universale di Gesù Cristo, contenuta nel Vangelo di Matteo, ci ha convinto di diverse cose:

  • Gesù Cristo è stato un personaggio, di chiara origine ebraica, storicamente esistito
  • Gesù Cristo aveva un’ottima conoscenza degli scritti talmudici che circolavano durante la sua epoca, o comunque delle tradizioni orali giudaiche dell’epoca
  • Gesù Cristo aveva una conoscenza tale del popolo ebraico, delle sue caratteristiche salienti, e delle sue usanze, che la sua invettiva non può essere considerata un’ invenzione dell’immaginario antigiudaico di autori greco-romani come Seneca, o Plinio il Giovane, come afferma l’ebreo Abelard Reuchlin in riferimento al Nuovo Testamento nella sua interezza.
  • Gesù Cristo è riuscito, con una lucidità impressionante, a prevedere sia eventi che sarebbero poi accaduti di lì a pochi decenni, sia eventi accaduti migliaia di anni dopo. Come ha fatto?
  • GESÙ CRISTO ERA CONVINTO – COME LO SONO STATI MOLTI EBREI NELLA STORIA DEL GIUDAISMO – DI ESSERE IL MESSIA. Le prove di ciò sono in Mt 16:18, in cui ha cambiato il nome di Simone in Pietro, come Dio ha cambiato il nome ad Abramo in Abrahamo, nonché in Mt 23:37 e Mt 23:34. Gesù è rimasto convinto di essere il Messia fino al suo ultimo respiro, infatti la frase “Eli, Eli, lama sabactani?” (“Dio mio, Dio mio, perché mi hai abbandonato?”) in Mt 27:46 è in realtà l’inizio del ventiduesimo salmo del re Davide che descriverebbe la fragilità umana di Gesù Cristo ma anche la sua crocifissione e resurrezione.
  • È difficile già in partenza affermare che i Vangeli sono dei falsi, perché il Vangelo di Matteo è il più semitico tra i Vangeli, e finanche dell’invettiva antigiudaica universale pronunciata da Cristo, si è sottolineato un tipico stile semitico. Se i Vangeli sono dei falsi storici scritti da dei romani o comunque da dei non-ebrei, come hanno fatto questi ad imitare lo stile semitico senza conoscere poi le tradizioni degli ebrei? Se invece i Vangeli sono stati scritti da degli ebrei, allora come fanno gli ebrei a dire che sono dei falsi? Su quale base affermano ciò?

FINE DELL’INTRODUZIONE


Veniamo dunque al testo integrale dell’invettiva antigiudaica universale cioè Matteo capitolo 23, seguito poi dall’elenco dei marcatori di ebraicità/caratteristiche salienti in essa rinvenuti/e, e dal commento dell’invettiva versetto per versetto:

“1 Allora Gesù si rivolse alla folla e ai suoi discepoli dicendo: 2 «Sulla cattedra di Mosè si sono seduti gli scribi e i farisei. 3 Quanto vi dicono, fatelo e osservatelo, ma non fate secondo le loro opere, perché dicono e non fanno. 4 Legano infatti pesanti fardelli e li impongono sulle spalle della gente, ma loro non vogliono muoverli neppure con un dito. 5 Tutte le loro opere le fanno per essere ammirati dagli uomini: allargano i loro filattèri e allungano le frange; 6 amano posti d’onore nei conviti, i primi seggi nelle sinagoghe 7 e i saluti nelle piazze, come anche sentirsi chiamare “rabbì” dalla gente. 8 Ma voi non fatevi chiamare “rabbì”, perché uno solo è il vostro maestro e voi siete tutti fratelli. 9 E non chiamate nessuno “padre” sulla terra, perché uno solo è il Padre vostro, quello del cielo. 10 E non fatevi chiamare “maestri”, perché uno solo è il vostro Maestro, il Cristo. 11 Il più grande tra voi sia vostro servo; 12 chi invece si innalzerà sarà abbassato e chi si abbasserà sarà innalzato. 13 Guai a voi, scribi e farisei ipocriti, che chiudete il regno dei cieli davanti agli uomini; perché così voi non vi entrate, e non lasciate entrare nemmeno quelli che vogliono entrarci. 14 Guai a voi, scribi e farisei ipocriti, perché divorate le case delle vedove e fate lunghe preghiere per mettervi in mostra; perciò riceverete maggior condanna. 15 Guai a voi, scribi e farisei ipocriti, che percorrete il mare e la terra per fare un solo proselito e, ottenutolo, lo rendete figlio della Geenna il doppio di voi. 16 Guai a voi, guide cieche, che dite: Se si giura per il tempio non vale, ma se si giura per l’oro del tempio si è obbligati. 17 Stolti e ciechi: che cosa è più grande, l’oro o il tempio che rende sacro l’oro? 18 E dite ancora: Se si giura per l’altare non vale, ma se si giura per l’offerta che vi sta sopra, si resta obbligati. 19 Ciechi! Che cosa è più grande, l’offerta o l’altare che rende sacra l’offerta? 20 Ebbene, chi giura per l’altare, giura per l’altare e per quanto vi sta sopra; 21 e chi giura per il tempio, giura per il tempio e per Colui che l’abita. 22 E chi giura per il cielo, giura per il trono di Dio e per Colui che vi è assiso. 23 Guai a voi, scribi e farisei ipocriti, che pagate la decima della menta, dell’anèto e del cumìno, e trasgredite le prescrizioni più gravi della legge: la giustizia, la misericordia e la fedeltà. Queste cose bisognava praticare, senza omettere quelle. 24 Guide cieche, che filtrate il moscerino e ingoiate il cammello! 25 Guai a voi, scribi e farisei ipocriti, che pulite l’esterno del bicchiere e del piatto mentre all’interno sono pieni di rapina e d’intemperanza. 26 Fariseo cieco, pulisci prima l’interno del bicchiere, perché anche l’esterno diventi netto!
27 Guai a voi, scribi e farisei ipocriti, che rassomigliate a sepolcri imbiancati: essi all’esterno son belli a vedersi, ma dentro sono pieni di ossa di morti e di ogni putridume. 28 Così anche voi apparite giusti all’esterno davanti agli uomini, ma dentro siete pieni d’ipocrisia e d’iniquità. 29 Guai a voi, scribi e farisei ipocriti, che innalzate i sepolcri ai profeti e adornate le tombe dei giusti, 30 e dite: Se fossimo vissuti al tempo dei nostri padri, non ci saremmo associati a loro per versare il sangue dei profeti; 31 e così testimoniate, contro voi stessi, di essere figli degli uccisori dei profeti. 32 Ebbene, colmate la misura dei vostri padri! 33 Serpenti, razza di vipere, come potrete scampare dalla condanna della Geenna? 34 Perciò ecco, io vi mando profeti, sapienti e scribi; di questi alcuni ne ucciderete e crocifiggerete, altri ne flagellerete nelle vostre sinagoghe e li perseguiterete di città in città; 35 perché ricada su di voi tutto il sangue innocente versato sopra la terra, dal sangue del giusto Abele fino al sangue di Zaccaria, figlio di Barachìa, che avete ucciso tra il santuario e l’altare. 36 In verità vi dico: tutte queste cose ricadranno su questa generazione. 37 Gerusalemme, Gerusalemme, che uccidi i profeti e lapidi quelli che ti sono inviati, quante volte ho voluto raccogliere i tuoi figli, come una gallina raccoglie i pulcini sotto le ali, e voi non avete voluto! 38 Ecco: la vostra casa vi sarà lasciata deserta! 39 Vi dico infatti che non mi vedrete più finché non direte: Benedetto colui che viene nel nome del Signore!»” [62].

Veniamo dunque ai marcatori di ebraicità/caratteristiche salienti del popolo ebraico:

  • Circolazione di scritti talmudici in Giudea nel I secolo dopo Cristo, congiuntamente con mutazioni inserite nel Vecchio Testamento da parte delle autorità rabbiniche (Mt 23:2)
  • Ipocrisia giudaica negli insegnamenti rabbinici (Mt 23:3)
  • Indolenza giudaica e proiezione giudaica: interpretazione spirituale e letterale non si escludono a vicenda ma vanno integrate (Mt 23:4)
  • Vanità giudaica e filantropismo simulato (Mt 23:5-7)
  • Occultamento della gnosi pura in grado di far conoscere agli ebrei che Gesù è il Cristo (Mt 23:13)
  • Il concetto di “divorce raped” non esiste nella comunità ebraica. Per quanto possa farvi cadere le mascelle per terra dallo stupore, l’invettiva di Cristo sulla negligenza degli ebrei per la causa della vedova, è valida in tutte le epoche e nazioni. Come faceva a conoscere così bene il giudaismo, se gli ebrei continuano a dire che Cristo non è mai esistito? Conoscete degli autori greco-romani che hanno fatto insinuazioni simili?  (Mt 23:14)
  • Abnegazione giudaica, fervore giudaico e sovversione ideologica. Previsione dei falsi profeti dell’Apocalittica giudaica e dello Gnosticismo (Mt 23:15)
  • Logica Giudaica, rispetto religioso per il denaro, radicamento nella materialità (Mt 23:16-22)
  • Minuziosità giudaica, rispetto religioso per il denaro, ipocrisia giudaica (Mt 23:23)
  • Simulazione giudaica convergente a mezzo di clausole giudaiche (kosher hacks). Demenzialità giudaica (Mt 23:24)
  • Sudiciume giudaico e ipocrisia giudaica. La pietra e il concetto di purezza nell’Halacka del I secolo d. C. Anche qui interpretazione materiale e spirituale vanno integrate come due facce della stessa medaglia (Mt 23:25-26)
  • Propaganda giudaica (realismo giudaico): la propaganda israeliana di oggi è la quintessenza dei sepolcri imbiancati di ieri (Mt 23:27-29)
  • Modulo Kennedy su tutti i profeti (Mt 23:30-32)
  • Predizione di persecuzioni anticristiane, e martiri cristiani (Mt 23:34)
  • Protagonismo omicida giudaico: tendenza degli ebrei a compiere tutti gli omicidi politici. Modulo Kennedy sul profeta Zaccaria (Mt 23:35)
  • Dichiarazione di universalità della questione giudaica e dell’invettiva stessa. Gesù predice il suo omicidio da parte degli ebrei (Mt 23:36)
  • Previsione della lapidazione dell’Apostolo Giacomo (Mt 23:37)
  • Previsione della distruzione del Tempio di Gerusalemme (Mt 23:38)
  • BONUS: Predizione dell’infiltrazione di cellule fantasma del giudaismo nelle future nazioni cristiane. Il consiglio di Cristo per riconoscere gli agenti crittosionisti (Mt 7:15-20). Il significato teologico della “seconda morte” e del protagonismo ereticale giudaico (protagonismo omicida giudaico del II tipo) nella religione cattolica
  • Conclusioni: esegesi tipica della questione giudaica attraverso la Bibbia, e nuova definizione del tempo come tipico-lineare
  • Conclusioni sul complesso di eresie note come “copycat thesis”, o “teoria dell’emulatore”: queste eresie non hanno un supporto archeologico, né un senso storico o politico. Vanno contro il significato funzionale dello gnosticismo e contro l’ebraicità/crittoebraicità dei suoi esponenti, ignorano l’eccessiva conoscenza del giudaismo che traspare dall’invettiva antigiudaica universale, e che non si rinviene nella letteratura greco-romana neanche in maniera frammentata. Con l’arecheologia cristiana del I secolo, queste eresie mostrano inoltre il cosiddetto “problema generazionale”
  • Sfigurazione e trasfigurazione modernisti – descritti nell’enciclica Pascendi dominici gregis – sono i “grimaldelli ideologici” degli agenti crittosionisti (cellule fantasma) per infiltrare la “teoria dell’emulatore” all’interno della Chiesa Cattolica 
  • Il significato teologico dell’autosussistenza della figura di Melchisedek: fornire un motivo di conversione per gli ebrei, e una cristofania ai gentili per debellare la futura “tipologia inversa” fomentata dal crittoebreo Joseph Atwill. Melchisedek è l’unico tipo biblico di se stesso, l’unico personaggio della Genesi senza genealogia perché non ce l’ha, per questo non potrà mai essere ritrovato in alcuna tavoletta canaanita. È l’easter egg di Dio nel Vecchio Testamento, che parla di come il Figlio sia venuto a suggellare il primo Patto
  • Circolazione di scritti talmudici in Giudea nel I secolo dopo Cristo, congiuntamente con mutazioni inserite nel Vecchio Testamento da parte delle autorità rabbiniche (Mt 23:2)

“Sulla cattedra di Mosè si sono seduti gli scribi e i farisei”. Come interpretare questa frase di Gesù Cristo? Sappiamo che Mosè era uno scriba, ma sappiamo anche dal varsetto successivo (Mt 23:3) che Gesù Cristo fa riferimento ad una tradizione di insegnamenti orali dei farisei, e che, tali insegnamenti orali, almeno sul piano formale, per Gesù Cristo erano da considerarsi corretti. È un fatto risaputo però, quello del problema costituito dalla eccessiva violenza veterotestamentaria, per via del fatto che sembra molto di più umanamente che non divinamente rivelata. Questa enorme differenza tra Vecchio e Nuovo Testamento, verrà sottolineata da Marcione con l’eresia anticristiana che è stata poi ribattezzata “marcionismo”, cioè la dottrina per cui il Dio del Vecchio Testamento e quello del Nuovo Testamento sono due divinità a se stanti, completamente diverse tra loro. In particolare, il Dio del Vecchio Testamento sarebbe una divinità malvagia e con “un problema nella gestione della collera”, mentre il Dio del Nuovo Testamento sarebbe quello che salva dalla “dannazione”, un bonaccione, un piacione aperto a tutte le genti disposte a credergli, a differenza di quello che nel libro di Isaia viene definito un “Dio geloso” del fatto che gli ebrei antichi siano caduti nell’idolatria e nella venerazione di altre divinità pagane. La violenza e i genocidi del Vecchio Testamento costituiscono un problema esegetico per la religione cattolica ma non per il giudaismo. Si è provato a risolvere questo problema con quella che possiamo chiamare “teoria del crogiuolo della fede”. Ma non abbiamo affatto intenzione di parlarne qui anche perché ne sappiamo poco. Un’altra spiegazione però, come sembra suggerire anche una parte della filologia biblica, è che il Vecchio Testamento abbia subito vari rimaneggiamenti, da parte di vari autori. È quindi possibile ipotizzare che con la frase “sulla cattedra di Mosè si sono seduti gli scribi e i farisei” Gesù intendesse dire che in taluni passaggi, gli ebrei abbiano utilizzato un po’ di fantasia e ci abbiano messo elementi personali, ricostruzioni magari fittizie, utilizzate a scopo politico, senza però cambiare la legge ebraica nelle sue parti fondamentali. Sappiamo da casi seguenti alla redazione della Bibbia ebraica, che alcuni ebrei hanno provato a cambiare un passo di Isaia. Come scrive Padre Louis-Marie O.P.: “Il rabbino Simmons afferma:

«L’idea cristiana di una nascita verginale ha preso spunto da Isaia 7, 14 dove si parla di un'”‘almah” che ha partorito. La parola ebraica “alma” ha sempre significato “giovane donna”, ma i teologi cristiani, parecchi secoli dopo, l’hanno tradotta come “vergine”».

Il rabbino dimentica che non sono i cristiani che hanno tradotto la Bibbia in greco, ma gli stessi ebrei, molto prima della nascita di Gesù Cristo (la versione greca detta «dei Settanta»). Ora, in questa versione, la parola ebraica ‘almah è tradotta non come «giovane donna», ma come «giovane vergine» (parthènos); è questo stesso termine che San Luca usa per designare la Vergine Maria nel suo racconto dell’Annunciazione” [63]. “È solamente dopo la venuta di Cristo, nel secolo II della nostra era, che gli autori ebrei si prodigarono a fornire una nuova traduzione, per opporla al cristianesimo. Teodozione di Efeso, Aquila del Ponte e Simmaco tradussero ‘almah’ con «giovane donna». Se si vuole considerare il termine ebraico in sé (‘almah) non si può conoscere il senso esatto che esaminando i suoi diversi impieghi nella Bibbia.

Ora, in tutta la Sacra Scrittura non si trova questa parola che una decina di volte. A seconda del contesto, essa designa delle ragazze che sono o certamente o molto verosimilmente vergini; una sola volta, il termine designa una ragazza che è probabile che sia vergine (il contesto non permette di fornire una risposta definitiva)” [64]. “Tutto ciò implica logicamente che:

Nulla si oppone a che il termine ‘almah designi una giovane vergine, (opponendosi al tempo stesso al termine na’arâh, che designa una «ragazza», senza un’ulteriore precisazione, e al termine betûlâh, che designa proprio una vergine, ma senza precisarne l’età);

La probabilità che questo sia il senso esatto di questa parola è forte. Questa probabilità diventa certezza quando si constata che questa parola è stata tradotta come «vergine» nella versione greca dei Settanta” [65]. “Dunque, la realtà è in definitiva rigorosamente contraria alle affermazioni del rabbino Simmons. Non sono i teologi cristiani che, parecchi secoli dopo, hanno tradotto ‘almah’ con «vergine», ma al contrario i traduttori ebrei che, più di un secolo dopo la venuta del Cristo, hanno rigettato la traduzione fino a quel momento accettata per introdurre il termine di «giovane donna». La sfida lanciata da San Girolamo (347-420) agli ebrei del suo tempo è sempre di grande attualità:

«Che gli ebrei ci mostrino dunque un solo passo delle Scritture in cui “‘almah” designa solamente una ragazza e non una vergine, e allora riconosceremo che la parola di Isaia deve intendersi non come “una vergine”, ma come “una giovane donna già sposata”»” [66].

Un altro esempio in cui gli ebrei arrivano a modificare il Vecchio Testamento, è il famoso e discusso capitolo 53 del libro di Isaia, che parla della figura di un “servo sofferente”, che per i cristiani rappresenta chiaramente Cristo, per gli ebrei rappresenta il popolo di Israele nella sua interezza o “un gruppo di giusti”. “Molti israeliti, infatti, hanno dovuto ammettere che questa profezia annunciava il Messia, anche se poi l’hanno sottoposta ad un’esegesi più che acrobatica per cancellarne gli aspetti che li urtavano. Un caso assai significativo è quello del Targum di Gionata, che Padre Marie-Joseph Lagrange (1855-1938) definisce come «un esempio caratteristico e persino divertente dei controsensi cui può condurre la preoccupazione di restare fedeli alle parole di un testo, sottraendosi per quanto possibile al suo spirito»” [67]. Il Targum di Gionata è un esempio di utilizzo di quella che chiamiamo “logica del contrario” o che forse dovremmo chiamare “logica giudaica a inversione”. Nel momento in cui gli ebrei producono una letteratura speciale per modificare – in maniera ridicola – l’interpretazione del Vecchio Testamento al fine di non far trovare in quest’ultimo riferimenti a Gesù Cristo, diventa molto forte il sospetto che l’incredulità giudaica nei confronti di Gesù come il Messia sia un’incredulità soltanto simulata.

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Nell’immagine, pagina 50 dell’opera “The Babylonian Talmud”, tradotta da Michael L. Rodkinson (includendo The History of the Talmud), 1903. In questo frammento, il rabbino Rodkinson ipotizza che Cristo fosse a conoscenza delle “Tradizioni dei saggi” (“Traditions of the elders”)

Un esempio pratico nella Bibbia, che è a favore dell’ipotesi documentale  – ma fino ad un certo punto perché tale ipotesi è fondamentalmente invalidata dalle scoperte archeologiche di Ron Wyatt – viene fornito da Wikipedia. Infatti, nella pagina sull’esilio babilonese, leggiamo: “Secondo la versione tramandata dalla Bibbia, solo nella tribù di Giuda era sopravvissuto il culto di YHWH, dopo la distruzione del Regno del Nord ad opera degli Assiri. (Ciò contrasta con i dati storici e archeologici, che vedono la persistenza nell’ex Regno del Nord, divenuto la Samaria, del culto di YHWH anche in epoca successiva, arrivando addirittura alla costruzione d’un Tempio rivale sul Monte Garizim, che officiò sotto un sacerdozio legittimamente aronnico fino alla sua distruzione da parte dei Giudei sotto gli Asmonei (con Giovanni Ircano, nel 123 a.C.). Ma per i redattori biblici solo il culto di Gerusalemme era legittimo, pertanto il culto samaritano non meritava d’essere preso in considerazione)” [68].

Contestualmente, alla pagina wiki sul monte Garizim leggiamo: “Separatisi dai Giudei, i Samaritani costruirono sul Garizìm un tempio (2 Maccabei 6:2), nel luogo sul quale – secondo una loro tradizione – avvenne il sacrificio di Abramo. Ai piedi del monte la tradizione situa il pozzo di Giacobbe. Il tempio sul Garizìm, costruito all’epoca di Alessandro Magno (328 a.C.) a imitazione del tempio di Gerusalemme, fu distrutto duecento anni dopo da Giovanni Ircano (128 a.C.). Ma tra i Samaritani restò la convinzione che su quel monte bisognava adorare Dio (cfr. Giovanni 4,20)…[…]…Nel 1964 vennero rinvenuti sul Garizìm i resti dell’antico tempio samaritano” [69]. Si noti la differenza di cinque anni in riferimento alla distruzione di questo tempio, nei due virgolettati.

Dunque, nel secondo libro dei Maccabei, scritto durante la dominazione ellenica di Israele, c’è scritto che “il re inviò un vecchio ateniese per costringere i Giudei ad allontanarsi dalle patrie leggi e a non governarsi più secondo le leggi divine, inoltre per profanare il tempio di Gerusalemme e dedicare questo a Giove Olimpio e quello sul Garizim invece a Giove Ospitale, come si confaceva agli abitanti del luogo” [70], mentre nei libri precedenti della Bibbia, il tempio di Garizim non viene proprio menzionato. Questa sarebbe la prova che il giudaismo “prototalmudico” non ha voluto ammettere in seno a se stesso uno scisma autentico, cioè lo scisma coi Samaritani. Questo è uno dei motivi per cui i libri dei Maccabei non sono ammessi nel canone della Bibbia ebraica ma sono ammessi in quello della Bibbia cristiana: il tentativo di manipolare la storia di Israele – ad opera della classe sacerdotale – a fini politici, in questo caso è evidente. Alla luce di ciò non possiamo non sospettare che ci siano mutazioni nel Vecchio Testamento inserite dagli scribi e farisei di Israele. Un altro esempio, potrebbe essere il famoso passaggio sull’usura contenuto nel Deuteronomio, tale per cui ha fatto scrivere ad un cattolico tradizionalista come Gian Pio Mattogno, di un “dio giudaico”, aprendosi così ad accuse di marcionismo: “<<Quando il Signore, tuo Dio, ti avrà benedetto, come ti ha promesso, presterai a molte nazioni, ma non prenderai a prestito, dominerai molte nazioni, ma esse non ti domineranno>> (Deut. 15, 6).

<<Ora, se darai ascolto alla voce del Signore, tuo Dio, osservando e eseguendo tutti i suoi ordini che oggi io ti do, il Signore ti eleverà sopra tutte le nazioni della terra […] Tu presterai a molte nazioni, ma non prenderai in prestito nulla. Il Signore ti porrà in testa e non in coda, sarai sempre al di sopra, non sarai mai sotto, se darai ascolto agli ordini del Signore, tuo Dio, che oggi io ti do, osservandoli ed eseguendoli >>” [71]. “Qui il Dio giudaico non si limita a promettere a Israele la futura sovranità sui popoli, ma delinea altresì una precisa strategia di conquista: l’usura come strumento di dominio economico” [72]. In questo virgolettato Gian Pio Mattogno ha dimostrato di avere una scarsa conoscenza dell’ipotesi documentale, non riconoscendo che questa tattica giudaica deve essere stata infiltrata all’interno del Pentateuco dalla classe sacerdotale, proprio in occasione della prima prigionia Babilonese, per permettere agli ebrei quella scalata sociale che avrebbe poi garantito loro la libertà.

Riteniamo che Mosè sia realmente esistito e abbia scritto davvero il Pentateuco, probabilmente su delle pelli di animale, nel deserto. È anche verosimile che molte tattiche giudaiche fossero utilizzate dagli ebrei già durante la loro convivenza con gli egizi, ma gli ebrei non avevano forse ancora maturato l’esigenza di usare l’usura in maniera tattica per sopravvivere.

Poi c’è da considerare quello che da sempre è ritenuto, da parte di molti rabbini, come uno dei versi biblici più fraintesi di tutta la Bibbia. Tale versetto è Geremia 8:8. Esso recita: “Come potete dire: Noi siamo saggi, la legge del Signore è con noi? A menzogna l’ha ridotta la penna menzognera degli scribi!” In questo video (https://www.youtube.com/watch?v=j62c82unD0Q) il rabbino Tovia Singer prova a spiegare che bisogna “contestualizzare” questo versetto. Basandosi sul fatto che gli ebrei, erano convinti di avere Dio dalla loro parte e di non poter perdere contro i Babilonesi in una guerra, e considerando che la radice ebraica di ciò che è traducibile con la parola “menzogna”, compare un eccessivo numero di volte nel libro di Geremia – rispetto ad altri libri dei profeti – Tovia Singer prova ad asserire che dei falsi profeti emanavano, a quei tempi, profezie false volte a screditare Geremia, e volte a far credere che il Tempio non sarebbe mai stato distrutto, e che tutto ciò rappresenterebbe “la penna menzognera degli scribi”. Ma purtroppo non ci ha convinto: altri profeti di Israele, come ad esempio Zaccaria, hanno menzionato dei falsi profeti, ma non per questo Zaccaria ha scritto/detto che la Legge è stata resa una falsità, che è stata corrotta dall’interno. Semplicemente, la “contestualizzazione” di cui parla il rabbino Tovia Singer non è sufficiente per fornire l’esegesi che il rabbino Singer ha fornito di questo passo biblico.

Quindi mentre i principi fondamentali della Legge possono essere stati conservati nei secoli, è pacifico ipotizzare che qua e là nel Vecchio Testamento ci siano stati dei cambiamenti.

Alla luce di tutto ciò è possibile che gli scribi, e in misura minore i farisei, abbiano cambiato in parte il Vecchio Testamento sedendosi sulla cattedra di Mosè, inoltre i farisei hanno probabilmente adottato delle tradizioni orali in accordo con le mutazioni inserite nel Vecchio Testamento, il tutto per cominciare a formare quel giudaismo “prototalmudico” che prenderà la sua forma definitiva verso il sesto secolo dopo Cristo. Il corpus letterario del giudaismo “prototalmudico” deve essere considerato comprensivo dell’insieme di scritti che vengono nel loro complesso chiamati “Apocalittica Giudaica”. Tali scritti contengono elementi talmudici e sicuramente a questi si cominciavano ad affiancare dei primi scritti propriamente talmudici durante l’epoca di Cristo. Questa è, fondamentalmente, l’interpretazione che abbiamo dato della frase di Cristo “Sulla cattedra di Mosè si sono seduti gli scribi e i farisei”.

In questa stessa invettiva, Gesù Cristo dice al popolo ebraico di seguire i farisei in riguardo a ciò che dicono, senza seguire le loro azioni, perché sono ipocriti. Ma in un discorso sui giuramenti e sull’oro, Gesù riprende nuovamente i farisei su quello che puntualmente dicono. Questo ci fa pensare che i farisei avessero, congiuntamente con gli scribi, una tradizione orale positiva, in accordo con la letteratura biblica e quindi con la gnosi pura, e un’altra tradizione orale negativa, spuria, che si evolverà poi nel Talmud. Di una tradizione scritta positiva, all’insegna della gnosi pura, pure parla Gesù Cristo, ciò è visionabile in un successivo punto di questa invettiva. Quanto ad una tradizione scritta di tipo spurio, già facente parte di un ipotetico Talmud iniziale, ci viene incontro Don Ennio Innocenti, illuminandoci:

“È ben poco convincente la tesi del silenzio ebraico sostenuta da J. Maier: Gesù Cristo e il cristianesimo nella tradizione giudaica antica, Brescia 1994 (cfr. avallo di T. Federici in L’Oss. Rom. del 5/8/94, 3a pag.). Jacqueline Genot-Bismuth, specialista di cultura rabbinica alla Sorbona, ha pubblicato un documento ebraico del I secolo (tratto dallo Sabat che fa parte del Talmud completo) dove si parla di cristiani e si cita Matteo (cfr. Il Sabato del 10 ottobre 1992, p. 59)” [73]. Se gli ebrei avevano tutta questa fretta di schernire i cristiani nel loro Talmud scritto già nel I secolo dopo Cristo, questo ci porta a pensare che una tradizione scritta e spuria esistesse già, e che questo frammento sia chiaramente solo una parte – redatta di recente – di uno scritto molto più antico.

Tutto ciò ci porta a confermare l’esistenza delle economie pure e le antieconomie spurie di cui parla il rabbino convertito Drach nella sua opera “De l’harmonie entre l’Eglise et la Synagogue”.

  • Ipocrisia giudaica negli insegnamenti rabbinici (Mt 23:3)

Su questo punto non c’è da soffermarsi molto. L’unica cosa da aggiungere è la precisione di Cristo nel riferirsi a legge orale e a legge scritta di volta in volta. In particolare, il biblista Daniele Salamone fa notare che nel Vangelo di Matteo “Gesù ha fatto affermazioni come:

«Voi avete udito che fu detto agli antichi […]» (5:21);
«Voi avete udito che fu detto […]» (5:27);
«Fu detto […]» (5:31);
«Avete anche udito che fu detto agli antichi […]» (5:33);
«Voi avete udito che fu detto […]» (5:38);
«Voi avete udito che fu detto […]» (5:43).

Se Gesù aevsse voluto riferirsi a ciò che Mosè aveva comandato nella vecchia Legge, probabilmente Egli avrebbe usato una formulazione diversa. Ad esempio, in altri passaggi, quando Gesù si riferiva alla Legge di Mosè, Egli ha pronunziato tali dichiarazioni come «sta scritto» (4:4,7,10) o «Mosè ha prescritto» (8:4). Si noti che queste frasi si verificano nei capitoli immediatamente prima e dopo il «sermone della montagna». Gesù, anziché usare frasi come queste per dimostrare che si riferiva alla Legge di Mosé, Egli ha ripetutamente parlato di cose «che erano state dette» (e non «scritte»). Gesù non ha mai menzionato chi l’ha detto, ma solo che «era stato detto»” [74].

Un altro aspetto interessante dei discorsi di Gesù, “è il fatto che alcune Sue affermazioni non si trovano affatto nell’Antico Testamento. Ad esempio, in Matteo 5:21 Egli dice: «Voi avete udito che fu detto agli antichi: “Non uccidere: chiunque avrà ucciso sarà sottoposto al tribuinale”». La frase «chiunque avrà ucciso sarà sottoposto al tribunale» non si trova da nessuna parte dell’Antico Testamento. Allo stesso modo, quando Gesù ha dichiarato: «Avete udito che fu detto. “Amerai il tuo prossimo e odierai il tuo nemico”» anche questa frase non può essere una citazione dell’Antico Testamento perché la vecchia Legge non ha mai detto «odierai il tuo nemico»” [75]. Vediamo quindi che c’è una tradizione orale contro la quale si scaglia Gesù Cristo, e questa tradizione orale è negativa, stravolge il significato dell’Antico Testamento. Eppure, in questo versetto del Vangelo di Matteo, leggiamo in riferimento agli insegnamenti orali di scribi e farisei: “Quanto vi dicono, fatelo e osservatelo, ma non fate secondo le loro opere, perché dicono e non fanno” (Mt 23:3). Non è affatto una contraddizione, è invece ciò che ci aspettiamo dagli ebrei: ipocrisia giudaica. Un’ipocrisia della quale sono pieni scribi e farisei, che deviano dal significato del Vecchio Testamento con una tradizione orale negativa che gli fa comodo, mentre si attengono al significato del Vecchio Testamento a parole, con un’altra tradizione orale parallela e positiva, utilizzata sempre quando fa loro comodo, mentre le loro opere parlano più delle parole e in maniera diametralmente opposta. E questo Gesù lo sottolinea prontamente in questo versetto.

  • Indolenza giudaica e proiezione giudaica: interpretazione spirituale e letterale non si escludono a vicenda ma vanno integrate (Mt 23:4)

“Legano infatti pesanti fardelli e li impongono sulle spalle della gente, ma loro non vogliono muoverli neppure con un dito”. Questa frase, intesa in senso materiale, è un chiaro riferimento all’indolenza giudaica, una caratteristica universale nel popolo ebraico, salvo le dovute e onnipresenti eccezioni. Ricordiamo la celebre espressione di Rosenblum, il redattore capo di Yediot Akhronot, il quotidiano più letto dagli israeliani: “La massa degli ebrei sovietici si è allontanata dal lavoro manuale” [76]. Ma mentre questa è una sentenza sugli ebrei sovietici che avrebbero dovuto dedicarsi – a onor della propaganda giudaica – al lavoro manuale nella regione di Kichinev in Russia, si possono citare esempi di indolenza giudaica anche per quanto riguarda la Palestina, così come in tutte le nazioni del mondo. Infatti, alla fine del “XVIII secolo, un certo numero di hassidim emigrarono dalla Russia. “Alla metà del XIX secolo, si contavano in Palestina dodicimila ebrei”, mentre alla fine dell’XIX ce n’erano venticinquemila. “Queste borgate ebree in terra d’Israele costituivano quello che si chiamava Yishuv”. Tutti i loro abitanti (uomini) non facevano altro che studiare il giudaismo. Vivevano della haluka – sussidi inviati dalle comunità ebraiche d’Europa. Questi fondi erano distribuiti dai rabbini, di qui la loro autorità assoluta. I capi dello Yishuv “rigettavano ogni tentativo di creare nel paese anche solo un embrione di lavoro produttivo di origine ebrea”. Si studiava esclusivamente il Talmud, nient’altro, e a un livello molto elementare. “Il grande storico ebreo G. Gretz, che ha visitato la Palestina nel 1872”, trovò che “solo una minoranza studia per davvero, gli altri preferiscono bighellonare nelle strade, restare in ozio, dedicarsi ai pettegolezzi e alla maldicenza”. Egli ritenne che “questo sistema favorisce l’oscurantismo, la povertà e la degenerazione della popolazione ebrea della Palestina” – e, per questo, dovette subire lui stesso l’herem*” [77]. Sull’indolenza giudaica si espresso affermativamente anche il compianto Bobby Fischer, al primo posto nel giardino degli ebrei giusti tra le nazioni, e alla cui memoria imperitura è dedicato questo sito.

L’interpretazione spirituale di Matteo 23:4, invece, rappresenta l’utilizzo da parte degli ebrei della proiezione giudaica: è colpa di tutto e tutti, tranne colpa loro. I “pesanti fardelli” che “impongono sulle spalle della gente”, dal punto di vista spirituale, sono i crimini commessi dagli ebrei e il peso spirituale che essi comportano. A tale scopo, un’immagine può essere più significativa delle parole:

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Nell’immagine soprastante si può osservare la raffigurazione di un ebreo che si porta il peso spirituale dell’oppressione, con altri pesi sulla schiena come, omicidio, furto, e falso. Inutile dire che l’immagine è stata usata a fini filo-giudaici. Tutto il peso di questi fardelli morali, viene proiettato dagli ebrei sui gentili, in continuazione nei secoli.

Il colmo si raggiunge con Jean Paul Sartre (ebreo, non c’è bisogno nemmeno di guardare dei marcatori di ebraicità), ateo della domenica, messianista del sabato, che ha proiettato addirittura la proiezione sui gentili, utilizzando tale meccanismo per poter spiegare lo “strano” fenomeno dell’antisemitismo.

“He authored what has to be one of the most philo-Semitic tracts of all time, “The Anti-Semite and the Jew”. The book takes as its premise the Freudian concept that anti-Semites are just projecting their own shortcomings onto Jews (“If the Jew did not exist, the anti-Semite would invent him”), and ends with the outrageous declaration that “not one Frenchman will be secure so long as a single Jew — in France or in the world at large — can fear for his life”” [78].

In teoria Sartre non è un ebreo,  ma sulle sue origini etniche c’è da dubitare, perché ha utilizzato la proiezione giudaica della proiezione giudaica, sui gentili. Difficile che si sia interessato al giudaismo solo in fin di vita, e poi i suoi trascorsi con un ex membro del gruppo Separat, la dicono lunga.

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Nella foto soprastante: Jean Paul Sartre, un gentile del sabato fin troppo filo-semita per non essere considerato un crittoebreo.

Ovviamente Cristo in questo versetto si riferiva anche alle operazioni a bandiera falsa degli ebrei. Le operazioni a bandiera falsa giudaiche sono una forma applicata di proiezione, per definizione devono essere addebitate fin dall’inizio a una fazione nemica di Israele, così che Israele possa attaccare tale fazione o per fare in modo che i nemici di tale fazione la attacchino. Per il concetto di bolscevismo invece il discorso è diverso: negli anni venti del novecento gli ebrei di tutte le russie vantavano i loro grandi contributi e menzionavano i grandi nomi ebrei del bolscevismo, quando poi i crimini del comunismo erano troppi per essere coperti ed era in preparazione il finto collasso dell’Unione Sovietica con una simulazione di lungo termine, allora si è deciso di addebitare allo “sciovinismo nazionalistico imperialista russo e in generale slavo” i crimini e i demeriti del comunismo.

  • Vanità giudaica e filantropismo simulato (Mt 23:5-7)

Gilad Atzmon (ebreo), in un libro in cui ha discusso cosa sia l’identità ebraica, racconta come si è imbattuto nel filantropismo simulato, che a suo modo di vedere, è simulato dal modo in cui gli ebrei impostano la loro identità: “Durante gli anni trascorsi in Europa ho incontrato gruppi che si chiamavano “Ebrei per la pace”, “Ebrei per la giustizia in Palestina”, “Ebrei contro il sionismo”, “Ebrei per questo” ed “Ebrei per quello”; recentemente, ho sentito che esistono anche gli “Ebrei per il boicottaggio delle merci israeliane”. Di tanto in tanto finisco col chiedermi che cosa animi tutta questa enfasi etnocentrica, separatista, pacifista. Infatti pur avendo – fra l’altro – incontrato molti attivisti per la pace tedeschi, non mi sono mai imbattuto in gruppi chiamati “Solidarietà ariano-palestinese” o “Ariani per la pace” e neanche in attivisti – che so – caucasici contro la guerra. Sono invece gli ebrei e soltanto gli ebrei a impegnarsi in campagne per la pace e la solidarietà basate sulla razza o l’etnia” [79]. Per Gilad Atzmon l’etica si perde nel momento in cui ci si identifica in base a quello che si odia o in base a quello che non si è: questo concetto è chiamato dialettica della negazione. “Nella ricerca di un'”identità politica”, l’ebreo emancipato finisce col soccombere alla dialettica della negazione: la sua identità politica viene definita in negativo piuttosto che in positivo. Riuniti in gruppo, non sono tedeschi, non sono inglesi, non sono ariani, non sono musulmani, non sono semplici proletari o noiosi pacifisti, non sono solo comuni operai: sono ebrei perché non sono nient’altro” [80].

È indubbio il fatto che il popolo ebraico sia il popolo che conta all’attivo il maggior numero di associazioni caritatevoli/filantropiche/di beneficenza al mondo, ma a giudicare da come gli ebrei in tali organizzazioni ignorano volutamente i crimini degli altri ebrei come loro, e a giudicare dallo scopo per cui spesso vengono utilizzate le cosiddette “Organizzazioni Umanitarie” – perlopiù finanziate da George Soros (ebreo) e nelle quali gli ebrei si infiltrano – cioè trovare le coordinate dei punti strategici che la NATO deve bombardare nei paesi nemici di turno esportando la “democrazia delle bombe”, oltre che portare destabilizzazione e caos nei paesi sovrani, possiamo capire cos’è il concetto di filantropismo simulato giudaico.

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Nella fotografia soprastante: George Soros (ebreo), alto finanziere e sospetto criminale. È ricercato dalle autorità di più paesi perché sospettato di aver commesso pesantissimi reati di insider trading ai danni delle economie di tali paesi, ad esempio la Malesia. Sospetto insider trader sfruttante soffiate e simulazioni giudaiche nel tempo libero, fervente filantropo simulatore a tempo pieno. Reinveste buona parte dei suoi profitti  – ottenuti in maniera fin troppo facile da non sembrare sospetta – nel sostegno e nella creazione di organizzazioni umanitarie, anch’esse accusate di commettere crimini, in particolare creare operazioni psicologiche a fini di guerra non ortodossa e spionaggio a vari livelli. George Soros è stato in gioventù un collaboratore dei nazisti, contribuendo a mandare gli ebrei nei lager. Se c’è a una persona alla quale bisogna guardare quando si parla di filantropismo simulato, quella è sicuramente George Soros.

Il filantropismo simulato lo abbiamo già visto nella simulazione giudaica di colonizzazione agricola in Ucraina e in Crimea che era finalizzata al racket ai danni dei gentili in tutto l’Occidente e nell’Unione Sovietica degli anni venti. E poi il filantropismo simulato degli ebrei è stato notato anche dal saggio Roger Dommergue (ebreo giusto tra le nazioni): ““Israele, il solo paese dove non ci sono ebrei”, perché non è là che stanno coloro che governano il mondo. Quelli che governano il mondo, usano Israele nei governi stranieri, come negli Stati Uniti. Ma non vanno in Israele, pagano qualcuno per andarci, come dice il detto…[…]… I miei zii, le mie zie, non conoscevano assolutamente nulla della Torah. Andavano ai funerali e ad altre cerimonie ebraiche solo per vantarsi, tutto qui”.

Tutta questa serie di episodi, nonché altri eventi simili avvenuti in altre epoche, ci permettono di capire Matteo 23:5-7: “Tutte le loro opere le fanno per essere ammirati dagli uomini: allargano i loro filattèri e allungano le frange; 6 amano posti d’onore nei conviti, i primi seggi nelle sinagoghe e i saluti nelle piazze, come anche sentirsi chiamare “rabbì” dalla gente”.

  • Occultamento della gnosi pura in grado di far conoscere agli ebrei che Gesù è il Cristo (Mt 23:13)

“La Sinagoga possedeva, prima dei libri mosaici, una tradizione orale che serviva, in un certo senso, da “anima al corpo della lettera”, e senza la quale il testo correva il pericolo di restare oscuro o incompleto, o di prestarsi ai capricci dell’interpretazione individuale. Mai, sino ai nostri giorni, la Sinagoga avrebbe tollerato questo eccesso di demenza.

Orbene, mentre la legge civile in Israele era custodita dall’intera nazione, l’insegnamento orale fu affidato ad un corpo speciale di dottori, posto sotto l’autorità suprema di Mosè e dei suoi successori. <<Sulla cattedra di Mosè – disse Cristo – si sono seduti gli scribi e i farisei. Quanto vi dicono, fatelo e osservatelo, ma non fate secondo le loro opere, perché dicono e non fanno>>” [81]. “Questa tradizione della Sinagoga antica si divideva in due rami: una evidente, la tradizione talmudica; fu in seguito conservata per iscritto e formò un Talmud puro e distinto da quelli posteriori a Cristo; fissò il senso della legge scritta. Trattava delle prescrizioni mosaiche; si sapeva, attraverso di essa, ciò che era permesso, obbligatorio, illecito; costituiva, inoltre, il livello materiale e pratico della tradizione.

Il secondo ramo era la sua parte misteriosa e sublime. Formava la tradizione cabalistica, o Càbala, cioè, secondo il senso etimologico di questa parola, l’insegnamento ricevuto tramite la parola. Questa càbala trattava della natura di Dio, dei suoi attributi, degli spiriti e del mondo invisibile. Si appoggiava al senso simbolico e mistico dell’Antico Testamento, “che era ugualmente tradizionale”; era, in poche parole, la teologia speculativa della sinagoga. Quel che vi è di essenziale nei misteri della Santissima Trinità e dell’Incarnazione non era omesso in essa, e vari rabbini si convertirono al Cattolicesimo alla sola lettura di questa Càbala” [82]. “I dottori della Sinagoga fanno risalire la Càbala antica fino a Mosè, ammettendo, tuttavia, che i primi patriarchi del mondo avevano conosciuto per rivelazione le sue principali verità.

I dottori dell’antica sinagoga insegnano all’unanimità che il senso nascosto della Scrittura fu rivelato sul Sinai a Mosè e che questo profeta trasmise, per iniziazione, tale conoscenza a Giosuè e ai suoi altri intimi discepoli. Questo medesimo insegnamento discese subito, oralmente, di generazione in generazione, senza che fosse permesso di porlo per iscritto” [83].

“Nondimeno, prima la cattività in Egitto (1300 a. C.), poi quella babilonese (VI secolo a. C.) crearono, all’interno di Israele, un immenso turbamento e la tradizione cabalistica ortodossa finì col cadere nell’oblio; e inoltre, al ritorno dei fedeli a Gerusalemme, Israele ricevette l’ordine da parte di Dio di porla per iscritto, ma i sessanta volumi di cui essa si compone non furono mai resi pubblici ed il profeta Esdra ricevette l’ordine di non affidarli ad altre mani se non a quelle dei saggi” [84]. “In seguito, quando si compirono i tempi, la colpa dei dottori della sinagoga consistette non nelle indiscrete rivelazioni dei depositari – lungi da ciò – ma nella gelosa cura che ebbero, e che il Salvatore rimprovera loro, di nascondere al pubblico la chiave della scienza, l’esposizione tradizionale dei libri santi, alla cui luce Israele avrebbe riconosciuto nella sua sacra persona il Messia” [85].

Queste che avete letto sono le speculazioni di Don Julio Menvielle, che si basa sulle argomentazioni di Drach, un ebreo convertito al cristianesimo. Nessuno è mai riuscito a dimostrare l’esistenza di una Cabala pura precristiana, quindi quelle di Meinvielle restano speculazioni. Solo perché l’ha detto Drach non significa che esistano, o siano esistiti, addirittura sessanta libri contenenti l’interpretazione mistica dell’Antico Testamento, a meglio chiarire le profezie dei Profeti riguardanti quello che i cristiani chiamano il loro Messia.

Ad ogni modo, per come lo riporta il Vangelo di Matteo, Gesù avrebbe detto qualcosa di simile: “Guai a voi, scribi e farisei ipocriti, che chiudete il regno dei cieli davanti agli uomini; perché così voi non vi entrate, e non lasciate entrare nemmeno quelli che vogliono entrarci”. L’interpretazione cattolica che è stata data a questo passo biblico è stata l’omissione – da parte dei rabbini – di una letteratura sulla Cabala cristiana prima di Cristo, che avrebbe potuto portare ad un maggiore tasso di conversioni al Cristianesimo da parte degli ebrei del I secolo d. C. In altre versioni del Vangelo di Matteo, è stata utilizzata proprio l’espressione “chiave della scienza”, da intendersi come chiave interpretativa del Vecchio Testamento, fornita da una letteratura supplementare.

Un’ipotesi suggestiva che ci viene da formulare è che il simbolismo dei giudeo-cristiani del I secolo d. C. – scoperto nelle campagne archeologiche di Emmanuele Testa e padre Bellarmino Bagatti – potrebbe avere le sue chiavi interpretative proprio in questa letteratura di gnosi pura precristiana soppressa, menzionata dal Meinvielle.

  • Il concetto di “divorce raped” non esiste nella comunità ebraica. Per quanto possa farvi cadere le mascelle per terra dallo stupore, l’invettiva di Cristo sulla negligenza degli ebrei per la causa della vedova, è valida in tutte le epoche e nazioni. Come faceva a conoscere così bene il giudaismo, se gli ebrei continuano a dire che Cristo non è mai esistito? Conoscete degli autori greco-romani che hanno fatto insinuazioni simili?  (Mt 23:14)

“Guai a voi, scribi e farisei ipocriti, perché divorate le case delle vedove e fate lunghe preghiere per mettervi in mostra; perciò riceverete maggior condanna”. Per poter comprendere pienamente il significato di questa frase, dobbiamo guardare a come sono trattate le vedove israelite nella legge ebraica, da oltre duemila anni.

“Batya Oved of Kfar Sava, an Israel Defense Forces widow since 1978 and currently unemployed, was considered a known critic of Pnina Cohen, former chairwoman of the IDF Widows and Orphans organization.

After not receiving a voting slip for the internal elections for the organization’s chair, she found out several of her friends had not received it either. Haaretz has learned they had been blacklisted along with some other 600 widows, most of whom hail from the Bedouin and Druze minorities. The blacklisted widows were not invited to events held by the organization, and excluded from receiving some benefits, according to a document obtained by Haaretz.

The document, in which the names of blacklisted widows are distinctly marked, was exposed by Nava Shoham, an activist for the right of IDF widows. It was prepared by former Chairwoman Pnina Cohen, who had recently been replaced. Cohen denies that such a document exists.

The 600 blacklisted women did not receive any correspondence from the organization, informing them of various benefits and grants afforded to IDF widows. ‘We did not receive invitations to vacations and activities over several years,’ says Oved. ‘These get-togethers are our social circle and our support group. The women marked as Cohen’s detractors were barred, as though the activities of the organization were some sort of private enterprise,’ she accuses” [86].

“In Jewish law as developed by the Rabbis, while orphans inherit their father’s estate, a widow does not inherit her husband’s estate. But the ketuhah consists of a settlement on the estate from which the widow is entitled to maintenance until she remarries.

Many Jewish communities had an orphanage in which the young charges were cared for, not always as kindly as they should have been judging by the frequent complaints found in Jewish literature” [87].

Il sito myjewishlearning.com spiega poi il concetto di “Agunot”, nonché quello di “Agunah” (la moglie incatenata): “The most agonizing moral challenge confronting Jewish law in modern times is nearly 2,000 years old. It is the plight of the agunah, “the chained wife,” which has troubled Jews through the centuries. No one who has read Chaim Grade’s powerful novel The Agunah will soon forget its tragic heroine, whose husband has left her and refuses to give her a get (Jewish divorce), so that she can never remarry” [88].

“Fundamentally, the pathetic situation of these women stems from the fact that the rabbinic interpretation of Deuteronomy 24:1-4 places the initiative for the issuance of a get solely in the hands of the husband. The tragedy has been immeasurably compounded in modern times by the erosion of authority in the Jewish community, so that the community itself is now powerless to compel the husband’s obedience” [89].

“The problem of the agunah was relatively soluble as long as Jewish tradition retained its authority and the Jewish community had the power to enforce its decisions. This condition prevailed everywhere during the Middle Ages and, until our own century, in Eastern Europe. And because it did, there were extralegal procedures, such as public opinion and social ostracism, that could be used to secure the husband’s compliance. In addition, the court could impose a herem (excommunication), which meant total isolation for the offender. Generally, the threat sufficed to bring the husband into line.

Nevertheless, the responsa–the legal decisions of the great rabbinic authorities of the Middle Ages–include many cases of unfortunate women chained to a recalcitrant or nonexistent spouse” [90].

“In sum, four principal categories of the agunah have emerged in modern times and are on the increase:

1. A man divorces his wife in the civil courts and possibly even remarries, but refuses to give his wife a get, either because of malice or greed. All too often the husband tries to extort money from his wife in exchange for the get.

2. A man disappears without leaving a trace, so that he is not available to issue the divorce that halakhah demands. During the early decades of the 20th century , when mass Jewish immigration to the United States from Eastern Europe reached its height, Yiddish newspapers published a regular feature, “The Gallery of Missing Husbands,” asking readers to help locate the errant spouses. Together with photographs, there would appear pathetic pleas for help from the deserted wives.

3. The man is lost in military action or dies in a mass explosion. In modern war, combatants are often blown to bits. Where there is no hard evidence that the soldier is dead, the wife becomes an agunah, since halakhah has no such category as “declared” or “legally” dead.

During the Russo-Japanese war of 1905, some great Russian rabbis visited the troops before they left for the front and persuaded the Jewish soldiers to issue a get al tenai, a “conditional divorce,” so as to free their wives from the status of agunah should the men fail to return. But obviously this temporary procedure, however helpful in individual cases, did not meet the growing dimensions of the problem.

4. Not strictly a case of “desertion” but similar to it is the rarer case of a childless widow who, according to halakhah, requires halitzah (release) from her husband’s brother before she can remarry. [Biblical law requires her brother-in-law to marry her to perpetuate the dead husband’s “name” by providing his wife with a child. The ceremony of halitzah releases the widow from this obligation]. This situation has also served as an occasion for extortion” [91].

È utile anche considerare l’esperienza di una vedova di un docente in un’università israeliana, che ha scritto la sua esperienza sul “The Times of Israel”:

“After my husband died I was entitled to survivors benefits from the Israeli university where he taught. There were all kind of documents that I had to sign in order to complete the transaction, but one paper was especially problematic. It was a contract which specifically stated that in the event that I got remarried I would no longer be eligible to continue getting my late husband’s pension” [92].

“The following month, I started receiving widow benefits from the Israeli Social Security (Bituah Leumi). To my surprise, I discovered that the small allowance came with a heavy price. Here it wasn’t only about getting married, but even living with a partner was enough to cost me my benefits. In order to get the less than 2000 ILS, I had to remain single and live on my own” [93].

“Under those absurd circumstances it is no wonder that most widows my age will not choose to remarry. While for me getting remarried isn’t necessary, it is a serious problem for some women, for example, for Orthodox Jewish women. A friend told me that at her religious community widows get married in secret (in order not to lose their benefits), since it is not an option to live in sin” [94].

  • Abnegazione giudaica, fervore giudaico e sovversione ideologica. Previsione dei falsi profeti dell’Apocalittica giudaica e dello Gnosticismo (Mt 23:15)

L’abnegazione giudaica è la diretta conseguenza della tensione messianica insita nel popolo ebraico. Gli ebrei sono sicuri al cento per cento che il loro Messia non solo arriverà, ma che i tempi in cui ciò avverrà sono alquanto vicini. L’abnegazione giudaica porta gli ebrei a sacrificarsi in nome della tribù ebraica, anche facendo enormi rinunce, pagando anche con la vita, se questo può essere un contributo, sia pure infinitesimale, alla venuta del Messia Talmudico. Il Fervore giudaico è l’intensità, la passionalità, la quasi-ossessione giudaica, per le attività che gli ebrei ritengono importanti, che di solito sono: fare soldi a scapito dei gentili, e avvicinare la venuta del Messia Talmudico col proprio operato. Il fervore messianico è un particolare tipo di fervore giudaico, che si contrappone sia all’indolenza giudaica, sia al parassita, al morbo, di cui gli ebrei si fanno vettori da tempi immemori: la gnosi spuria. La gnosi spuria ha diverse definizioni, ed attinge dalla Cabala Ebraica, ma in buona sostanza il più grande esperto di gnosi spuria del pianeta, Don Ennio Innocenti, sarebbe d’accordo con noi, se affermassimo che la gnosi spuria è la forma di sovversione ideologica atta ad infiltrare l’immanentismo assoluto nella mente umana e nelle religioni, nel migliore dei casi, mentre nel peggiore è la forma di sovversione ideologica che porta alla demoralizzazione e all’ostracismo teologico/autodivinizzazione, nel caso di dottrine gnostiche come la metempsicosi e l’apocatastasi per la demoralizzazione, e nel caso delle dottrine gnostiche che impiegano Ein-Soph o pleromi divini per l’autodivinizzazione o indifferentismo teologico, fino a sconfinare nell’ostracismo/ribellismo teologico, cioè nel rifiuto del divino e della trascendenza, pur riconoscendo l’esistenza di entrambi (come infatti fa notare il prof.re Luigi Copertino, esprimendosi in particolare sulla gnosi spuria moderna (anche detta gnosi gioachimita): “è necessario evitare sia la leibniziana esaltazione dell’ordine del mondo sia la critica radicale del mondo: la prima è parente dell’emanatismo, la seconda della protesta gnostica. E proprio questa ha prevalso nel novecento. La critica del mondo, da una parte si deve fermare di fronte alle misteriose possibilità positive dell’essere perfettissimo; dall’altra si deve fermare di fronte ai limiti, che restano positivi, dell’uomo. Se tutta la sofferenza del mondo dipende dal peccato dell’uomo, il peccato stende la sua ombra su tutto e accusa Dio d’impotenza. Ma era il deismo ad allontanare Dio dalla storia che così appare irredenta: di qui la disperazione e la protesta gnostica e la pretesa dell’autonomia totale che elimina il peccato dalla radice, eliminando l’ordine divino e puntando all’utopia dell’uomo nuovo con tragiche tentazioni politiche e tecnocratiche. Se non si è capaci di accettare il mondo, dando un iniziale credito a Dio, non resta che rifiutare sia il mondo sia Dio per fare un mondo nuovo senza Dio, ossia un mondo che sia esso stesso autosufficiente, perfetto, divino e senza peccato. E questa è stata la strada delle gnosi moderne che dall’ottocento in poi utilizzano anche il cristianesimo per perfezionare, con l’idea dell’incarnazione di Dio, l’immanentizzazione del divino nella storia, che ne prende il posto in prospettiva necessariamente magica” (Luigi Copertino, Il confronto con la gnosi spuria secondo Ennio Innocenti, Sacra fraternitas aurigarum Urbis, Roma, 2018, pp. 280-281, https://t.me/la_questione_giudaica/155.). Anche se Don Ennio Innocenti nella sua opera più grande, “La Gnosi Spuria”, tende ad identificare – almeno implicitamente – la gnosi spuria con l’immanentismo, non manca di far notare al lettore che esistono forme di gnosi spuria completamente ribelli all’ordine divino (come abbiamo fatto notare poc’anzi in merito alla gnosi gioachimita), che possono essere riconducibili ad un unico propagatore, cioè il popolo decaduto, quello che si è sentito tradito da Dio tra il primo/secondo secolo avanti Cristo e il primo/secondo secolo dopo Cristo: il popolo ebraico. Tutto questo preambolo per poter affermare la cosa più grave di tutte: il popolo con il più acceso fervore messianico della storia, è lo stesso popolo che, con altrettanto fervore, diffonde tra i non-ebrei l’immanentismo (o ateismo) sotto copertura, cioè la gnosi spuria. Tornando all’abnegazione giudaica, è sempre etnocentrica, cioè gli ebrei agiscono con abnegazione totale per le cause della loro tribù, mai per i gentili. Con queste necessarie premesse possiamo riguardare Mt 23:15 sotto una nuova prospettiva: quella che ci fa vedere la verità. “Guai a voi, scribi e farisei ipocriti, che percorrete il mare e la terra per fare un solo proselito e, ottenutolo, lo rendete figlio della Geenna il doppio di voi”. Attraversare il mare e la terra pur di fare un solo proselito è l’essenza dell’abnegazione giudaica, mentre il fare proselitismo, anche per un solo proselito – nello specifico convertire al giudaismo o a dottrine giudaizzanti – rientra sicuramente nel fervore giudaico, sia esso messianico oppure no. L’espressione “lo rendete figlio della Geenna il doppio di voi” è un riferimento palese alla sovversione ideologica, cioè al tentativo di alterare la percezione della realtà dei gentili. Nessuno vorrebbe essere figlio della Geenna (l’inferno), ma lo diventa nel momento in cui si fa annebbiare il senso del giudizio dalla sovversione ideologica attuata dal giudeo. Che riguardi il giudeo-bolscevismo, o il giudeo-femminismo, o i movimenti per i diritti dei gay o movimenti nazionalistici, sia che si tratti della giudeo-psicanalisi freudiana, i frutti ideologici che l’ebreo offre ai gentili sono o marci dal di fuori, nel migliore dei casi, oppure sono tignosi dall’interno. In un altro passo dei Vangeli, Gesù Cristo parla degli agenti sionisti in maniera chiara, dicendo “dai loro frutti li riconoscerete”. Il giudeo-bolscevismo causa la demoralizzazione degli individui, portandoli a credere che – siccome non c’è trascendenza e l’unico prezzo da pagare è in questa vita, sul piano dell’immanenza – non c’è sacrificio in vite umane che sia troppo grande, quando si tratta di realizzare il comunismo, la rappresentazione del paradiso sulla terra. La mente di una persona affetta dal giudeo-bolscevismo considera la morale un ostacolo per la “nobile” causa del comunismo, in quanto la morale non deriva da un ambito trascendente, ma è frutto degli schemi sociali, creatisi al fine della pacifica convivenza, oramai obsoleta se non falsa, visto che la storia umana è perlopiù una storia di lotta di classe. In quest’ottica, i gentili comunisti sono senza scrupoli, spregiudicati, e cinici, in altre parole sono dei figli della Geenna il doppio di Trotsky (ebreo), pur facendo discorsi intrisi di giustizia sociale e cambiamento. Sul freudismo o psicanalisi si è già soffermato abbastanza Roger Dommergue (un ebreo giusto tra le nazioni), mentre sul giudeo-femminismo è meglio che non ci esprimiamo proprio, per ora.

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Immagine di un gay-pride celebratosi nel 2018: questi individui dagli atteggiamenti offensivi nei confronti della religione cristiana, sono dei proseliti di coloro che attraversano il mare e la terra pur di abbindolarli. Questi individui sono dei “figli della Geenna” il doppio degli ebrei che li hanno istigati.

Gesù Cristo, oltre a conoscere la sovversione ideologica, è riuscito a prevedere sia l’esistenza dei falsi profeti dell’Apocalittica, sia quelli successivi dello Gnosticismo sia quelli del Basso Medioevo. L’Apocalittica giudaica è “<<il complesso di scritti pseudonimi giudaici, sorti tra il sec. II a. C. e il sec. II d. C.>>” [95]. Tale letteratura nasce “al tempo in cui l’Ellenismo pagano trionfa in Israele, che è oppresso, e il Tempio viene profanato (168-164 a. C.). Poi, dopo il successo di Antioco Epifane (164 a. C.), la conquista della Giudea da parte di Roma con Pompeo (63 a. C.) e la distruzione del Tempio con Tito (70 d. C.) e della Giudea con Adriano (135 d. C.) si accende sempre più la speranza della riscossa nazionale giudaica, sotto la guida dei “falsi profeti” predetti da Gesù” [96]. Uno dei falsi profeti predetti da Cristo – assimilabile anche tra i falsi Messia adorati di volta in volta dagli ebrei – è stato Simone Bar Kochba, che fallirà nella sua missione profetica/messianica proprio nel 135 d. C., quando Adriano disperderà in maniera definitiva – nella terza e ultima Guerra Giudaica (tra ebrei e romani) – il popolo ebraico, costretto di lì in avanti a vagare tra le nazioni. Se si guarda poi alle relazioni tra Apocalittica Giudaica e Gnosticismo, scoperte dall’autore Robert Grant, risulta ovvio che anche i falsi profeti/falsi Messia dello gnosticismo, sono stati dei sovversori ideologici che attraversavano il mare e la terra pur di fare anche un solo proselito, infatti molti di loro – almeno a quanto scrivevano i Padri Della Chiesa – ad un certo punto della loro “carriera” arrivavano fino a Roma, per poter convertire i gentili alle loro idee. I vari Priscilliano, Montano, Sabellio e compagnia profetica, avevano i centri di diffusione delle loro eresie ai confini dell’impero romano, come se fossero le quinte colonne degli imperi adiacenti (un ruolo che gli ebrei avrebbero ricoperto volentieri), eppure prima o poi giungevano fino a Roma pur di mettersi in mostra. Se poi si osservano – in quanto su internet sono disponibili – le mappe di diffusione di Arianesimo, Manicheismo e altre forme di gnosticismo, è chiaro che i vettori di tali eresie non possono che essere gli ebrei, i cosmopoliti per eccellenza. Quando si guarda alle mappe di diffusione di altri eretici anticristiani come Paoliziani, Bogomili, e Albigesi nel Medioevo, si giunge facilmente alle stesse conclusioni: si tratta dei falsi profeti che attraversano il mare e la terra pur di fare anche un solo proselito, e quando lo fanno, lo rendono un figlio della Geenna il doppio di loro. Come fece Gesù Cristo a prevedere tutto questo? Gli ebrei affermano che i Vangeli sono falsi, o in altre parole, sarebbero stati scritti – non si capisce bene perché – dai Romani. Se è così che stanno le cose, allora cosa pensavano gli autori greco-romani in merito allo Gnosticismo?

  • Logica Giudaica, rispetto religioso per il denaro, radicamento nella materialità (Mt 23:16-22)

“Guai a voi, guide cieche, che dite: Se si giura per il tempio non vale, ma se si giura per l’oro del tempio si è obbligati. Stolti e ciechi: che cosa è più grande, l’oro o il tempio che rende sacro l’oro? E dite ancora: Se si giura per l’altare non vale, ma se si giura per l’offerta che vi sta sopra, si resta obbligati. Ciechi! Che cosa è più grande, l’offerta o l’altare che rende sacra l’offerta? Ebbene, chi giura per l’altare, giura per l’altare e per quanto vi sta sopra; e chi giura per il tempio, giura per il tempio e per Colui che l’abita. E chi giura per il cielo, giura per il trono di Dio e per Colui che vi è assiso”.

Questi passi biblici mostrano tutto il pragmatismo e la mancanza di senso di sacralità tipica degli ebrei. Il tempio vale qualcosa nella misura in cui può portare beneficio agli ebrei, ad esempio per depositare l’oro. Non è l’oro ad essere sacro perché viene custodito nel tempio, l’oro è sacro di per se stesso. Questi passi biblici dimostrano tutto l’oppotunismo e lo spirito di sopravvivenza tipico degli ebrei. In altre parole parliamo di radicamento nella materialità da parte degli ebrei, senza un senso di elevazione spirituale. Di radicamento nella materialità – se la memoria non ci inganna – gli ebrei sono stati accusati anche da Wagner, che nei suoi scritti antisemiti ben notava il carattere simulatorio e affettato della recitazione teatrale ebraica.

Per capire invece che cos’è il senso di rispetto religioso per il denaro, dobbiamo capire che gli ebrei sono stati gli inventori della banconota, proprio grazie al fatto che una volta che giurano sull’oro, si sentono vincolati, e soprattutto, mantengono i patti (tranne se si tratta di fare guerra ai cristiani, e non solo, con l’usura).

“E’ storicamente provato che il popolo ebraico , invece di comprare merci mediante l’oro e l’argento , introducesse nel mercato come mezzi di pagamento i titoli rappresentativi dell’oro e dell’argento ed i mercanti stranieri erano ben disposti ad acquistare questi simboli monetari documentali (terafim, mamrè ) in luogo delle monete metalliche, innanzitutto perché utilizzando i titoli rappresentativi evitavano il rischio di essere rapinati dai predoni e poi perché avevano nel simbolo il massimo affidamento, in quanto questa cambiale emessa dal componente il popolo israelita era garantita solidamente da tutta la collettività ebraica. Non ci si può spiegare infatti l’assoluta fiducia riconosciuta al simbolo cartaceo , così come se fosse stato esso stesso d’oro, se non si considera il poderoso influsso che ebbe nel popolo ebraico un fondamentale comandamento mosaico. Mosè infatti comandò al suo popolo l’obbligo del prestito reciproco in caso di bisogno e la remissione dei debiti ogni sette anni, in ricorrenza del cosiddetto anno sabatico (Deuteronomio 15, 1, 11)… Da questo comandamento derivò dunque la responsabilità solidale di tutto il popolo ebraico a garanzia del pagamento del titolo di credito emesso da uno dei suoi componenti a favore degli stranieri” [97].

Se gli ebrei non avessero avuto un rispetto religioso per l’oro e il denaro, non sarebbero mai stati in grado di far accettare ai mercanti stranieri dei titoli rappresentativi dell’oro. I mercanti andavano a fiducia con gli ebrei proprio perché conoscevano questa sorta di “religiosità”, manco gli ebrei fossero “timorati dell’oro”.

Forse i Romani conoscevano aspetti del genere riguardanti il popolo ebraico, ma chi più di un ebreo come Gesù Cristo poteva raccogliere in una singola invettiva così tante caratteristiche perlopiù esclusive del popolo ebraico?

  • Minuziosità giudaica, rispetto religioso per il denaro, ipocrisia giudaica (Mt 23:23)

“Guai a voi, scribi e farisei ipocriti, che pagate la decima della menta, dell’anèto e del cumìno, e trasgredite le prescrizioni più gravi della legge: la giustizia, la misericordia e la fedeltà. Queste cose bisognava praticare, senza omettere quelle”. In questa frase si possono cogliere la minuziosità giudaica, il rispetto religioso per il denaro, e l’ipocrisia giudaica. Esistono almeno due tipi di ipocrisia giudaica: quella per la quale gli ebrei accusano altri (ebrei e non) di quello che in realtà sono i primi a fare, e l’ipocrisia per la quale prima gli ebrei hanno un comportamento in una data circostanza, e quando poi conviene a loro hanno un comportamento diametralmente opposto, in forte contrasto con quello che possono aver detto/fatto poco tempo prima. È ipocrita pagare la decima per tante cose, e poi trasgredire le parti più importanti della legge, come se non contassero. Qui Cristo accusa gli ebrei di avere il denaro e/o l’oro come misura di tutte le cose: gli ebrei sono ligi al dovere, o meglio, sono ligi al denaro. Pagano in tempo e altrettanto in tempo vogliono essere pagati. Questa ossessione per i pagamenti è anche un sintomo di minuziosità giudaica, spesso presente anche nelle discussioni rabbiniche nel Talmud. La legge ebraica è piena di clausole e nella letteratura talmudica ci sono una miriade di commenti “chiarificatori”: tutto questo è minuziosità giudaica. Tale minuziosità, si contrappone alla superficialità giudaica, che è tipica degli articoli di giornale scritti dagli ebrei per i gentili o di intere testate giornalistiche dirette da ebrei. In qualunque momento della storia dall’invenzione della stampa, possiamo trovare un ebreo che stampa ricostruzioni di comodo fin troppo superficiali quando si tratta di prendere in giro l’intelligenza dei gentili, quando contemporaneamente lo stesso ebreo di perde nelle minuzie e nei cavilli delle discussioni rabbiniche quando studia il Talmud, magari sempre dandosi un tono e un aspetto “laico” agli occhi dei gentili. In questo caso abbiamo una superficialità simulata, o superficialità giudaica, e possiamo avere anche una minuziosità simulata, o minuziosità giudaica, quando magari un ebreo deve ingannare un gentile coi commenti depistanti nella Ghemara, affinché il gentile non comprenda eventuali crimini giudaici o la supremazia giudaica contenuta nella Mishna, laddove Mishna e Ghemara sono parti integranti del Talmud.

  • Simulazione giudaica convergente a mezzo di clausole giudaiche (kosher hacks). Demenzialità giudaica (Mt 23:24)

Gesù Cristo era a conoscenza degli scritti talmudici o comunque della tradizione orale che circolava nella sua epoca. Non sappiamo se parallelamente si sia sviluppato un Talmud orale e una Cabala con speculazioni cristiane prima ancora di Cristo, come vorrebbe asserire l’ebreo Drach, citato da Meinvielle, ma l’espressione “Guide cieche, che filtrate il moscerino e ingoiate il cammello!” è un riferimento in senso spirituale al contenuto depravato della letteratura talmudica. Questa espressione simboleggia la simulazione giudaica convergente per eccellenza. Per simulazione giudaica convergente intendiamo una simulazione che si pone un obiettivo di facciata, ma l’effetto finale della simulazione è opposto o nullo. L’effetto finale si raggiunge tramite quelle che chiamiamo “clausole giudaiche”, altrimenti note come “kosher hacks”, esse sono presenti negli ordinamenti giuridici di tutte le nazioni, nelle teologie spurie di tutte le epoche, e ovviamente, le clausole giudaiche sono presenti nella letteratura talmudica al fine implicito di condonare diversi tipi di crimini. Ad esempio, vediamo come gli ebrei giustificano l’incesto nel loro Talmud, stando all’analisi di Elizabeth Dilling:

“Moses ordered the priests that: “They shall not take a wife that is a whore, or profane … for he is holy unto his God.” (Leviticus 21:7) The laws against incest are most vehement: “The nakedness of thy mother, shalt thou not uncover: she is thy mother … (Leviticus 18:7) And in the Talmud the Pharisee “sages” reverse these Biblical injunctions:
“If a woman sported lewdly with her young son, a minor and he committed the first stage of cohabitation with her — Beth Shammai say, he thereby renders her unfit to the Priesthood.” Here a footnote explains that she could not marry a priest, if this made her profane and the above Leviticus 21:7 is cited precisely.
We then learn that the dispute concerns only the age of the son, not the lewdness of the foul mother: “All agree that the connection of a boy aged nine years and one day is a real connection whilst that of one less than eight years is not [Footnote: “So that if he was nine years and a day or more, Beth Hillel agree that she is invalidated from the priesthood, whilst if he was less than eight, Beth Shammai agree that she is not.”] Here silliness reigns supreme, and one understands why Christ called the Pharisees “fools and blind:” “Beth Shammai maintaining, we must base our ruling on the earlier generations” [Footnote states: “When a boy of that age could cause conception.”] “but Hillel holds that we do not.”
The supposition that boys became fathers at eight is the silly excuse for the Shammai school to argue that the boy must be under eight to leave the mother pure. The standard throughout the Jewish Talmud is that a little boy becomes a person, “sexually mature,” at nine years and one day, — another asininity. The whole argument strains at the “gnat” of age and “swallows the camel” of incest between mother and son. (Matthew 23:24)” [98].

82

Nell’immagine soprastante: il documento 82 citato da Elizabeth Dilling sull’apologia dell’incesto tramite clausole giudaiche o “Kosher hacks”. Talmud Babilonese, Soncino, 1936 (edito dal rabbino DR. I Epstein, 1935), Sanhedrin 69b, p. 470. Le annotazioni e le sottolineature sono di Elizabeth Dilling.

Anche per il volume sulle norme che gli ebrei devono attuare il sabato, Elizabeth Dilling ha mosso critiche simili:

No Talmud book illustrates Christ’s depictions of Pharisaism better than the book of Sabbath. He said: “Ye blind guides, which strain at a gnat and swallow a camel.” (Matthew 23:24)
One way to go raving crazy is to study the Talmud book of Sabbath with its rules on what is or what is not permissible on the Sabbath. Concerning the Sabbath, even the digested laws, or Talmud Mishna in the Schulhan Aruch, take up 82 pages of Volume 2 (pages 63-145). The sum and substance of all of them is a game of subversion. A rule is set up. “How many ways are there to get around it and nullify it?” That is the problem, leading to almost endless trivia and discussion” [99].

Questi giochi di sovversione per annullare delle norme prestabilite, sono degli esempi di demenzialità giudaica. Attraverso discussioni quanto mai prolisse e assurde, si arriva a trovare, perlopiù in maniera forzata, i/il cavillo/i che permette di aggirare norme talmudiche o più spesso bibliche.

  • Sudiciume giudaico e ipocrisia giudaica. La pietra e il concetto di purezza nell’Halacka del I secolo d. C. Anche qui interpretazione materiale e spirituale vanno integrate come due facce della stessa medaglia (Mt 23:25-26)

La lingua parlata probabilmente da Gesù era il greco. Ciò ha un senso teologico per molti motivi. Molte circostanze descritte nei Vangeli e prove archeologiche odierne, ci segnalano che Gesù era un tagliatore di pietre, e non già un falegname. Infatti, grazie alle scoperte delle autorità israeliane, sappiamo oggi che nel I secolo d. C., esisteva, non lontano da Nazareth, una cava per la lavorazione della pietra [100]. Questa scoperta, insieme ad altri artifatti trovati in questa cava, può fornire un’esegesi archeologica di Levitico 11:32-34 e Giovanni 2:6. Da un punto di vista cristiano, questa scoperta da un’esegesi archeologica anche di Efesini 2:22, Isaia 28:16, 1 Pietro 2:4-8, e Matteo 16:18.

Il sito aleteia.org, riassume così la questione:

La maggior parte delle traduzioni usa la parola “falegname” per descrivere il mestiere di Gesù e di Giuseppe, ma il termine greco che leggiamo nei Vangeli di Marco e Matteo può essere interpretato in vari modi. La parola usata nei testi evangelici è téktōn, usata per artigiani e lavoratori del legno (e quindi si può tradurre come “falegname”), ma è interessante che si possa riferire anche a scalpellini, costruttori e perfino coloro che eccellevano nel loro mestiere ed erano in grado di insegnarlo agli altri. La traduzione latina che troviamo nella Vulgata, faber, mantiene i vari significati del greco téktōn. Faber era un termine generale usato per lavoratori e artigiani. Un faber poteva sicuramente lavorare come falegname di tanto in tanto, ma un falegname di mestiere era un lignarius.
Il professor James D. Tabor, studioso biblico dell’Università del North Carolina (Stati Uniti), ha suggerito che “costruttore” o “scalpellino”sarebbe una traduzione migliore per il greco téktōn nel caso di Gesù, e per motivi molto specifici. Da un lato, la predicazione di Gesù usa spesso metafore ispirate alla costruzione – riferimenti frequenti alle “pietre angolari” e alla “solide fondamenta” potrebbero suggerire che Gesù avesse familiarità con i dettagli su come progettare, finanziare e costruire una casa –, dall’altro, considerando che la regione in cui Gesù ha vissuto ed è morto non abbonda di alberi e che la maggior parte delle case all’epoca era costruita in pietra, pensare che Gesù e Giuseppe potrebbero aver lavorato con la pietra ha un certo senso.
Ma non è così semplice. Nella Septuaginta (la prima traduzione della Bibbia ebraica dall’ebraico e dall’aramaico in greco), troviamo il termine greco téktōn usato nel libro di Isaia, e anche nella lista degli operai che costruivano o riparavano il Tempio di Gerusalemme nel secondo libro dei Re, per distinguere i falegnami dagli altri lavoratori. Questa distinzione era già classica, e i greci usavano spesso la parola téktōn per riferirsi specificamente a un falegname, impiegando invece il termine lithólogos per i lavoratori della pietra e laxeutés per i muratori. Pensare che questo uso comune del termine sia stato ereditato dagli autori dei Vangeli, che conoscevano bene la Septuaginta, è logico. È però necessario paragonare anche il greco della Septuaginta con l’originale ebraico trovato in Isaia. Il greco téktōn è il termine usato comunemente per tradurre il termine ebraico kharash, usato per “artigiano”. Téktōn xylôn è però la traduzione dell’ebraico kharash-‘etsîm, “falegname”, come si legge in Isaia 44, 13.
Lo studioso biblico ungherese Géza Vermes ha tuttavia suggerito che la parola greca téktōn non sia stata tradotta dall’ebraico kharash, ma corrisponda piuttosto all’aramaico naggara. Vermes ha infatti affermato che quando il Talmud si riferisce a qualcuno come a un “falegname” potrebbe implicare che si trattasse di un uomo molto istruito. Ciò vorrebbe dire, allora, che gli autori dei Vangeli indicavano che Giuseppe era un uomo istruito, non solo saggio ma anche conoscitore della Torah, indipendentemente dal suo mestiere. Si tratta però di una posizione minoritaria, che deve fare i conti col non piccolo ostacolo dato dal fatto stesso che quando Gesù si rivela sapiente, sia da bambino sia da adulto, tutti quanti si chiedono «donde gli venga quella sapienza che gli è data» (Mc 6, 1-6), domanda che nessuno si farebbe se fosse chiaro che Giuseppe era un “grammateus”, cioè un uomo edotto nella legge. La forma sintattica utilizzata in genere dagli evangelisti è proprio quel verbo al passivo senza complemento d’agente – ovvero con il complemento d’agente sottinteso (Dio) – che viene detto “passivo divino”” [101].

Innanzitutto, molti teologi onesti intellettualmente, che hanno letto il Talmud, sono portati a pensare che le “Toledot Jeshu” “Storielle su Jeshu”, siano in realtà riferite proprio a Gesù, in termini molto, molto dispregiativi. La presenza di Gesù nel Talmud è stata denunciata da vari papi nelle cosiddette bolle pontificie sul giudaismo, che coprono un arco di settecento anni, cioè dal XIII° al XX° secolo (le bolle pontificie sul giudaismo sono disponibili sul nostro canale al seguente indirizzo Telegram: https://t.me/la_questione_giudaica/162). Per la tradizione cattolica, per il giudaismo post-biblico (anche se oggi non lo ammette esplicitamente) e per l’autore Peter Schafer, il “figlio di un falegname”, l'”appeso”, “lo stregone che adorava un mattone”, nonché il “figlio di una prostituta”, rappresentano sempre la figura di Gesù Cristo. Quindi i riferimenti fatti da Geza Vermes, non andrebbero nemmeno menzionati. Le polemiche sul “«donde gli venga quella sapienza che gli è data»”, sono polemiche sterili. Dall’analisi di questa invettiva, si evince che le conoscenze dell’Halacka da parte di Gesù erano tali che, non solo tale invettiva non può essere stata scritta dai Romani per dividere gli ebrei, ma che Gesù probabilmente vinceva tutte le diatribe con i farisei della sua epoca, al punto che, se finanche i dottori della Legge non trovavano argomenti contro di lui, la gente a quel tempo si è domandata “«donde gli venga quella sapienza che gli è data»”, perché se venisse solo dalla Torah, Gesù avrebbe trovato con scribi e farisei pane per i suoi denti. Questo passo del Vangelo di Marco, va interpretato in un’ottica cristiana cattolica convinta della divinità di Gesù. Questo passo dimostrerebbe il vacillare degli ebrei del I° secolo d.C., che si chiedevano: “la sapienza di quest’uomo, viene davvero solo dalla Torah? Oppure la sua sapienza gli viene dall’Altissimo?”.

Quanto all’utilizzo del termine téktōn, ci troviamo in una situazione paradossale per cui gli ebrei che hanno scritto la Septuaginta, traducendo la loro Bibbia da ebraico e aramaico in greco, hanno utilizzato tale termine per distinguere i falegnami dagli altri lavoratori, mentre i Greci in epoca classica, hanno usato comunemente téktōn per indicare specificamente la figura del falegname, e gli ebrei che avrebbero scritto i Vangeli avrebbero assecondato questa tendenza, ma quando si tratta, da parte dei non-ebrei, di tradurre dall’originale in ebraico di Isaia “téktōn è il termine usato comunemente per tradurre il termine ebraico kharash, usato per “artigiano”. Téktōn xylôn è però la traduzione dell’ebraico kharash-‘etsîm, “falegname””.

Ma aldilà delle questioni linguistiche, di Nazareth sappiamo che “era un borgo con così poche case, che il “falegname” Giuseppe non avrebbe potuto trovare il reddito necessario al sostentamento della sua famiglia. Tanto più che – come ci ricordano gli studiosi in materia – le case venivano ricavate prevalentemente nelle grotte e dunque le componenti lignee erano minime. Del tutto diverso sarebbe stato se Giuseppe avesse svolto il ruolo di “carpentiere” in giro nei paesi limitrofi. Interessante infatti sapere, a questo proposito, che a mezz’ora di cammino da Nazaret sorgeva Seffori, una delle più grandi città della regione, che era stata distrutta dai Romani nel 4 a.C. a causa di una ribellione. Il Tetrarca della Galilea, Erode Antipa, aveva deciso di ricostruirla e farne la capitale del suo regno.

La città, ribattezzata Autokratis, doveva avere un piano urbanistico simile alle città greco-romane. Era previsto un teatro con 5.000 posti, che l’avrebbe fatta diventare il centro culturale più importante di tutta la Galilea. A Seffori fu allestito un cantiere che durò anni e che dette lavoro alla manovalanza di tutta la zona. In questi cantieri Gesù avrebbe potuto inoltre imparare il greco, lingua che si ritiene conoscesse, tenuto conto – fra l’altro – dei suoi colloqui prima col centurione di Cafarnao poi con lo stesso Pilato” [102].

Il rabbino Tovia Singer (ebreo) ha gioco facile nel dire che non esistono frammenti del Nuovo Testamento scritti in ebraico [103], ma siamo pronti a scommettere che il frammento di Qumran in ebraico nella grotta dove c’erano solo frammenti greci – indicizzato nel 1956, poi mai più menzionato dal 1962 in poi – fosse un frammento di Vangelo in ebraico del I secolo d. C. [104]. È ovvio che sia stato fatto sparire, cosa ci sarebbe di più vergognoso per gli ebrei, se non il dover ammettere l’esistenza di tali frammenti? Gli argomenti del rabbino Tovia Singer riguardo la lingua dei Vangeli possono essere smontati da un cristiano medio, dicendo semplicemente che ormai Gesù sapeva già di dover sancire una nuova Alleanza estesa a tutte le genti, e che per farlo aveva bisogno di imparare il greco e far diffondere i suoi insegnamenti in greco, la seconda lingua più parlata nell’impero più robusto dell’epoca. La lingua parlata da Gesù era in realtà la “Koinè, ovvero una forma molto antica di dialetto greco, conosciuta anche come “Greco Alessandrino” o “Greco Ellenistico”, in quanto fu la lingua che Alessandro Magno portò nei territori da lui conquistati già nel 332 a.C.. E’ anche chiamata “Greco del Nuovo Testamento” o “Greco Biblico”, in quanto fu utilizzata per le prime traduzioni dei testi cristiani dall’aramaico, eventualità che contribuì alla diffusione del cristianesimo. La Koinè è molto importante non solo per il fatto di essere stata la prima lingua “volgare”, ma soprattutto per la sua grande diffusione nelle civiltà del Mar Mediterraneo, durante l’età ellenistica. Una lingua quindi un po’ paragonabile all’inglese di oggi. Fu inoltre la seconda lingua dell’Impero Romano, dopo il latino. E quando i greci conquistarono e colonizzarono tutto il mondo allora conosciuto, questo loro dialetto fu parlato dall’Egitto al nord dell’India. La Koinè poi, oltre ad essere utilizzata come lingua parlata, lo fu anche come lingua letteraria ed amministrativo/burocratica” [105].

E poi ci sono prove archeologiche che gli ebrei del I secolo d. C. parlavano greco, dopotutto sono stati influenzati da Romani (influenzati dai greci), Macedoni, e dalle incursioni di Antioco Epifane IV, senza contare il fatto che gli ebrei sono il popolo con le più sviluppate capacità linguistiche al mondo. Una prova archeologica dell’esistenza di ebrei fluenti in greco nella Palestina del I secolo d. C. è l’iscrizione di Teodoto:

531

“L’epigrafe che appare nella foto è nota come Iscrizione di Teodoto. Incisa su una lastra di pietra calcarea (lunga 72 cm e larga 42), fu rinvenuta agli inizi del XX secolo sull’Ofel, colle di Gerusalemme. Il testo, scritto in greco, parla di Teodoto come di un sacerdote che “edificò la sinagoga per la lettura della Legge e l’insegnamento dei Precetti” (E. Gabba, Iscrizioni greche e latine per lo studio della Bibbia, Marietti, Torino, 1958, p. 81). L’iscrizione, ritenuta anteriore alla distruzione di Gerusalemme del 70, conferma la presenza di ebrei di lingua greca a Gerusalemme nel I secolo (At 6:1). Secondo alcuni, la sinagoga menzionata sarebbe la “cosiddetta Sinagoga dei Liberti” (At 6:9). L’iscrizione afferma che Teodoto, come pure suo padre e suo nonno, aveva il titolo di archisinagogo, in greco archisynàgogos (“capo della sinagoga”), titolo che compare varie volte nelle Scritture Greche Cristiane (Mr 5:35; Lu 8:49; At 13:15; 18:8, 17). Afferma inoltre che Teodoto edificò alloggi per coloro che arrivavano in città da altri luoghi. Probabilmente ci si riferisce agli alloggi usati dagli ebrei che giungevano a Gerusalemme da fuori città, in particolare in occasione delle feste annuali (At 2:5)” [106].

Tutte queste premesse, ci portano ad una caratteristica saliente del popolo ebraico: il sudiciume giudaico. Nell’interpretazione che bisogna dare a questo passo dell’invettiva, senso materiale e spirituale si fondono, nel senso che il sudiciume fisico giudaico, non è che il riflesso delle sozzure spirituali contenute nel Talmud Babilonese e nell’operato degli ebrei. “Guai a voi, scribi e farisei ipocriti, che pulite l’esterno del bicchiere e del piatto mentre all’interno sono pieni di rapina e d’intemperanza. Fariseo cieco, pulisci prima l’interno del bicchiere, perché anche l’esterno diventi netto!”. Il sudiciume giudaico viene rivelato dal crittoebreo Adolf Hitler, che nel Mein Kampf, si abbandona a varie rivelazioni sul popolo ebraico, tra le quali viene menzionato l’aspetto un po’ sudicio di questi ebrei ortodossi con le loro lunghe treccioline, che Hitler vedeva circolare nell’Austria e nella Germania dei suoi tempi. Il sudiciume giudaico degli ebrei ortodossi si nota anche in un episodio avvenuto in Italia, subito classificato dagli ebrei come antisemitismo: il personale di un albergo aveva messo un cartello nei pressi della piscina che invitava gli ebrei ortodossi a farsi una doccia, nel caso volessero fare un bagno in piscina. Inutile dire che per questo episodio increscioso degli italiani hanno perso il posto di lavoro. E poi c’è la famosa immagine su Internet, del gruppo di ebrei ortodossi che scava nei cassonetti della spazzatura. Se neanche questo dovesse bastare, la prof. Anna Foa (ebrea), sa bene che gli ebrei nel Medioevo venivano considerati come i responsabili della diffusione della peste se non delle malattie in genere, in quanto venivano considerati sporchi al punto da essere considerati come degli autentici vettori di diverse malattie. L’ipocrisia giudaica sta nell’intemperanza e nella rapina di cui sono pieni bicchieri e piatti usati dai farisei. Il collegamento con un punto di vista spirituale qui è evidente. Gli ebrei si fanno belli di fuori, specie agli occhi dei gentili, ma poi commettono ogni genere di crimine. Ma visto il significato assegnato (implicitamente) dall’Halacka del I secolo d. C. alla pietra, cioè un significato legato al concetto di purezza, e visto che la pietra è di solito considerata il simbolo dell’immutabilità, si può speculare che Cristo qui abbia inteso parlare agli ebrei, tra le altre cose, e in maniera implicita, anche di verità immutabili di tipo divino. Considerando che il Talmud Babilonese, ad un’analisi attenta, fallisce nel suo tentativo di accreditarsi come un libro religioso di stampo monoteista, quello che Gesù ha voluto dire in Matteo 23:25-26, è anche questo: “Perché continuate da fuori a spacciarvi come monoteisti, quando dentro i vostri testi dominano paganesimo, superstizioni, idolatria e panteismo da Ein-Soph? Ripulite i bicchieri (cioè i vostri scritti e i vostri discorsi) dall’interno, dai quali attingete parte del vostro nutrimento (spirituale), affinché anche l’esterno diventi netto! Spurgate dagli elementi spurii i vostri scritti e i vostri discorsi, perché chi vi legge e/o ascolta vede che l’esterno del bicchiere non è netto, intuendo la sporcizia (spirituale, oltre alla sporcizia teologica dovuta alle eresie) che vi è all’interno”.

“Or c’erano là sei recipienti di pietra, usati per la purificazione dei Giudei, che contenevano due o tre misure ciascuno” (Giovanni 2:6). “Qualsiasi cosa su cui uno di essi cadesse quando sono morti sarà impura; sia essa un utensile di legno o vestito o pelle o sacco o qualsiasi oggetto usato per lavoro, dev’essere messa in acqua, e sarà impura fino alla sera; poi sarà pura. Qualsiasi vaso d’argilla entro cui uno di essi cade, lo romperete; e tutto ciò che si trova in esso sarà impuro. Ogni cibo commestibile su cui cade l’acqua di tale vaso sarà impuro; e ogni sorso che possa essere preso da esso sarà impuro” (Levitico 11:32-34). Giovanni 2:6 ha una giustificazione archeologica, cioè la cava di pietra di cui abbiamo parlato, e dimostra che gli ebrei trovarono una clausola “di pietra”, un’eccezione, alle regole loro impostegli da Levitico 11:32-34.

“Perciò così dice il Signore, l’Eterno: «Ecco, io pongo come fondamento in Sion una pietra, una pietra provata, una testata d’angolo preziosa, un fondamento sicuro; chi crede in essa non avrà alcuna fretta” (Isaia 28:16). “E io ti dico: Tu sei Pietro e su questa pietra edificherò la mia chiesa e le porte degli inferi non prevarranno contro di essa” (Matteo 16:18). In particolare, per quanto riguarda questo versetto di Matteo, visto che anche di fronte a scribi e farisei Gesù ha fatto riferimento a se stesso come a qualcosa fatto di pietra, con la famosa frase “distruggete questo tempio e io lo ricostruirò in tre giorni”, è probabile che con la frase “su questa pietra edificherò la mia Chiesa” lui si stesse riferendo ancora una volta a se stesso, anziché a Pietro. Ma il dibattito su questa frase è ancora molto acceso, specie quando si tratta di mettere in discussione la legittimità del potere temporale dei Papi, più che necessario per contrastare le innumerevoli eresie che hanno afflitto la Chiesa: se non ci fosse stata una gerarchia, se non ci fosse stato un Capo, il cristianesimo sarebbe finito con la crocifissione del suo fondatore e capo: Cristo. In realtà, è un po’ più complicato di così.

IL CONCETTO DEL CAMBIO DI NOME NELLA BIBBIA OPERATO DA DIO IN PERSONA, E IL CONTESTO LINGUISTICO IN CUI SONO STATI REDATTI I VANGELI, DIMOSTRANO CHE GESÙ NOMINÒ PIETRO SUO SUCCESSORE DIRETTO SULLA TERRA. L’ESPRESSIONE “SU QUESTA PIETRA EDIFICHERÒ LA MIA CHIESA” SI RIFERISCE CONTEMPORANEAMENTE A CRISTO E AL SUO RAPPRESENTANTE/VICARIO SULLA TERRA.

Pietro Dimond, ci dà un’ottima spiegazione – basata sul Vecchio Testamento – per poter interpretare correttamente questo spinoso passo di Matteo che abbiamo appena menzionato. Rivediamolo nel giusto contesto:

“Matteo 16:16-19: “E Simon Pietro, rispondendo, disse: Tu sei il Cristo, il Figliuol dell’Iddio vivente. E Gesù, rispondendo, gli disse: Tu sei beato, o Simone, figliuol di Giona, poiché la carne ed il sangue non t’hanno rivelato questo, ma il Padre mio che è ne’ cieli. Ed io altresì ti dico, che tu sei Pietro, e sopra questa pietra io edificherò la mia chiesa, e le porte dell’inferno non la potranno vincere. Ed io ti darò le chiavi del regno dei cieli; e tutto ciò che avrai legato in terra sarà legato ne’ cieli, e tutto ciò che avrai sciolto in terra sarà sciolto ne’ cieli”” [107].

Qui, secondo Dimond, bisogna soffermarsi su un pronome in particolare:

“Gesù Cristo affermò: “Tu sei Pietro e su questa pietra io edificherò la mia Chiesa Universale”. La parola Greca per questa, nel senso di questa pietra, è il pronome dimostrativo taute. In tale contesto esso significa questa stessa pietra o questa vera e propria pietra. Taute è utilizzata allorché si desidera richiamare l’attenzione con enfasi speciale su di un determinato oggetto, sia in prossimità fisica del narratore che nel contesto letterale dell’autore” [108]. “Nell’Anglosassone versione della “Sacra Bibbia” di Re Giacomo taute in 1 Corinzi 7:20 è tradotta come la medesima ed in 2 Corinzi 9:4 come questa medesima” [109]. “Laonde, l’affermazione di Gesù Cristo nei confronti di San Pietro detenne tale significato: “Tu sei Pietro e su questa medesima pietra Io edificherò la Mia Chiesa Universale“. Dal contesto fornito questa pietra si
riferisce naturalmente a San Pietro” [110]. Ma una questione ancora più importante dell’uso del pronome “taute” nel manoscritto greco di riferimento, è il cambio di nome Simone, figlio di Giona, in Pietro. “Nel Vecchio Testamento un cambio di nome denotava una nomina, una chiamata speciale od un cambio di stato. In Genesi si legge ciò che segue circa Abrahamo. Genesi 17:5: “E tu non sarai più nominato Abramo; anzi il tuo nome sarà Abrahamo; perciocché io ti ho costituito padre d’una moltitudine di nazioni“.
Iddio cambiò il nome di Abrahamo da Abramo ad Abrahamo perciocché il nuovo nome avrebbe denotato il suo ruolo speciale come guida del popolo di Dio. Abrahamo fu scelto per essere il padre di molte nazioni, anch’egli fu appellato roccia, come si dimostra. In Ebraico Abram significa un alto padre, mentre Abraham significa il padre della moltitudine. Parimenti, in Genesi 32:28, si legge che Iddio cambiò il nome di Giacobbe in Israele di modo da tipificare la posizione od il ruolo speciale di quest’ultimo. Pertanto, in aggiunta alle altre cose importanti che Gesù Cristo dichiara a San Pietro in Matteo 16, il cambio del nome di San Pietro da Simone a Pietro serve a confermare la posizione speciale di San Pietro assieme al suo nuovo stato” [111]. Per Dimond, la pietra cui fa riferimento Gesù Cristo in Matteo 16:19, rappresenta contemporaneamente sia Cristo che Pietro, non nel senso letterale, bensì nel senso che si evince dalle sue parole, che contengono ulteriori esempi: “il fatto per cui il Cristo è il basamento od il fondamento, come si legge in Efesini 2:20, non significa che il Cristo medesimo non avrebbe potuto stabilire la possessione di un ufficio perpetuo da parte di un Apostolo, egli stesso da divenire la pietra sopra la quale la Chiesa Cattolica sarebbe stata edificata. I due concetti non si escludono mutualmente. Ad esempio: Gesù Cristo è il Buon Pastore, Giovanni 10:14, ciò malgrado, egli rese a San Pietro la responsabilità di pascere il Suo gregge, come leggesi in Giovanni 21:15-17. Gesù Cristo è quello con le chiavi, Apocalisse 1:18; 3:17, ciononostante, egli rese le chiavi a San Pietro” [112]. O ancora: “Iddio è dichiarato essere la roccia nel mezzo di tutto il Vecchio Testamento, specificatamente in Deuteronomio 32:4, bensì anche Abrahamo è descritto come la roccia in Isaia 51:1-2. Deuteronomio 32:4: “L’opera della Rocca [Dio] è compiuta; Conciossiaché tutte le sue vie sieno dirittura; Iddio è verità, senza alcuna iniquità; Egli è giusto e diritto”. Isaia 51:1-2: “Ascoltatemi, voi che procacciate la giustizia, che cercate il Signore; riguardate alla roccia onde siete stati tagliati, e alla buca della cava onde siete stati cavati. Riguardate ad Abrahamo, vostro padre, ed a Sara, che vi ha partoriti; perciocché io lo chiamai solo, e lo benedissi, e lo moltiplicai”. Il Vecchio Testamento afferma di guardare alla roccia, di guardare ad Abrahamo. Abrahamo è descritto essere la roccia perciocché egli fu il padre di tutti gli Israeliti. Il nome di Abrahamo venne mutato da Abramo all’attuale di modo da significare il suo ruolo come roccia e padre del popolo di Dio. Non calzava, quindi, che Gesù Cristo nel Nuovo Testamento potesse scegliere qualcuno come la roccia e padre del nuovo Israele, la Chiesa Universale? Sì ed è per ciò che il nome di Simone fu cambiato a Pietro, significante pietra” [113].

(Da un punto di vista tipologico, Abrahamo rappresenta il tipo di ciò che verrà, cioè Pietro, l’antitipo. Così come Abrahamo è stato il padre biologico della moltitudine di Israeliti, così Pietro, la nuova roccia, o nuova pietra, rappresenta, nel Nuovo Testamento, il padre spirituale di una nuova moltitudine, quella dei cristiani di tutte le etnie, che diventano così i nuovi Israeliti, i nuovi Ebrei, rendendo l’Alleanza tra Dio ed Abramo il tipo della Nuova ed Eterna Alleanza (antitipo della Vecchia Alleanza), quella tra Cristo e Pietro, nonché tra Dio e Roma. La tipologia biblica è in perfetto accordo con la teologia cattolica del rimpiazzo (“replacement Theology”) per cui i cristiani sono diventati i nuovi Ebrei, il nuovo popolo eletto, attraverso un nuovo Patto siglato col sangue di Cristo e iniziato esattamente quando il sangue del Testimone (Cristo appunto) è stato versato fin sopra l’Arca dell’Alleanza). Infatti, il luogo in cui l’archeologo Ron Wyatt ha affermato di aver rinvenuto l’Arca dell’Alleanza, è l’unico posto in cui ha un senso teologico che vi si trovi, cioè esattamente sotto quello che Ron Wyatt ha identificato come il Golgota.

Secondo Dimond inoltre, esiste l'”evidenza Biblica interna per cui il nome di
Pietro in Greco, Petros, è equivalente a petra, la pietra sopra la quale fu edificata la Chiesa Cattolica. L’evidenza interna proviene da Giovanni 1:42…[…]…Giovanni 1:42: “E Gesù, riguardatolo in faccia, disse: Tu sei Simone, figliuol di Giona; tu sarai chiamato Cefa, che vuol dire: Pietra“. In Giovanni 1:42 il nuovo nome di San Pietro è reso nella sua forma Aramaica: Cefa. Taluni potrebbero domandare: “Io pensavo che il nome Aramaico di San Pietro Cefa fosse reso con la lettera k, non è così?”. Sì, tuttavia, nella versione Italiana di Giovanni 1:42 Cefa è semplicemente la versione Italianizzata del nome Aramaico, scrivibile con la k. Laonde, Giovanni 1:42 detta che Cefa, il nome dell’Apostolo, è tradotto pietra.

Cefa = Il nome di San Pietro (Giovanni 1:42)

Si conosce anche che Cefa potrebbe essere tradotto come petra, la parola per la pietra sopra la quale è edificata la Chiesa Cattolica, Matteo 16:18. Giacché Cefa eguaglia il nuovo nome di San Pietro, come dettato da Giovanni 1:42, e Cefa eguaglia petra, la parola per pietra, è innegabile che il nuovo nome di San Pietro eguaglia petra, la pietra” [114].

A tutto ciò si devono aggiungere altre considerazioni linguistiche:

“I Protestanti argomentano come Gesù Cristo non potesse affermare che San Pietro sarebbe stato la pietra in virtù della differenza tra le due parole in Greco. Essi osservano che nel Greco originale di Matteo 16:18 il nome di San Pietro è Petros, il che significa sasso, mentre la parola denotante pietra è petra, la quale significa pietra, possibilmente larga. Il testo Greco detta: “Tu sei Pietro (Petros) e su questa medesima pietra (petra) Io edificherò la Mia Chiesa Universale”. Tuttavia, tale argomento è confutato dai seguenti punti. Primo, le parole Petros e petra detenevano il medesimo significato, pietra, nel Greco in uso al tempo del Cristo. In della assai più precoce poetria Greca Petros significava piccolo sasso e petra pietra larga, ciò malgrado, tale lieve distinzione era già sparita al tempo della composizione in Greco del Santo Vangelo di San Matteo, circa tale punto si consulti la citazione del Protestante D. Carson (“Nonostante la verità donde Petros e petra possono rispettivamente significare sasso e pietra nel Greco antico la distinzione è largamente confinata alla poetria. In aggiunta, il sottostante Aramaico è in questo caso inopinabile e molto probabilmente cefa fu utilizzata in entrambe le clausole, Tu sei Cefa e su questa cefa, in quanto la parola venne utilizzata sia per il nome che per una pietra… Il testo Greco distingue tra Petros e petra solamente perciocché esso desidera preservare la paronomasia e nel testo Greco il femminile petra potrebbe mai
fungere come nome al maschile” nda)” [115]. “La distinzione minore tra Petros e petra esiste solamente nel Greco Attico e non nel Greco Coinè. Il Santo Vangelo venne stilato in Greco Coinè, nel quale sia Petros che petra significano pietra. In aggiunta, giacché esisteva una parola per sasso Gesù Cristo l’avrebbe potuta utilizzare. Essa è litos. Qualora Gesù Cristo avesse voluto appellare San Pietro un sasso e non pietra, Petros, allora Egli avrebbe utilizzato litos. Egli bensì ciò non fece. Egli utilizzò Petros, significante pietra. Tuttavia, dovesse esistere un’equazione tra San Pietro e la pietra perché allora furono impiegate parole distinte: Petros e petra? La risposta è trovabile nell’importante fatto per cui Gesù Cristo parlava in Aramaico e non in Greco” [116].

Non vogliamo qui usare la tattica dei dizionari rotanti, quella è roba da ebrei. Nessuno può accusarci di fare ciò in quanto aramaico e greco Coiné concordano quando si parla del ruolo di Pietro come pietra sulla quale deve essere edificata la Chiesa. Bisogna inoltre precisare che il termine “Cefa”, in aramaico, è di genere neutro, per questo andava bene in entrambe le proposizioni potendolo ripetere, “petra” in greco è di genere femminile ed è la diretta traduzione di “Cefa”, e per tradurre il cambio di nome di Simone in Pietro serviva un significante diverso, con lo stesso significato di “petra”, ma di genere maschile, “Petros” appunto. È anche presumibile che Gesù parlasse sia l’aramaico che il greco Coiné. Infatti, che credibilità avrebbe un Messia che viene ad annunciare una nuova Legge estesa a tutte le etnie, quando non sa parlare neanche due lingue? In particolare, coi semplici pescatori – suoi discepoli o apostoli – nonché con le folle giudaiche, è probabile che parlasse aramaico, mentre con i Romani, coi mercanti ebrei e anche con alti funzionari religiosi ebraici – i quali dovevano spesso interfacciarsi coi Romani – parlava verosimilmente greco Coiné. Per questo la conversazione tra il fariseo discepolo di Gesù, Nicodemo, e Gesù stesso, ha senso soltanto in greco Coiné e non in aramaico, come giustamente fa notare il rabbino Tovia Singer [117]. La conversazione a cui si riferisce il rabbino è in Giovanni 3:1-5:

“C’era tra i farisei un uomo chiamato Nicodèmo, un capo dei Giudei. Egli andò da Gesù, di notte, e gli disse: «Rabbì, sappiamo che sei un maestro venuto da Dio; nessuno infatti può fare i segni che tu fai, se Dio non è con lui». Gli rispose Gesù: «In verità, in verità ti dico, se uno non rinasce dall’alto, non può vedere il regno di Dio». Gli disse Nicodèmo: «Come può un uomo nascere quando è vecchio? Può forse entrare una seconda volta nel grembo di sua madre e rinascere?». 5 Gli rispose Gesù: «In verità, in verità ti dico, se uno non nasce da acqua e da Spirito, non può entrare nel regno di Dio” [118]. Qui la versione C.E.I. della Bibbia fonde “nascere di nuovo” e “nascere dall’alto” con la formula “rinasce dall’alto”.

Per via di un gioco di parole per cui in greco “nascere dall’alto” e “nascere di nuovo” vengono resi con la stessa parola, e per via del fatto che in aramaico questa frase non avrebbe senso, il rabbino Tovia Singer vorrebbe ridurre il Vangelo di Giovanni a falso storico scritto dai Romani. Ma la questione è lungi dall’essere risolta. Per prima cosa esiste un Nuovo Testamento in aramaico, detto “Khabouri”, e lasciando perdere le speculazioni filologiche degli studiosi, tale traduzione restituisce così gli stessi passi di Giovanni:

Schermata del 2020-03-02 14:25:12

E poi se è per questo, caro rabbino Tovia Singer, lei dovrebbe avere l’onestà intellettuale  – qualità davvero rara negli ebrei, quasi sempre è apparente perché per un ebreo è legale dire la verità a un non-ebreo, purché mostri agli altri ebrei che sta palesemente mentendo su altri argomenti, e in seguito vedremo degli esempi di questo fenomeno – di dire che se i giochi di parole presenti nel Vangelo di Giovanni hanno senso soltanto in greco anziché aramaico, è vero anche il contrario: ci sono giochi di parole in suddetto Vangelo, che hanno un senso solo con una retroversione in aramaico, come a suggerire che il Vangelo di Giovanni in greco sarebbe una traduzione di un originale in aramaico. Infatti vediamo:

Schermata del 2020-03-02 15:08:06

(https://it.wikipedia.org/wiki/Nuovo_Testamento_in_aramaico#Giochi_di_parole)

Il passo di Giovanni in questione (Gv 8:39), recita:

“Gli risposero: «Il nostro padre è Abramo». Rispose Gesù: «Se siete figli di Abramo, fate le opere di Abramo!”.

E adesso come la mettiamo Rabbi? Ad ogni modo, la versione di Tovia Singer potrebbe trovare il contraddittorio che merita nel libro “The Aramaic Origin of the Fourth Gospel” di C. F. Burney. Si potrebbe obiettare che Gv 8:39 riguarda una conversazione tra farisei e Gesù, quindi avrebbe potuto essere benissimo in greco, ma Giovanni 8:1-2 chiarisce che c’era la folla giudaica ad ascoltarlo: “Gesù si avviò allora verso il monte degli Ulivi. Ma all’alba si recò di nuovo nel tempio e tutto il popolo andava da lui ed egli, sedutosi, li ammaestrava”. Quindi è verosimile che per farsi ascoltare e comprendere da tutti, Gesù abbia pronunciato queste frasi in aramaico, anziché nel greco che avrebbero potuto capire solo mercanti ebrei con contatti estesi, oppure funzionari religiosi con un’autorità politica su Israele, che dovevano dialogare con il loro padrone di turno a quel tempo: i Romani. Se nello stesso libro, attraverso retroversioni sia in greco che aramaico riscopriamo dei giochi di parole, o gli autori dei Vangeli erano dei troll professionisti oppure è verosimile che Gesù parlasse sia il greco che l’aramaico, e che facesse giochi di parole in entrambe le lingue, anche se questo poi pone il problema di capire le capacità linguistiche degli autori dei Vangeli, per poter discernere tra giochi di parole “originali” e giochi di parole postumi, inseriti nelle copie dei Vangeli successive ai testi di partenza. Riteniamo che questi giochi di parole siano importanti. Se dovessimo classificarli in qualche modo, useremmo l’espressione “checkpoints linguistici/filologici”, nel senso che rappresentano una finestra sul probabile testo originale dal quale sono stati ricopiati. Non mettiamo in dubbio che gli ebrei siano dei buontemponi che nascondono facezie e easter egg giudaici ovunque, ma gli easter egg giudaici presenti nella Bibbia – anche quelli di recente inserzione – sono comunque migliori di quello che la mente di un ebreo ha partorito per il video-game “Far Cry 4”: chiamare il “cattivo” della quarta edizione di Far Cry col nome “Pagan Min”**.

Tornando invece al discorso di “Tu sei Pietro e su questa pietra costruirò la mia Chiesa”, anche volendo tralasciare le questioni linguistiche, ci sono comunque le questioni del “cambio di nome” come procedura simbolica di assegnazione di un incarico, e dell'”appellativo riferito a più soggetti”, anch’esso tipico del Vecchio Testamento, e rinvenibile nell’esempio Deuteronomio 32:4 – Isaia 51:1-2. Che lavoro certosino che avrebbero fatto i Romani per produrre questi falsi storici antisemiti chiamati Vangeli, dico bene rabbino Tovia Singer?

  • Propaganda giudaica (realismo giudaico): la propaganda israeliana di oggi è la quintessenza dei sepolcri imbiancati di ieri (Mt 23:27-29)

La propaganda israeliana è abile nel fare il lavaggio del cervello ai gentili che non conoscono le manipolazioni degli ebrei, e non studiano in contraddittorio la cosiddetta “questione palestinese”. Non ci fraintendete, quando diciamo che gli arabi sono degli animali…INTENDIAMO DIRE CHE SONO PER LA STRAGRANDE MAGGIORANZA DEGLI ANIMALI…mentre gli ebrei sono…loro “cugini” semiti…e non sono certo da meno. Semplicemente gli ebrei sono “più raffinati nel loro essere degli animali”, rispetto agli arabi. Ad ogni modo, l’Israeli Defense Force – le forze di difesa israeliane – si vantano di essere “The World’s most Moral Army” (“il corpo armato più etico al mondo”). C’è solo un problema con questa pubblicità: non è poi così convincente se l’IDF celebra e istiga l’uccisione di civili arabe incinte con lo slogan “One Shot Two Kills” (“un colpo due morti”).

Nelle fotografie soprastanti: in alto a sinistra una foto di un militare dell’IDF raffigurante una donna araba incinta nel mirino di un cecchino e sotto la scritta “1 shot 2 kills” [119] (“un colpo due morti”).  A destra una maglia raffigura un bambino palestinese nel mirino di un cecchino, con la scritta che si legge da sopra a sotto “Better use Durex” [120] (“Uso migliore Durex”, come a significare che i bambini palestinesi uccisi fungono meglio come preservativi nella loro esistenza terrena). Ancora a destra una maglia raffigura un bambino palestinese armato nel mirino di un cecchino e la scritta in ebraico che si legge dall’alto verso il basso (e da destra verso sinistra) “the smaller they are, the harder it is” [121] (“più piccoli sono, più è difficile”). In basso a sinistra una maglia raffigurante l’angelo della Morte vicino a un fucile e a una citta araba, con la scritta in ebraico dall’alto verso il basso “Let every Arab woman know I hold the fate of her child in my hands” [122] (“Lasciate che ogni donna araba sappia che ho il destino di suo figlio nelle mie mani”). In basso a destra una maglia raffigurante una moschea incendiata e sopra la scritta in ebraico “Only God forgives” [123] (“Solo Dio perdona”).

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Sopra: immagine della propaganda giudaica raffigurante a sinistra un terrorista islamico che usa una donna con un passeggino come scudo umano, a destra un soldato israeliano che protegge due bambini che giocano con una palla. Sotto si può leggere la scritta “The World’s Most Moral Army” (“L’esercito più etico al mondo”), un chiaro riferimento all’esercito israeliano, anche noto come Israeli Defense Force. C’è un problema in questa immagine: i primi ad usare i bambini come scudi umani sono gli ebrei, mentre accusano gli arabi di fare ciò.

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Nell’immagine: stralcio di un articolo del Daily Mail in cui si vede un bambino palestinese legato dagli ebrei su un mezzo militare israeliano: cercavano di evitare che i suoi amici arabi continuassero a tirare pietre sui veicoli.

Esistono diverse prove che Hamas utilizza la sua stessa gente (militanti di Hamas e civili) come scudi umani. Gli ebrei sono più fortunati: hanno abbondanza di palestinesi coi quali farsi scudo.

Al seguente indirizzo Telegram si può vedere un servizio del Guardian sull’utilizzo da parte di Israele, di scudi umani palestinesi: https://t.me/la_questione_giudaica/185

Alla luce di questi elementi, che si possono osservare in questo secolo come anche nei precedenti secoli (cioè i tentativi degli ebrei di accreditarsi agli occhi del mondo come un popolo estremamente morigerato e dagli elevati valori morali/spirituali) possiamo capire ciò che è stato detto da Gesù Cristo nel primo secolo: “Guai a voi, scribi e farisei ipocriti, che rassomigliate a sepolcri imbiancati: essi all’esterno son belli a vedersi, ma dentro sono pieni di ossa di morti e di ogni putridume. Così anche voi apparite giusti all’esterno davanti agli uomini, ma dentro siete pieni d’ipocrisia e d’iniquità. Guai a voi, scribi e farisei ipocriti, che innalzate i sepolcri ai profeti e adornate le tombe dei giusti”.

A proposito di adornare le tombe dei giusti, bisogna osservare un altro fenomeno tipico del giudaismo, in perfetta contrapposizione con quanto scritto poc’anzi: la celebrazione dei macellai. Con questa espressione si intende l’atteggiamento di glorificare grandi criminali di etnia ebraica, mostrando al mondo soltanto quello che di giusto avrebbero fatto, specie per le cause del giudaismo. Non tratteremo questo aspetto in questo scritto. In altre parole, il “realismo socialista” ha origini chiaramente ebraiche, e andrebbe chiamato “realismo giudaico”. Secondo questo realismo, le ricostruzioni storiche o di eventi recenti nella storia del giudaismo, così come le biografie di ebrei famosi, non sono quelle reali secondo verità. Sono versioni affette da realismo giudaico, cioè vengono propinate le versioni dei fatti che più sono ritenute utili dagli ebrei per i fini del giudaismo, comprensive quindi di iperbole strategica – cioè esagerazione dei meriti e delle sofferenze degli ebrei – o di eufemizzazione strategica – cioè la minimizzazione dei demeriti degli ebrei o anche la minimizzazione della loro presenza/coinvolgimento in fatti di cronaca o eventi storici quando in una data occasione conviene fare ciò.

  • Modulo Kennedy su tutti i profeti (Mt 23:30-32)

Se dovessimo assegnare un’origine alla tattica giudaica nota con l’espressione “Modulo Kennedy” – cioè la tendenza degli ebrei ad uccidersi tra loro o ad uccidere i loro alleati quando non gli servono più da vivi – di sicuro saremmo portati a dire che il Modulo Kennedy nasce con l’uccisione dei primi profeti di Israele. Di più: se si trovassero le prove archeologiche dell’esistenza della cosiddetta “Arca dell’Alleanza”, noi ci spingeremmo fino ad asserire che gli ebrei, in maniera ipocrita, dopo essersi macchiati del sangue dei loro stessi profeti, andavano a versare quest’ultimo anche sull’Arca, laddove la tradizione vuole che gli ebrei versassero il sangue degli empi, di coloro che sono stati ingiusti. È interessante notare come anche nel Corano, il libro sacro dell’Islam, gli ebrei sono concepiti come gli assassini per eccellenza, in particolare anche nel Corano hanno la nomea di essere degli assassini di profeti, tant’è vero che nel Corano c’è scritto che l’esecutrice materiale dell’omicidio di Maometto – il più importante profeta dell’Islam – è una donna ebrea che lo avvelena attraverso un inganno. La convergenza di Islam e Cristianesimo sulla reputazione degli ebrei come assassini dei profeti, ci dà la sicurezza di poter ipotizzare che questa accusa sia verosimile, e che verosimilmente i primi Moduli Kennedy della storia, siano proprio gli omicidi dei profeti. Dopotutto, è nella Bibbia stessa che si menzionano i dissapori tra gli ebrei e i loro stessi profeti: Zaccaria viene accusato di essere un bugiardo, Geremia viene accusato di intendersela coi Caldei dell’epoca, e il povero Michea si lamenta in continuazione degli ebrei, mostrando un atteggiamento fin troppo negativo, secondo Israele.

Ad ogni modo, i versetti dell’invettiva antigiudaica universale recitano:

“e dite: Se fossimo vissuti al tempo dei nostri padri, non ci saremmo associati a loro per versare il sangue dei profeti; e così testimoniate, contro voi stessi, di essere figli degli uccisori dei profeti. Ebbene, colmate la misura dei vostri padri!”.

Anche qui, a dispetto della posizione ufficiale della Chiesa Cattolica prima del Concilio Vaticano II (o dovremmo dire del 1939?) – cioè una posizione di antigiudaismo, ovvero di opposizione al popolo ebraico da un punto di vista meramente teologico – Gesù Cristo si fa fautore di un antisemitismo biologico, e ciò è confermato dal versetto precedente:

“Guai a voi, scribi e farisei ipocriti, che innalzate i sepolcri ai profeti e adornate le tombe dei giusti”.

L’interpretazione, è semplice: “Cari ebrei, è inutile che fate tanto i perfettini innalzando i sepolcri ai profeti e adornando le tombe dei giusti, quando voi stessi siete i primi ad ammettere che i vostri stessi padri hanno ucciso i profeti. Credete forse che il sangue sia acqua? Se i vostri padri erano degli assassini di profeti cosa vi fa pensare che voi siate migliori di loro? Mostrare del rispetto superficiale per i profeti non basta. Se i vostri padri erano degli assassini di profeti, voi che avete il loro sangue in corpo, vi comporterete in maniera forse migliore, ma comunque simile. Buon sangue non mente, se dite che i vostri padri, della generazione precedente, erano degli assassini di profeti, voi dell’attuale generazione non li smentirete: sarete voi stessi degli assassini di profeti. I vostri peccati rimangono, e sono in buona parte rappresentati dai peccati dei vostri padri”.

Questi versetti ricalcano un tema già affrontato nel Vecchio Testamento: il ricadere dei peccati dei padri, sui figli stessi. Infatti, in Esodo 20:5-6 cioè nei ” 10 comandamenti, Dio affermò di punire l’iniquità dei padri sui figli fino alla terza e alla quarta generazione di quelli che lo odiano, e di usare bontà fino alla millesima generazione verso quelli che lo amano e osservano i suoi comandamenti. Ci sono anche alcuni esempi di figli uccisi perché il loro padre peccò (Gios 7; 2Sam 21:1-9). Questo principio non sembra giusto a noi. Inoltre, alcuni brani dichiarano che i figli giusti non pagheranno per l’iniquità di padri ingiusti (Dt 24:16; Ger 31:29-30; Ez 18:1-20), e dobbiamo capire come riconciliare questi brani con il principio dei 10 comandamenti.

Anche se le versioni italiane di solito traducono nei 10 comandamenti che Dio punisce l’iniquità dei padri sui figli, è forse una traduzione troppo forte. Letteralmente Dio “visita” l’iniquità (come nella versione Diodati e molte versioni inglesi) dei padri sui figli. In altre parole, Dio manda le conseguenze del peccato ad altre generazioni, non la colpa del peccato. Infatti, è la verità che spesso i figli pagano per uno stile di vita sbagliato da parte dei genitori. Un’altra possibile spiegazione è che “quelli che mi odiano” si riferisce ai discendenti. Cioè, i discendenti che odiano Dio sono puniti per l’iniquità degli antenati, perché colpevoli verso Dio proprio come loro. Non ci sarebbe nessuna ingiustizia in questo caso. Però, è anche possibile prendere la frase come una descrizione dei padri, cioè che Dio punisce l’iniquità dei padri che lo odiano sui loro figli, per cui non possiamo essere sicuri che sia l’interpretazione giusta del versetto.

Dall’altra parte, Ger 31:29-30 e Ez 18:1-20 descrivono la situazione che riteniamo sia giusta, che ognuno muore per il proprio peccato. Però c’è una precisione che sarà approfondita nel seguente paragrafo. Dt 24:16 invece descrive una situazione giudiziaria, quello che un giudice dovrebbe fare, non Dio nel suo giudizio.

C’è però un altro principio da considerare, che per noi è molto difficile da comprendere, perché contrario alla nostra cultura. Nelle culture del medio oriente, dove la Bibbia è stata scritta, il principio della solidarietà è scontato. Solo relativamente recentemente nell’Occidente il principio dell’individualismo ha preso il sopravvento. Che sia un principio che Dio usa nel suo modo di trattare le persone è dimostrato da Rom 5:12-19, dove il peccato e la morte sono passati a tutti dal nostro rappresentante Adamo, e la grazia di Dio è passata alle molte persone di cui Gesù Cristo è il rappresentante. Mentre Dt 24:16 proibisce che un tribunale punisca chi è estraneo al peccato di qualcuno, non esclude che il peccato e la colpa possono essere trasmessi da un capo, né che tutti i seguaci del capo (la famiglia, la tribù, la nazione, o altri) sono responsabili per le azioni del capo, sia per bene sia per male. Questo principio spiega due casi difficili. Il primo è la distruzione di tutta la famiglia e i possessi di Acan quando Acan prese dell’interdetto di Gerico (Gios 7). Quando Acan peccò, tutto Israele soffrì (Gios 7:29), perché era come se tutto Israele avesse peccato – infatti il peccato di Acan era chiamato un’infedeltà degli Israeliti (Gios 7:1,11). Quello che Acan fece (come pure quello che noi facciamo) ebbe delle conseguenze sugli altri, sia materiali (la sconfitta dell’esercito) sia spirituali (il popolo non era più santo, ma interdetto) (Gios 7:12). In realtà, tutto il popolo andava distrutto, ma Dio nella sua grazia limitò la distruzione alla famiglia di Acan. Il secondo è la morte di sette nipoti di Saul per un peccato di Saul contro i Gabaoniti (2Sam 21:1-9) quando cercò di farli perire nonostante il patto di pace (Gios 9:3-15). Questa infedeltà al patto richiedeva una punizione, un debito di sangue (2Sam 21:1). Ma Saul era già morto, e il debito di sangue andava ancora pagato – per questo motivo Dio aveva mandato una carestia nel paese (perché in questo senso le conseguenze del peccato di Saul, in quanto capo di Israele, estendevano su tutta la nazione). Il debito di sangue poteva però essere ancora pagato, perché era stato trasmesso ai figli di Saul (perché in questo senso il debito creato da Saul, in quanto capofamiglia, estendeva su tutta la famiglia). I figli non ereditarono il peccato di Saul, né furono puniti per il suo peccato, ma pagarono il debito di Saul verso i Gabaoniti (con la morte dei loro stessi figli, ovvero i nipoti del defunto Saul, nda)” [124].

In generale, ci può essere un passaggio del peccato, come nel caso del famigerato peccato originale, trasmesso da Adamo istigato da Eva istigata dal serpente, ci può essere un passaggio delle conseguenze del peccato, come nel caso un po’ dubbio di Esodo 20:5-6, ci può essere un passaggio della punizione, come nel caso del peccato di Acan, per cui prima soffre tutto Israele, poi in particolare la famiglia di Acan. Ci può essere poi un passaggio del debito, come il debito di sangue che Saul aveva contratto con i Gabaoniti per averli traditi in maniera meschina: offrendogli la pace con una mano, e la pugnalata mortale alle spalle con l’altra mano.

Ad ogni modo, nel caso qui analizzato, uccidere i profeti, cioè i messaggeri di Dio in persona, non è certo un peccato da quattro soldi. È un po’ come uccidere degli innocenti pieni, oltre che mettere una bella museruola a Dio, manco fosse Hannibal Lecter. Cercare di zittire Dio, privandolo del suo mezzo per comunicare con gli uomini – seguendo la formula consolidata “gesta Dei per homines” – non può mai concludersi con qualcosa di positivo per chi cerca di fare ciò. In questo caso, vista anche la natura del problema ebraico come interna al giudeo, e vista l’immutabilità l’universalità e la costanza del problema ebraico, si può parlare di passaggio del peccato dai padri ai figli, nel senso che com’è vero che i figli appartengono ai loro rispettivi padri, altrettanto vero è che i figli commetteranno gli stessi peccati dei padri. Ma perché eseguire il Modulo Kennedy su tutti i profeti? I profeti sono autori di libri che portano il loro stesso nome, sono fondamentalmente degli scrittori. Se c’è un movente per il quale degli scrittori sono morti ammazzati, o è perché il mandante dell’omicidio non vuole che lo scrittore pubblichi nuove indiscrezioni scottanti, oppure perché il mandante si deve impossessare dell’opera dello scrittore, magari modificandola nelle edizioni successive, relegando nell’oblio la prima edizione, un po’ scomoda per le troppe informazioni scottanti ai danni del mandante. Ora, o gli ebrei, specie i membri del Sinedrio, prevedono il futuro, nel senso che sanno già quello che i profeti stanno per scrivere, o hanno la certezza che i profeti prevedano il futuro e che quindi loro non possano nascondere le loro magagne agli occhi dei profeti, in quanto questi ultimi vedono tali magagne perché è Dio che gliele fa vedere attraverso le visioni, oppure i mandanti degli assassinii dei profeti avevano un interesse a modificare i libri dei profeti, per dare una visione di comodo più consona agli obiettivi che si prefiggevano.

Ad ogni modo, con la frase “e così testimoniate, contro voi stessi, di essere figli degli uccisori dei profeti. Ebbene, colmate la misura dei vostri padri!” Gesù Cristo fonde il materiale con lo spirituale ancora una volta, perché l’aspetto materiale, cioè il sangue dei padri, assassini di profeti, è stato trasmesso ai figli, che già solo svelando la natura omicida dei loro padri (cioè una loro mancanza spirituale) testimoniano contro se stessi, perché hanno rivelato ciò che stanno per fare: uccidere dei profeti.

È interessante notare, inoltre, che questa visione impregnata di antisemitismo biologico, per un periodo relativamente lungo è stata sposata dalla stessa Chiesa Cattolica, pur non comparendo in via ufficiale nelle bolle pontificie sul giudaismo. Stiamo parlando degli statuti sulla purezza del sangue, utilizzati come fonti del diritto interne all’Ordine dei Gesuiti. Attraverso una serie di norme contenute in tali statuti, i gentili Gesuiti erano convinti di poter contenere se non addirittura bloccare del tutto l’infiltrazione dei marrani, o se si preferisce, conversos, all’interno della loro organizzazione. Avevano ragione a preoccuparsi, e probabilmente molti sequestri di bambini ebrei da parte di diversi Papi al fine di battezzarli forzatamente e convertirli, sono serviti come “esperimenti sociali” per verificare proprio questo: se la refrattarietà del popolo ebraico al Cristianesimo non fosse di natura biologica, anziché essere legata ad un retroterra culturale impregnato di giudaismo talmudico, e antecedente ai tentativi di convertire gli ebrei. Infatti, l’autore Robert Aleksander Maryks scrive: “Purity of blood (pureza de sangre) was an obsessive concern that originated in mid-fifteenth-century Spain, based on the biased belief that the unfaithfulness of the “deicide Jews” not only had endured in those who converted to Catholicism but also had been transmitted by blood to their descendants, regardless of their sincerity in professing the Christian faith. Consequently, the Old Christians “of pure blood” considered New Christians impure and morally inadequate to be active members of their communities” [125].

I Gesuiti però non avevano fatto i conti con le innumerevoli tattiche giudaiche, adoperate dagli ebrei con la coerenza di un laser pur di sfuggire alle spade dei loro nemici. Per questo le indagini che i Gesuiti attuavano fino alla quinta generazione, non funzionavano: gli ebrei aggiravano facilmente le manovre dei gentili con l’inseminazione sporca e la dispersione strategica. È importante considerare che i Gesuiti credevano che le caratteristiche salienti degli ebrei si trasmettessero in maniera verticale e pressocché immutata attraverso le generazioni, interpretando questa stessa invettiva antigiudaica universale – cioè il capitolo 23 del Vangelo di Matteo – con la chiave di lettura della natura biologica del problema ebraico.

  • Predizione di persecuzioni anticristiane, e martiri cristiani (Mt 23:34)

“altri ne flagellerete nelle vostre sinagoghe e li perseguiterete di città in città”, è così che recita la seconda metà del versetto 34 del capitolo 23 del Vangelo di Matteo. Se la prima parte si riferiva a Pietro e a Cristo, questa  parte del versetto 34 ci parla dei cristiani comuni, opportunamente flagellati nelle sinagoghe, con omicidio rituale ebraico finale, e perseguitati di città in città, com’è sempre stato. Abbiamo ampiamente parlato della persecuzione dei cristiani ortodossi in Unione Sovietica da parte dei giudeo-bolscevichi, accennando al sistema dei gulag nel quale gli ebrei hanno ucciso milioni di persone, specie alle isole Solovki e nella regione di Kolyma, senza parlare dei campi per la costruzione del canale tra il Mar Bianco e il Mar Baltico. E quando gli ebrei vi dicono che da questo o quel campo di concentramento nazista “tornarono vivi soltanto alcuni” voi rispondetegli apertamente che gli ebrei al dominio assoluto dell’NKVD, dalle isole artiche di Novaya Zemlya non hanno fatto tornare proprio nessuno vivo! [126].

Ma le persecuzioni contro i cristiani si sono verificate anche nella Vandea in Francia (crimini poi proiettati dagli ebrei sui nazisti nel Modulo Kennedy di massa noto come processo di Norimberga), durante il periodo della Rivoluzione Francese, al punto tale che secondo Don Ennio Innocenti “l’accanimento anticristiano degli anni roventi di quella rivoluzione è inspiegabile con ragioni sociologiche: solo una “religione” di segno opposto a quella delle cattedrali cristiane può suggerire motivazioni se non adeguate almeno di qualche credito” [127]. Senza contare i motivi per i quali oggi come ieri Giovanni Calvino viene etichettato come una cellula fantasma (un crittoebreo) in quanto dovunque il Calvinismo prese il sopravvento, “anche nella Francia rinascimentale, si verificarono cacce ai preti cattolici che venivano martirizzati gettandoli in precipizi, saccheggi di chiese e cattedrali, profanazione di tombe e di ostie consacrate che venivano calpestate e date in pasto ai cavalli, stupri di monache e massacri di religiosi inermi, bollitura nell’olio bollente o sventramento o strappo della lingua per chiunque non aderisse alla chiesa riformata” (queste ultime due torture erano guarda caso tipiche anche dei giudeo-bolscevichi) [128]. Poi c’è la questione della macellazione dei Cristeros messicani, una delizia che gli ebrei, inebriati dal sangue cristiano e dal loro protagonismo omicida di massa, non possono essersi lasciati scappare. Innocenti sintetizza così questa tragedia: “La costituzione liberale messicana del 1917 aveva una forte connotazione anticristiana. La costituzione proibisce l’insegnamento religioso, toglie alla Chiesa tutti i beni, limita l’esercizio del ministero sacerdotale, definisce regione per regione il numero dei sacerdoti che possono officiare, obbliga i sacerdoti al servizio militare, ecc. nel 1919 vengono esiliati in USA ben 11 vescovi, 2 a Cuba, altri in europa. Centinaia di sacerdoti e religiosi vengono espulsi dal paese, chiuse migliaia di scuole cattoliche, compresi seminari e conventi. Una serie di dittatori si susseguono. Venustiano Carranza, adotta una specie di comunismo giacobino ed è sostenuto finanziariamente dalla massoneria e dal protestantesimo statunitense dato che il governo nord-americano aveva sentito odore di petrolio, appena scoperto. Siamo nell’epoca dei Pancho Villa e dei Zapata. Segue Alvaro Obregòn, massone, che non cambia la politica giacobina anticattolica ed anzi l’accentua. Tutta la classe dirigente è massonica e persegue con decisione la scristianizzazione della nazione. Il partito rivoluzionario istituzionalizzato guidato dal generale plutarco Elias Calles, potente fratello 33°, prosegue nella stessa politica. Calles, nato negli Stati Uniti, è un massone dichiarato. Per sua ammissione ha la Chiesa Cattolica quale nemico e si autonomina “nemico personale di Dio”. Calles sale ufficialmente al potere nel 1924 dopo l’assassinio del dittatore generale Alvaro Obregòn. Nel 1925 istituisce una scismatica Chiesa messicana con riti liturgici blasfemi che prevedevano la sostituzione del vino e dell’acqua della consacrazione con il liquore locale “mezquite”. Entusiasta delle idee anticristiane di Calles, arriva in Messico anche Augusto Sandino (1895-1934) a dare manforte alla politica scristianizzatrice. Vi ritornerà nel 1929, sotto la presidenza Portes Gil, per fare una brillante e rapidissima carriera nella massoneria messicana per poi entrare nella sezione locale dell’ EMECU (Escuela Magnético Espiritual de la Comuna Universal) ed aderire a questa setta spiritista tuttora esistente. I cattolici si ribellano e si arriva al 14 giugno 1926 con la promulgazione della “Legge Calles” con la quale la Chiesa viene privata di tutti i suoi diritti, viene ulteriormente ristretta la libertà religiosa e consegnato a laici nominati dai sindaci il possesso delle chiese. I vescovi, appoggiati da Pio XI, decidono di sospendere il culto pubblico in tutto il Messico. Iniziano gli assassinii di religiosi e fedeli e scoppiano le prime rivolte armate (64 nei 5 mesi che vanno dall’agosto al dicembre 1926). Pio XI emana l’enciclica Iniquis afflictisque (18.11.1926), con la quale richiama l’attenzione del mondo sulla terribile situazione del Messico, lamentandosi nel contempo con Mussolini perché la stampa, ma non solo quella italiana, non dà spazio a quanto accade in Messico. La Società delle nazioni e la Croce Rossa Internazionale non si interessarono minimamente di quanto stava accadendo in Messico. Praticamente i cattolici messicani erano abbandonati da tutti e la memoria di quanto avvenne è tutt’ora quasi completamente disattesa. Iniziò così la rivolta dei Cristeros. Nel 1927 sono oltre 25.000 i rivoltosi armati, tra di loro anche una ventina di sacerdoti. Nel 1926 mons. Curley, arcivescovo di Baltimora, ebbe ad affermare: «Carranza e Obregòn hanno regnato sul Messico grazie all’appoggio di Washington. Le mitragliatrici che hanno aperto il fuoco, qualche settimana fa, contro il clero e i fedeli di San Luis Potosì, erano
americane. I fucili utilizzati contro le donne a Città del Messico, per profanare la chiesa della Sacra Famiglia, provenivano dal nostro Paese. Siamo noi, per il tramite del nostro governo, che armiamo gli assassini professionisti di Calles, noi che li sosteniamo, in quest’abominevole piano che egli ha intrapreso di distruggere persino l’idea di Dio nel cuore di milioni di bambini messicani». Molti optarono per la resistenza pacifica ma non per questo furono risparmiati da prigione, uccisioni e terribili torture. Sono moltitudine i veri martiri della fede. All’inizio del 1929 i Cristeros erano sul punto di vincere la partita sotto la guida sapiente e organizzata del generale Enrique Gorostieta y Velarde, un liberale, non cattolico, che aveva abbracciato la causa cristera in nome della libertà religiosa e che, mediante, questa esperienza trovò la via per la fede. I vescovi però, alla vista dello spaventoso numero di morti, consapevoli dell’incontenibile ostilità statunitense, decisero di aprire trattative con il governo, alle quali parteciparono anche emissari del governo degli Stati Uniti e tra essi l’ambasciatore americano in Messico, Dwight Whitney Morrow, finanziere del gruppo bancario ebraico Morgan, che fu il vero mediatore fra le parti. Le trattative si conclusero il 21 giugno 1929. Ma l’illusione durò ben poco: venne, sì, dato il permesso di riaprire le chiese, ma la legislazione antiecclesiatica rimase inalterata e continuarono in sordina le persecuzioni e le uccisioni dei Cristeros che nelle trattative non ebbero nessuna garanzia di salvaguardia. Nel 1931 Pio XI con l’enciclica “Acerba animi” manifestava tutta la sua amara delusione. Nei successivi anni continuarono le vendette governative e centinaia di Cristeros vennero ancora assassinati” [129]. Insomma Massoneria, gruppi finanziari ebraici, mancata copertura mediatica, disinteresse planetario – compreso quello della Società delle Nazioni e della Croce Rossa Internazionale – la puzza del giudaismo nel massacro dei Cristeros si riesce a sentire lontano un miglio. Della persecuzione dei cristiani copti e dei cristiani maroniti si è occupato l’Isis, passato fuori moda con l’emergenza coronavirus. Di questa organizzazione si sa poco o nulla, tranne il fatto che hanno minacciato di attaccare la Palestina, e hanno fatto più stragi di arabi e di cristiani, che non di ebrei. Come si faccia a dire che si tratta di un’organizzazione islamica, non sappiamo dirlo. Dell’Isis si sa inoltre che i suoi principali leader sono dei diversori strategici che in passato erano utilizzati da Vladimir Putin per controllare milizie islamiche da lanciare contro i ceceni. Insomma, anche le persecuzioni di maroniti e copti attuate dall’Isis, puzzano di giudaismo. Si riscontrano tra gli istruttori militari dell’Isis anche alti ufficiali dell’Israeli Defense Force. Su internet c’è abbastanza materiale per capire se l’Isis è o non è una diversione strategica del giudaismo, non ce ne occuperemo in questo articolo.

Nelle immagini soprastanti: a sinistra, una schermata di un titolo del quotidiano israeliano Haaretz, che recita testualmente “Il direttore del Mossad si è recato a Doha, ha esortato il Qatar a continuare il sostegno finanziario di Hamas” [130], a destra, una schermata, che recita: “Gaza – Gruppo affiliato a Daesh rivendica un attacco contro una base di Hamas

di Roberta Papaleo

Un gruppo di militanti jihadisti recentemente emerso nella Striscia di Gaza ha rivendicato la responsabilità di un attacco a colpi di mortaio contro una base appartenente al movimento palestinese Hamas.
In una dichiarazione diffusa su internet, il gruppo, che si fa chiamare Sostenitori di Daesh (ISIS) a Gerusalemme, ha dichiarato di aver sparato colpi di mortaio contro la base usata dal braccio armato del movimento, le Brigate Ezzedine al-Qassam, situata a Khan Kunis a sud della Striscia.
Militanti jihadisti gazawi avevano già promesso la loro fedeltà a Daesh in passato, ma l’organizzazione non ha mai ufficialmente confermato la propria presenza nell’enclave.

(ArabPress, 8 maggio 2015)” [131].

Un altro genocidio di cristiani molto importante è il genocidio degli armeni, anch’essi cristiani d’Oriente. La responsabilità del genocidio degli armeni ricade sul Primo Ministro dell’impero Ottomano dell’epoca, Mustafa Kemal Ataturk (ebreo). Tale primo ministro è stato una cellula fantasma del giudaismo per conversione strategica all’Islam, o in altre parole, si tratta di un dunmeh. Il genocidio degli armeni è avvenuto tra il 1915 e il 1918.

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Nella foto soprastante: Mustafa Kemal Ataturk (ebreo), è stato riconosciuto come dunmeh dal rabbino ebreo Joachim Prince nel suo libro “The Secret Jews”. Ataturk è il responsabile del genocidio di oltre un milione di cristiani di origine armena. Ovviamente, nel governo ottomano dell’epoca, lui non era l’unico dunmeh.

La macellazione degli armeni non riesce a trovare una giustificazione sufficiente né con la scusa della “vendetta per le persecuzioni della Chiesa contro gli ebrei”, né con la scusa dell’utilizzo di milizie armene a fini terroristici che lo zar Nicola II avrebbe utilizzato per mettere i bastoni tra le ruote all’Impero Ottomano.

Un’altra persecuzione anticristiana molto famosa è quella attuata dai giudeo-bolscevichi in Spagna, durante i primi anni trenta del Novecento, e continuata puntualmente durante la guerra civile spagnola avvenuta nel periodo che va dal 1936 al 1939. Tratteremo anche questa persecuzione in un’altra sede. Limitiamoci a dire che gli ebrei appendevano i preti cattolici su dei ganci da macellaio, con al collo dei cartelli con su scritto: “Carne di porco in vendita”. Esiste infatti una lettera di combattenti francesi a Franklin Delano Roosevelt che dimostra l’ebraicità e la realtà storica di questa persecuzione:

“Parigi, 20 novembre 1938. Voi non ignorate, signor Presidente, che sedicimila sacerdoti cattolici sono stati uccisi dai rossi in Ispagna. Come sono stati uccisi? Crocifissi e bruciati vivi: ancora sui muri si vedono le tracce. Agganciati ai ganci delle macellerie con il cartello “carne di porco”. “Le monache sono state violate e imprigionate nelle case di tolleranza. Chiunque conservava un segno della religione cristiana è stato fucilato. Le chiese cristiane sono state incendiate, trasformate in scuderie o in lupanari: molte furono distrutte con la dinamite. Gli altari sono stati profanati e le croci capovolte. Che avete detto voi per simili azioni. Che ha detto il mondo? Tutti hanno pensato che trattavasi di episodio banale, come quando in Russia milioni di uomini furono assassinati dai dirigenti ebrei. Si diceva che questa era una strana “esperienza sociale”. Credete signor Presidente, noi in Francia rispettiamo tutte le opinioni; ma abbiamo orrore dell’ipocrisia. L’ipocrisia ci disgusta ovunque e da chiunque manifestata. La giustizia non deve regnare solo per alcuni uomini. Gridare come voi fate, in favore degli ebrei, è una bella cosa: ma a condizione di gridare anche contro tutti i massacri e i delitti che rassomigliano ai peggiori supplizi dei tempi antichi. E soprattutto a condizione di gridare contro la barbarie. Il sol dispiacere nostro è che la Francia accoglie molti ebrei, i quali portano via il pane ai francesi che hanno difeso la Patria con ogni sacrificio durante quattro anni di guerra. Se la grande democrazia, il grande paese della libertà, della giustizia e dell’ umanità, cioè se la vostra America volesse ospitare tutti gli ebrei e specialmente le molte migliaia di ebrei che vivono in Francia, renderebbe un servigio all’umanità e alla Francia stessa. Comunque, noi ex combattenti della Grande Guerra non abbiamo, signor Presidente, alcun desiderio di rifare la guerra per vendicare gli ebrei tedeschi. In nessun caso noi combatteremo” [132]. Luigi Cabrini conclude la nota in cui ha tradotto la lettera così: “Seguono le firme dei combattenti con decorazioni al V. M., mutilazioni e ferite, indirizzi. Vedi “Action Francaise” del 20 nov. 1938″ [133].

A sinistra: Aleksandr Orlov (ebreo), direttore dell’NKVD in Spagna all’epoca della guerra civile spagnola del 1936-39. È il principale responsabile del massacro del clero cattolico in Spagna. Il crittoebreo Stalin lo richiamerà a Mosca ma Orlov capirà che si tratta di una trappola per attuare il Modulo Kennedy su di lui, quindi diserterà e fuggirà in Canada, minacciando i suoi capi precedenti e successivi (rispettivamente di GPU e di NKVD) di rivelare i nomi degli operativi sovietici operanti in Occidente. Alla morte di Stalin pubblicherà un memoriale che elencava i crimini segreti di Stalin perpetrati utilizzando la GPU, poi NKVD. Se n’è anche uscito con la scemenza giudaica che lui e altri barlordi ebrei stavano progettando un colpo di stato per sostituire Stalin perché aveva appreso dagli archivi zaristi che Stalin era un agente dell’Okhrana zarista. Stalin avrebbe “scoperto” il piano e iniziato le purghe, ma ciò è una stupidaggine, metà del giudaismo mondiale era nell’Okhrana zarista prima della Rivoluzione Ebraica del 1917, gli ebrei si conoscevano benissimo tra loro. Orlov è anche coinvolto nel furto di centinaia di milioni di dollari in oro fisico dalle riserve spagnole, un tesoro in buona parte arrivato a Mosca. A destra si può osservare Moses Rosenberg (ebreo), anche noto come Marcel Rosenberg. Ambasciatore sovietico in Spagna all’epoca della guerra civile, è stato anche un funzionario dell’NKVD e ha avuto anche lui un ruolo nel massacro di cristiani in Spagna. Anche Rosenberg ha avuto un ruolo nel furto di oro dalle casse spagnole.

Probabilmente anche tutte le altre “rivoluzioni laiche” hanno visto dei massacri dei cristiani, ma ciò è censurato nei programmi di studio dello yeshiva per gentili. A queste persecuzioni di cristiani si devono aggiungere quelle che attualmente avvengono nello stesso stato di Israele, dove gli ortodossi sputano in faccia ai cristiani e compiono atti vandalici verso i loro luoghi di culto. È interessante notare che i libri più bruciati in Israele…sono i Vangeli! Potremmo anche parlare delle persecuzioni anticristiane effettuate dai nazisti nel Terzo Reich: quanti sono i nazisti kosher, i crittoebrei nazisti che sicuramente vi hanno partecipato? E che dire di quando i mujaideen di tredici paesi islamici sono andati in pellegrinaggio in Bosnia, a macellare cristiani ortodossi serbi, crocifiggendoli e torturandoli? Siamo sicuri che anche lì, qualche ebreo dunmeh è andato a fare il birbante in mezzo ai fanatici islamici massacrando cristiani per sport, dopotutto la guerra in Bosnia è stata forse l’unica guerra in cui Hollyjews e Pallywood sono andate a braccetto, d’amore e d’accordo.

Altre persecuzioni invece risalgono ai tempi dell’impero Romano. I primissimi cristiani contemporanei di Paolo l’Apostolo ne sono stati testimoni, ma le persecuzioni continuano anche nei secoli successivi, e la rivista mensile “Il Timone”, ne fa una intelligente rassegna. “Gesù aveva detto: «Quando poi vedrete Gerusalemme circondata da eserciti, sappiate allora che la sua desolazione è vicina. Allora coloro che sono in Giudea fuggano ai monti, quelli che sono nella città si allontanino…» (Lc 21,20-21). Così fecero i seguaci di Gesù nel 70, in gran parte giudei divenuti cristiani, dissociandosi dalla sanguinosa rivolta antiromana. I cristiani non parteciparono nemmeno alla rivolta del 132-135 capitanata da Bar Kochba, anzi pagarono caramente.

Alcuni decenni dopo, Giustino di Nablus scriveva: «I Giudei ci considerano loro nemici e loro avversari. Come voi, anch’essi ci perseguitano e ci mettono a morte quando possono farlo […]. Ne potete avere le prove. Nell’ultima guerra di Giudea, Bar Kochba, il capo della rivolta, faceva subire ai soli cristiani gli stessi supplizi se non rinnegavano Cristo» (Apologia 1, 31,6). Eusebio aggiunge: «se non lo bestemmiassero» (Storia Ecclesiastica IV,8). Alcuni ritornarono da Pella, in Transgiordania, ove si erano rifugiati e si stabilirono, secondo la testimonianza di Epifanio nel Trattato dei pesi e delle misure, attorno alla “piccola chiesa” del Sion, nella parte meridionale di Gerusalemme.

La rottura tra cristianesimo e giudaismo si consumò a Yamnia, centro a sud di Jaffa, dove i rabbi farisei presero in mano le redini della nazione, per ridare fiducia ai sopravvissuti al massacro compiuto dai romani e alle deportazioni, prendendo decisioni ardue al fine di riorganizzare la comunità ormai priva del Tempio e delle autorità sacerdotali e nazionali. Si confrontarono posizioni moderate e conciliazioniste, come quelle di rabbi Johanan ben Zakkai e Rabbi Joshua ben Hananyah, e posizioni dure e intransigenti, come quelle di Rabbi Eliezer ben Hircanos e di rabbi Gamaliel. Queste ultime, maggioritarie, prevalsero al momento di definire e approvare le cosiddette 18 Decisioni vincolanti per la comunità, e di passare alla stesura delle 18 Benedizioni, con l’aggiunta di quella dei Minim, ossia gli apostati – invero una maledizione (Birkat-haMinim) – inclusiva dei giudeo-cristiani” [134]. “La Birkat-haMinim finì per sancire la rottura tra l’ebraismo farisaico rappresentato dai Sapienti e la Chiesa Madre di Gerusalemme: sia gli uni che gli altri, infatti, la considerarono una vera e propria scomunica. Il testo, conservato nella ghenizah del Cairo (luogo della sinagoga dove si conservano i libri sacri) recita: «Che gli apostati non abbiano speranza e che il regno dell’insolenza sia sradicato ai nostri giorni. Che i Nozrim (i nazareni) e i Minim spariscano in un batter d’occhio. Che siano rimossi dal libro dei viventi e non siano scritti tra i giusti. Signore che abbassi gli orgogliosi». Con tale scomunica vennero così colpite tre categorie: i Giudei collaborazionisti del vincitore romano, l’impero romano in quanto tale e i Giudei seguaci di Gesù. Veniva sancita la rottura definitiva tra la Sinagoga e la Chiesa nascente. Tale posizione causò la caccia al giudeo divenuto cristiano. Al punto che l’imperatore Costantino nel 315 promulgava alcune leggi, come quella indirizzata ai capi giudei, in cui proibiva di molestare quanti avevano abbracciato la nuova religione, ribadendo la legislazione precedente che proibiva agli incirconcisi di diventare ebrei, insieme all’abolizione del supplizio della croce, del crurifragio – lo spezzar le gambe ai condannati a morte – e del marchio a fuoco sulla fronte degli schiavi. Nel 329, il 18 ottobre, l’imperatore promulgava una legge per proteggere i convertiti dal giudaismo, condannando a morte i Giudei che avessero lapidato chiunque «era fuggito dalla setta omicida e aveva rivolto gli occhi al culto di Dio (diventato cristiano)». Viene alla memoria il protomartire Stefano, ucciso tre secoli prima dagli ebrei ellenisti.

(La Birkat-haMinim, citando sia Nozrim che Minim, conferisce un contesto profondamente anticristiano in generale, infatti è impossibile che non si riferisca anche ai gentili cristiani, oltre che ai già citati giudeo-cristiani nda)

Ancora il 21 ottobre del 335, Costantino decretava la punizione per i Giudei che avessero perseguitato un ebreo convertito al cristianesimo. Anche Valentiniano III e Teodosio II l’8 aprile 426 emanarono una legge con cui proibivano alle famiglie giudee e samaritane di diseredare i loro membri convertiti al cristianesimo. Al tempo dell’imperatore Focas, gli Ebrei o almeno i più fanatici tra loro non perdevano occasione per ripagare autorità e popolazione cristiana con ogni genere di offese, come descrive Giacobbe, un convertito dal giudaismo: «Io odiavo la legge dei cristiani e il ricordo di Cristo, e non volevo udire la profezia di profeti che avevano profetizzato a riguardo di lui; ma restavo a macchinare contro i cristiani in ogni sorta di mali e li oltraggiavo enormemente» (Sargis d’Aberga 63)” [135]. Interessante è sia la somiglianza linguistica tra il termine nokhrim (“stranieri”) e il termine nozrim, sia la traduzione “Cristiani” per il termine Nozrim, fornita sia da Wikipedia (la voce dei sionisti su internet), sia dalla rivista Christian History Institute. Quest’ultima si esprime in questo modo sui Nozrim: “Missionaries and communities of Hebrew Christians in Israel noted in the mid-twentieth century that for Israeli Jews, the term Nozrim (Hebrew for Christians) meant an alien, if not hostile, religion. In contrast, Meshichiyim, meaning Messianists, held an aura of hope, emphasizing the Messianic element of the faith. Especially among themselves many Messianic Jews identified as Maaminim, “Believers” (in Jesus). In recent years many have preferred the more inclusive “Jewish Believers in Jesus,” which includes all Jews who accept the Christian faith and remain connected to their Jewish roots, regardless of their communal affiliation.

The term “Messianic Jew” resurfaced in America in the early 1970s; a vigorous and assertive movement formed out of American Jews who had accepted Jesus as their Savior. Members of the Baby Boomer generation filled these new communities; as in other forms of Boomer religion, Messianic Judaism sought to put together elements that previous generations had considered to be in contrast to each other” [136]. In questo modo, gli ebrei, utilizzano una delle loro tattiche giudaiche preferite: RIPROPORRE MENZOGNE VECCHIE. Nella loro ipocrisia giudaica continuano a recensire libri antisemiti su Amazon dicendo che gli autori di tali libri ripropongono menzogne vecchie già smontate, quando loro sono i primi a riproporle. In altre parole, il movimento “Jewish Believers in Jesus” è la riproposizione di un’eresia vecchia già affrontata dalla Chiesa Cattolica: l’ebionismo, che nel primo secolo si chiamava eresia dei giudaizzanti, debellata nel concilio di Gerusalemme. L’autentica iniquità dell’eresia dei giudaizzanti, sta proprio nelle sue varianti, come quella comparsa a Novgorod migliaia di anni dopo ad opera dell’ebreo Skharia. Quanto a Wikipedia, assegna al termine “Nozrim” lo stesso significato assegnato dalla rivista cristiana sopra menzionata, cioè “Cristiani”.  Schermata del 2020-03-29 17:16:58 https://en.wikipedia.org/wiki/Hebrew_Christian_movement#Early_congregations In entrambi i casi vediamo che sono gli stessi ebrei a fornire il termine “Cristiani” come traduzione del termine “Nozrim”. In conseguenza di ciò, oltre che della definizione di Minim fornita dall’Enciclopedia Giudaica, possiamo concludere senza timore di smentita che la maledizione Birkat-haMinim è indirizzata verso i cristiani in generale, siano essi ebrei oppure dei gentili. Queste sette di ebrei messianici, hanno utilizzato il termine  meschichyim non per la fuffa che dicono loro, ma perché sanno che il termine Nozrim, oltre a significare “cristiani”, non gli si addice perché è indicativo dei non ebrei, a sottolineare ancora di più il loro atteggiamento talmudico e simulatore, perché se fossero stati dei veri cristiani genuinamente convertiti, sarebbero andati fieri di farsi chiamare Nozrim. Peccato che le “connotazioni negative” alle quali si riferiscono, per quanto riguarda la parola “Nozrim”, sono presenti nella letteratura rabbinica, quindi soprattutto nel Talmud Babilonese. È interessante notare anche che questi ebrei messianici si sono talvolta identificati come “Maaminim” quando il termine “Minim” oltre ad avere molte connotazioni negative nel Talmud Babilonese, secondo l’Enciclopedia Giudaica indica gli eretici, con particolare riferimento ai giudeo-cristiani. Si vede che per gli ebrei messianici è meglio essere chiamati eretici simulatori giudeo-cristiani che sporchi gentili cristiani, cioè Nozrim. L’Enciclopedia Giudaica ha inoltre fornito come traduzione di “Nozeri”, “Cristiano”, e “Nozeri” è il singolare di “Noz(e)rim”]. In altre parole, gli ebrei “messianici” sono dei marrani, dei simulatori. Fingono di credere nella divinità di Gesù. Quindi sono assimilabili agli eretici noti come ebioniti o giudaizzanti. Tale eresia, è ricomparsa, secondo lo storico musulmano Muhammad al-Shahrastani, anche nel XII secolo in Arabia Saudita, sempre ad opera di ebrei che seguivano la legge veterotestamentaria e credevano che Gesù fosse un profeta senza attributi divini. Una teoria affascinante è quella che vuole gli ebioniti/giudaizzanti all’origine del Corano e dell’Islam: un gruppo di crittoebrei ebioniti avrebbe forgiato la figura di Cristo nell’Islam, dato la fama di assassini di profeti agli ebrei e avrebbe inserito nel Corano la gnosi spuria e i deliri talmudici tipici degli ebrei, aggiungendo un po’ di gematria e varie simmetrie e easter eggs di tipo matematico, per dare una parvenza di ispirazione divina al Corano. È anche plausibile che i cugini semiti degli ebrei, gli arabi appunto, abbiano semplicemente avuto degli intellettuali ebrei come “Agenti Esther”, suggeritori che hanno iniettato il giudaismo nell’Islam alla stessa nascita e formazione di quest’ultimo. Secondo questa teoria, l’intero mondo islamico sarebbe vittima di un’ampia operazione di sovversione ideologica giudaica poiché dei crittoebrei sarebbero i fondatori di questa religione abramitica. Inoltre i deliri talmudici inseriti dagli ebioniti nel Corano – come ad esempio le spose bambine e l’apologia della pedofilia – sarebbero la prova della loro natura simulatrice, altro che seguaci del Vecchio Testamento. In questo secolo, in Israele, è avvenuta la ricomparsa più recente dell’eresia dei giudaizzanti, il cui principale fautore è stato l’ebreo talmudico simulatore e cabalistico Simcha Jacobovici, in quella che abbiamo ribattezzato la “simulazione giudaica di Talpiot”, una simulazione giudaica demagnetizzante la figura di Gesù Cristo e ripropositrice dell’eresia dei giudaizzanti, attraverso la novità dell’utilizzo, da parte degli israeliani, di strumenti di “sovversione archeologica”. Tale riproposizione di questa eresia vecchia ha forse dato filo da torcere per un po’ alla stessa Santa Sede. Ma non ne parleremo qui. Un esempio importante di “ebraismo messianico”, è sicuramente la cantautrice Elihana Elia (ebrea), che canta di Yeshua e di Yahweh, ma ottimo materiale di studio per il professore Paul Ekmann sarebbe il video-messaggio di Elihana alle Nazioni Unite, rinvenibile sul suo canale Youtube. Non siamo degli esperti di microespressioni facciali ma, ad occhio e croce riusciamo a vedere in Elihana tutto il suo odio feroce e talmudico, verso gli arabi e le Nazioni Unite, un’organizzazione inutile e impotente, che gli ebrei odiano con tutte le loro forze, perché sanno che non potranno mai controllarla completamente, almeno non nel mondo delle fonti aperte, cioè il mondo moderno. Meglio non parlare poi degli sproloqui di Elihana sull'”Olocausto”.

Le persecuzioni di Giustino Martire e in generale dei cristiani del secondo secolo dopo Cristo da parte dei Romani, invalidano da sole le tesi dell’ebreo Abelard Reuchlin e dei vari rabbini, tra cui Tovia Singer, in quanto non ci poteva essere nessun vantaggio per i Romani nel perseguitare gli aderenti ad una religione antisemita, nell’ambito di una guerra non ortodossa al giudaismo. Se è vero che i Vangeli sono dei falsi storici scritti dai Romani, al fine di unificare l’Impero e convertire gli stessi ebrei per raffreddare i loro bollenti spiriti da Apocalittica Giudaica, allora perché i Romani sono stati i primi a perseguitare i seguaci di questa nuova religione? Quale sarebbe il vantaggio del rendere l’antisemitismo (neotestamentario) un crimine che non paga mai? Del processo a Giustino Martire, esiste ancora il verbale, a quanto afferma Wikipedia:

Schermata del 2020-03-22 14:36:09

https://it.wikipedia.org/wiki/Giustino_(filosofo)#Biografia

La religione cristiana è nata in seno al giudaismo, nella provincia romana di Giudea, identificabile in buona parte con l’odierna Palestina, e non c’è più nessun rabbino capace di convincerci del contrario. I primi tre secoli del cristianesimo sono stati colmi del sangue dei martiri, perché i cristiani venivano perseguitati dai Romani, visti con sospetto dagli altri pagani, e letteralmente sterminati dagli ebrei.

Per quanto riguarda il vandalismo in Israele, possiamo limitarci a una notizia del Jerusalem Post:

“The capital’s Dormition Abbey compound of the Orthodox Church of Jerusalem, located near Zion Gate outside the Old City, was vandalized early Sunday morning by alleged Jewish extremists for the second time in nearly a year.
The Benedictine monastery, on Mount Zion, is near a site where many Christians believe Jesus held the Last Supper, as well as a tomb revered as the resting place of the biblical King David, which draws many Jewish worshipers.
The words “Christians to Hell,” “Death to the heathen Christians the enemies of Israel,” and “May his name be obliterated,” accompanied by a Star of David, were crudely scrawled in red ink on a wall in the compound.
Police spokesman Micky Rosenfeld said a forensics team was sent to analyze the writing, and an investigation into the hate crime has been opened, although no arrests have been made” [137]. “May his name be obliterated” è la prova che gli ebrei ortodossi sono i primi ad interpretare l’epressione Jeshu – contenuta nel Talmud – come l’acronimo di una maledizione ebraica che significa “Possa il suo nome essere cancellato per sempre”. Hanno fornito loro stessi l’interpretazione della parola Jeshu. Con il loro modo di esprimersi gli ebrei ortodossi testimoniano contro se stessi, e colmano la misura dei loro padri, che versarono il sangue di Cristo. Tutto questo succede mentre gli ebrei – in particolare i sefarditi sul Corriere dei Sefarditi – prendono in giro l’intelligenza dei gentili. Infatti, in occasione di una prima traduzione italiana “integrale” del Talmud, hanno fatto le seguenti dichiarazioni: “Nella storia dei rapporti tra cristiani ed ebrei, il Talmud è stato motivo di dispute feroci. Che spesso si concludevano con il rogo pubblico del testo sacro (il primo nel 1244) o con il sequestro dei volumi trovati nei Ghetti. Questo perché frasi estrapolate dal contesto portavano ad accuse di «perfidia» e «blasfemia». Addirittura, siccome in alcuni brani sparsi qua e là («che messi insieme in totale non fanno più di 2 o 3 fogli, un millesimo dell’intera opera», spiega rav Di Segni), si parla di un certo «Yeshu» (Gesù) e di una certa «Miriam» (Maria) — con riferimenti molto dubbi ai personaggi del Vangelo —, nei secoli il Talmud ha subito censure e autocensure, e dunque le edizioni classiche sono state «espurgate» dei delicati riferimenti” [138].

Il rabbino Di Segni, nella sua superficialità giudaica, vorrebbe farci credere che gli ebrei ortodossi che imbrattano le Chiese dei cristiani in Israele come riportato dal Jerusalem Post, abbiano mal interpretato la definizione del termine “Yeshu” nel Talmud. Il problema è, rabbino Di Segni, quali rabbini hanno insegnato loro questa “interpretazione”, per portarli a tali atti di vandalismo? E soprattutto, in quali e quanti Yeshiva si insegna questa “interpretazione”?

Un’altra persecuzione anticristiana effettuata dagli ebrei, di cui ci preme parlare, avviene in un territorio non controllato dalla Chiesa di Roma, dove gli ebrei non hanno “giustificazioni legate alla vendetta”. Stiamo parlando del massacro dei cristiani in Yemen, nel sesto secolo dopo Cristo:

In 500 AD, the inhabitants of Najran in southern Arabia converted to Christianity, but in 522 the Jewish Himyarite king of Yemen began the persecution of Christians, who asked for the Ethiopian assistance. With the Himyarite defeat of the Ethiopians in 523 the Najran Christians were massacred. Najran had been the first place in South Arabia where Christianity was established, and had a large community with the seat of a Bishopric. The Jewish King of Yemen, Yusuf As’ar Dhu Nuwas, aimed to create a “Davidic”
kingdom, but Christian Najran was an important trade route in the way. When the Najran Christians refused to abandon their faith 20,000 were said to have been burned alive, or beheaded and their bodies thrown into flaming pits. A document by Bishop Simeon of Beth Arsham on the Najran holocaust records that a Najran noblewoman named Ruhm brought her daughter before Dhu Nuwas and defiantly stated: “Cut off our heads, so that we may go join our brothers and my daughter’s father.” The daughter and a granddaughter were decapitated and Ruhm was forced to drink the blood. King Dhu Nuwas then asked, “How does your daughter’s blood taste to you?” to which Ruhm replied: “Like a pure spotless offering: that is what it tasted like in my mouth and in my soul”” [139].

Joseph_Dhu_Nuwas_Portrait1

Sopra: una raffigurazione di Dhu Nuwas (ebreo), anche noto come Yusuf Asar Yathar, re dello Yemen dal 515 al 525 dopo Cristo. È stato un sadico e un massacratore di cristiani, come molti ebrei in tutte le epoche e nazioni dopo la nascita del cristianesimo. L’Enciclopedia Giudaica del 1906 insiste che Dhu Nuwas non fosse ebreo, ma ci sono fonti siriache che affermano il contrario, e poi la violenza con la quale ha perseguitato i cristiani…non lascia alcun dubbio sulle sue origini etniche, siamo sicuri che nella letteratura araba e in iscrizioni sopravvissute fino a noi e risalenti al periodo in cui è vissuto, si potrebbero ritrovare notevoli marcatori di ebraicità.

Concludiamo dunque la nostra carrellata di persecuzioni da parte degli ebrei – a dimostrazione del loro anticristianesimo di origine biologica – con il genocidio di cristiani avvenuto a Mamilla. La casa editrice Effedieffe, sul suo sito internet, ne fa un breve resoconto:

“Mamilla era – è – un vasto serbatoio a forma di piscina rettangolare lunga 300 metri; fino a poco tempo fa era ancora visibile appena fuori delle mura di Gerusalemme, a 700 metri dalla porta di Jaffa. Era un serbatoio romano per dare acqua alla città santa, ampliato, si dice, dal procuratore Ponzio Pilato. Era ancora in funzione nel 614 dopo Cristo, quando le sue acque divennero rosse di sangue cristiano. All’epoca, Gerusalemme era diventata integralmente cristiana, fioriva sotto l’impero di Bisanzio. […] Le mura di Gerusalemme ancora sussistono. Ma non difesero la città quando l’esercito sassanide, nel quadro della guerra bizantino-persiana (602-628), dopo aver conquistato d’impeto Cesarea Marittima, capitale amministrativa della provincia, la strinsero d’assedio. In soli venti giorni i persiani sfondarono la resistenza e vi affluirono in massa, le armi in pugno. Il motivo era facile da capire: s’erano uniti ai conquistatori gli ebrei, che di Gerusalemme conoscevano tutti gli angoli, e le segrete debolezze difensive. La storia riporta i nomi di due maggiorenti della comunità talmudica che s’era stabilita a Tiberiade, Nehemia Ben Hshiel e Benjamin di Tiberiade: quest’ultimo, che i cronisti dicono «uomo di immensa ricchezza», armò di tasca sua ventimila ebrei della Galilea desiderosi di vendetta, li rafforzò con una banda di mercenari arabi stipendiati. Investita da forze tanto schiaccianti, la guarnigione di Bisanzio si arrese quasi senza combattere. …[…]… lo scià, di nome Sharbaraz, nominò governatore il sopra citato Nehemia ben Hushiel, il maggiorente ebraico. Immediatamente intraprese le opere preliminari per la ricostruzione del Tempio; Benjamin di Tiberiade, al suo fianco, prese a compulsare le genealogie per selezionare una nuova linea genetica di alti sacerdoti. Per loro ordine, le chiese cristiane furono sistematicamente incendiate, diroccate, rase al suolo. Le folle ebraiche parteciparono con zelo alla distruzione; […]…Ma non fu la devastazione il peggior crimine ebraico…[…]… L’orrore ebbe luogo quando i persiani vincitori concentrarono i cristiani superstiti, come prigionieri di guerra, nella cisterna di Mamilla per venderli come schiavi. Allora gli ebrei fecero a gara per comprarli all’asta ad uno ad uno, ed immediatamente sgozzarli di propria mano. «La sete di vendetta del popolo ebraico fu più forte della loro avarizia», ha scritto lo storico britannico di Oxford Henry Hart Milman nella sua “History of the jewish people”: «Non solo non esitarono a sacrificare i loro tesori nella compra di questi prigionieri, ma misero a morte tutti coloro che avevano comprato a ricco prezzo». Il professore di Oxford ritiene che 90 mila cristiani siano stati massacrati, la valutazione più alta dei cronisti dell’epoca. Il testimone oculare, Strategius di San Saba (un monaco dell’omonimo monastero, distrutto in quella tragedia) valuta gli sterminati a 66 mila…[…]…«Il vile popolo giudaico godeva e tripudiava», ha scritto Strategio. «I giudei riscattavano i cristiani dalle mani dei soldati persiani a caro prezzo e poi li sgozzavano con gran diletto a Mamilla, che traboccava di sangue… Come in antico avevano comprato il Signore con argento, così comprarono i cristiani concentrati nella cisterna. Quanti cristiani furono trucidati nella cisterna di Mamilla! Quanti son morti di fame e sete! Quanti monaci e sacerdoti passati a fil di spada… Quante fanciulle, rifiutandosi al loro oltraggio, ricevettero la morte per mano del nemico. E quanti genitori perirono sui corpi dei loro bambini, quante persone furono macellate dai giudei e divennero confessori di Cristo… Chi può contare la moltitudine di cadaveri che furono ammazzati a Gerusalemme?». Furono i persiani a fermare gli ebrei ubriachi di sangue, quando si resero conto delle dimensioni del massacro. Avversari, non erano tuttavia “inimici generis humani”. La religione di Zoroastro ignora i dettami del Deuteronomio, cui gli ebrei hanno sempre obbedito «con diletto» (Strategius) ogni volta che ne hanno avuto il modo: «Tutti i popoli che il Signore tuo Dio ti dà in mano, tu li divorerai, né avrai alcuna pietà di loro» (7,16)…[…]…Alla fine degli anni ’80, il professor Reich ha condotto una campagna di scavi nelle antiche aree cimiteriali attorno a Gerusalemme, luoghi usati nei secoli anche dai musulmani. L’antico monaco Strategio parlava di 35 fosse comuni dove sarebbero stati seppelliti in fretta i corpi cristiani. Reich ha identificato sette di queste inumazioni di massa, tutte immediatamente al difuori delle mura della città antica, e sicuramente datate al periodo del massacro, grazie alla presenza, fra gli ossami, di piccole monete bizantine emesse dall’imperatore Fokas (602-610 d.C).…[…]…La più significativa di queste scoperte è una caverna tagliata nella roccia viva contigua alla cisterna di Mamilla, e 120 metri dalla porta di Giaffa. La caverna artificiale, lunga dodici metri e larga tre, era piena zeppa di ossa umane, molte delle quali fratturate: centinaia di individui vi dovevano essere stati ammucchiati a forza. Tutti molto più giovani rispetto alla media dei seppelliti nei cimiteri consueti, e senza traccia di malattie (il che permise di escludere fossero vittime della peste del 542) e – particolare tremendo – le donne superavano di gran lunga i maschi…[…]…Strategius monaco attesta […]…, nella sua cronaca, che un certo Tomaso e suoi aiutanti «raccolsero in gran fretta e con molto zelo quelli (i corpi) che trovarono, e li tumularono nella grotta di Mamel»…[…]…i bizantini tornarono nella Città nel 628, sgombrarono le macerie e cominciarono la restaurazione dei santuari e delle basiliche. La restaurazione durò poco; nel 638 la debole guarnigione di Bisanzio cedette davanti alla formidabile armata di Omar ben Kattab, compagno del Profeta. Il patriarca Sofronio capitolò ponendo una condizione, che resta agli atti nel documento di resa “Sulha A-Quds”, e che si capisce solo con la viva memoria del massacro sofferto dalla generazione precedente: il patriarca domandava al vincitore di proteggere gli abitanti «dalla ferocia dei giudei». La risposta di Omar è anch’essa rimasta agli atti, nel trattato di resa: «Nel nome di Allah, il clemente misericordioso. Questa è la salvaguardia accordata agli abitanti di Aelia [Aelia Capitolina: usava ancora il nome romano dato a Gerusalemme, ndr] dal servo di Dio Omar, comandante dei credenti. Egli concede la salvaguardia per le loro persone, i loro beni, le loro chiese, le loro croci – siano queste in buono o cattivo stato – e il loro culto. Le loro chiese non saranno destinate ad abitazione, né distrutte; esse e le loro pertinenze non subiranno danno alcuno e sarà lo stesso per le loro croci e i loro beni. Nessuna costrizione sarà attuata contro di essi in materia di religione,. Nessun giudeo sarà autorizzato ad abitare ad Aelia con loro. Gli abitanti di Aelia dovranno versare la jizya (il tributo) come quelli delle altre città…» ” [140].

Inutile dire che gli israeliani appena hanno scoperto la fossa comune di cristiani alla quale si riferiva Strategius  si sono affrettati a seppellirla ed edificarci un museo del Centro Simon Wiesenthal.

A sinistra: una mappa che mostra la distribuzione delle sette fosse comuni di cristiani attorno a Gerusalemme, scoperte dall’archeologo israeliano Reich, a destra la grotta di Mamel nella quale il monaco Strategius dice che Tomaso e colleghi hanno tumulato i corpi dei cristiani macellati dagli ebrei.

Soltanto dopo aver elencato tutti questi genocidi di cristiani, si può capire davvero il significato di Matteo 23:34. “Perciò ecco, io vi mando profeti, sapienti e scribi; di questi alcuni ne ucciderete e crocifiggerete, altri ne flagellerete nelle vostre sinagoghe e li perseguiterete di città in città“. Ci siamo convinti che l’espressione “li perseguiterete di città in città” si riferisca proprio a questo tipo di persecuzioni anticristiane, puntualmente predette da Gesù Cristo.

  • Protagonismo omicida giudaico: tendenza degli ebrei a compiere tutti gli omicidi politici. Modulo Kennedy sul profeta Zaccaria (Mt 23:35)

Questo punto è stato dimostrato da più parti in questo blog, e le conferme del protagonismo omicida ebraico le ritroveremo mano a mano che continueremo ad accusare gli ebrei di commettere sempre più omicidi politici. Possiamo aggiungere che, in taluni casi, sembra che si disinteressino addirittura del rapporto tra vantaggi e rischi nel commettere un omicidio politico, come se volessero semplicemente aumentare la confusione intorno a loro, oppure accreditare nelle loro biografie nascoste ai gentili, l’omicidio di personaggi politici di spicco o l’esecuzione di stragi efferate. È difficile ritenere che, da un punto di vista ebraico, tutti gli omicidi politici che hanno commesso fossero inderogabili e fondamentali per l’avanzamento socio-economico di questo popolo, sia che tale avanzamento fosse fine a se stesso o destinato ad accelerare la venuta del Messia Talmudico.

  • Dichiarazione di universalità della questione giudaica e dell’invettiva stessa. Gesù predice il suo omicidio da parte degli ebrei (Mt 23:36)

“In verità vi dico: tutte queste cose ricadranno su questa generazione”. Questo è ciò che dice Gesù verso il finale della sua invettiva antifarisaica. L’espressione “ricadranno su questa generazione”, significa, in senso letterale, che tutte le immoralità e l’essenza del fariseismo entreranno a far parte degli ebrei del I secolo d. C., un’intera generazione, quella in cui ha vissuto Gesù, avrà la stessa bassezza morale dei farisei, e dimostrerà tale bassezza commettendo bassezze, comportandosi esattamente come i farisei. Quindi gli ebrei che ascoltavano Cristo, avrebbero avuto le stesse parole, pensieri, e atteggiamenti dei farisei. Ovvio dire che, se un’intera generazione si comporta allo stesso modo, è verosimile che la generazione successiva si comporti in maniera simile, se non addirittura peggio. Quello che Gesù vuole dire in questo passo biblico, è che dopo la sua morte gli ebrei sarebbero diventati tutti quanti dei farisei con le stesse caratteristiche di questi ultimi. Per questo, in tutte le epoche e nazioni, possiamo vedere il modulo kennedy, la proiezione giudaica, il filantropismo simulato, la vanità giudaica, l’indolenza giudaica e tutti gli altri marcatori descritti precedentemente: Cristo è il fautore di un antisemitismo biologico, e afferma che la questione giudaica o problema ebraico, è universale, e le caratteristiche salienti del popolo ebraico, come se fossero insite nel genoma dello stesso, si trasmettono da una generazione all’altra, praticamente inalterate. In particolare, col termine “ricadranno”, Gesù dà ad intendere che gli ebrei non sono ancora spiritualmente/materialmente (spirituale e materiale, nell’invettiva si intrecciano fino a diventare la stessa cosa) dei farisei, ma che lo diventeranno nel caso in cui rifiuteranno Gesù, pur essendo informalmente già dei simulatori con atteggiamenti tipici dei farisei. L’evento che avrebbe poi segnato il marchio a vita del fariseismo sugli ebrei, avverrà sul Golgota, e costituisce la crocifissione di Gesù Cristo. Da un punto di vista cristiano cattolico ciò ha senso perché le profezie materiali di Dio sono sempre state condizionali, e quelle spirituali…anche. Infatti come scrive Padre Louis Marie: “Le promesse di prosperità temporale inviate da Dio al suo popolo sono promesse condizionate: se sarete fedeli, io voi proteggerò e vi benedirò; ma se disubbidite, vi consegnerò ai vostri nemici e vi disperderò. È quasi il riassunto di tutto l’Antico Testamento” [141]. “«È ciò che si è visto sotto i Giudici, da Giosuè fino a Samuele; sotto i re, da Saul fino a Sedecia; sotto i Maccabei, da Mattatia fino a Hircan. Quando erano fedeli, Dio li proteggeva in modo miracoloso; appena cessavano di esserlo, li puniva; e queste punizioni erano sempre proporzionate alla grandezza della loro rivolta: talvolta erano di sette anni, altre volte di dieci o di venti, a seconda dell’enormità dei loro crimini. Ma poiché i loro crimini si protrassero fino ai tempi dell’empio Manasse, la pena che Dio comminò per la cattività fu più lunga di tutte le altre; essa durò settant’anni»” [142]. “Le promesse temporali sono sempre condizionate. E quando la condizione non è esplicita, è sottintesa, come Dio stesso ha indicato, mettendo in guardia contro un’interpretazione troppo assoluta delle sue promesse:

«Talvolta nei riguardi di un popolo o di un regno io decido di sradicare, di abbattere e di distruggere; ma se questo popolo, contro il quale avevo parlato, si converte dalla sua malvagità, io mi pento del male che avevo pensato di fargli. Altra volta nei riguardi di un popolo o di un regno io decido di edificare e di piantare; ma se esso compie ciò che è male ai miei occhi non ascoltando la mia voce, io mi pentirò del bene che avevo promesso di fargli» (Ger 18, 7-10).

Nessuna delle promesse temporali dell’Antico Testamento è dunque assoluta. Ciò che è assoluto, in compenso, per il popolo dell’Alleanza, è il legame tra fedeltà e premio, infedeltà e castigo. Il capitolo ventiseiesimo del Libro del Levitico enumera tutta una serie dei flagelli con cui Dio punirà l’infedeltà, e conclude con la più grave, quella della dispersione:

«Se, nonostante tutto questo, non vorrete darmi ascolto, ma vi opporrete a me, anch’io mi opporrò a voi con furore e vi castigherò sette volte di più per i vostri peccati […]. Quanto a voi, vi disperderò fra le nazioni e vi inseguirò con la spada sguainata; il vostro paese sarà desolato e le vostre città saranno deserte […]. A quelli che fra di voi saranno superstiti infonderò nel cuore costernazione, nel paese dei loro nemici: il fruscio di una foglia agitata li metterà in fuga; fuggiranno come si fugge di fronte alla spada e cadranno senza che alcuno li insegua. Precipiteranno uno sopra l’altro come di fronte alla spada, senza che alcuno li insegua. Non potrete resistere dinanzi ai vostri nemici. Perirete fra le nazioni: il paese dei vostri nemici vi divorerà. Quelli che tra di voi saranno superstiti nei paesi dei loro nemici, si consumeranno a causa delle proprie iniquità; anche a causa delle iniquità dei loro padri periranno» (Lv 26, 27-39)” [143].

“Secondo il rabbino spagnolo Mosé Maimonide (1138-1204), e la maggior parte degli ebrei attuali, questo esilio sarebbe solamente un mezzo per disperdere nel mondo intero la testimonianza ebraica, come un lievito nella pasta; una misteriosa purificazione estrema (ma interminabile) prima dell’avvento del Messia. Ma anche in questa ipotesi, l’esilio dovrebbe essere – innanzi tutto e necessariamente – un castigo, poiché le promesse formali di Dio legano indissolubilmente dispersione e punizione.

Il fatto che la cattività di Babilonia abbia preparato la venuta del Messia diffondendo le profezie non impedisce che essa sia stata soprattutto un castigo per il popolo eletto. Qualunque sia il modo di rivoltare il problema, la domanda rimane sempre la stessa: quale crimine è stato commesso per attirare un simile castigo?” [144].

La risposta a questa domanda, ha provato a darla Padre Vincent-Toussaint Beurier (1715-1782), nel 1778: “«Sono più di diciassette secoli che Dio vi punisce nel modo più rigoroso; occorre dunque che siate più colpevoli di quanto non lo furono i vostri padri, gli stessi che vivevano al tempo di Manasse. Ora, quale può essere il vostro crimine? Non è l’idolatria che Dio rimproverò così spesso ai vostri antenati; avete tutti un lodevole orrore del culto degli idoli. Non è neanche la disubbidienza alla legge che Dio vi aveva imposto di non mescolarvi con le nazioni diverse dalla vostra; in questo campo vi siete spinti più lontano di quanto si possa andare. Quale può essere dunque un crimine più grande dell’idolatria e di tutte le altre abominazioni che si commisero al tempo di Manasse se non la morte che avete inflitto al Messia? Ecco, sono più di diciassette secoli che siete dispersi in tutti i luoghi del mondo, e malgrado ciò continuate ad esistere. Non è forse il compimento letterale della profezia di Davide che dice al Salmo 58: “Non ucciderli, perché il mio popolo non dimentichi, disperdili con la tua potenza” (Sl 58, 12, 1)»?” [145].

Se gli ebrei si fossero convertiti, sarebbero restati nella loro patria, altrimenti sarebbero stati dispersi. In altri termini, gli ebrei del primo secolo d. C., avevano già in buona parte abbracciato il fariseismo, ma sarebbero diventati in massa gli “scribi e farisei ipocriti”, soltanto dopo la Crocifissione. Secondo la tradizione cattolica, il “deicidio” è la premessa necessaria per il successivo degrado morale/spirituale osservato nel giudaismo post-biblico, pur essendo stati gli ebrei bacchettati dalla loro stessa gente, già in tempi molto anteriori, a cominciare da Mosé, come abbiamo già visto, senza parlare dei primi dieci capitoli del libro di Isaia, che sono pieni di astio e di “stizza divina” verso gli ebrei, che vengono considerati i traditori per eccellenza sui quali si deve abbattere lo sdegno divino, che si materializza talvolta con le incursioni dei Babilonesi, tal altre volte con l’attacco ad Israele da parte degli Assiri. Anche se un rotolo completo di Isaia ritrovato a Qumran risale al terzo secolo a. C., si può già vedere negli scritti del famoso profeta il concetto di senso teologico della storia – espresso poi formalmente nel cristianesimo – per cui i piani di Dio si esplicherebbero attraverso le azioni degli uomini, anche malvagi. I profeti maggiori, cioè Isaia, Daniele, Ezechiele e Geremia, hanno provato più di qualunque altro ebreo a dare un senso teologico ai vari esili, alle varie persecuzioni, alle varie guerre e occupazioni affrontate dal popolo ebraico. Per questo affermare che il concetto di “senso teologico della storia” è un concetto nato col cristianesimo, è cosa inesatta; il senso teologico della storia è un concetto espresso già nel giudaismo. Il senso teologico della storia, diventa poi il principio fondante dello storicismo cristiano -formulato da Don Ennio Innocenti in risposta allo storicismo immanentista – il quale dice ““Jesus est rex” e da questa verità parte per descrivere “gesta Dei per homines”; donde se ne trae la convinzione dell’immanenza della Provvidenza sotto la trama di errori e di peccati degli uomini. In questo modo viene recuperato il significato della storia in una dimensione che è di tipo teologico” [146].

Nei versi precedenti Gesù afferma “io vi mando profeti, sapienti e scribi; di questi alcuni ne ucciderete e crocifiggerete, altri ne flagellerete nelle vostre sinagoghe e li perseguiterete di città in città; 35 perché ricada su di voi tutto il sangue innocente versato sopra la terra, dal sangue del giusto Abele fino al sangue di Zaccaria, figlio di Barachìa, che avete ucciso tra il santuario e l’altare”. Questi due versetti, parte del 34 e tutto il versetto 35, vogliono dimostrare che gli omicidi compiuti dagli ebrei durante gli eventi ascrivibili al Vecchio Testamento, sono in continuità ideologica con le persecuzioni anticristiane profetizzate da Cristo: in altre parole, così come si è sempre detto che il Nuovo Testamento serve a spiegare ed espandere quello Vecchio, il modus operandi degli ebrei nel Nuovo Testamento, conferisce una spiegazione “retroattiva” degli omicidi commessi dagli ebrei nel periodo del Vecchio Testamento. Per Gesù, il rifiuto del Nuovo Testamento da parte degli ebrei costituisce la cartina di tornasole per dimostrare il loro disprezzo verso il Vecchio Testamento e i profeti, nonché il fatto che gli ebrei sono incapaci di cambiare. In questi passi Gesù fa una profezia autoreferenziale e al contempo afferma che il Nuovo Testamento si realizza con lui. L’espressione “di questi alcuni ne ucciderete e crocifiggerete” è chiaramente un riferimento di Gesù a se stesso e all’apostolo Pietro. Tra quelli che gli ebrei uccideranno e crocifiggeranno, ci sono profeti e sapienti, e indubbiamente, per i marcatori d’ebraicità presenti in questa invettiva e riscontrabili universalmente nella storia, Gesù Cristo era sia un profeta che un sapiente. Con l’espressione “io vi mando”, Gesù esprime anche il dogma cristiano della Trinità: “Io, il Padre, vi mando me, mio Figlio, un sapiente e un profeta che voi ucciderete e crocifiggerete”. Gesù parla in riferimento a se stesso quando prevede la sua crocifissione, ma in più parti del Vangelo afferma di essere mandato dal Padre in mezzo agli ebrei, per compiere il Nuovo Testamento. Alla luce del fatto che dice di essere mandato, anziché venire per conto suo, l‘espressione “io vi mando”, e l’autoreferenzialità legata alla crocifissione, possono essere conciliate solo affermando che il Padre e il Figlio sono una cosa sola pur essendo due cose diverse. La cosa che più si avvicina a spiegare questo concetto, è stata trasposta nel cartone animato Dragon Ball, in riferimento al namecciano Junior, ma è un paragone un po’ improprio perché lì si parla di reincarnazione di Al-Satan (il padre), nel corpo di Junior (il Figlio). Qui invece il Padre non si reincarna nel figlio, il Padre ha generato il Figlio e il Figlio è anche il Padre pur essendo i due entità separate. Diciamo che nel periodo “io vi mando profeti, sapienti e scribi; di questi alcuni ne ucciderete e crocifiggerete”, la prima proposizione può essere considerata come pronunciata dal Padre, la seconda invece è pronunciata dal Figlio, un po’ come si sente a tratti la voce di Al-Satan a tratti quella di Junior, uscire entrambe dalla bocca di Junior, in alcuni episodi di Dragon Ball. Questa nostra teorizzazione per cercare di spiegare anzitutto a noi stessi il dogma trinitario, però, potrebbe essere considerata da alcuni come una forma di quasi-patrissianesimo. Allo stato attuale, non abbiamo la preparazione teologica necessaria per capire se questo nostro modo di vedere il dogma trinitario cristiano, è eretico oppure no. Ma questa è un’altra storia. Ad ogni modo, la genesi e il ruolo di Al-Satan*** nel cartone animato Dragon Ball, nonché il nome stesso “Al-Satan” rappresentano nel loro complesso un easter egg giudaico con un significato preciso: manifestare l’identità dei creatori dello gnosticismo. Di più, questo semplice easter egg giudaico fa capire che non solo gli ebrei comprendono dal punto di vista razionale il dogma tridentino cristiano, ma sono in grado di esprimerlo, quando vogliono, in maniera più rigorosa di come lo esprimono i non ebrei.

Non sappiamo qual’è il termine esatto nelle versioni più antiche del Nuovo Testamento, ma è indubbio il fatto che la crocifissione fosse un metodo di esecuzione tipicamente romano, quindi con il termine “crocifiggerete” Gesù intende dire che i romani crocifiggeranno dei cristiani su istigazione e pressione da parte degli ebrei, oppure potrebbe anche sottindendere il ruolo di crittoebrei nei panni di Romani, nella crocifissione di martiri cristiani successivi a Cristo. In altri diversi punti dei Vangeli, Gesù Cristo, sottolinea che gli ebrei lo avrebbero ucciso. Nel resoconto offerto dai Vangeli, Ponzio Pilato se ne lava le mani, e il popolo ebreo, nella sua interezza, ha l’ultima parola sulla vita di Gesù, e opta per la crocifissione. Quindi è un ricadere di un peccato su un’intera generazione, e non una semplice lite tra fazioni come possono essere quelle di Farisei e Sadducei. Le fazioni politico/religiose e i semplici civili erano d’accordo, alla quasi unanimità, nell’uccidere Gesù Cristo. La stragrande maggioranza degli ebrei, vedeva in un Messia crocifisso un autentico scandalo, perché ha sempre pensato che il Messia fosse un personaggio militante, in grado di guidare gli ebrei verso l’emancipazione materiale e la liberazione dal giogo dello straniero di turno, che a quell’epoca, era rappresentato dai Romani.

  • Previsione della lapidazione dell’Apostolo Giacomo (Mt 23:37)

“Gerusalemme, Gerusalemme, che uccidi i profeti e lapidi quelli che ti sono inviati, quante volte ho voluto raccogliere i tuoi figli, come una gallina raccoglie i pulcini sotto le ali, e voi non avete voluto!”. È importante qui soffermarsi sulla prima parte del periodo, cioè “Gerusalemme, Gerusalemme, che uccidi i profeti e lapidi quelli che ti sono inviati”. In questa frase si scorge di nuovo il dogma trinitario: la prima frase è detta dal Padre, la seconda dal figlio. “Gerusalemme, Gerusalemme, che uccidi i profeti (tramite i quali vi parlo io, il Padre nda) e lapidi quelli che ti sono inviati (gli Apostoli, gli “inviati” nel senso giornalistico del termine, i cronisti della vita di Cristo, ovvero me, il Figlio, nda). Il senso di questo periodo è, cercare di far comprendere al lettore la cecità e l’ostinazione giudaica, di fronte ai profeti che parlano a nome del Padre – di cui quindi gli ebrei avrebbero prova indiretta – e di fronte agli inviati, gli Apostoli, che hanno visto e sentito, hanno riscontri diretti del Padre tramite le prove concrete del Figlio. In una sola frase, cioè “lapidi quelli che ti sono inviati”, grazie al verbo al tempo presente e al complemento oggetto al plurale, congiuntamente col participio passato plurale “inviati”, (utilizzato per indicare una situazione al presente) Cristo dice comtemporaneamente due cose: “tirate le pietre a me, inviato dal Padre, nel tempo presente (in altri punti dei Vangeli gli ebrei tirano pietre a Gesù), ma ATTENZIONE, perché io non sarò l’unico, perché uno o più miei contemporanei, da me inviati per fare da testimoni diretti, verranno lapidati da voi!”. In questa frase presente e futuro coesistono, come se si sovrapponessero l’uno con l’altro. L’apostolo Giacomo è sicuramente inviato da Gesù, nella sua epoca, a testimoniare per lui, a Gerusalemme, e guarda caso, un certo Giacomo, nel primo secolo d. C., è stato lapidato, infatti “l’ebreo romanizzato Flavio Giuseppe, nel suo libro Antichità Giudaiche, precisa che il sommo sacerdote Ananos, nell’anno 62, per poter uccidere l’apostolo Giacomo, dovette aspettare, come occasione favorevole, l’assenza del governatore romano” [147]. Ennio Innocenti ha stabilito che il Giacomo di cui parla Giuseppe Flavio sia necessariamente l’apostolo Giacomo. Tutto può essere, ma se c’è una cosa che abbiamo imparato dai rabbini, è che le coincidenze “non sono kosher”. Questa lapidazione ha un significato importante. Non è un caso se, ad essere stato lapidato, è stato proprio l’apostolo Giacomo, il fratello di Gesù. La parafrasi della prima parte di Matteo 23:37 è la seguente: “Ai profeti in preda alle visioni inviategli da mio Padre, NON AVETE VOLUTO CREDERE, a me, il figlio, NON AVETE VOLUTO CREDERE, E finanche a mio fratello, da me inviato, e che per primo, dopo aver visto e sentito, NON MI HA CREDUTO PRIMA PER DOVERSI POI RICREDERE SUCCESSIVAMENTE (come affermato in altri punti dei Vangeli nda), ebbene perfino ad un ex scettico come lui, NON AVETE VOLUTO CREDERE. Ora lapidate me, e in futuro lapiderete mio fratello“. In una prospettiva cristiana, Gesù è il Cristo, e quindi conosce anche il futuro, a riprova della sua natura divina. In una prospettiva giudaica, questo non può essere, quindi i Vangeli devono essere stati scritti almeno centocinquantanni dopo i fatti a cui si suppone che essi si riferiscano, o in altre parole, sarebbero dei falsi storici in cui certe profezie vengono “fatte realizzare” a posteriori, cioè prima sono successi i fatti, e anni dopo si è scritto che tali fatti sarebbero successi, spacciando gli scritti per anteriori ai fatti. Peccato per gli ebrei che la prima Chiesa della storia del cristianesimo, sia sita proprio in Gerusalemme, e sia risalente a non oltre il primo secolo d. C. Tale Chiesa aveva vie di fuga per sfuggire ai Romani, era utilizzata da ebrei convertiti al cristianesimo, cioè giudeo-cristiani, e al suo interno sono stati ritrovati reperti archeologici recanti simbolismo giudeo-cristiano anteriore al 70 d. C., anno della distruzione del Tempio di Gerusalemme. Tutto ciò ci fornisce un’esegesi archeologica dei capitoli quattro e cinque degli Atti degli Apostoli. Potete osservare tale Chiesa primitiva ai seguenti indirizzi Telegram: https://t.me/la_questione_giudaica/168——https://t.me/la_questione_giudaica/167. È davvero difficile che il popolo più intelligente della storia, al vertice dell’intellighenzia in tutte le epoche e nazioni, si perda poi in un bicchiere d’acqua costruendo Chiese-sinagoghe nel primo secolo dopo Cristo, solo perché ha letto dei libri che parlano di un tizio chiamato Gesù. La verità è che i giudeo-cristiani furono i diretti testimoni del passaggio di Cristo in questo mondo, e ne sono rimasti sconcertati. Se così non fosse stato, non avrebbero costruito una Chiesa nel primo secolo dopo Cristo, quando il Tempio di Gerusalemme era ancora intatto per giunta. Non avrebbero rischiato l’herem dagli ebrei e le persecuzioni dai romani contemporaneamente.

  • Previsione della distruzione del Tempio di Gerusalemme (Mt 23:38)

“Ecco: la vostra casa vi sarà lasciata deserta!”. Questo è chiaramente un passo relativo alla distruzione del Tempio di Gerusalemme, dove i farisei si erano messi di casa, riducendo “la casa di Dio” in un mercato, anziché un luogo di rispetto e di preghiera. Nel capitolo successivo del Vangelo di Matteo, Gesù si fa ancora più chiaro, dicendo che del Tempio non resterà “pietra su pietra” – anche se in realtà questo passo (Matteo 23:38), parla di un avvenimento che è propedeutico alla distruzione del Tempio, lo preannuncia per così dire. Gli ebrei non solo hanno ucciso i Profeti, ma hanno anche ignorato, se non addirittura manipolato, le profezie dei Profeti. Per questi motivi, Gesù ha affermato che il Tempio di Gerusalemme sarebbe rimasto “deserto”. Curzio Nitoglia specifica che “il nazionalismo esasperato dell’Apocalittica e del Messianismo rabbinico spinsero – tramite gli “zeloti” o “sicari” (da “sica” piccolo pugnale) – la Giudea contro Roma, che con Pompeo Magno (63 a. C.) invase la Terra Santa per giungere poi, nel 70 d. C. alla distruzione del Tempio, privo ormai della “shekinah****” dopo il deicidio” [148], intendendo con l’espressione “shekinah”, “la presenza di Dio” [149]. In altre parole, con l’espressione “la vostra casa vi sarà lasciata deserta!”, Gesù intende dire che la shekinah, o presenza di Dio, abbandonerà il Tempio (dove i farisei si erano stabiliti come se fosse la loro casa), e che soltanto dopo, non ne rimarrà “pietra su pietra”, cioè sarà distrutto.

  • BONUS: Predizione dell’infiltrazione di cellule fantasma del giudaismo nelle future nazioni cristiane. Il consiglio di Cristo per riconoscere gli agenti crittosionisti (Mt 7:15-20). Il significato teologico della “seconda morte” e del protagonismo ereticale giudaico (protagonismo omicida giudaico del II tipo) nella religione cattolica

“Guardatevi dai falsi profeti che vengono a voi in veste di pecore, ma dentro son lupi rapaci. Dai loro frutti li riconoscerete. Si raccoglie forse uva dalle spine, o fichi dai rovi? Così ogni albero buono produce frutti buoni e ogni albero cattivo produce frutti cattivi; un albero buono non può produrre frutti cattivi, né un albero cattivo produrre frutti buoni. Ogni albero che non produce frutti buoni viene tagliato e gettato nel fuoco. Dai loro frutti dunque li potrete riconoscere” [150]. Queste parole pronunciate da Cristo, e rinvenibili nel Vangelo di Matteo, sembrano mettere in guardia contro generici “falsi profeti”, dei quali si occuperà anche Paolo l’Apostolo. In realtà, Cristo si riferisce ai futuri marrani, gli ebrei che diventeranno cellule fantasma per conversione strategica al cristianesimo, nel tentativo di soffocare e compromettere la sua corretta diffusione. Questo sarà particolarmente evidente nei primi tre secoli della storia della Chiesa cattolica ufficiale (dal secondo secolo dopo Cristo al quarto secolo dopo Cristo), con la diffusione dello gnosticismo, maliziosamente chiamato “un insieme di cristianesimi primitivi”. È OPPORTUNO RICORDARE CHE LA PATROLOGIA, CIOÈ IL COMPLESSO DI RICOSTRUZIONI STORICO-BIOGRAFICHE FORNITE DAI PADRI DELLA CHIESA, È A DIR POCO UNANIME NELL’IDENTIFICARE LA STRAGRANDE MAGGIORANZA DEI PROFETI (FALSI) DELLO GNOSTICISMO COME EBREI DICHIARATI DELL’EPOCA O CRITTOEBREI CONVERTITISI STRATEGICAMENTE AL CRISTIANESIMO.

La figura del lupo, nei Vangeli, rappresenta principalmente il crittoebreo, ma non ci dilungheremo qui nel dimostrare questo collegamento.

Per quanto riguarda invece le altre immagini presenti in Mt 7:15-20, il libro di Isaia riporta in più punti i rovi e i pruni (pruni selvatici che sono più comunemente detti spini). E nei passi di Isaia in cui rovi e pruni (spini) sono menzionati, quasi sempre essi si riferiscono a delle persone fisiche. In particolare, si riferiscono al popolo di Israele. C’è da premettere però che nella frase del Vangelo di Matteo sopra menzionata e cioè “Si raccoglie forse uva dalle spine, o fichi dai rovi?”, si rinviene una mutazione missenso, di cui non sappiamo stabilire esattamente la comparsa. Infatti non ha nessun senso raccogliere uva dalle spine, la frase è riferita a due piante: gli spini (o pruni) dai quali non si può certo raccogliere uva, e i rovi, dai quali non si possono certo raccogliere i fichi. Ad ogni modo, gli esempi riportati nel libro di Isaia sono: Is 5:6, Is 7:23, Is 7:24, Is 9:17, Is 10:17, Is 27:4.

Se analizziamo l’inizio del capitolo cinque del libro di Isaia, è inequivocabile il riferimento di rovi e pruni al popolo ebraico:

“Voglio cantare per il mio diletto il mio cantico d’amore per la vigna. Il mio diletto possedeva una vigna sopra un fertile colle. Egli l’aveva disossata e sgombrata dai sassi e vi aveva piantato viti pregiate; in mezzo vi aveva costruito una torre e scavato anche un tino. Egli aspettò che producesse uva; essa produsse, invece, acini acerbi. E ora, abitanti di Gerusalemme e uomini di Giuda, siate voi giudici fra me e la mia vigna. Che cosa dovevo fare ancora alla mia vigna che io non abbia fatto? Perché, mentre attendevo che producesse uva, essa ha prodotto acini acerbi? Ora voglio farvi conoscere ciò che sto per fare alla mia vigna: taglierò la sua siepe e si trasformerà in pascolo; demolirò il suo muro di cinta e verrà calpestata. La renderò un deserto, non sarà potata né vangata e vi cresceranno rovi e pruni; alle nubi comanderò di non mandarvi la pioggia. Ebbene, la vigna del Signore degli eserciti è la casa di Israele; gli abitanti di Giuda sono la sua piantagione preferita” [151].

L’espressione “gli abitanti di Giuda sono la sua piantagione preferita” è rivelatoria: il popolo di Israele, metaforicamente rappresentato dalle viti della vigna di Dio – cioè la casa di Israele – non ha prodotto col suo operato dei frutti decenti, bensì “acini acerbi”. Così Dio degrada gli abitanti di Giuda – la sua piantagione preferita nella vigna – dalla loro condizione privilegiata, con un pogrom o una guerra antigiudaica, in modo che gli ebrei sopravvissuti, non rappresenteranno più delle viti, bensì rovi e pruni. Da un punto di vista cristiano, questi passi di Isaia preconizzerebbero l’avvento di una nuova religione, una nuova alleanza tra Dio e i non ebrei, nonché una rottura dell’ Alleanza tra Dio e gli ebrei, in quanto Dio non avrebbe proprio ottenuto “i frutti” che si aspettava da questo popolo, cioè non ha osservato in questo popolo delle opere metaforicamente accostabili all’uva. Dio voleva l’uva e nei suoi piani avrebbe affidato ad altri popoli l’oneroso compito di produrla. Inoltre questa trasformazione del popolo ebraico, da un “popolo di viti improduttive” a “popolo di rovi e pruni”, potrebbe simboleggiare l’inizio ufficiale di quella tradizione talmudica deviata dal giudaismo veterotestamentario, contro la quale Gesù Cristo polemizzava. Contestualmente a questa tradizione talmudica si sarebbe sviluppata in maniera sistematica e completa la Cabala spuria dalla quale derivano le eresie, il che ci riporta alla famosa frase “dai loro frutti li riconoscerete”, intendendo con questa espressione i frutti della Cabala, cioè le conseguenze sul vivere umano, derivanti dal credere alle teologie spurie. Tutto ciò rappresenta il passaggio dal giudaismo veterotestamentario ad un giudaismo “prototalmudico”. Tale passaggio, dal giudaismo veterotestamentario a quello “prototalmudico”, dovrebbe coincidere con la nascita dei Targumim, cioè le traduzioni della Bibbia in aramaico, lingua che si è indissolubilmente legata all’ebraico durante la prigionia babilonese. Durante l’esilio babilonese la classe dirigente ebraica è costretta ad imparare l’aramaico, fino a fare di questa lingua la loro lingua principale.

Il capitolo nove del libro di Isaia è altrettanto eloquente nel riferirsi al popolo ebraico con l’espressione “rovi e pruni”:

Il Signore suscitò contro questo popolo i suoi nemici, stimolò i suoi avversari: gli Aramei dall’oriente, da occidente i Filistei che divorano Israele a grandi morsi. Con tutto ciò non si calma la sua ira e ancora la sua mano rimane stesa. Il popolo non è tornato a chi lo percuoteva; non ha ricercato il Signore degli eserciti. Pertanto il Signore ha amputato a Israele capo e coda, palma e giunco in un giorno. L’anziano e i notabili sono il capo, il profeta, maestro di menzogna, è la coda. Le guide di questo popolo lo hanno fuorviato e i guidati si sono perduti. Perciò il Signore non avrà pietà dei suoi giovani, non si impietosirà degli orfani e delle vedove, perché tutti sono empi e perversi; ogni bocca proferisce parole stolte. Con tutto ciò non si calma la sua ira e ancora la sua mano rimane stesa. Brucia l’iniquità come fuoco che divora rovi e pruni, divampa nel folto della selva, da dove si sollevano colonne di fumo. Per l’ira del Signore brucia la terra e il popolo è come un’esca per il fuoco; nessuno ha pietà del proprio fratello. Dilania a destra, ma è ancora affamato, mangia a sinistra, ma senza saziarsi; ognuno mangia la carne del suo vicino. Manàsse contro Efraim ed Efraim contro Manàsse, tutti e due insieme contro Giuda. Con tutto ciò non si calma la sua ira e ancora la sua mano rimane stesa” [152].

Qui, sempre secondo la formula “gesta Dei per homines”, il “fuoco” che deve divorare “rovi e pruni” è la guerra e l’essere passati a fil di spada. L’iniquità del popolo ebraico viene consumata consumando rovi e pruni, cioè gli ebrei stessi. Il piano è semplice: contenere l’iniquità dell’intellighenzia ebraica per mano dello straniero – Filistei e Aramei – e bruciare l’iniquità dei ceti ebraici inferiori mettendo le tribù ebraiche le une contro le altre, mostrando gli uni con gli altri la propria iniquità. Il fuoco è una guerra fratricida, e il popolo di Israele è il materiale combustibile che attira su di sé il fuoco.

Il capitolo dieci del libro di Isaia, è ancora più imbevuto di senso teologico della storia, perché non solo gli Assiri vengono rappresentati come un mezzo per uno scopo, ma poi raggiunto quest’ultimo, vengono anche contenuti da Dio, come se fossero dei meri oggetti:

“Oh! Assiria, verga del mio furore, bastone del mio sdegno. Contro una nazione empia io la mando e la comando contro un popolo con cui sono in collera perché lo saccheggi, lo depredi e lo calpesti come fango di strada. Essa però non pensa così e così non giudica il suo cuore, ma vuole distruggere e annientare non poche nazioni. Anzi dice: «Forse i miei capi non sono altrettanti re? Forse come Càrchemis non è anche Calne? Come Arpad non è forse Amat? Come Damasco non è forse Samaria? Come la mia mano ha raggiunto quei regni degli idoli, le cui statue erano più numerose di quelle di Gerusalemme e di Samaria, non posso io forse, come ho fatto a Samaria e ai suoi idoli, fare anche a Gerusalemme e ai suoi simulacri?». Quando il Signore avrà terminato tutta l’opera sua sul monte Sion e a Gerusalemme, punirà l’operato orgoglioso della mente del re di Assiria e ciò di cui si gloria l’alterigia dei suoi occhi…[…]…Può forse vantarsi la scure con chi taglia per suo mezzo o la sega insuperbirsi contro chi la maneggia? Come se un bastone volesse brandire chi lo impugna e una verga sollevare ciò che non è di legno! Perciò il Signore, Dio degli eserciti, manderà una peste contro le sue più valide milizie; sotto ciò che è sua gloria arderà un bruciore come bruciore di fuoco; esso consumerà anima e corpo e sarà come un malato che sta spegnendosi. La luce di Israele diventerà un fuoco, il suo santuario una fiamma; essa divorerà e consumerà rovi e pruni in un giorno, la magnificenza della sua selva e del suo giardino; il resto degli alberi nella selva si conterà facilmente, persino un ragazzo potrebbe farne il conto…[…]…Poiché anche se il tuo popolo, o Israele, fosse come la sabbia del mare, solo un suo resto ritornerà; è decretato uno sterminio che farà traboccare la giustizia, poiché un decreto di rovina eseguirà il Signore, Dio degli eserciti, su tutta la regione. Pertanto così dice il Signore, Dio degli eserciti: «Popolo mio, che abiti in Sion, non temere l’Assiria che ti percuote con la verga e alza il bastone contro di te come già l’Egitto. Perché ancora un poco, ben poco, e il mio sdegno avrà fine; la mia ira li annienterà». Contro di essa il Signore degli eserciti agiterà il flagello, come quando colpì Madian sulla rupe dell’Oreb; alzerà la sua verga sul mare come fece con l’Egitto” [153].

Le pestilenze e altre sventure capitate ai nemici di Israele, sono spesso attribuite al trafugamento da parte di questi ultimi della cosiddetta “Arca dell’Alleanza” tra Dio e il popolo ebraico. O almeno così asserisce la tradizione giudaica. Qui gli Assiri vengono prima aizzati contro gli ebrei, e poco dopo vengono puniti anche loro, a dare una bella lezione di teologia ad entrambi. Il collegamento tra piaghe inflitte da Dio e Arca dell’Alleanza trafugata, sarebbe il motivo per cui Isaia menziona anche la volontà degli Assiri di razziare e saccheggiare gli altri popoli, nelle parole del re Assiro dell’epoca. Dio avrebbe dimostrato agli Assiri che ci sono ricchezze delle quali non ci si può appropriare – cioè l’Arca dell’Alleanza – senza conseguenze nefaste. Isaia riporta nel capitolo dieci del suo libro, oltre alla meritata punizione per “rovi e pruni”, anche le parole arroganti del re d’Assiria:

“«Con la forza della mia mano ho agito e con la mia sapienza, perché sono intelligente; ho rimosso i confini dei popoli e ho saccheggiato i loro tesori, ho abbattuto come un gigante coloro che sedevano sul trono. La mia mano, come in un nido, ha scovato la ricchezza dei popoli. Come si raccolgono le uova abbandonate, così ho raccolto tutta la terra; non vi fu battito d’ala, nessuno apriva il becco o pigolava»” [154].

Tornando invece a Mt 7:15-20, l’espressione “in veste di pecore”, ha un significato spirituale e uno letterale, che non si contraddicono tra loro, anzi, vanno integrati. Infatti, deduciamo il significato letterale di questa espressione dal sito laparola.net:

Le vesti degli antichi profeti erano fatte di pelli di pecore, o di pelli di cammello Matteo 3:4; 2Re 1:8, e senza dubbio i falsi profeti si vestivano nella medesima guisa per imitarli. Zaccaria 13:4, dice che questi si mettevano «il mantello di pelo per mentire». L’idea è: essi vengono a voi coll’apparenza della dolcezza e della sincerità, e pretendono d’insegnare dottrine di Cristo, ma dentro sono lupi rapaci” [155].

Il significato spirituale del venire “in veste di pecore”, lo si può dedurre da alcuni passi del Vangelo di Giovanni:

“Giovanni 21:15-17: “Ora, dopo ch’ebbero desinato, Gesù disse a Simon Pietro: Simon di Giona, m’ami tu più che costoro? Egli gli disse: Veramente, Signore, tu sai ch’io t’amo. Gesù gli disse: Pasci i miei agnelli. Gli disse ancora la seconda volta: Simon di Giona, m’ami tu? Egli gli disse: Veramente, Signore, tu sai ch’io t’amo. Gesù gli disse: Pasci le mie pecore. Gli disse la terza volta: Simon di Giona, m’ami tu? Pietro s’attristò ch’egli gli avesse detto fino a tre volte: M’ami tu? E gli disse: Signore, tu sai ogni cosa, tu sai ch’io t’amo. Gesù gli disse: Pasci le mie pecore”” [156]. Le pecore rappresentano chiaramente i cristiani, gli aderenti alla nuova religione proposta da Gesù. Secondo gli avvertimenti di Gesù, ebrei erano i falsi profeti veterotestamentari che mettevano “il mantello di pelo per mentire”, ed ebrei sarebbero stati quelli che fintisi cristiani (cioè presentantisi in veste di pecore) avrebbero tentato di sviare i veri cristiani dagli insegnamenti di Cristo e degli apostoli. Senza contare che Gesù Cristo in alcuni passi dei Vangeli dice a diversi ebrei che non fanno parte del suo “gregge”. Le testimonianze dei Padri della Chiesa, nonché i contenuti delle teologie dello gnosticismo e le stesse simulazioni tra gli gnostici, sono in accordo con questa interpretazione riguardo il significato delle “vesti di pecore”.

Con l’espressione “dai loro frutti li riconoscerete”, Gesù Cristo intendeva le conseguenze sul vivere umano che le teologie spurie – diffuse dagli ebrei o da chi per loro – comportano per chi le abbraccia. Possiamo in realtà estendere questo ragionamento alle ideologie in generale, anche se nel passo specifico, Cristo si riferisce ad eresie che gli ebrei vogliono inserire nel cristianesimo.

Le clausole giudaiche, o kosher hacks, sono contenute in queste teologie e, illudono chi le assorbe nella propria mente, convincendolo che può perdere il compasso morale, o che non è tenuto ad impegnarsi più di tanto in questo mondo pur di “essere salvo”. Altri effetti di queste teologie spurie possono essere l’autodivinizzazione, l’indifferentismo teologico, o l’ateismo totale. A proposito del concetto di indifferentismo teologico, causato dalla penetrazione capillare della gnosi spuria, è bene fornire una definizione. La definizione di quello che qui è stato chiamato indifferentismo teologico, è stata fornita nel secondo convegno di studi sull’opera di Don Ennio Innocenti, da Padre Giandomenico Mucci, che ci fa notare come “Gaspare Barbiellini Amidei parla di “dissonanza cognitiva” per indicare il “costume religioso, oggi molto diffuso, di credere in Dio e di comportarsi come se si fosse certi che Dio non esista”” [157]. La dissonanza cognitiva e l’analfabetismo funzionale vanno a braccetto, e possono essere considerati entrambi dei sottoprodotti della sovversione ideologica del giudeo. È solo un’intuizione, ma confidiamo nella speranza che prima o poi qualche sociologo/psicologo intellettualmente onesto sarà in grado di dimostrare, in maniera scientifica e rigorosa, questo nostro assunto. In questo caso in particolare, la dissonanza cognitiva non è solo una conseguenza della sovversione ideologica in forma gnostica per portare all’indifferentismo teologico, ma è quasi propedeutica all’indifferentismo. Se non genero prima nei gentili una forma di dissonanza cognitiva, non potrò portarli a credere in Dio ma farli comportare come se non esistesse. Questo è quello a cui hanno pensato i sovversori ideologici giudaici mentre fomentavano e fomentano la gnosi spuria in mezzo a noi.

Tutti questi effetti, o conseguenze o come le vogliamo intendere, rappresentano i “frutti” attraverso i quali possiamo riconoscere i crittoebrei (o i gentili del sabato che si fanno imboccare dagli ebrei) intorno a noi. Con queste parole Cristo sembra anche sottolineare il carattere profondamente anticristiano di ogni eresia. I frutti che gli ebrei offrono, o sono more avvelenate oppure prugne marce, volendoci rifare ai “rovi e pruni” di cui parla anche Isaia. Oltre al protagonismo omicida giudaico quindi – cioè la tendenza a compiere tutti i crimini di sangue più importanti della storia – Cristo ci parla anche di un protagonismo ereticale giudaico, cioè la tendenza da parte degli ebrei a fomentare tutti i tipi di eresie, fungendo, nei secoli e nelle diverse nazioni – specie se cristiane – da cinghia di trasmissione che collega l’albero buono all’albero cattivo. Laddove l’albero cattivo sarebbe la Cabala spuria giudaica, dalla quale secondo fior di teologi derivano la maggior parte se non addirittura tutte le eresie. L’albero buono sarebbe invece il cristianesimo.

Ovviamente questo tipo di ragionamenti deve essere universale, per poterne parlare in questi termini, il che significa che anche nel nostro secolo, dobbiamo poter osservare dei lupi travestiti da agnelli, riconoscibili dai frutti che hanno da offrire, almeno per quanto riguarda la teologia. L’esempio più clamoroso è forse quello del pastore Steven Anderson…un pastore battista americano che segue la Bibbia di Re Giacomo. Orbene questo pastore ripropone eresie vecchie come il quietismo e la negazione della presenza reale nell’eucaristia, nonché l’istigazione al suicidio di massa degli omosessuali accusandoli di essere soggetti “irrecuperabili”. E a ben vedere, il quietismo e l’omofobia sono in contraddizione tra loro, non possono uscire dalla bocca dello stesso predicatore, infatti Anderson afferma che gli assassini che si convertono si salvano, mentre gli omosessuali no. Questo è in contraddizione con il quietismo tipico del protestantesimo, non si può dire che una volta che hai il sentimento religioso puoi commettere tutti i tipi di peccati tutti i giorni, perché tanto sei salvo una volta credente, e poi fare un’eccezione per l’omosessualità. Ad ogni modo, un bel giorno – dopo aver insegnato a molte persone tutte queste sciocchezze – Steven Anderson si è fatto il test del DNA, e con sua “sorpresa”, il laboratorio in cui ha fatto il test gli ha permesso di fare la scoperta della sua vita: “NON SAPEVA DI ESSERE EBREO”! Padre Michele Dimond ha confutato le eresie del crittoebreo Steven Anderson in questo video: https://www.youtube.com/watch?v=3lwwfCpvXnc&feature=emb_rel_pause

Qui si può visionare il video in cui Steven Anderson (ebreo) mostra i risultati del suo test del DNA: https://t.me/la_questione_giudaica/194

  • Conclusioni: esegesi tipica della questione giudaica attraverso la Bibbia, e nuova definizione del tempo come tipico-lineare

Qualunque storico del giudaismo se lo è chiesto non appena ha cominciato a studiare in maniera sistematica il giudaismo. Ogni storico del giudaismo che si rispetti, sia Hervé Ryssen che Gian Pio Mattogno, e come loro Aleksandr Solgenitsin e molti altri ancora, si sono accorti che la questione giudaica è restata pressocché costante in tutte le epoche e i luoghi in cui gli ebrei si siano mai insediati. La storia del giudaismo è una storia di lenta e irresistibile scalata sociale, più o meno esplicita, alla quale segue puntualmente la persecuzione e l’espulsione degli ebrei da parte dei gentili. Don Ennio Innocenti ha fatto una sintesi magistrale della storia del giudaismo, evidenziando molti aspetti del problema ebraico, presenti già nel Vecchio Testamento, e risalenti fino ad Abramo (il fondatore del popolo ebraico):

“Leggendo i primi libri della Bibbia non si sfugge ad impressioni che suggeriscono piste significative delle ragioni relative al risentimento antiebraico.
L’ingresso di Abramo in Egitto aveva creato problemi e, quindi, rigetto. Al tempo di Giacobbe troviamo l’ebreo Giuseppe al vertice del potere egiziano che attua una politica (certamente non indolore) con caratteri di comunismo statalistico. Successivamente le masse ebree restano passivamente coinvolte nelle maglie di quella macchina sfruttatrice, la quale – tuttavia – le teme e le odia…finché si arriva ad un nuovo rigetto. Gli ebrei procedono alla conquista della terra dei Filistei conducendo una terroristica guerra di sterminio: è comprensibile che le popolazioni residue abbiano conservato risentimenti.
Nell’epoca dei Re notiamo che gli ebrei attuano una politica ondeggiante tra Egitto e Assiria che li espone alle accuse di tradimento e alle vendette di tutte e due le potenze.
Durante il loro radicamento babilonese vediamo ebrei ai vertici del potere e (se non è punto avventato ipotizzarli coinvolti in fazioni ed intrighi pericolosi) è sicuro che essi assurgono – in quella regione – ad un enorme potere finanziario che suscita invidie, gelosie, appetiti, risentimenti…è anche sicuro che essi si vendicano con stragi d’impressionanti proporzioni: tutto ciò provoca un nuovo rigetto. Dopo la conquista di Alessandro il Macedone, notiamo la netta emergenza di un fenomeno nuovo: i libri dei Maccabei sono inequivocabili nell’indicare i principali responsabili ed orchestratori della prima persecuzione antinazionale ed antisemita: sono ebrei rinnegati che vogliono una completa assimilazione della nazione al mondo ellenistico alessandrino. Gli stessi libri dei Maccabei, che denunciano il tradimento perpetrato da ebrei divenuti persecutori dei fratelli ed esaltano – per contro – la Romanità, ci raccontano della “fides” giurata tra il Senato dell’Urbe e la nuova aristocrazia ebraica. Ma, successivamente, i romani hanno seri motivi di lamentarsi della mancata “fides” degli ebrei, nonché di altri aspetti lesivi del bene comune conseguenti alla condotta ebraica, su vari piani (soprattutto sul piano economico-finanziario). Ne conseguono ripetute tragedie e nelle fasi più atroci di queste tragedie nazionali notiamo – attingendo alle stesse fonti ebraiche – che sono proprio elementi ebraici a scatenare i disastri più immani […]…Leggendo i libri neotestamentari, nei quali vengono narrate le persecuzioni ebraiche contro Gesù, contro gli apostoli e contro le prime comunità cristiane, si deve prendere atto che tali scritti insistono nel mettere in guardia contro insidie perenni. La storia delle eresie cristiane nei primi secoli mostra la frequente connessione del fenomeno ereticale con elementi ebraici […]…Nel primo Novecento vediamo la politica inglese e statunitense in mano
a banchieri privati che sono ebrei come lo sono quelli che dominano il continente europeo. E riemerge il fenomeno già rilevato dai Maccabei: Morgan è antisemita, Montagu Norman è antisemita, Rathenau è ultrarazzista e antisemita…sono ebrei che odiano l’identità autentica della tradizione religiosa ebraica e odiano specialmente le comunità ebraiche dell’Europa Orientale, le più religiose, le meno assimilate all’illuminismo, quelle comunità dove molti ebrei sono ancora biblici” [158].

Don Ennio Innocenti, senza volerlo né saperlo, espone qui diverse tattiche giudaiche e caratteristiche salienti del popolo ebraico, mostrandoci chiaramente che queste sono presenti nei testi biblici, redatti dagli ebrei stessi. Si notano continue cacciate di ebrei e risentimento nei loro confronti, tanto per cominciare. Poi vediamo Giuseppe, nei panni di agente Esther all’interno del governo egiziano dell’epoca. Tra l’altro Giuseppe è un esempio di cellula fantasma per dispersione strategica e reclutamento, infatti viene venduto dai suoi stessi fratelli, e poi si incontra di nuovo con essi nel giudaismo. Lo stesso si può dire di Mosè, una delle prime cellule fantasma nella storia del giudaismo: disperso sulle rive del Nilo,  e allevato dalla famiglia del Faraone di turno, ne diventa in breve l’agente Esther, un consigliere politico in forma di scriba, salvo poi incontrarsi di nuovo coi suoi simili nel giudaismo. L’atteggiamento doppio e ambiguo degli ebrei li espone alle vendette di assiri ed egizi. È risaputa la mancata fiducia negli ebrei, lo abbiamo visto anche quando gli ebrei se la intendevano con gli islamici per invadere la penisola iberica mentre manipolavano i cristiani. Oppure come quando gli ebrei facevano il doppio gioco con l’impero romano mentre se la intendevano coi persiani, causando il già citato genocidio di Mamilla, una delle emosbronze più abbondanti e concentrate nella storia del giudaismo (i persiani li hanno fermati per non farli andare in coma ematico, tanto erano inebriati dal sangue dei cristiani). E poi c’è il caso Pollard, il caso Dreyfuss, la questione delle spie giudeo-bolsceviche con cittadinanza americana che hanno rubato i segreti nucleari statunitensi per venderli all’Unione Sovietica e donarli allo stato di Israele, senza parlare dello “stab in the back”, la pugnalata alle spalle, come la chiamavano i tedeschi, quando i banchieri ebrei della famiglia Warburg nonché Jacob Schiff (ebreo) e altri, prima hanno dato il supporto al bolscevismo in funzione antirussa favorendo la Germania, e poi i tedeschi si sono ritrovati rivoluzionari ebrei come Eisner, Rosa Luxemburg, e Carl Radek, in Baviera, pronti ad esportare la rivoluzione in Germania, nella logica Trozkista della “rivoluzione permanente”. Per quanto riguarda le violazioni di numerus clausus, la loro ascesa economico-sociale sembra irresistibile perfino a Babilonia, dove in origine erano stati condotti come prigionieri. Poi, dopo aver fatto pratica in diverse civiltà scalandole dai gradini più bassi, gli ebrei si sentono abbastanza sicuri di se stessi, tanto da poter introdurre per la prima volta nella storia la tattica giudaica dell’antisemitismo simulato, come si può vedere nei libri dei Maccabei. I libri dei Maccabei registrano il primo utilizzo ufficiale, sul piano storico, della tattica giudaica nota come diversione strategica, e che ancora oggi, viene insegnata nelle scuole militari della NATO come una tattica sovietica, quando il suo “ideatore ufficiale” in Unione Sovietica è stato Felix Dzerjinsky (ebreo). I libri dei Maccabei ci mostrano un ritratto, o per meglio dire un tipo, di ciò che oggi chiamiamo “nazisti kosher” (i nazisti che “non sapevano di essere ebrei”), nonché degli Yevsektzias (giudeo-bolscevichi ipocriti alla Kalinin, che prima vogliono rendere gli ebrei laici, poi fanno vari giri di parole petulanti contro l’assimilazione, proponendo progetti come le regioni autonome per soli ebrei in Unione Sovietica). Nazisti kosher e Yevsektzias sono l’antitipo degli ebrei ellenizzanti ai tempi della rivolta dei Maccabei. Il retroscena della guerra antiellenica condotta dagli ebrei – nel periodo a cui si riferiscono i libri dei Maccabei – è quello delle simulazioni giudaiche tra gli ebrei presenti in entrambe le fazioni in guerra. Tali simulazioni sono state rese efficaci usando proprio la diversione strategica, cioè la quinta colonna di Israele ai vertici politico-militari del regno di Antioco Epifane IV. Così, mentre gli ebrei tentavano di liberarsi degli ellenici, strizzavano già l’occhio ai romani, tanto per mantenere le opzioni aperte, nel caso non ce l’avessero fatta da soli contro Antioco Epifane IV. Anche in questo caso, è presente la doppiezza degli ebrei, come testimoniato da Wikipedia: “Di ritorno dalla spedizione in Egitto, Antioco si fermò a Gerusalemme e la saccheggiò, sterminò gran parte della popolazione, rapinò gli arredi sacri del tempio e proibì la pratica della religione ebraica. Le ragioni di questo gesto efferato non sono chiare: secondo alcuni, volle punire i Giudei dell’atteggiamento ambiguo che avrebbero avuto nella guerra contro l’Egitto; secondo altri, una sommossa organizzata dal ex sommo sacerdote Giasone lo indusse a castigare la popolazione” [159]. Era naturale che anche nella guerra di riconquista del tempio di Gerusalemme gli ebrei nei ranghi di Antioco e quelli di Israele si sarebbero comportati in maniera ambigua. Antioco Epifane IV cadde ingenuamente nella ragnatela di Israele, senza imparare dai propri errori. Quanto al rapporto tra ebrei e romani, l’elogio della romanità che si può riscontrare nei libri dei Maccabei, può essere visto come la ripetizione della doppiezza degli ebrei, che elogiavano un potenziale alleato mentre erano in lotta con gli ellenici, nemici di turno: infatti non appena sono stati liquidati questi ultimi, l’elogio della romanità ha lasciato il posto a sommosse antiromane, culminate sempre con vere e proprie guerre, cioè le tre guerre giudaiche contro l’Impero Romano. Per i teorici del senso teologico della storia, invece, l’elogio della romanità viene ingenuamente visto come una “prova” che gli ebrei erano pronti a ricevere il cristianesimo e che Dio aveva scelto l’Impero Romano per diffondere il cristianesimo tra le genti. Se così fosse stato, a convertirsi e diventare giudeo-cristiani sarebbero stati la maggioranza degli ebrei, non un’esigua parte di loro.

Per concludere, Ennio Innocenti nota, ingenuamente – come ha fatto nei libri dei Maccabei – l’antisemitismo di ebrei del novecento come Walther Rathenau, senza capire che si tratta di antisemitismo simulato. Rathenau, in preda ai suoi deliri di onnipotenza giudaica, si è abbandonato a un po’ troppe rivelazioni mentre è stato alla guida della Repubblica di Weimar, così gli ebrei hanno deciso di tappare per sempre la bocca al cialtrone: il Modulo Kennedy per Rathenau non è tardato ad arrivare.

Come giustificare dunque questa costanza così inquietante? Alla luce della dichiarazione di universalità dell’invettiva antigiudaica di Gesù Cristo, possiamo fornire una spiegazione in una visione cristiana, pur restando la certezza della matrice biologica del problema ebraico (che però da sola difficilmente spiega suddetta costanza). Per il cristianesimo, specie quello primitivo, gli eventi del Vecchio Testamento, oltre ad essere degli eventi reali – come l’archeologia biblica ci sta facendo scoprire –  sono prefigurativi di ciò che si è poi compiuto nel Nuovo Testamento. Chiamiamo questo tipo di esegesi con l’espressione “esegesi tipica” o “esegesi tipologica”. L’esempio più importante di esegesi tipica, lo abbiamo con la storia di Giona che finisce nel ventre della balena:

“L’interpretazione allegorica medievale della storia di Giona vede in essa la sepoltura e la risurrezione di Cristo, mentre lo stomaco della balena è la tomba. Infatti, Giona chiamò il ventre della balena “Sheol”, la terra dei morti. Così, ogni volta che si trova un’allusione a Giona in arte o nella letteratura medievale, di solito si tratta di un’allegoria della sepoltura e risurrezione di Cristo” [160].

Gli ebrei sono accusabili di aver usato un modo simile di interpretare la Bibbia ebraica, infatti molti ebrei, specie molti rabbini, concordano nell’affermare che Edom rappresenta Roma ed Esaù l’Occidente cristiano, mentre Ismaele rappresenterebbe l’Islam, il bastone che Israele deve usare per distruggere il cristianesimo, una condizione che sarebbe “sine qua non”, per la venuta del Messia Talmudico tanto atteso dagli ebrei. Possiamo affermare che, in un certo qual modo, gli ebrei considerano gli edomiti come il tipo, e i romani prima e il Vaticano (o dovremmo dire l’Italia?) oggi come l’antitipo degli edomiti coi quali gli ebrei hanno avuto a che fare millenni prima. In altre parole, per gli ebrei, le profezie sanguinarie di Isaia sul regno di Edom sarebbero prefigurative di ciò che accadrà a Roma e in Italia prima di ciò che loro chiamano “la pace universale” e la venuta del Messia Talmudico. Forse non si chiama tipologia biblica nel loro caso, ma il concetto è comunque molto simile.

Ad ogni modo, tornando all’invettiva antigiudaica universale, se la interpretiamo come è stata interpretata da “laquestionegiudaica”, allora dobbiamo asserire che OVUNQUE NELLA STORIA DEL MONDO, LA GENERAZIONE DEGLI EBREI CHE VI HA VISSUTO È STATA L’ANTITIPO DELLA GENERAZIONE PRECEDENTE E IL TIPO DELLA GENERAZIONE SUCCESSIVA. Ogni generazione si è comportata in un modo che prefigurava come si sarebbe comportata anche la generazione successiva, e così via, di generazione in generazione. Questo è, a nostro modesto parere, l’unico modo per poter spiegare l’universalità dell’accusa del sangue, nonché la continuità della gnosi spuria moderna con quella antica affrontata dalla Chiesa nascente, passando per la gnosi spuria luterana e rinascimentale. Per quanto riguarda l’accusa del sangue, bisogna precisare che uno dei primi ad averla formulata, è stato il profeta Isaia. Infatti in Isaia 57:3-5 leggiamo:

“3 Ora, venite qui, voi, figli della maliarda, progenie di un adultero e di una prostituta. 4 Su chi intendete divertirvi? Contro chi allargate la bocca e tirate fuori la lingua? Forse voi non siete figli del peccato, prole bastarda? 5 Voi, che spasimate fra i terebinti, sotto ogni albero verde, che sacrificate bambini nelle valli, tra i crepacci delle rocce” [161].

Il riferimento di Isaia al sacrificare “bambini nelle valli, tra i crepacci delle rocce”, è legato alla prescrizione talmudica di non dare sepoltura ai figli dei non-ebrei che vengono sacrificati, perché sono considerati come animali. Al massimo li si può nascondere sotto le rocce. È per questo motivo che, nella storia dell’accusa del sangue, sono pochissimi i casi in cui i cadaveri dei bambini sacrificati sono stati dissotterrati. Nel 99% dei casi, o venivano trovati all’aperto, o gettati in riva a un fiume, o in un cimitero, oppure tra le rocce, oppure venivano trovati appesi al muro, crocifissi brutalmente. Il modus operandi ci mostra una similitudine con Isaia 57:5 che non può essere ignorata. Sarebbe stato facile lo stesso accusare gli ebrei di omicidio rituale seppellendo i cadaveri di molti bambini cristiani, facendoli poi dissotterrare durante le inchieste che si sono susseguite. Se dovessimo cercare le prove dell’omicidio rituale ebraico in America, cominceremmo dalle Everglades e dal Gran Canyon.

Questa teologia cristiana applicata al popolo ebraico nella sua interezza, ci spiega che le persecuzioni e gli omicidi dei profeti sono il tipo delle persecuzioni e degli omicidi degli apostoli, che ne costituiscono, a loro volta, l’antitipo. Con questa teologia si riesce a spiegare la continua e sistematica riproposizione del paganesimo nel Talmud Babilonese, che è durata dai tempi in cui Isaia inveiva contro il suo popolo (e anche prima), fino ai giorni nostri, senza interruzioni, come dimostrato da Elizabeth Dilling nel suo libro “Judaism and its influence today”. Ora la concezione ciclica del tempo, spesso legata ad un concetto di “necessità”, è tipicamente gnostica. Nel cristianesimo, come esplicitato da Sant’Agostino, il tempo è lineare. Eppure quando si tratta della questione giudaica la storia si “ripete”, in maniera simile, e gli eventi si ripetono in successione, come se fossero uno l’antitipo dell’evento precedente e il tipo dell’evento successivo più simile. I cristiani che sono coscienti del problema ebraico, devono introdurre nel loro vocabolario l’espressione di tempo “tipico-lineare”: il tempo è lineare, ma è anche tipico, nel senso che eventi accaduti secoli prima sono prefigurativi di ciò che accadrà secoli dopo, specie quando si parla della storia del giudaismo. E forse, c’è addirittura una necessità in tutto ciò. In questa analisi abbiamo dimostrato come molte delle critiche di Cristo siano immortali, avendo cioè dei riscontri sia da casi precedenti a quelli a cui si riferiva lui, sia da casi avvenuti successivamente alla sua epoca, come il discorso sulla causa della vedova, per citare un altro esempio. In altre parole: la storia non si ripete, ma può far rima con un’altra storia molto simile. Il tempo come tipico-lineare dovrebbe diventare, in questa visione delle cose, un aspetto, anche importante, della teoria del senso teologico della storia. In una visione cristiana, ogni generazione di ebrei è il tipo della generazione successiva e l’antitipo della generazione precedente, attraverso una conservazione ossessivo-compulsiva di usi e costumi, oltre che crimini, vecchi quanto i volumi originali del Vecchio Testamento. Questa anomalia, questa sorta di “bug del giudaismo” sarebbe usata come prova da parte di Dio che il resoconto biblico (almeno nelle critiche al popolo ebraico presenti nei libri dei profeti) è veritiero. In quest’ottica il comportamento degli ebrei in tutte le epoche e nazioni darebbe validità alla Bibbia secondo la formula “gesta Dei per homines”, o sarebbe meglio usare, in questo caso, l’espressione “gesta Dei per iudeos”. Possiamo concludere dicendo che anche Monsignor Henri Delassus, nel suo saggio sull’Americanismo, si è molto soffermato sulla persistenza e sulla miracolosa sopravvivenza del popolo ebraico in tutti questi millenni: infatti è forse l’unico popolo dell’antichità che è sopravvissuto ai più potenti imperi e alle più avanzate civiltà che la storia abbia conosciuto (persiani, assiri, egizi, romani, macedoni, ellenici, norreni, indios, barbari, babilonesi, sumeri, ugariti, cananei, filistei, caldei, edomiti, amaleciti, arabi in genere ecc.). Tali civiltà sono scomparse, la civiltà ebraica resta, e Delassus, facendo riferimento anche a fonti ebraiche, ha provato ad attribuire – come gli stessi ebrei fanno – un senso teologico alla persistenza della civiltà ebraica. L’immutabilità e la costanza del problema ebraico e del comportamento degli ebrei, deve essere visto in maniera unitaria con la persistenza e le capacità di sopravvivenza del popolo ebraico, per comprendere la teoria dell’esegesi tipologica della questione giudaica.

Il problema dell’interpretazione tipologica della questione giudaica di generazione in generazione – così come il senso teologico che sottosta alla costanza della questione giudaica – è che lascia spazio al fatalismo, e a posizioni predestinaziane, dove non si capisce molto bene dove va a finire la libertà individuale degli ebrei, cioè il cosiddetto libero arbitrio. Se infatti gli ebrei sono costretti per volere divino a colmare la misura dei loro padri comportandosi sempre allo stesso modo, allora dov’è per gli ebrei la via d’uscita dalla dannazione? Come possono esercitare il libero arbitrio di scegliere da che parte stare? Come fanno a convertirsi al cristianesimo, se supponiamo che la loro avversione al cristianesimo sia addirittura di origine biologica? Il modo per uscire da queste contraddizioni, è postulare che l’omicidio di Cristo abbia come effetto una corruzione e quindi una condanna a cascata di generazioni di ebrei l’una dietro l’altra – per cui gli ebrei sarebbero un popolo maledetto da Dio verso una corruzione spirituale presente già alla nascita, il che li porterebbe automaticamente a commettere crimini e assumere “comportamenti talmudici” – e che questo corso degli eventi termina parzialmente con una seconda venuta di Cristo, IN CUI DEVE NECESSARIAMENTE AVVENIRE L’OPPOSTO DI QUELLO CHE È ACCADUTO DURANTE LA SUA PRIMA VENUTA: LA MAGGIORANZA DEGLI EBREI SI DEVONO CONVERTIRE AL CRISTIANESIMO PER NON ESSERE PIÙ L’ANTITIPO DEI LORO ANTENATI, MENTRE UNA PICCOLA RELIQUIA NON SI CONVERTIRÀ. Nella prima venuta di Cristo, i Vangeli attestano il contrario: una piccola reliquia si è convertita, costituendo il nucleo dei “giudeo-cristiani”, mentre la maggioranza degli ebrei ha rigettato Cristo.

Per avere ulteriori esempi di tipologia biblica, che fornirebbero prove che nel Vecchio Testamento sarebbe menzionato Gesù Cristo, abbiamo caricato sul nostro canale Telegram un video interessante: https://t.me/la_questione_giudaica/182

  • Conclusioni sul complesso di eresie note come “copycat thesis”, o “teoria dell’emulatore”: queste eresie non hanno un supporto archeologico, né un senso storico o politico. Vanno contro il significato funzionale dello gnosticismo e contro l’ebraicità/crittoebraicità dei suoi esponenti, ignorano l’eccessiva conoscenza del giudaismo che traspare dall’invettiva antigiudaica universale, e che non si rinviene nella letteratura greco-romana neanche in maniera frammentata. Con l’arecheologia cristiana del I secolo, queste eresie mostrano inoltre il cosiddetto “problema generazionale”
  • Sfigurazione e trasfigurazione modernisti – descritti nell’enciclica Pascendi dominici gregis – sono i “grimaldelli ideologici” degli agenti crittosionisti (cellule fantasma) per infiltrare la “teoria dell’emulatore” all’interno della Chiesa Cattolica 
  • Il significato teologico dell’autosussistenza della figura di Melchisedek: fornire un motivo di conversione per gli ebrei, e una cristofania ai gentili per debellare la futura “tipologia inversa” fomentata dal crittoebreo Joseph Atwill. Melchisedek è l’unico tipo biblico di se stesso, l’unico personaggio della Genesi senza genealogia perché non ce l’ha, per questo non potrà mai essere ritrovato in alcuna tavoletta canaanita. È l’easter egg di Dio nel Vecchio Testamento, che parla di come il Figlio sia venuto a suggellare il primo Patto

*”Herem (parola ebraica): condizione di colui che è cacciato dalla comunità a causa di un’impurità o di una consacrazione. L’individuo in stato di herem è un proscritto. Sorta di scomunica [N.d.T.]” [162].

** Col nome “Pagan Min” si intende l’antagonista principale del videogioco “Far Cry 4”. Nella trama del videogioco, Pagan Min è il padre biologico della sorellastra del protagonista, Ajay Ghal. Il videogioco è ambientato nella località fittizia nota come “Kyrat” pur essendo liberamente ispirato ad eventi realmente accaduti. “Pagan” in inglese significa “pagano”, e “Min” in ebraico ha lo stesso identico (o quasi) significato. “Pagan Min” rappresenta chiaramente un easter egg giudaico, una “sorpresa” lasciata da uno o più sviluppatori del videogioco Far Cry 4, per mostrare in maniera sottile la presenza ebraica tra gli sviluppatori del videogioco o forse a livelli più alti, nonché per prendere in giro i cristiani. Questo easter egg è una figura retorica, una ripetizione a rotazione di significanti (due parole diverse in due lingue diverse, vengono utilizzate per ripetere lo stesso significato). Siccome la religione cristiana – da un punto di vista halackico – è considerata idolatria, e idolatria e paganesimo vanno a braccetto, quasi diventando sfumature diverse dello stesso concetto, possiamo asserire che il termine Min è principalmente riferito ai cristiani in genere, più che agli eretici giudeo-cristiani, come vorrebbe far credere l’Enciclopedia Giudaica. Infatti, tra i tanti usi di questo vocabolo, c’è il sostituirsi alla parola “cristiano”: “In passages referring to the Christian period, “minim” usually indicates the Judæo-Christians, the Gnostics, and the Nazarenes, who often conversed with the Rabbis on the unity of God, creation, resurrection, and similar subjects (comp. Sanh. 39b). In some passages, indeed, it is used even for “Christian”; but it is possible that in such cases it is a substitution for the word “Noẓeri,” which was the usual term for “Christian””  [163].

***L’espressione “Al-Satan” in ebraico ha una serie di significati, il principale tra questi è “avversario” o “oppositore”. La figura di Al-Satan nel cartone animato Dragon Ball rappresenta un easter egg giudaico che svela gli autori dello gnosticismo. Infatti, possiamo asserire che la formazione di Al-Satan come parte malvagia del Supremo, dal quale si distacca, è gnostica. Per quale motivo un termine ebraico è associato ad un evento del genere? È chiaramente un easter egg giudaico. Al-Satan è necessario al Supremo come il Supremo ad Al-Satan, questo è un punto di vista spesso condiviso tra i rabbini quando si parla del rapporto tra Al-Satan e Yahveh. Nella gnosi pura esiste un concetto di indipendenza e irriducibilità ontologica di Dio, che crea gli esseri per dono, non per sua necessità, né tanto meno per emanazione. Tale punto di vista non si può mai conciliare con questi easter eggs, giudaici e gnostici.

****Con l’espressione “shekinah” si intende anche la cosiddetta presenza divina che gli ebrei sostengono che ci sia presso il cosiddetto “Muro del Pianto”.  Cioè la cabalistica (gnostica) emanazione femminile di Jahveh sarebbe chiamata “Shekinah”. Nella preghiera ebraica, la tefillah, anglicizzata col termine “davening”, gli ebrei simulano un movimento pelvico di accoppiamento con questo muro dal quale sarebbe emanata la shekinah, mentre la loro cabalistica emanazione divina maschile, l'”Ein-Soph”, feconda la shekinah, e questo forse viene fatto nel tentativo di “concepire il Messia Talmudico”. L’ex rabbino convertito alla fede ortodossa, Nathanael (ebreo), afferma che il “Muro Occidentale”, anche noto come “Muro del Pianto”, non sarebbe affatto un resto del Tempio di Gerusalemme, bensì della Fortezza di Antonia, una fortezza romana, quindi pagana. In un video, Nathanael afferma anche che gli ebrei sono perfettamente consapevoli di ciò, riproponendo forme di paganesimo presso una costruzione pagana: “this so-called divine presence at the Wailing Wall is actually the Kabbalistic feminine emanation, of their false God, the Shekinah. Whatch closely…how the rabbis thrust their pelvises and penises back and forth, in a prescribed prayer movement called davening, in which the Jew copulates whith the Shekinah, in order to give birth in an erotic union with the Ein-Soph, the Kabbalistic masculine emanation, of their false God” [164].

(https://it.wikipedia.org/wiki/Muro_Occidentale#Storia) (https://it.wikipedia.org/wiki/Fortezza_Antonia#Storia)

Anche se da lontano può sembrare che un ebreo pianga di fronte alla fortezza di Antonia, da vicino sembra evidente il suo movimento pelvico come nel tentativo di pompare il “Muro del Pianto”, o fecondare la “shekinah” che sarebbe emanata da questo muro, infatti, il rabbino Michael Leo Samuel (ebreo), citando il rabbino Israel Baal Shem Tov, scrive: “Hassidic literature teaches that one of the reasons given for Hassidim swaying in prayer is based upon the analogy of the movement that occurs in the act of love making. Prayer is like “making love to the Shekhinah.” The Baal Shem Tov is purported to have taught:

Prayer is zivug (coupling) with the Shechinah.’ Just as there is motion at the beginning of coupling, so, too, one must move (sway) at the beginning of prayer. Thereafter one can stand still, without motion, attached to the Shechinah with great deveikut (“cleaving to God”). As a result of your swaying, you can attain great bestirment. For you think to yourself: “Why do I move myself? Presumably it is because the Shechinah surely stands before me” [165]. Seguono poi da parte del rabbino una serie di sproloqui inutili e pseudognostici tirando in ballo perfino lo psicologo Carl Jung, ma non riprodurremo tali sproloqui qui.

Ad ogni modo, diversi archeologi affermano che il Monte del Tempio o “Spianata delle Moschee” (“Temple Mount”), non è il luogo del Tempio di Gerusalemme, bensì quello della fortezza di Antonia. Se le cose stanno così, è impossibile che gli ebrei non lo sappiano, visto il loro attaccamento alle tradizioni. In altre parole, quello che milioni di ebrei da tutto il mondo mettono in scena da centinaia di anni di fronte a quel muro, non sarebbe altro che UNA SIMULAZIONE GIUDAICA DEMAGNETIZZANTE, VOLTA A SCREDITARE LA PERSONA DI GESÙ CRISTO E L’INIZIO DEL CAPITOLO 24 DEL VANGELO DI MATTEO, IN CUI CRISTO DICE CHIARAMENTE CHE DEL TEMPIO NON SAREBBE RIMASTA “PIETRA SU PIETRA”.

Ad ogni modo, Elizabeth Dilling, citando l’Enciclopedia Giudaica, parla di questa sorta di “rapporto sessuale con Dio”, in termini analoghi: “”Jewish mystics described the highest degree of love of man for God in sensuous forms in terms taken from marital life” (Jewish Encyclopedia, page 465). “Closely connected … is the doctrine of the transmigration of the soul on which the Cabala lays great stress” (same reference, page 476)” [166].  Anche se, nella ricostruzione di Dilling, i ruoli sembrano quasi invertirsi: “In the Cabala the Talmudists represent themselves as the Divine Presence, or Shekinah, and when the Female Shekinah is copulating with her male, then “Israel” will be ruling the world” [167]. Citando invece il libro di Gershom Sholem (ebreo) “Lo Zohar. Il libro dello splendore”: “The section of the book, “The Rose of Sharon” is another intercourse scene in which “the Community of Israel is called Rose of Sharon; because her desire to be watered from the deep stream …. She is named ‘Rose’ when she is about to Join with the King and after she has come together with him in her kisses, she is named ‘lily.'” That excerpt, extended, however, is not enough. The Rabbis are quoted on: “the true devotion of the Community of Israel to God, and her longing for him, for these souls make possible the flow of the lower waters toward the upper, and this brings about perfect friendship and the yearning for mutual embrace in order to bring forth fruit. When they cleave one to another, then says the Community of Israel in the largeness of her affections: ‘Set me a seal upon thy heart'” (same book, pages 69-70)” [168].

ARTICOLO IN FASE DI COSTRUZIONE

Fonti:

[1] https://t.me/la_questione_giudaica/164

[2] Luigi Copertino, Il confronto con la gnosi spuria secondo Ennio Innocenti, Sacra fraternitas aurigarum Urbis, Roma, 2018 p. 10. https://t.me/la_questione_giudaica/155 Cfr. E. Innocenti La gnosi spuria – I. Dalle origini al Seicento, Sacra fraternitas Aurigarum in urbe, Roma, 2003, pp. 12-13

[3] Ibidem, p. 15.

[4] Luigi Copertino, Vera e Falsa Gnosi. Disponibile al seguente indirizzo: https://www.maurizioblondet.it/vera-falsa-gnosi-luigi-copertino/

[5] https://t.me/la_questione_giudaica/107 Vedi capitoli 6 e 7.

[6] https://www.ibs.it/nuovo-testamento-gnosi-libro-walter-schmithals/e/9788839908353   

[7] https://t.me/la_questione_giudaica/163   Se è per questo, successivamente si è verificato anche l’opposto, infatti, in maniera estremamente subdola, e restituendo pan per focaccia, “gli gnostici usavano espressioni di origine biblica, riprendendole dall’ambiente ellenistico, spesso espressioni paoline e giovannee, ma del tutto svuotate del loro senso autentico” (L. Copertino, op. cit., p. 15).

[8] 1 Corinzi 9:19-22 https://www.laparola.net/testop.php?riferimento=1Corinzi%209%3A1-22

[9] https://it.wikipedia.org/wiki/Paolo_di_Tarso

[10] L. Copertino, op. cit., p. 373.

[11] Ibidem, p. 12.

[12] Ibid.

[13] Ibid. Cfr. E. Innocenti La gnosi spuria – I. …op. cit., nota 24 p. 10.

[14] Ibidem, pp. 12-13.

[15] Ibidem, pp. 17-18.

[16] Ibidem, p. 18.

[17] Aa. Vv., “La gnosi tra luci e ombre” Atti del secondo convegno di studi sull’opera di don Ennio Innocenti, Napoli 29-31 Ottobre 2009, Sacra Fraternitas Aurigarum in Urbe, Roma 2010, p. 61. Cfr. A Colunga – M. Garcia Cordero, Biblia comentada, vol. I, p. 47, B.A.C., Madrid, 1960.

[18] Ibidem, pp. 61-62. Cfr. supra. Cfr. Teologia de la Biblia, vol I, p. 328, 3 vols. BAC, Madrid, 1970; cfr. H. Pinard “Création”, Dictionnaire de Théologie Catholique, vol. III, col. 2042 – 2202, Paris, 1908.

[19] Ibidem, p. 62.

[20] Ibid. Cfr. Op. cit., I, p. 392.

[21] Ibidem, p. 63. Abbiamo poi deciso di ribattezzare col nome di trasfigurazionismo, quella che consideriamo essere un’eresia anticristiana contro il Vecchio Testamento, volta a far credere che gli eventi narrati in tale Testamento siano in realtà miti presi in prestito da altre culture e riadattati in chiave monoteistica (non si capisce poi per quali ragioni ci sia stato questo adattamento monoteistico). Tale eresia vecchia è stata riproposta – nonostante le moderne scoperte di assiriologia e sumeriologia – da un ebreo, in merito alla famosa “Arca di Noè”: “A recently deciphered 4,000-year-old clay tablet from ancient Mesopotamia — modern-day Iraq — reveals striking new details about the roots of the Old Testament tale of Noah. It tells a similar story, complete with detailed instructions for building a giant round vessel known as a coracle — as well as the key instruction that animals should enter “two by two” […]…

It’s also the subject of a new book, “The Ark Before Noah,” by Irving Finkel, the museum’s assistant keeper of the Middle East and the man who translated the tablet.

Finkel got hold of it a few years ago, when a man brought in a damaged tablet his father had acquired in the Middle East after World War II. It was light brown, about the size of a mobile phone and covered in the jagged cuneiform script of the ancient Mesopotamians…[…]…

Finkel said, a round boat makes sense. Coracles were widely used as river taxis in ancient Iraq and are perfectly designed to bob along on raging floodwaters.

“It’s a perfect thing,” Finkel said. “It never sinks, it’s light to carry.”…[…]…

Elizabeth Stone, an expert on the antiquities of ancient Mesopotamia at New York’s Stony Brook University, said it made sense that ancient Mesopotamians would depict their mythological ark as round.

“People are going to envision the boat however people envision boats where they are,” she said. “Coracles are not unusual things to have had in Mesopotamia.”

The tablet records a Mesopotamian god’s instructions for building a giant vessel — two-thirds the size of a soccer field in area — made of rope, reinforced with wooden ribs and coated in bitumen…[…]…” (http://www.timesofisrael.com/british-museum-prototype-for-noahs-ark-was-round/).

Dal canto suo, Irving Finkel (ebreo), afferma che le tavolette mesopotamiche successive hanno perso questi dettagli tecnici perché si incentravano sulla narrativa, sulla favoletta: “The flood story recurs in later Mesopotamian writings including the “Epic of Gilgamesh.” These versions lack the technical instructions — cut out, Finkel believes, because they got in the way of the storytelling” (Idem).

Salvo poi contraddirsi subito dopo, poiché parla del diluvio come di un evento realmente accaduto, mentre l’Arca coi suoi dettagli tecnici farebbe parte del folklore, ovvero della mitologia: “He believes the tale was likely passed on to the Jews during their exile in Babylon in the 6th century B.C. And he doesn’t think the tablet provides evidence the ark described in the Bible existed. He said it’s more likely that a devastating real flood made its way into folk memory, and has remained there ever since” (Idem). 

È chiaro che ci vorranno anni per smontare le menzogne dell’ebreo simulatore Irvin Finkel, come ci sono voluti anni per smontare le menzogne dell’ebreo simulatore Simcha Jacobovici, uno dei tanti ripropositori dell’ebionismo.

 

Nelle immagini: a sinistra una tavoletta che si ritiene essere risalente a quattromila anni fa, conservata al British Museum. I caratteri cuneiformi sarebbero stati decifrati dallo studioso Irvin Finkel. A destra Irvin Finkel (ebreo), curatore delle tavolette d’argilla cuneiformi presso il British Museum, con in mano la tavoletta poc’anzi citata. Visti i casi precedenti come quello di Simcha Jacobovici e molti altri, riteniamo che Irvin Finkel sia un simulatore che ripropone il trasfigurazionismo, un’eresia anticristiana volta a far credere che non ci sia un senso teologico della storia né un intervento della Provvidenza in quest’ultima, poiché la Bibbia sarebbe un riadattamento in chiave monoteistica di miti pagani politeisti. Queste due negazioni (del senso teologico della storia e dell’intervento divino nella storia) sono – tralasciando il motivo per cui si arriva a concepirle – guarda caso, i due cavalli di battaglia del modernismo, un complesso di eresie anticristiane che riteniamo essere un riadattamento audace dell’Americanismo. Tale modernismo proseguirà nella sua “successione ideologica”, diventando progressivismo al fine di infiltrarsi in maniera diretta in Vaticano. Il principale frutto avvelenato del progressivismo in ambito cristiano, è probabilmente il cattolicesimo liberale (che in realtà forse si dovrebbe chiamare teologia della liberazione, perché il cattolicesimo liberale, è un frutto avvelenato un po’ più vecchio, anteriore allo stesso modernismo, almeno a detta di Julio Loredo). Riteniamo che la tavoletta di argilla riguardante “l’Arca di Noè prima di Noè”, sia un falso, ma non sappiamo quali indagini archeologiche e/o chimico-fisiche possano confermarne la falsità.

[22] Pietro A. Kaswalder, Giudea e Neghev,  edizioni Terra Santa, Milano, 2018, pp. 14-15. Disponibile qui:  https://t.me/la_questione_giudaica/166   È doveroso sottolineare che le speculazioni di Kaswalder sono, con altissima probabilità, sbagliate, per quanto riguarda l’alfabeto ebraico. Infatti l’archeologo e paleografo Douglas Petrovich, avrebbe scoperto che il più antico alfabeto della storia non è quello dei fenici, bensì quello degli ebrei, il popolo al vertice di tutte (o quasi tutte) le intellighenzie di sempre. “Dr. Douglas Petrovich has gathered sufficient evidence to claim that the ancient Israelites took Egyptian hieroglyphics and transformed it into a writing system of 22 alphabetic letters which correspond to the widely recognized Hebrew alphabet used today.

Archaeologist, epigrapher and professor of ancient Egyptian studies at Wilfrid Laurier University in Waterloo, Canada, Dr. Petrovich used Hebrew and the Bible to translate inscriptions found on 18 ancient stone slabs. His findings have truly rocked Bible critics to the core” (https://www.breakingisraelnews.com/81129/a-hebrew-discovery-that-will-shake-bible-critics-to-the-core/). “Following Petrovich’s study of the inscribed Egyptian stone slabs, he asserted that the writings are actually an early form of Hebrew. He believes that the stones recall the Bible’s descriptions about the Israelites living in Egypt and concludes that they transformed Egyptian hieroglyphics into Hebrew more than 3,800 years ago…[…]…Petrovich’s theory is that the Israelites sought to communicate in writing with other Israelites in Egypt. They therefore simplified Pharaoh’s complex hieroglyphic writing system into a 22 letter alphabet” (Idem). 

 

Nell’immagine a sinistra: schematizzazione di una delle lastre di pietra studiate da Petrovich, con le lettere in paleoebraico segnate in nero, e le corrispondenti lettere ebraiche moderne segnate in verde. Petrovich avrebbe trovato il nome di Mosè inciso in paleoebraico su questa lastra di pietra. A destra: fotografia della lastra di pietra denominata reperto “Sinai 361”. Tale lastra di pietra è stata datata dal professor Petrovich al quindicesimo secolo avanti Cristo. Ha infatti dichiarato: ““I absolutely was surprised to find [a reference to] Moses, because he resided in Egypt for less than a year at the time of his provoking of astonishment there”” (Idem). 

Inoltre le speculazioni di Kaswalder sulle origini del monoteismo ebraico potrebbero essere il frutto di interpretazioni sbagliate, in quanto Peter Gentry, professore di interpretazione del Vecchio Testamento, ha affermato, in un’intervista, che le tavolette in ugaritico trovate a Ras Shamra (cioè quella che poi si è scoperto essere Ugarit), mostrano, secondo lui, un’evoluzione al contrario, cioè da un antico monoteismo verso un politeismo in cui Baal diventa la divinità principale e tutte le altre sono i suoi “sottoposti”. L’interpretazione di Peter Gentry è in accordo con quella di Don Ennio Innocenti sul lento degrado della gnosi pura in gnosi spuria, ed è in accordo con la tradizione consolidata dai Padri della Chiesa. L’intervista al professore Gentry è rinvenibile sul nostro canale Telegram: https://t.me/la_questione_giudaica/202 Se qualcuno ha qualche segnalazione da fare su della letteratura in grado di dimostrare la “devoluzione”, la terremo sicuramente in considerazione. L’ipotesi della devoluzione dal monoteismo al politeismo è sostenuta anche da Don Richardson, che ha trovato prove a sostegno di tale ipotesi nelle religioni orientali, infatti è citato da Dan Story sul CHRISTIAN RESEARCH JOURNAL: “Missionary and author Don Richardson, well known for his anthropological and linguistic work among primitive peoples, writes that the earliest reference to religion in China is a Supreme God called “Shang Ti — the Lord of Heaven,” which “predates Confucianism, Taoism and Buddhism by an unknown number of centuries”” (Dan Story, DOES THE OLD TESTAMENT TEACH THE DEVOLUTION OF RELIGION, AND DOES PAUL CONFIRM IT IN ROMANS CHAPTER 1?, CHRISTIAN RESEARCH JOURNAL, volume 40, number 01 (2017). Cfr. Don Richardson, Eternity in Their Hearts, rev. ed. (Ventura, CA: Regal Books, 1984), 62–63. Disponibile sul nostro canale Telegram: https://t.me/la_questione_giudaica/203). L’ipotesi della devoluzione viene ritrovata anche nella “Encyclopedia of Religions and Ethics”: ““The Chinese language possesses two terms which, as far as etymology goes, [Shang Ti] seems adequate to stand for God.…The earliest reference to Shang Ti, or indeed to any religion whatever, in the ancient history of China” refers to this ancient term”  (Ibid. Cfr. Encyclopedia of Religion and Ethics, vol. 6, ed. James Hastings (New York: Charles Scribner’s Sons), p. 272).

[23] Jean Bottero, Samuel Noah Kramer, Uomini e dèi della Mesopotamia, Mondadori, Milano, 2012, p. 641.

[24] Giovanni Pettinato, Mitologia assiro-babilonese (UTET – Torino, 2005), p. 101.

[25] https://www.youtube.com/watch?v=diBQyYtPSDw

[26] Idem.

[27] https://pisoproject.wordpress.com/latin-phrases-pliny-as-the-nt-paul/

[28] https://it.zenit.org/articles/illustrata-in-vaticano-l-indagine-condotta-nel-sarcofago-di-san-paolo/

[29] Idem.

[30] Idem.

[31] Idem.

[32] Idem.

[33] Idem.

[34] https://www.shmoop.com/ephesians-and-colossians/setting.html

[35] https://it.wikipedia.org/wiki/Colossi

[36] Idem.

[37] https://it.wikipedia.org/wiki/Lettera_a_Filemone#Data_e_luogo

[38] http://www.laparola.net/testo.php?riferimento=Colossesi+2,1&versioni%5B%5D=C.E.I.

[39] https://it.wikipedia.org/wiki/Lettera_ai_Laodicesi

[40] Idem.

[41] https://it.wikipedia.org/wiki/Laodicea_al_Lico

[42] Idem.

[43] http://www.gliscritti.it/blog/entry/249

[44] Idem.

[45] Roberto Persico, Marta Sordi spiega la nuova cronologia della vita di Paolo e conferma l’autenticità del suo carteggio con Seneca, Tempi, 19 maggio 2008. Disponibile sul canale Telegram di “laquestionegiudaica” al seguente indirizzo: https://t.me/la_questione_giudaica/183

[46] Idem.

[47] Idem.

[48] Idem.

[49] https://www.avvenire.it/agora/pagine/san-paolo-e-seneca-si-incontrarono_200901151017200330000

[50] Idem.

[51] Idem.

[52] Dr. Gregor, A Sea of Blood, Bamboo Delight Company, Los Gatos, California, USA, 2011, p. 18. Disponibile qui: https://t.me/la_questione_giudaica/100

[53] https://consolata.org/new/index.php/mission/finestra/item/400-le-15-scoperte-piu-importanti-dell-archeologia-biblica

[54] https://www.avvenire.it/agora/pagine/san-paolo-e-seneca-si-incontrarono_200901151017200330000

[55] http://www.paginecattoliche.it/CARO-SAN-PAOLO-CARO-SENECA/

[56] Idem.

[57] Idem.

[58] Idem.

[59] Idem.

[60] https://it.wikipedia.org/wiki/Apocatastasi

[61] Idem.

[62] https://www.laparola.net/testo.php?riferimento=Matteo+23&versioni%5B%5D=C.E.I.

[63] Padre Louis-Marie O.P., Perché gli ebrei non credono in Gesù? Traduzione dall’originale francese Pourquoi les juifs ne croient pas en Jésus, apparso sulla rivista Le Sel de la terre (nº 59, Inverno 2006-2007), a cura di Paolo Baroni. Il termine parthènos dei Settanta, designa sempre una vergine. Anche nel greco classico, questo vocabolo designa, nel suo senso principale, una vergine ancora giovane (vedi, ad esempio, il Dizionario di Bailly o il Lexicon di Zorell).

[64] Idem. Per il dettaglio, vedi, ad esempio, P. F. Ceuppens O.P., De Prophetiis messianicis in Antiquo Testamento, Collegium Angelicum, Roma 1935, pagg. 192-196; PP. Lusseau-Collomb, Manuel d’études bibliques («Manuale di studi biblici»), vol. III, Téqui, Parigi 1934, pagg. 148-149.

[65] Idem.

[66] Idem. Cfr. San Girolamo, Contra Jovinianum, I, 32; PL 23, 254.

[67] Idem. Cfr. P. M. – J. Lagrange O.P., Le Messianisme chez les juifs (150 a.C. à 200 d.C.), Gabalda, Parigi 1909, pag. 241. Ma le mutazioni inserite dagli ebrei, non si fermerebbero ai Targumim nemmeno per quanto riguarda le profezie inerenti il Messia. Infatti quest’accusa è già comparsa nella storia della Chiesa: “essi hanno consapevolmente alterato il testo dell’Antico Testamento con la pratica dell’emendazione scribale (tiqqun soferim “correzione degli scribi”): così facendo hanno cancellato per sempre ulteriori prove veterotestamentarie della messianicità di Gesù e della verità del Cristianesimo” (Luca Benotti, Un manuale ebraico di polemica anti-cristiana del XIII secolo. Il manoscritto Or. 53 della Biblioteca Nazionale Centrale di Roma. Introduzione, traduzione e commento. Università degli studi di Padova, 2012, p. 47. Cfr. Così Parente, Fausto “La Chiesa e il Talmud. L’atteggiamento della Chiesa e del mondo cristiano nei confronti del Talmud e degli altri scritti rabbinici, con particolare riguardo all’Italia tra XV e XVI secolo” in Storia d’Italia, Annali 11: Gli Ebrei in Italia a cura di Corrado Vivanti, Einaudi, Torino, 1996 (vol. 1: Dall’alto Medioevo all’età dei ghetti, p. 148). “Questo, che può sembrare un dettaglio, in realtà compromette totalmente il paradigma teologico agostiniano secondo cui gli Ebrei sono da tollerare poiché hanno conservato intatto il sistema profetico delle Scritture; Martini (Raimondo Martini, allievo della scuola di Raimondo di Peñaforte, nda), al contrario, non solo afferma (nella sua opera “Pugio Fidei”, nda) che essi hanno volontariamente corrotto molti altri passaggi recanti l’annuncio della venuta di Cristo rispetto a quelli pervenuti; ma anche che essi, fintanto che rimarranno Ebrei, persevereranno nel peccato” (Ibid.). Chiaramente però questa tesi non è condivisibile per quanto riguarda il libro di Isaia, di cui oggi abbiamo un rotolo praticamente completo e di molto antecedente rispetto all’epoca di Gesù Cristo.

[68] https://it.wikipedia.org/wiki/Esilio_babilonese#L’Esilio_dei_Giudei

[69] https://it.wikipedia.org/wiki/Garizim

[70] https://www.laparola.net/testo.php?versioni[]=C.E.I.&riferimento=2Maccabei6

[71] Gian Pio Mattogno, Gli usurai ebrei nell’Italia medievale e rinascimentale, Lanterna, 2013, p. 53. Cfr. G.P. Mattogno, L’usura come strumento dell’imperialismo ebraico. Appunti per una ricerca storica.

[72] Ibid. Cfr. supra.

[73] Julio Meinvielle, Influsso dello gnosticismo ebraico in ambiente cristiano, Sacra Fraternitas Aurigarum in Urbe, Roma 1995, p. 249. Disponibile sul canale Telegram di “laquestionegiudaica”, al seguente indirizzo: https://t.me/la_questione_giudaica/153

[74] http://danielesalamone.altervista.org/non-sono-venuto-per-abolire-la-legge-e-i-profeti-cosa-significa/

[75] Idem.

[76] Aleksandr Solgenitsin, Due Secoli Insieme, t. 2, Controcorrente, Napoli, 2007, p. 503. Cfr. G. Rosenblum, V. Perelman, Krushenie shuda: pritshiny i sledstvia* [Il crollo di un miracolo: cause e conseguenze], VM (I Tempi e Noi [Vremia i my], rivista internazionale di letteratura e problemi sociali, Tel Aviv, 1977, n. 24, p. 120.

[77] A. Solgenitsin, op. cit., t. 1, pp. 308-309.

[78] https://nationalvanguard.org/2018/11/jewish-merchants-of-sin-and-porn-part-7-second-wave-feminism/

[79] Gilad Atzmon, L’errante chi?, Zambon 2012, p. 95.

[80] Ibidem, p. 96.

[81] Julio Meinvielle, Dalla Cabala al Progressismo, Effedieffe, Proceno di Viterbo, 2018, p. 38. Cfr. Matteo 23, 2.

[82] Ibid. Cfr. Drach, De l’harmonie entre l’Eglise et la Synagogue, Parigi, 1844, tomo I, pp. X-XI.

[83] Ibidem, pp. 38-39.

[84] Ibidem, p. 39. Cfr. Drach, op. cit., tomo II, p. XXI, 1844.

[85] Ibid. Cfr. Gougenot des Mousseaux, Le juif, le judaisme et la judaisation des Peuples chrétiens, Plon, Parigi, 1869, pag. 512.

[86] https://www.haaretz.com/1.4813824

[87] https://www.myjewishlearning.com/article/widows-in-jewish-tradition/

[88] https://www.myjewishlearning.com/article/agunot-a-different-kind-of-hostage/

[89] Idem.

[90] Idem.

[91] Idem.

[92] http://blogs.timesofisrael.com/the-poor-womans-lamb-the-state-of-israel-and-its-widows/

[93] Idem.

[94] Idem.

[95] Henri Delassus, L’Americanismo e la congiura anticristiana, Effedieffe, Proceno di Viterbo, 2015, p. 13.

[96] Ibidem, pp. 13-14. Bisogna però precisare che ci sono scritti dell’Apocalittica giudaica precristiana i cui riferimenti sono rinvenibili – considerando l’intero canone di Vecchio e Nuovo Testamento – soltanto nei Vangeli. Ad esempio il frammento 4Q521 è stato “datato paleograficamente da Emile Puech della Ecole Biblique et Archéologique di Gerusalemme alla seconda metà del I sec. a.C. (tra il 100 e l’80 a.C.); l’analisi al radiocarbonio 14C eseguita nel 1994 dall’Università dell’Arizona (U.S.A.) ha dato come risultato una data di stesura attorno al 30 a.C. con una precisione di ± 30 anni circa” (Gianluigi Bastia, 4Q521 Apocalisse Messianica – 24/02/2007, p. 1. Disponibile sul nostro canale Telegram: https://t.me/la_questione_giudaica/192 Cfr. Radiocarbon, vol. 37, n. 1, 1995, pp. 11-19 (A.J.T. Jull, D.L. Donahue, M. Broshi, E. Tov, Radiocarbon Dating of Scroll and Linen Fragments from the Judean Desert)). “La datazione paleografica sembra comunque più attendibile. E’ altamente probabile che il manoscritto non sia un autografo in quanto contiene tra le righe numerose correzioni e quindi sembra essere copia di un documento più antico” (Ibid.). Parte del frammento recita: “1 [poiché i cie]li e la terra ascolteranno il suo Messia 2 [e tutto ci]ò che è in essi non devierà dai precetti dei santi. 3 Rinforzatevi, voi che cercate il Signore nel suo servizio! vacat 4 Forse che non troverete in ciò il Signore, (voi) tutti che aspettate nel loro cuore? 5 Perché il
Signore osserverà i pii e chiamerà per nome i giusti, 6 e poserà il suo spirito sugli umili, e con la sua forza rinnoverà i fedeli, 7 perché onorerà i pii su un trono di regalità eterna, 8 liberando i prigionieri, rendendo la vista ai ciechi, raddrizzando i piegati. 9 Per [sem]pre mi attaccherò a quelli che aspettano e nella sua misericordia […] 10 e il frutto di una [ope]ra buona non sarà procrastinato a nessuno 11 e il Signore farà azioni gloriose che non ci sono mai state, come ha det[to], 12 perché curerà i feriti e farà rivivere i morti e darà l’annuncio agli umili, 13 colmerà i [po-ve]ri, guiderà gli espulsi e arricchirà gli affamati 14 e gli istr[uiti …] e tutti loro, come san[ti …] [Trad. F. G. Martinez…[…]…]” (Ibid. Cfr. F. Garcia Martinez, Testi di Qumran, ediz. italiana a cura di C. Martone, PAIDEIA, Brescia, 1996, pp. 608-610). Confrontando la versione greca del Vangelo di Matteo con la versione greca della Bibbia detta dei Settanta, Bastia conclude che “in Matteo 11:5 ritroviamo allusioni, cioè citazioni tacite, silenti, a Isaia 35:5-6 e Isaia 61:1” (Ibidem, p. 3). Ma “nei citati passi di Isaia, oltre alla guarigione dei lebbrosi (λεπρος nel testo greco), manca tuttavia un elemento fondamentale: il cenno alla risurrezione dei morti (και νεκροι εγειρονται nel testo greco) che è una peculiarità di questo passo di Matteo (cfr. v. 11:5) e di 4Q521 (v. fr. 2., col. II, linea 12, “perché curerà i feriti e farà rivivere i morti e darà l’annuncio agli umili”). Si può anzi osservare anche che in tutto l’Antico Testamento non esiste alcun riferimento alla risurrezione dei morti nei tempi messianici. Questa dottrina è invece presente in 4Q521 per cui si conclude da questa analisi che il passo di Matteo potrebbe alludere anche a questo documento e non soltanto ai passi di Isaia, che non contengono alcun riferimento alla risurrezione” (Ibid.).  “Esiste quindi sostanziale accordo tra Matteo 11:4-6 (e il passo parallelo in Luca (7:22-23 nda)) e documenti quali 4Q521 e Isaia. Interpretato in quest’ottica 4Q521 potrebbe essere la profezia dell’avvento di Gesù come Messia o viceversa: i primi cristiani avrebbero visto in documenti come questo – oltre che negli altri brani più tradizionali dell’Antico Testamento – la “prova” tangibile che i tempi messianici erano ormai giunti e che Gesù era il Messia atteso. Posto poi che esista davvero un collegamento fra i passi di Matteo, Luca e 4Q521, rimarrebbe da spiegare perché Marco non riporta il passo. Questo viene usualmente spiegato con il fatto che Matteo e Luca avrebbero attinto dalla famosa fonte “Q”, una collezione di scritti che invece Marco non avrebbe utilizzato. 4Q521 potrebbe essere uno dei documenti della fonte “Q”, soprattutto in quanto contenente il riferimento
alla “risurrezione dei morti”?” (Ibid.). Alla luce di tutto ciò sembra un po’ improbabile che gli autori dei Vangeli siano stati dei Romani, dubitiamo che si mettessero a leggere il paleo-ebraico dell’Apocalittica Giudaica e implementarlo nei Vangeli ai fini di distogliere gli ebrei dal giudaismo per fargli credere a una nuova religione chiamata cristianesimo. Il livello di dettaglio in questi documenti, è tale per cui gli autori dei Vangeli, erano verosimilmente i primi giudeo-cristiani della storia, che avendo assistito a determinati eventi, decisero di metterli per iscritto, anche a costo di sembrare eretici agli occhi di tutta la comunità ebraica, anche se scrivere tali libri avrebbe comportato per loro l’herem, cioè l’essere banditi per sempre dalla comunità ebraica.

 Tutto ciò costituisce un problema per le ricostruzioni del probabile crittoebreo Bruno Bauer, dell’ebreo Abelard Reuchlin, dell’altro probabile crittoebreo Joesph Atwill, e della crittoebrea Emilia Bassano, quest’ultima sarebbe la vera autrice delle opere di Shakespeare e avrebbe fatto dei riferimenti all’origine romana dei Vangeli nelle opere Skakespseariane, almeno a quanto scrive Joseph Atwill. Tutti o quasi tutti i fautori dell’ipotesi dell’origine romana dei Vangeli sono degli ebrei o dei crittoebrei e non hanno delle prove archeologiche per supportare le loro affermazioni, bensì hanno solo “prove” o per meglio dire interpretazioni filologiche e di analisi del testo. E non è la prima volta che l’archeologia smonta anni e anni di costrutti filologici campati per aria.

[97] Dagoberto Huseyn Bellucci, Il governo mondiale ebraico, cap. 11. Disponibile sul canale Telegram di “laquestionegiudaica” al seguente indirizzo: https://t.me/la_questione_giudaica/96

[98] Elizabeth Dilling, Judaism and its influence Today, Elizabeth Dilling Foundation, Chicago 1983, pp. 54-55. Disponibile al seguente indirizzo: https://t.me/la_questione_giudaica/107

[99] Ibidem, p. 62.

[100] https://t.me/la_questione_giudaica/172

[101] https://it.aleteia.org/2019/02/11/gesu-cristo-giuseppe-erano-falegnami/

[102] https://www.ildolomiti.it/blog/riccardo-petroni/giuseppe-padre-di-gesu-non-era-un-anziano-falegname-ma-un-giovane-carpentiere

[103] https://www.youtube.com/watch?v=tFMmiaI3an4

[104] “In realtà E. Muro ha fatto notare che in una lista del materiale rinvenuto nelle Grotte 7-10, compilata da R. de Vaux sulla Revue Biblique, 63 del 1956 (pag. 572), risultava la presenza di un frammento (7Q21) in ebraico su cuoio rinvenuto nella Grotta 7 (cfr. E. Muro, 7Q21: What is it? Where is it?, pubbl. internet, http://www.breadofangels.com, 1999). Questo frammento tuttavia non compare nella successiva DJD III del 1962, la prima pubblicazione ufficiale dei
documenti della Grotta 7, e nemmeno in successive liste. Ci si chiede quindi se questo reperto sia mai esistito o si tratti di una svista, dove eventualmente sia collocato e se sia davvero significativo”. Gianluigi Bastia, Identificazione del frammento 7Q5, disponibile sul canale Telegram di laquestionegiudaica al seguente indirizzo: https://t.me/la_questione_giudaica/173

[105] https://www.ildolomiti.it/blog/riccardo-petroni/giuseppe-padre-di-gesu-non-era-un-anziano-falegname-ma-un-giovane-carpentiere

[106] https://wol.jw.org/it/wol/d/r6/lp-i/1001072152 L’iscrizione di Teodoto è visionabile anche a questo indirizzo: https://www.youtube.com/watch?v=1jSMtQy5dWg

[107] Pietro Dimond, La sacra Bibbia dimostra gli insegnamenti della Chiesa Cattolica, Monastero della Famiglia Santissima, New York, 2009, p. 34. Disponibile al seguente indirizzo: https://t.me/la_questione_giudaica/184

[108] Ibid. Cfr. E. Dana e G. Mantey, Una grammatica manuale del Nuovo Testamento Greco (A manual grammar of the Greek New Testament), SUA, pagina 127.

[109] Ibid.

[110] Ibid.

[111] Ibidem, p. 35.

[112] Ibidem, p. 37.

[113] Ibid.

[114] Ibidem, p. 40.

[115] Ibidem, p. 38.

[116] Ibid.

[117] https://www.youtube.com/watch?v=tFMmiaI3an4

[118] https://www.laparola.net/testo.php?riferimento=Giovanni+3,1-5&versioni%5B%5D=C.E.I.

[119] https://www.cbsnews.com/news/israeli-t-shirts-joke-about-killing-arabs/

[120] http://news.bbc.co.uk/2/hi/middle_east/7960071.stm

[121] Idem.

[122] https://www.haaretz.com/1.5090720

[123] Idem.

[124] https://www.laparola.net/brani/brani.php?b=119

[125] Robert Aleksander Maryks, The Jesuit Order as a Synagogue of Jews, p. XVI. Cfr. Yosef Hayim Yerushalmi, Assimilation and Racial Anti-Semitism: The Iberian and the German Models, Leo Baeck memorial lecture, 26 (New York: Leo Baeck Institute, 1982), pp. 7–8.

[126] “There seem, indeed, to have been camps on the Artic islands of Novaya Zemlya from which no one returned at all: but of these practically nothing is known”. Vedi Robert Conquest, Kolyma: The Artic Death Camps, Oxford University Press, Oxford 1979, pp. 13-14.

[127] Julio Meinvielle, Influsso dello gnosticismo ebraico in ambiente cristiano, Sacra Fraternitas Aurigarum in Urbe, Roma 1995, p. 260. Disponibile sul canale Telegram di “laquestionegiudaica”, al seguente indirizzo: https://t.me/la_questione_giudaica/153.

[128] L. Copertino, op. cit., p. 45.

[129] Ibidem, pp. 397-399.

[130] https://www.haaretz.com/misc/article-print-page/.premium-netanyahu-israel-mossad-chief-doha-qatar-continue-hamas-gaza-money-transfer-1.8564993

[131] https://www.ilvangelo-israele.it/indexmag15-I.html Un sito di cristiani evangelici chiaramente sionisti e filosemiti.

[132] Luigi Cabrini, Il Potere Segreto, Lanterna, 2012, pp. 117-118.

[133] Ibidem, p. 118.

[134] http://www.iltimone.org/news-timone/archivio-quando-gli-ebrei-perseguitavano-i-cristia/

[135] Idem.

[136] https://christianhistoryinstitute.org/magazine/article/nozrim-and-meshichyim

[137] https://www.jpost.com/Israel-News/Jerusalem-church-vandalized-with-crude-anti-Christian-slogans-441762

[138] http://www.corriere.it/cultura/16_aprile_02/talmud-ebrei-traduzione-italian-volume-salom-ed9e1c26-f82e-11e5-b848-7bd2f7c41e07.shtml

[139] Kerry R. Bolton, Grave Desecrations, Rabbi’s Death Show Rare Glimpses of Israel’s Religious Fanaticism, Foreign Policy Journal, 17 ottobre 2013. Disponibile sul canale Telegram di “laquestionegiudaica” al seguente indirizzo: https://t.me/la_questione_giudaica/181

[140] http://www.effedieffe.com/index.php?option=com_content&id=318817&Itemid=100021

[141] http://www.centrosangiorgio.com/apologetica/pagine_articoli/perche_gli_ebrei_non_credono_in_gesu.htm

[142] Idem. Cfr. P. V.-T. Beurier, L’aveuglement de ceux qui ont tué Jésus-Christ («L’accecamento di quelli che hanno ucciso Gesù Cristo»). Padre Beurier era un religioso eudista.

[143] Idem.

[144] Idem.

[145] Idem. Cfr. P. V.-T. Beurier, op. cit.

[146] Aa. Vv., Don Ennio Innocenti la figura – l’opera – la milizia, Atti del convegno di studi la Croce e la spada, Roma 23-24 aprile 2004, Bibliotheca Edizioni Roma, 2004. Disponibile sul canale Telegram di laquestionegiudaica al seguente indirizzo: https://t.me/la_questione_giudaica/174

[147] Julio Meinvielle, Influsso dello gnosticismo ebraico in ambiente cristiano, Sacra Fraternitas Aurigarum in Urbe, Roma 1995, p. 246. Disponibile sul canale Telegram di “laquestionegiudaica”, al seguente indirizzo: https://t.me/la_questione_giudaica/153

[148] Henri Delassus, L’Americanismo e la congiura anticristiana, Effedieffe, Proceno di Viterbo, 2015, p. 14, n. 7.

[149] Ibidem, p. 13, n. 7.

[150] http://www.laparola.net/testo.php?riferimento=Matteo+7,15-20&versioni%5B%5D=C.E.I.

[151] https://www.laparola.net/testo.php?riferimento=Isaia+5&versioni%5B%5D=C.E.I.

[152] https://www.laparola.net/testo.php?riferimento=Isaia+9&versioni%5B%5D=C.E.I.

[153] https://www.laparola.net/testo.php?riferimento=Isaia+10&versioni%5B%5D=C.E.I.

[154] Idem.

[155] http://www.laparola.net/testo.php?riferimento=mt%207:15-20&versioni[]=Commentario

[156] P. Dimond, p. 43. Disponibile al seguente indirizzo: https://t.me/la_questione_giudaica/184

[157] Aa. Vv., “La gnosi tra luci e ombre” Atti del secondo convegno di studi sull’opera di don Ennio Innocenti, Napoli 29-31 Ottobre 2009, Sacra Fraternitas Aurigarum in Urbe, Roma 2010, p. 11. Cfr. G. Barbiellini Amidei, Crolla Marx si riscopre Dio, in Il Tempo, 10 ottobre 1991, 3.

[158] Julio Meinvielle, Influsso dello gnosticismo ebraico in ambiente cristiano, Sacra Fraternitas Aurigarum in Urbe, Roma 1995, pp. 269-270. Disponibile sul canale Telegram di “laquestionegiudaica”, al seguente indirizzo: https://t.me/la_questione_giudaica/153

[159] https://it.wikipedia.org/wiki/Antioco_IV#Gli_ultimi_anni:_la_ribellione_dei_Maccabei_e_la_spedizione_in_Oriente

[160] https://it.wikipedia.org/wiki/Tipologia_(teologia)#Esempi_di_tipologie

[161] https://www.laparola.net/testo.php?riferimento=Isaia+57,3-5&versioni%5B%5D=C.E.I. È bene sottolinearlo, chi non crede all’accusa del sangue deve allora credere ad una cospirazione giudeo-cristiano-pagano-islamo-nazista nei confronti degli ebrei, vista la vastità con la quale questa famigerata accusa si è propagata nel corso dei secoli. Infatti è bene ricordare che, pur essendo sempre stata, quella del sangue, un’accusa formulata dai cristiani, bisogna segnalare che un “grammatico alessandrino del I secolo, Apione, muove accuse infamanti nei confronti degli ebrei, tra cui quella di essere misantropi, di adorare una testa d’asino, di non rispettare le divinità locali, e di praticare omicidi rituali” (https://www.osservatorioantisemitismo.it/approfondimenti/dallantigiudaismo-cristiano-delle-origini-alle-crociate/). Una più corretta traduzione di Isaia 57:5, si può trovare nella bibbia di re Giacomo: “Enflaming yourselves with idols under every green tree, slaying the children in the valleys under the clifts of the rocks”(https://biblehub.com/kjv/isaiah/57.htm). Qui Isaia accusa gli ebrei, non solo di commettere omicidi rituali, ma anche di praticare “tree idolatry”, idolatria verso gli alberi. L’idolatria dell’albero, a ben vedere, non è una forma di semplice animismo, ma è proprio l’anticamera della variante di gnosi spuria moderna – anche detta gnosi gioachimita perché iniziata formalmente da Gioacchino da Fiore – oggi nota come gnosi ecologista, che praticamente sostiene l'”Ipotesi di Gaia”, quella “teoria” gnostica (o comunque utilizzabile in maniera gnostica) per la quale l’intera Terra resta in omeostasi per via di una teleologia per così dire, attuata da tutto il biota che collabora – interagendo con se stesso e le componenti inorganiche (abiotiche) della Terra – a mantenere stabili le variabili ambientali terrestri. Da qui in poi il passo verso la teoria della “Madre Terra” – con la concezione della Terra come autentico organismo vivente – è breve, e porta all’idolatria della Terra e al panteismo. Non è difficile vedere dove va a parare la gnosi ecologista, i cui semi sono contenuti nel Talmud Babilonese, sono stati piantati da Gioacchino da Fiore, e hanno prodotto i loro frutti maturi negli ultimi due secoli.

[162] A. Solgenitsin, op. cit., p. 309, n. 9.

[163] http://jewishencyclopedia.com/articles/10846-min (Elizabeth Dilling, pure cita la Jewish Encyclopedia del 1905, per fornire la definizione del termine “minim”. “The 1905 Jewish Encyclopedia states: “During the first century of Christianity the Rabbis lived on friendly terms with the minim” (Christians)”. Il termine “friendly” è usato dall’Enciclopedia giudaica come modo di dire (E. Dilling, p. 36)).

[164] https://t.me/la_questione_giudaica/186

[165] https://www.sdjewishworld.com/2013/12/27/davening-at-victorias-secret/

[166] E. Dilling, p. 72.

[167] Ibidem, p. 92.

[168] Ibidem, pp. 76-77.

“L’odio si copre di simulazione, ma la sua malizia apparirà pubblicamente” (Pr 26:26)

L’origine ebraica del protestantesimo in Bernard Lazare (di Andrea Giacobazzi).

L’Origine ebraica del protestantesimo in Bernard Lazare

“Roma – di Andrea Giacobazzi – Quello che segue non può definirsi un articolo – o un saggio – sui legami tra eresie “cristiane” ed ebraismo. Si tratta sostanzialmente di una raccolta di estratti provenienti da un unico libro: L’antisemitismo. Storia e Cause [1] (1894) del sionista Bernard Lazare, esponente di spicco della cultura ebraica a cavallo dei secoli XIX e XX. Questa piccola presentazione può valere contemporaneamente come parziale recensione (nel senso etimologico di “passare in rassegna”) e come base di riflessione circa la lucida analisi con cui, un autore ben distante dal Cattolicesimo Romano, sembra convergere su determinate interpretazioni storico-teologiche. Il tema pare ancor più interessante se viene letto, a differenza di ciò che fa Lazare, nell’ottica della Chiesa che – in quanto Novus Israel, Verus Israel – ha nella sua Dottrina il vero compimento della Legge Mosaica.

Riflessione sulle eterodossie farisaiche

Nella Tradizione ecclesiastica si trova la continuazione perfetta di quel retto cammino che – già prima della venuta di Cristo – era stato deviato, in ambito ebraico, da varie “tradizioni umane” ed infine dallo spirito delle eterodossie farisaiche a causa delle quali il Messia non fu riconosciuto da tutti i giudei [2] (“Guai a voi, scribi e farisei ipocriti, che chiudete il regno dei cieli davanti agli uomini; perché così voi non vi entrate, e non lasciate entrare nemmeno quelli che vogliono entrarci”) [3]. Facilmente si capisce come il giudaismo di oggi abbia poco a che vedere con i Santi Profeti veterotestamentari che tante volte richiamarono il popolo e le sue autorità alla Fede genuina. Ma torniamo alle eresie “cristiane”: cosa afferma dunque il Lazare su questa “corrente ebraica” che pare inseguire e colpire, di setta in setta, il Nuovo Israele cattolico?

Gli estratti, le eresie – Dall’Ebionismo al Protestantesimo

Seppure in maniera frammentaria e con qualche inesattezza che si ritrova nel testo, lo scrittore ebreo comincia dalle origini: […] Si potrebbe scrivere la storia della corrente ebraica nella chiesa cristiana, storia che partirebbe dall’Ebionismo [4] iniziale per arrivare al protestantesimo (p. 51)

Prima di giungere al luteranesimo

Prima di giungere al luteranesimo: […] Alcuni eretici non erano forse giudaizzanti? I Pasagiani dell’alta Italia osservavano la legge mosaica; l’eresia di Orléans era un’eresia giudaica; una setta albigese affermava che la dottrina degli ebrei era preferibile a quella dei cristiani; gli Ussiti erano assecondati dagli ebrei […] (p.107); […]

Contro i seguaci della Scolastica

Per vincere i seguaci della scolastica, gli umanisti dell’impero divennero teologi e per essere meglio armati andarono alle fonti: impararono la lingua ebraica, non per una sorta di dilettantismo o per amore della scienza come Pico della Mirandola e gli italiani, ma per trovare argomenti contro gli avversari. Nel corso di questi anni che preannunciano la Riforma, l’ebreo divenne educatore e insegnò l’ebraico ai sapienti. Li iniziò ai misteri della Kabbalah, dopo aver loro aperto le porte della filosofia araba li armò contro il cattolicesimo della straordinaria esegesi che i rabbini avevano coltivato e resa forte: quell’esegesi di cui saprà servirsi il protestantesimo e più tardi il razionalismo. (p. 120) Infine, sul protestantesimo propriamente detto, riportiamo questo interessantissimo estratto:

La Riforma, sia in Germania che in Inghilterra

[…] La Riforma, sia in Germania che in Inghilterra, fu uno di quei momenti in cui il Cristianesimo si ritemprò alle fonti ebraiche. Con il protestantesimo lo spirito ebraico trionfò. Per certi aspetti, la Riforma fu un ritorno all’antico Ebionismo del periodo evangelico. Gran parte delle sette protestanti furono semiebraiche e più tardi dei protestanti predicarono dottrine antitrinitarie: tra altri Michel Servet* ed i due Soncino di Siena.

Antitrinitarismo in Transilvania ed eccellenza dell’ebraismo

Persino in Transilvania l’antitrinitarismo era fiorito nel XVI secolo e Seidelius** aveva sostenuto l’eccellenza dell’ebraismo e del Decalogo. I Vangeli furono abbandonati a favore della Bibbia e l’Apocalisse. E’ ben nota l’influenza che questi due libri esercitarono sui Luterani e i Calvinisti e soprattutto sui Riformatori e i rivoluzionari inglesi, influenza che perdurò fino al XVIII secolo; a lei si devono i Quaccheri, i Metodisti, i Pietisti e soprattutto i Millenaristi, gli Uomini della Quinta Monarchia che con Venner a Londra sognavano la repubblica e si alleavano con i Livellatori di John Lilburn.

Il protestantesimo in Germania – Analogie tra Lutero e Maometto

Anche in Germania, il protestantesimo all’inizio cercò di attirare gli ebrei e da questo punto di vista è singolare l’analogia tra Lutero e Maometto, entrambi trassero le loro dottrine da fonti ebraiche, entrambi vollero far approvare i loro nuovi dogmi da quel che restava d’Israele. […] (p. 122). Nonostante le avversità e gli scontri, il Cattolicesimo continuava a chiamare a sé gli ebrei: […].

Gli ebrei in Germania, al tempo di Lutero, non furono maltrattati…

Ed è anche agli Ebrei che Luterani e Calvinisti si rivolgono, anzi sembra che questi ultimi sarebbero stati pienamente convinti della giustezza della loro causa se i figli di Giacobbe si fossero uniti a loro. Ma gli Ebrei furono sempre il popolo ostinato della Scrittura, il popolo testardo, ribelle a qualsiasi imposizione, tenace, fedele con animo intrepido al proprio Dio e alla propria Legge. La predicazione di Lutero fu vana ed il collerico monaco pubblicò contro gli ebrei un terribile libello. […] Nonostante queste violenze, nonostante questi movimenti, nonostante le numerose controversie che ebbero luogo tra protestanti ed Ebrei, questi ultimi in Germania non furono maltrattati. (p. 123).

Al tempo dei telepredicatori filoisraeliani statunitensi

Il tema “protestantesimo” si ferma ovviamente al 1894: parecchio si potrebbe aggiungere in un eventuale aggiornamento che comprendesse l’attuale neoprotestantesimo dei telepredicatori filoisraeliani statunitensi. Gli spunti qui riportati valgono come invito alla lettura dell’intero libro di Lazare, di cui l’aspetto trattato in queste righe è solo un frammento. Il testo rappresenta una acuta descrizione – sebbene in più punti caratterizzata da non condivisibili accenti anticristiani – della polarizzazione del rapporto “ebrei – non-ebrei” nel corso dei millenni. Scrivendo l’opera che lo rese celebre, Lazare, un giudeo “secolarizzato attratto dai movimenti anarchici e socialisti, sosteneva che la causa dell’antisemitismo non doveva essere ricercata tanto negli antisemiti, quanto piuttosto nella mentalità stessa degli ebrei” [5]. Va sicuramente riconosciuto al Centro Librario Sodalitium di Verrua Savoia il merito di averlo tradotto e diffuso in ambito italofono” [6].

Michael_Servetus1

Nell’immagine soprastante: Michael Servetus (ebreo) (1509 o 1511 – 1553), teologo del regno d’Aragona del XVI° secolo, diffondeva dottrine protestanti oltre che giudaizzanti. Ci sono ovvi marcatori di ebraicità, sia pure da confermare, nella discussione su Wikipedia riguardante la sua crittoebraicità: https://en.wikipedia.org/wiki/Talk:Michael_Servetus/Archive_1

*Michael Servetus, è un probabile crittoebreo discendente da una famiglia di marrani, già solo la discussione sulla sua presunta ebraicità contiene molte delle circostanze tipiche nelle quali si ritrovano i crittoebrei (cambio di nome, patrocinato, fuga dall’Inquisizione, “ignoranza delle proprie origini ebraiche” ecc. ecc.). Le sue liti con Giovanni Calvino andrebbero considerate per quelle che sembrano: simulazioni giudaiche divergenti, dove gli ebrei sono uniti nel fingersi divisi. Nel contesto in cui attuavano le loro simulazioni divergenti, lo scopo di Calvino e Servetus era quello di dividere i cristiani e confonderli, quanto più possibile, anche a costo della propria stessa vita. Sotto questo aspetto, Servetus ha mostrato una notevole dose di abnegazione giudaica.

**Martin Seidelius, altro probabile crittoebreo “polacco”, che fomentava dottrine semi-giudaizzanti.

Fonti:

[1] Bernard Lazare, L’antisemitismo. Storia e Cause, Centro Librario Sodalitium, Verrua Savoia, 2000.

[2] Cfr: A. Giacobazzi, Lo smarrimento di David, Rinascita, 17-5-13, pp. 12-15.

[3] Matteo 23, 13.

[4] Ebionismo: Corrente di cristiani “giudaizzanti” dei primi secoli. Negavano la divinità di Gesù Cristo e contemporanemente rigettavano gli scritti di san Paolo, considerandolo alla stregua di un apostata.

[5] Dalla quarta di copertina del volume.

[6] http://www.quieuropa.it/lorigine-ebraica-del-protestantesimo-in-bernard-lazare/

“L’odio si copre di simulazione, ma la sua malizia apparirà pubblicamente” (Pr 26:26)

TATTICHE GIUDAICHE: Diversione strategica. Le origini ebraiche della Perfidia di Albione, che si esplica attraverso l'”Intelligence Service”, il sistema di sette e logge che da cinquecento anni regge l’impero inglese, una diversione strategica del giudaismo (di Luigi Cabrini).

INTRODUZIONE

Quello che segue è uno stralcio del libro di Luigi Cabrini, “Il Potere Segreto”, al quale abbiamo fatto spesso riferimento, per via delle informazioni eccellenti ivi contenute. Luigi Cabrini aveva non solo una conoscenza approfondita di logge e sette di ogni genere, ma vantava anche contatti con membri di queste sette, che gli avrebbero fatto diverse confidenze, in merito alla politica mondiale e al problema ebraico. In particolare, già nell’anno 1951 – anno di pubblicazione di questo libro censurato dal giudaismo e che è costato all’autore l’esilio in manicomio perché sapeva troppe cose scomode – si snoda il piano del giudaismo mondiale, volto a sopraffare l’Occidente e Roma cattolica attraverso le orde bolsceviche orientali. L’inghilterra in particolare sarebbe al centro di questo piano, perché l’impero inglese, secondo Luigi Cabrini, è una diversione strategica del giudaismo da oltre cinque secoli, attraverso un sistema di sette e logge che va sotto il nome di “Intelligence Service” [1]. Effettivamente, non si spiega come un paese minuscolo come l’Inghilterra, riesca a tenere testa ad imperi come quello russo, cinese, e ottomano. Senza parlare di come l’Inghilterra se l’è giocata alla pari anche con gli Stati Uniti, almeno fino agli accordi di Bretton Woods, che sembrano sancire l’egemonia statunitense sul pianeta, nel ruolo di poliziotto del mondo, all’insegna dell’americanismo-giudaismo e dell’esportazione dei suoi valori. Luigi Cabrini dipinge un quadro in cui l’Inghilterra si “serve” di queste sette per reggere il suo impero, e il ruolo di tali sette e logge sarebbe quello della guerra non convenzionale, basata su agenti doppi che infiltrano le nazioni-colonia dell’impero inglese, e ne compromettono/rallentano lo sviluppo, attraverso le onnipresenti simulazioni giudaiche. Perché se non è con questo meccanismo che l’impero inglese ha retto all’azione del tempo, allora su cos’altro dovrebbe basarsi?

Ne risulta comunque un’Inghilterra più serva che padrona del giudaismo, e forse, non è mai stata padrona in casa sua, fin dalla “Rivoluzione Inglese”, guidata da Oliver Cromwell [2], nella quale non potevano mancare elementi ebraici, come in tutte le rivoluzioni che poi si susseguiranno in Europa, e finanche in Russia, con la Rivoluzione ebraica del 1917.

Il piano del giudaismo è quello di utilizzare l’Oriente per schiacciare l’Occidente, che è il simbolo della cristianità. L’attacco del giudeo parte anche dall’Africa e dal Medio Oriente, attraverso l’immigrazione di scimmie nere a tappe forzate, o per meglio dire, quel gruppo di persone che i rabbini più spregiudicati e assetati di sangue chiamano Ismaele, che deve fare da bastone di Israele per distruggere Edom, Roma, affinché il fantomatico messia talmudico tanto a lungo reclamato dagli ebrei, faccia finalmente la sua comparsa.

Per quanto assurda possa sembrare, quella in cui siamo oggi, come forse siamo da millenni, è una guerra, dove i confini tra i moventi etnici, religiosi, e politici, si diradano sempre più. Ad ogni modo il movente religioso, a giudicare dalle dichiarazioni rabbiniche, resta il movente principale, laddove i moventi etnici, politici, ed eventualmente economici, sono solo una copertura per nascondere il movente religioso. Ciò fa degli ebrei un popolo di milioni di rabbini sotto copertura. Si improvvisano giornalisti, banchieri, filosofi, scrittori, politici, ma nelle loro menzogne si può intravedere, talvolta in maniera palese, altre volte in maniera più nascosta, il movente religioso della guerra nella quale siamo oggi.

A proposito di tale guerra tra Oriente e Occidente, risulta evidente che le teorie del maggiore Anatoliy Golytsin sul collasso dell’Unione Sovietica – interpretato dal Golytsin  come una simulazione di lungo termine, per ingannare l’Occidente – non possono essere comprese fino a quando il problema ebraico non diventa parte dell’equazione. Ciò vuol dire che la Russia è stata guidata da crittoebrei, prima e dopo, il suo collasso. Ma questa è un’altra storia.

Quanto alle teorie di Cabrini, gli diamo credito per le sue referenze, e per il fatto che attraverso le ricorrenze cabalistiche è riuscito a decifrare se non addirittura a prevedere il comportamento della Massoneria Universale, con sede ufficiale a Londra – e Parigi  come quartier generale [3] – e che ha la funzione di coordinare il sistema di logge e sette, di cui l’Inghilterra ha bisogno per dare credito alla sua Perfidia, la perfidia di Albione, che non è altro che perfidia giudaica. Cabrini non manca di segnalare anche le complicate relazioni di parentela stabilite dai vari ebrei , a capo di queste sette o comunque in posizioni influenti nella politica e/o nell’economia. Dopotutto, abbiamo già assaporato il carattere ebraico della Perfidia di Albione, specie quando l’autore slavo Bostunitsch, nel suo libello “A Sea of Blood”, accusa l’Inghilterra di essere il paese mandante degli omicidi degli zar Pietro III, Paolo I, Alessandro II e Alessandro III. Abbiamo visto anche il supporto dell’Inghilterra alle forze bolsceviche – attraverso il bombardamento di Riga, dove c’era l’Armata Bianca – in un articolo in cui abbiamo dimostrato l’ebraicità della diversione strategica, una fondamentale tattica giudaica. A conferma del filo-bolscevismo inglese, Cabrini ci informa che anche “la grave “Gazzetta del Popolo” di Torino rivelerà che tutta la propaganda bolscevica in tempo di guerra usciva dagli uffici del Consolato di Gran Bretagna e con tanto di stampati U.R.S.S…una vera truffa all’americana dunque?” [4].

Abbiamo visto le accuse della rivista “Solidarietà“, che ha dimostrato i rapporti tra il crittoebreo Eugenio Cefis e l’Inghilterra, nonché il vero movente dell’omicidio di Mattei, e cioè fermare la sua strategia “volta a spezzare il monopolio delle “sette sorelle della regina””. La rivista ha anche citato dei documenti in cui la Perfida Albione si pone come protagonista della strategia della tensione degli anni settanta. Con il ruolo che hanno avuto gli Stati Uniti e l’Unione Sovietica nella strategia della tensione in Italia, il ruolo dell’Intelligence Service sembra mostrarsi solo a livelli elevatissimi e in maniera estremamente subdola, in quanto gli ebrei sono ovunque, e stabilire dove si trova un centro di potere – ammesso che ce ne sia uno solo – non è immediato come sembra.

Da ricordare anche le minacce dell’OAS ad Enrico Mattei tramite Yves Guerin Serac, che sospettiamo fortemente di essere un crittoebreo e un agente dell’Intelligence Service, visto e considerato che il braccio armato di tale internazionale ebraica, cioè la Permindex, era in rapporti con l’OAS. Probabilmente crittoebrei nell’OAS,  la mafia italo-americana, e il Mossad, erano presenti al momento del sabotaggio dell’aereo di Enrico Mattei. Nella strage di Bascapé, in cui morì anche Enrico Mattei, è probabile che gli ebrei fossero sia esecutori che osservatori e organizzatori. Uno schema simile lo incontreremo quando parleremo dell’esfiltrazione all’ultimo secondo di Martin Bormann, visto che anche nella squadra di esfiltrazione erano presenti degli ebrei, ma questa è un’altra storia.

Inutile scrivere qui che la famiglia reale inglese è stata da tempo infiltrata dal giudaismo, tant’è vero che alcuni membri della famiglia Windsor hanno fatto parte del Menorah* di guerra, il sinedrio supremo di diversori strategici che secondo Luigi Cabrini ha tirato le fila della Seconda Simulazione Mondiale, il che vuol dire che questi membri della famiglia reale inglese, devono per forza di cose essere delle cellule fantasma, o se si preferisce, dei crittoebrei. Se la famiglia reale inglese non fosse stata infiltrata dagli ebrei, non potremmo dire che l’impero inglese è una diversione strategica del giudaismo.

Non abbiamo avuto modo di verificare l’esistenza di ognuna delle singole sette menzionate da Cabrini, ma accettiamo lo stesso con fiducia il suo resoconto.  D’altro canto il libro contiene non pochi refusi, quindi i nomi di alcune organizzazioni potrebbero essere sbagliati.

Abbiamo barrato le frasi di Luigi Cabrini con le quali non siamo d’accordo, inserito delle precisazioni tra parentesi, e messo dei punti all’interno di parentesi quadre, per intendere che, in quei punti, abbiamo omesso passaggi ritenuti non necessari.

FINE DELL’INTRODUZIONE


“In Russia, si badi bene, non era mai stato ammesso il rito massonico e la massoneria russa fu per lungo tempo vietata. Stranamente (non per noi però) la Massoneria russa fu riammessa nel 1935 in occasione della guerra d’Africa che, anche se portata a buon fine dall’Italia fascista (!!) non chiuse la partita per la Massoneria internazionale ebraica. La loggia massonica del 1935 riaperta nella ex Capitale russa si chiamava “Al Celeste Silenzio” e servì da preludio alla decisione del “Plenum” di Mosca dell’agosto 1935 nel quale si decideva di comprendere con la parola “fascista” ogni nemico della Russia sovietica (ebraica) e perciò nemici e fascisti erano i capitalisti, la borghesia, il clero, la religione cattolica il Papa, la democrazia, ecc. ecc.

È visibile quindi che il movimento […] rivoluzionario e bolscevico è generato da alcune sette e società segrete completamente in mani ebraiche e per il loro dominio del mondo si è scatenata una lotta a vasto raggio che è solamente religiosa anche se i movimenti vari assumono aspetti politici e sociali. Del resto anche Richelieu che se ne intendeva pronunciò la seguente frase: “Se Calvino e Lutero fossero stati imprigionati quando presero a dogmatizzare, sarebbero stati risparmiati agli Stati molti torbidi”. E a dire dello stesso Lutero, che riconobbe in fin di vita il suo errore, egli fu strumento incosciente degli ebrei nemici di Roma cattolica. Dalla Germania conquistata, specie dopo la morte di Bismark, gli ebrei si impossessarono della Russia da cui organizzarono l’ultimo assalto alla civiltà occidentale, dopo l’avvenuta distruzione di Europa e di America, per il dominio del mondo.

Ma prima di arrivare a ciò bisognerà annientare le forze occulte e segrete cheancora attualmente sono controllate dall’Inghilterra. Poiché scopo di questa “degenerazione erotica” (per Luigi Cabrini gli ebrei userebbero il parossismo erotico come forma ulteriore di sovversione ideologica, infatti è noto il loro ruolo nella diffusione della pornografia, oggi, come ai tempi della Repubblica tedesca di Weimar, nda) è quello di distruggere la religione cristiana per l’instaurazione di una “nuova religione”, vuol dire che il bolscevismo mosso dagli ebrei è prettamente un fenomeno asiatico e come tale in funzione di una supremazia religiosa asiatica talmudista anticristiana. L’affievolimento della religione Cattolica ottenuto attraverso un grande sovvertimento dei valori spirituali conseguenti a guerre e rivoluzioni da loro stessi ebrei organizzate, per la troppa generosità e tolleranza della Chiesa che li ha immessi nella Società Occidentale, ha finito per renderli conosciuti a tutto il mondo […] e ora si sta preparando la prova suprema, quella della loro stessa conservazione.

In Asia ci sono tre centrali di sette segrete, collegate fra di loro e cioè:

  1. Il Tibet o Tetto del Mondo con tre capi e rispettivamente, il Dalai Lma, sedente in un convento, il Pantsa Lama, pure sedente in un convento e dirigente la organizzazione del buddismo con filiale in America detto l'”Aviatore d’Oro”, legato al “Rotary Club”, protagonista del tradimento e massacro del Nord Italia (Cabrini si riferisce alla guerra civile del 1943-1945 nda), e il Lama a Urga, capo del movimento buddista-mongolo, controllato dalla Russia sovietica;
  2. Il Ceylon o Porta del Mondo, sede del buddismo indiano, capeggiato dal Gaimar, prete mongolo che ha relazione con il Dr. Bedmajeff che ha collegamenti a Londra e San Francisco. Fra queste sette e gli ebrei vi sono collegamenti eseguiti da agenti del Comintern a mezzo atei e (altri, nda) giudei. Le maggiori città che hanno sette occultistiche-filosofiche sono Hollywood, Los Angeles, San Francisco, ecc. Tutto questo movimento occulto religioso e settario fa capo (con le società di films) al cosiddetto “Lamismo” che è diretto da un certo Donaldo Lama, che vive in regime mistico in un grandioso tempio detto “Tempio della Nuova Religione”.

Tutto quanto si organizza e fa capo alle sette del Tibet, India, Cina, Giappone, Arabia, Egitto, con molte centinaia di sedi viene unificato dalla società mondiale della Croce Uncinata Rossa. Questa società mondiale ha anche sedi sparse un po’ ovunque nella stessa Russia e per comprova si ha che al tempo di Kerensky sui rubli dell’epoca, sotto l’aquila doppia russa vi era al centro della banconota una Croce Uncinata Rossa. Prova quindi che la setta era vigile e attiva e non si collega per nulla al movimento nazionalista germanico del primo dopoguerra (Luigi Cabrini afferma questa estraneità, ma secondo noi è discutibile, nda).

Almeno questo nel pensiero e nell’azione di Hitler, cattolico, che differiva, in forma fondamentale, da quello […] del Gen. Ludendorf, capo di una setta e rappresentante delle forze militariste anelanti alla rivincita (e vendetta). La Croce Uncinata del tempo di Kerensky significava un simbolo religioso di una setta asiatica ed ebraica.

Accanto a tali sette dei Lama vi è anche quella degli “Oomotokyo” che si ripromette la collaborazione in campo religioso fra Giappone e Islam e precisamente con la setta Islamica Ahmadiya che svolge attività missionaria in Africa e che raggruppa circa 20 milioni di soci presenti in Giappone, India, Africa, America ed Europa. In America vi è una filiazione di questa setta che fa capo a father Divine e che raggruppa i suoi affiliati fra i negri. Altra setta più conosciuta dalla nostra “intelligente” borghesia addottorata in diverse Università “laiche” è quella dell’Armata della Salute detta in francese “Armée de la Salue” (salue in francese non significa “salute”, nda), oppure “Die heilige Armée” in tedesco, facenti capo all’Inghilterra che ne tira i fili a piacimento. Oltre a questa delle diaconesse dell’Armata della Salute vi è la setta dei “Boys Scouts”, organizzazione internazionale a scopo turistico-sportivo ma in effetti setta pseudo religiosa dell’ebraismo inglese (Cabrini non fornisce prove per questa affermazione, nda).

Ma ritorniamo all’Asia: altra società segreta Islamica è quella degli Hashashin con 7 gradi di gerarchia e cioè: “Fratelli”, “Fedavi” (offerenti), “Refik” (artigiano), “Dai” (maestri), “Dai-Kebir” (gran priori), “Sidna” (Sheik el Shebel o vecchio della montagna). Sempre nel campo Islamico troviamo un altro famoso capo di una setta orientale e che ha riempito le cronache mondane dei nostri tempi. Si tratta del Principe Aga Khan, capo della setta ismailita e che non ha trovato di meglio nella sua borsa valori che consenso al figlio per le nozze con l’artista cinematograifca […] Rita Hayworth. Più che un matrimonio d’amore […] si tratta di un legamento di enormi interessi facenti capo ai due sposi. Tutte queste sette sono tenute in collegamento con le Americhe e l’Europa dagli Ordini esoterici dei monaci d’India.

Un capo indiano, molto noto, di tali sette era Ghandi che, secondo un Lord inglese, passò dal 1936 al comunismo (ecco come si spiegano poi gli attentati e le morti violente con relativo falò del cadavere e dispersione delle ceneri). I legami che queste sette mantengono in Europa sono con la Svizzera e Parigi. In Isvizzera la setta che mantiene rapporti con tali ordini è la società “Eranos”, mentre in Inghilterra vi è il Gruppo di Oxford (detto in tedesco Oxfordsbewegung) che ha due satelliti in Isvizzera con l’M.R.M. (Mouvement Rearmement Moral) e in America con la “Christian Science”.

Tutte queste sette sono collegate fra di loro e controllate più o meno occultamente dall’Inghilterra e cioè dalla struttura finanziaria e commerciale più potente che esista al mondo. […]…È però vero che qualche volta si è avverato il caso che anche alcune sette si ribellarono a Londra e combatterono contro l’Impero inglese. Ma finora la prova suprema per l’Inghilterra non è ancora giunta, anche se mi pare prossima. Così almeno dimostrano di far capire gli americani, i “cugini” e “alleati” di ieri.

Altra setta che fa capo ad altro ebreo inglese è il Fabianismo il cui principale animatore era quell’Harold Lasky, morto per un colpo al cuore nel primo semestre del 1950 all’età di 52 anni (in realtà 57, nda)! Ma noi sappiamo che il Fabianismo è la setta che controlla e dirige tutto il socialismo inglese, meglio noto come laburismo che ha addentellati più o meno numerosi in Canada, Australia, Stati Uniti, e Giappone. Sappiamo anche perché il Lasky, che si oppose a un accordo in “extremis” nel marzo 1945, venendo poi in Italia (Firenze) a vantarsi del veto parlamentare agli accordi di G.P.-W.C. con conseguente disastro del Nord Italia, non poté sopravvivere. La sua morte è simile a quella che avviene in Italia di moltissimi altri voltagabbana ed approfittatori che, operati di appendicite, muoiono di peritonite…(questa di eliminare i propri nemici del momento con operazioni chirurgiche è in realtà una tattica giudaica, che abbiamo ribattezzato non a caso “operazione riuscita”, nda). […]…Oltre a quelle già enunciate vi sono poi le sette dei Rosacroce e quelle ebraiche vere e proprie. I Rosacroce hanno la loro sede in India e il loro capo è G. W. Surya che significa “Sole” e che vive vicino alla tomba di Paracelso. Anche in Isvizzera vi sono elementi dei Rosacroce e può essere che abbiano ramificazioni anche in Italia, specie nella zona dell’Adriatico come me ne parlò minutamente mio padre, artigiano, prima socialista riformista e quindi fascista nel 1922-23. Da confessione di alcuni elementi della setta del Tibet o tetto del mondo, si è appreso ultimamente che il dittatore della Russia Sovietica, Stalin, abbia ricevuto una missione asiatica da compiere. Difatti lo stesso nome di famiglia di Stalin (che è uno pseudonimo) e cioè Dgiurcosvili, significa in armeno “Uomo di Israele” (in realtà esistono più spiegazioni su una presunta etimologia giudaica del nome di Stalin che youtubers truccatrici esperte di make-up, come vedremo in seguito. Questo vuol dire che le spiegazioni sul nome di Stalin sono davvero…infinite, quanto a questo caso in particolare, non crediamo che ci siano riscontri nella lingua armena nda). Infatti Stalin è meticcio, figlio di madre ebrea e originario della Georgia. Fu educato anch’egli in un seminario per diversi anni e i suoi antenati, circa un secolo fa, si fecero cristiani ortodossi. Ma come si afferma da parte di alcuni elementi della setta Tibetana, Stalin sarebbe stato investito di una missione dalle genti dell’Asia (che in questo caso significa non solo genti ebraiche) e però è stato affermato dal capo dei Rosacroce, Surya, il Governo dell’Anticristo (qui si ha una demonizzazione del popolo ebraico nel senso letterale del termine, un meccanismo tipico del cattolicesimo pre-conciliare, che considera Gesù trino e il popolo ebraico che lo ha rifiutato, bino. Anche Bobby Fischer, un ebreo giusto tra le nazioni, aveva questa concezione dell’ebreo come demone e essere umano al tempo stesso, tuttavia “laquestionegiudaica” si rifiuta di demonizzare il popolo ebraico in senso letterale, quanto alla sua demonizzazione figurata, sarebbe l’equivalente di chiamarci “jew-basher”, cioè il tipo di antisemita che accolla agli ebrei tutte le colpe possibili e immaginabili. Sinceramente non crediamo di aver demonizzato il popolo ebraico in nessuno dei due sensi, quindi ci dissociamo da questo passaggio in particolare, nda). Lo stesso gruppo dei Rosacroce afferma che verso il periodo 1940-55 si arriverà a una “Nuova Era” mondiale e che durerà 2160 anni e che tutto questo immenso lavorìo di sette e di previsioni con accordi e alleanze segrete, parte dai Savi del Tibet. A questo punto devo fare una nota per avvertire i lettori che il 28 marzo 1950 il Senatore americano Latimore, attaccato dal giornalista Drews Pearson come comunista, è partito in missione speciale straordinaria come Ambasciatore, per il Tibet. […]…Altra aliquota dei Rosacroce opera in California, con sede in S. Francisco ma la vera base dei Berretti rossi e Berretti gialli; i primi diretti da un tibetano, gli altri da un indiano. Oltre a quelle fraternite ci sono quelle dei Berretti neri e Berretti bianchi, con scure e frecce. Un Rosacrociano che viveva in Isvizzera al tempo della prima guerra mondiale, certo Steiner, sarebbe stato il maggior responsabiledella ritirata delle truppe germaniche nella battaglia della Marna, perché lo Steiner avrebbe “occultamente” influenzato il Gen. Moltke, presso il Q.G. dell’esercito operante. Lo Steiner, quindi, che risulta ebreo avrebbe così confessato di aver tradito la sua patria tedesca e tale affermazione sua venne più tardi confermata quando furono trovati alcuni documenti nelle logge massoniche tedesche.

A tale proposito è bene notare come una figlia del musicista Stein, viennese di nascita, di nome Marion Stein, ha sposato, il 29 settembre 1949, Lord Harenwood, figlio della principessa Maria, sorella di Giorgio VI, attuale Re di Inghilterra. I giornali del nostro tempo hanno riferito che a Londra, dopo l’approvazione di Re Giorgio VI al matrimonio di Harenwood, si avrà una riconciliazione (noi non crediamo) (e infatti così non è stato, nda) dell’ex coppia reale Edoardo VIII e la meticcia ebrea Wally Simpson con la corte di San Giacomo. Anche tutto questo è spiegabilissimo alla luce di quanto diremo ora e serve inoltre a spiegare le difficoltà immense cui va incontro l’Impero Inglese e quanti addentellati muove per poter sopravvivere.

Fra le forze occulte debbasi porre anche quelle che passano sotto il nome di “Clubs Tantrici” con rappresentanti in Isvizzera e che raccolgono diversi gruppi filosofici facenti capo a diversi medici come “Magnus Hirschfeld, Freud, Steinach, Felix Abraham, Ivan Bloch e Vachet”. La fondatrice di questi “Clubs Tantrici” è stata la Elsi Woolf (meglio nota come Lady Mendel), legata al “De Bry Institute” di Nuova York come pure il “Brae Burn Country Club” con il “Dottor Cole” sempre in America, mentre in Inghilterra il capo di questi “Clubs” è il “Dottor Cannon”, medico del Duca di Windsor che è anche Gr. Maestro della Loggia Bianca dell’Himalaya e a Vienna se ne occupa il “Dottor Neumann”, cognato di Stalin e medico del Duca di Windsor.

A questo punto vien da collegare due fatti e cioè: 1) la spedizione svizzera all’Himalaya nel primo periodo di guerra favorevole all’Asse (i messaggeri erano degli affiliati alle “Logge alpine svizzere” che dovevano assolvere a una missione per conto della madre “Loggia” sedente a Londra e con il risultato che si vede poi da parte della democratica e amica Svizzera e della “tradizionale amica” Inghilterra); 2) la seconda spedizione, nel 1947, dopo il disaccordo delle ultime conferenze dei quattro “grandi”.

[…]…Per chi non conosce gli addentellati della massoneria elvetica con la inglese, anche se alcune volte gli atteggiamenti sembrano invertiti (si tratta di una “finzione”) (o come la chiamiamo noi, una “simulazione giudaica”, nda) provi a studiare gli effetti storici con gli avvenimenti europei e italiani e tutto sarà chiaro. Ma tenga sempre in mente la funzione di “finzione” che la Massoneria Svizzera adempie nel campo politico pro Massoneria Universale manovrata da Londra.

[…]…Inutile aggiungere che a questi circoli o “Clubs Tantrici” di cui abbiamo detto più sopra, appartiene anche la meticcia Wally Simpson, moglie del Duca di Windsor. La “Duchessa” è stata introdotta nel “Club” dalla fondatrice Lady Mendel all’anno di grazia 1935 proprio al tempo della congiura mondiale antiitaliana e della spartizione delle parti per la vendetta contro l’Italia fascista colpevole della conquista etipica voluta e incoraggiata, da una parte del governo inglese. È vero anche che Mussolini a un certo punto della campagna, quando sembrava che tutto il mondo attendesse la catastrofe dell’Italia sotto il peso della menzogna e della calunnia internazionale, unitamente agli aiuti truffaldini di armi e munizioni e di istruttori “amici” dei barbari in lotta con i missionari cattolici in camicia nera, con una minaccia paurosa e catastrofica per l’Impero inglese riuscì a travolgere le resistenze avendo vittoria completa (poi la situazione, come ben sappiamo, degenerò, e l’Italia perse la guerra, e lo scotto di tale guerra persa, lo paghiamo ancora oggi, nda).

[…]…Per chi è a corto di annuari della Corte Imperiale di Londra deve quindi sapere che la Simpson è cugina del famoso giudeo Upton Sinclair, quello stesso che presiede la Compagnia dei Petroli Sinclair e C.i e che ebbe parte indiretta nella faccenda Matteotti, nei Petroli della Valle Padana, nella “liberazione” con la canea di “sciacalli” venuti dall’estero, tutti suoi mantenuti durante il fuoriuscitismo. È lo stesso Sinclair che è parente di Philips Sassoon e quindi di Eden (che è sposato a una figlia di Sassoon) padrone del giudeo “Manchester Guardian”, il giornale della famosa profezia del 19-20 giugno 1924 a proposito della fine di Mussolini e di chi sogna la dittatura.

Tutta una rete di parentele e di intrighi di messeri giudei che “ostentano” amicizia con i “cristiani” e i cattolici se occorre pur di non perdere nulla del loro dominio occulto, potente e ateo.

[…]…Collegato con la Svizzera vi è in Olanda un “Tempio della Pace” dei “Clubs Tantrici” diretto dal Barone Ryswyk con affiliati ovunque nella Confederazione Elvetica e nel Nord America. A questo proposito posso ricordare che al tempo del mio soggiorno in Isvizzera a Zurigo, un emissario del Barone Ryswyk, che fungeva da segretario aggiunto in un’organizzazione mondiale sportiva e nella quale non figurava ufficialmente l’Inghilterra, mi “propose” di scrivere per un giornale americano articoli di arte  e di storia sull’Italia e sui rapporti culturali italo-elvetici. Egli avrebbe pensato a “introdurmi” e a farmi pagare cinquanta dollari per settimana. L’Italia era in guerra ed io non potevo accettare se non tradendo il mio paese. Non era legalmente “ancora” un tradimento poiché l’America non era entrata ancora in guerra contro L’Italia, ma per chi sapeva chi muoveva i fili della tragica rappresentazione, era l’introduzione al tradimento e al doppio gioco. Naturalmente che vi era di mezzo la solita giudea ed era l’ebrea che fino a quel tempo risultava “fidanzata” del segretario aggiunto. Non si era ancora alla svolta decisiva della guerra e non poteva ancora sposarsi…come difatti avvenne più tardi. Per quel tempo si mandava avanti il…futuro marito.

[…]…Ma torniamo al nostro argomento. La Simpson, adepta a tale gruppo filosofico-tantrico, è amica della signore Reggèe Fellowes e di una dottoressa della magia occulta, certa “Turpin”, con le quali si incontra spesso a Cannes nella Villa le Roc, con Lady Mendel e la proprietaria Lady Cholmedely la quale non è altri che la sorella di Sir Philips Sassoon! Tutta gente amica e imparentata con i giudei banchieri della Rivoluzione e della guerra totalitaria contro gli Stati del Patto Anticomintern. Anche qui dobbiamo aprire una parentesi per gli sciocchi e i faciloni. Questi politici da caffè del suburbio, non si sono mai domandati perché l’Italia, la Germania e i loro alleati facevano una guerra anticomintern enon erano in guerra con la Russia? Se il Komintern fosse stato solamente russo non poteva che essere un assurdo tale definizione. Quindi quando l’Italia e la Germania facevano la guerra anticomintern facevano la guerra principalmente all’Inghilterra e alla Francia dominate dagli interessi giudaici estromessi dall’Europa centrale. Certamente anche la Russia aveva la sua parte in tale organismo del vecchio Komintern. Ma con il patto di non aggressione Ribbentropp-Molotov-(questo aristocratico terriero polacco di nome Aschikrin, ebreo) e l’allontanamento dell’ebreo Litvinov-Finkelstein, cognato di Eden, avendo entrambi sposati due figlie di Philips Sassoon, la Russia si era spostata sul piano delle alleanze più verso l’Asse che verso le democrazie (in realtà oggi sappiamo che c’erano delle clausole segrete nel patto Molotov-Ribbentropp, e sapendo che i test del DNA su diversi parenti di Hitler hanno dimostrato che si tratta di un ebreo, questo patto sembra più una simulazione giudaica, che un vero e proprio accordo tra due parti nda).

Dunque siamo davanti a una serie infinita di sette e di occultismo giudaico, manovrate tutte da ebrei e personaggi che occupano nella gerarchia dell’Impero inglese le più alte vette. Si può affermare, per modo di dire, “Impero inglese” perché più propriamente si dovrebbe dire “associazione mondiale ebrea” sotto la denominazione di Impero inglese che vuole dominare il mondo.

I veri e autentici inglesi non ne hanno colpa di tutta questa tragica rappresentazione o piuttosto vi è una sparuta schiera di inglesi che lottano per poter disfarsi di tali nefasti avviluppamenti, ma è impresa difficile e quasi disperata. Per risorgere, l’Europa ha bisogno di questa difficile operazione chirurgica, tagliare netto e senza titubanza (con gli ebrei, isolandoli nella prigione di ghiaccio a cielo aperto che li aspetta, l’Alaska, nda).

Dunque il Duca di Windsor è legato agli ebrei orientali per la Simpson, originaria di Francoforte in Germania ed hanno entrambi sangue ebraico nelle vene.

[…]…Se i lettori ne vogliono sapere di più consultino la “Messenger and California Jewish Review”, della loggia massonica ebraica, riservata agli ebrei, anzi ai soli ebrei, B’nai B’rith a pagina sette del 14 maggio 1937, vi troveranno informazioni importantissime che poi bisognerà collegare…In tale rivista vi era anche un elenco documentatissimo dei membri della Reale Casa di Inghilterra che avevano sangue ebraico.

Dunque le sette Tantriche cui appartiene, in qualità di direttrice dei movimenti politico-religiosi la signora Simpson, ora Duchessa Windsor, hanno lo scopo di legare al carro orientale, incatenandola al carroccio giudaico, la stessa reale casa di Inghilterra, attraverso la malìa magico-erotico-tantrica di una meticcia ebrea (la Simpson) che soggiornò già in Asia oltre l’India, per addivenire alla incoronazione del novello Davide, Re di Israele e del mondo, vendicatore, nemico del Cristo e della sua Chiesa Romana (questa “tensione messianica”, come viene spesso definita, non si è realizzata certo con la dinastia dei Windsor, ma gli ebrei continuano a credere nella venuta del loro messia, e non è da escludere che in futuro, dei membri della Reale Casa di Inghilterra occuperanno davvero un posto d’onore a Gerusalemme, anche se, guardando a come gli ebrei istigano l’immigrazione nell’Occidente cristiano, il loro messia dovrebbe essere uno psicopatico originario della Russia, nda).

Naturalmente per giungere a ciò vi sono le guerre e le rivoluzioni fomentate e create da una schiera di giudei internazionali arricchiti a spese di tutti gli uomini “pecore” matte ribelli al Pastore e quindi anche dei nobili e onorati autentici inglesi, francesi, italiani, tedeschi, russi, americani, ungheresi, rumeni, bulgari, ecc. ecc. Questi giudei senza patria e senza onore, sordi alla voce del Cristo e della sua Dottrina, con ogni pretesto hanno spossato i popoli e furbescamente hanno sempre fatto vincere, allargando i tentacoli, l’Inghilterra, lasciando la Svizzera come sala da gioco di morte, per poter un giornno incoronarsi con il loro Re su tutti i popoli e dare forma ufficiale al dominio del mondo, con il loro Re Davide di Israele, a beffa e dispregio degli autentici inglesi e americani che assecondano nel tragico destino il gioco degli ebrei e del loro supernazionalismo e internazionalismo quattrinaio a spese dei vari nazionalismi tradizionali. Così la parte terroristica e di azione “diretta” (parole care al giudeo Togliatti) è nelle mani degli ebrei.

Questo vastissimo piano di sovvertimento del mondo si crede sia originario del triangolo Wilna-Kiev-Byalistok, quest’ultima città di Litvinov. In detto centro vi sono le misteriose sette cabalistiche, patria dei talmudici fanatici, dei rabbini taumaturgici (vedi padre Emil Cohen, alias Emil Ludwig e di qualche altro ebreo “ora” italiano, banchiere e finanziere di aziende di armi per la guerra internazionale). Questa centrale che ha diretta l’emigrazione dei giudei europei verso l’America e specie quella del Sud, è collegata al Nord America a mezzo della succursale di Ginevra.

È da Ginevra che partì il famoso manifesto per la formazione degli Stati Uniti Sovietici d’America attraverso l’emigrazione dei “perseguitati” ebrei dell’Europa centrale! E così in America, accanto ai Thomas Mann, al banchiere Warburg, alla Perkins, all’ex sindaco di Nuova York, La Guardia (Kohen-Luzzati) il cui padre è originario di Wilna, anche se Fiorello nacque a Nuova York e si rese celebre per aver organizzato dalla “libera Svizzera” la Rivoluzione in Ungheria del 1918; troviamo il fratello di latte di Winston Churchill, il rabbino Stephen Wise e il “filosofo” Einstein, colui che defraudò il tedesco Lorentz della giusta fama per la teoria della relatività […]…Insomma in Nord America vi è una centrale occidentale ed una orientale e questa fa capo a San Francisco, in California, tutti legati al Komintern. È laggiù che abita il fratello di Litvinov-Finkelstein-Wallace e precisamente a San Francisco, che si può ritenere la sede orientale del bolscevismo nel debole fianco degli  Stati Uniti. […]…Oltre ai “Clubs Tantrici” vi sono anche altre sette che prendono nome e personificazione dallo scopo cui si ispirano. Per esempio il “Circolo dei nudisti”, del “libero amore”, degli “invertiti” (a Zurigo questi ultimi avevano, nel 1934, quando la visitai, una sede propria con un giornale e un locale dove si incontravano le…dichiarazioni. Ora non so se sussiste sempre tale “libertà” democratica da accoppiare a quella propugnata dalla senatrice Merlin).

Naturalmente sono tutte controllate dagli ebrei, ben coadiuvati dai cosiddetti “cristiani” ariani, socialisti di tessera. Tutto è in funzione della Repubblica mondiale che scalzi imperi, regni e distrugga oltre che fisicamente anche nel ricordo, le vestigia e la potenza spirituale della Chiesa di Roma. Tutto fa capo al Sinedrio o Kahal mondiale che si ripromette di diventare padrone assoluto del mondo e delle sue ricchezze facendolo distruggere dagli stessi nemici stupidi di Israele. Sono questi stupidi nemici “le pecore matte” (chiaro riferimento al “pecore matte” di Dante Alighieri, nda) che non avvertono la pericolosità della setta e delle forze occulte sotterranee tutte controllate dagli ebrei che, primi, insegnano e praticano la dittatura spaventosa dei diritti del sangue, della razza, della loro razza “eletta” sulle altre razze decadenti e inquinate da loro stessi, apportatori del comunismo “cristiano” (o cattocomunismo, il frutto di un’operazione di mimetismo ideologico che continua ancora oggi, nda) e della cosiddetta “eguaglianza, libertà e fratellanza”!

Ed ecco un piccolo elenco delle sette terroristiche e confusionistiche. Il “Bund”, creato nel 1897 a Wilna. È un movimento marxista che appartiene alla III Internazionale dal 1920 in accordo con Simoniev. Il “Kombund”, creato nel 1922, dichiaranodsi apertamente comunista.

Il “Partito Socialista Ebraico”, creato nel 1905, operante nel Sud-Russia, in Polonia e in Balcania (ex Jugoslavia nda). I “Socialisti Indipendenti”, gruppo creato nel 1921 a Cracovia dall’ebreo Dobner. Il “Poalei Zion”, creato da terroristi nel 1905 a Poltava, specializzato per la propaganda nelle scuole inferiori e nelle Università. Nel 1914 (vedi attentato a Sarajevo come pretesto) veniva creata la setta terroristica T.I.T.O. (Organizzazione Terroristica Territoriale Judea (ebrea) per la creazione di una patria) (Cfr. Il Touring Club Italiano, agosto 1914 nda) che oggi, 1951, ha preso forma nel dittatore Joseph Brooz, detto Tito, allevato a Mosca e oggi inviso al Kominform e al Cremlino. (Chi ci crede?) (qui Cabrini fa riferimento alla simulazione giudaica divergente tra Tito e Stalin, che sono uniti nel fingersi divisi. La finta divisione interna è una tattica giudaica consegnata per osmosi all’impero sovietico nda).

Altra setta che si è rivelata con un nome nuovo in America del Sud e proprio in Colombia dove nel 1948-49 avvennero due tentativi rivoluzionari, è la cosiddetta “Rapada” a carattere comunista anche se mascherata di nazionalismo (vedi giornali del 29-8-1949). Poi la “Brith Trumpeldor”, setta creata nel 1923 e sparsa specialmente in Polonia dove conta 40.000 soci. È l’unica organizzazione militarizzata ebraica, come una specie di milizia segreta con il programma di proteggere lo Stato ebraico (di Polonia si intende). Collegata a questa vi era la “Jewish Army”, creata nel 1938 a Nuova York da Jabotinsky, lo stesso che fondò nella prima guerra mondiale (1916) la “Zion Mule Corps” per la protezione del canale di Suez e quindi nel 1918 la “Legione ebraica”. Più tardi, non riuscita la missione presso Mussolini, il Jabotinsky girovagò per l’Europa finché giunto in America del Nord trovò le adesioni al suo bellicoso spirito e alle opere per il consolidamento del fronte antigermanico e antieuropeo. Inoltre conosciamo la “Irgun Zwei Leumi”, la stessa organizzazione mondiale che dopo la morte di Jabotinsky, avvenuta nel 1940, cominciò a dimenarsi col suo terrorismo ebraico e segreto avendo per scopo di creare e difendere lo Stato ebraico di Palestina e portare il terrorismo negli altri Stati.

Se il lettore vuol divertirsi ancora a mettere in relazione le sette denominate con quanto è avvenuto nel 1949-50 in America e nei paesi minacciati dal comunismo sotto una denominazione prettamente politica (attività antiamericane) e non più sotto una denominazione antireligiosa e anticristiana (razzista) avrà una chiara idea del tragico periodo passato di quanto si prepara e di chi fu la ragione fra i Capi dell’Asse e gli inetti dirigenti delle cosiddette “democrazie” occidentali. Anche gli spioni dell’atomica in America, provenienti tutti dalle comunità ebraiche dei paesi orientali sono ormai nomi dimenticati? Si potrebbe insomma applicare una formula matematica a certe dimostrazioni. Per esempio, se il bolscevismo è l’ultimo prodotto dell’ebraismo; se quest’ultimo si traduce in politica con la parola comunismo si ha l’equazione perfetta.

[…]…Ah, se gli Italiani avessero dato ascolto a quella nobile voce che nel deserto predicava! La voce di un figlio d’Italia, Giovanni Preziosi” [5].

In foto (da sinistra verso destra e dall’alto verso il basso): Re Giorgio VI (crittoebreo), ammiraglio supremo dell’Impero inglese, mandante politico dell’omicidio di Benito Mussolini, re d’Inghilterra e capo della Massoneria Universale dal 1936 al 1952, anno della sua morte. La Massoneria Universale è il sinedrio di diversori strategici che coordina l’Intelligence Service, il sistema di sette e logge che, da oltre cinquecento anni, regge l’Impero inglese, una diversione strategica del giudaismo. Giorgio VI era anche a capo della Sezione M dell’MI6 britannico, una diversione strategica del giudaismo, rivelatasi di vitale importanza per l’esfiltrazione all’ultimo secondo dell’agente Esther di Adolf Hitler, Martin Bormann (crittoebreo), nonché di Adolf Hitler (crittoebreo) stesso. Luigi Cabrini ha classificato, nel suo libro, Charles De Gaulle e Franklin Delano Roosevelt (crittoebreo), come massoni e agenti doppi dei servizi segreti “inglesi”. In realtà anche Martin Bormann e Adolf Hitler dovrebbero essere considerati degli agenti doppi dei servizi segreti “inglesi”. Mettiamo inglesi tra virgolette perché come ha specificato lo stesso Cabrini, l’Intelligence Service è un groviglio di associazioni guidate da ebrei, in conseguenza di ciò, anche l’MI6 britannico rientra tra queste associazioni. Sicuramente l’Intelligence Service aveva ramificazioni anche in Germania, nel 1914, quindi vuol dire che Lenin era un agente doppio dei servizi segreti tedeschi, nel senso che tali servizi sono controllati in una certa misura dall’Intelligence Service, che tira le fila di molte simulazioni giudaiche, in molte nazioni, da lungo tempo. Questo spiega il supporto che l’Impero inglese ha dato al giudeo-bolscevismo: i servizi segreti tedeschi erano un ramo dell’Intelligence Service britannico. Harold Lasky (ebreo), fondatore del Fabianismo, una diversione strategica del giudaismo che controlla il socialismo inglese. Lasky è uno dei mandanti politici dell’omicidio di Benito Mussolini. Cabrini specifica che “dopo il delitto Matteotti del 1924 si era creato un “comitato permanente di azione antifascista” diretta emanazione di quello di Parigi e capeggiato da un altro ebreo Harold Lasky, lo stesso che dopo aver posto il veto all’accordo Mussolini-Churchill dell’estate 1944, verrà in maggio del 1945 a Firenze a vantarsi di aver posto il “veto” alla capitolazione condizionata di Mussolini generando così la guerra civile in Italia e le conseguenze future” (mentre sopra abbiamo letto che Lasky si oppose ad un accordo tra Giovanni Preziosi e Winston Churchill, nel marzo 1945 nda) [3]. Wally Simpson (ebrea) e Edoardo VIII (ebreo), sono tra i mandanti politici dell’omicidio di Benito Mussolini. Wally Simpson è stata per un periodo il vestale del candelabro di guerra, o quello che noi chiamiamo sinedrio supremo dei diversori strategici. La Simpson era una puttana bastarda, lo si evince dal comportamento sadico e sprezzante che ha dimostrato con Edoardo VIII. Esistono puttane bastarde di tutte le etnie, ma la perfidia giudaica potrebbe aver conferito alla Simpson quel “qualcosa in più”, viste le umiliazioni che ha riservato ad Edoardo VIII. Quest’ultimo è il fratello di re Giorgio VI ed è chiaramente un ebreo. Una possibile spiegazione per i comportamenti poco virili e proni all’umiliazione, da parte di Edoardo VIII, potrebbe essere il fatto che è stato soggetto e/o oggetto di incesto, una pratica sulla cui estensione nella comunità ebraica non abbiamo statistiche convincenti,  anche perché nessuno si è mai assunto il doloroso e scomodo compito di raccogliere tali statistiche. Come in ogni simulazione giudaica che si rispetti, facevano finta di spiarsi a vicenda:-“KING George VI spied on his brother Edward VIII after his abdication, amid suspicions the rogue royal and his American wife Wallis Simpson were Nazi sympathisers and passing information to the Germans, it has been claimed” [6]. “The FBI also “targeted, tailed and tapped” the royal couple on the orders of US President Franklin D Roosevelt” [7]. Nel documentario “Spying On The Royals” si parla di documenti di archivio che rivelano la rabbia di Churchill per il disfattismo di Edoardo VIII: “Unearthing secret files locked in the royal archives for nearly 80 years, the second part of Spying On The Royals will show how Winston Churchill was outraged to discover that the Duke and Duchess of Windsor had tried to persuade influential Americans not to join the war effort in 1941.

Professor Richard J Aldrich, who carried out the research with fellow historian Dr Rory Cormac, said: “The Duke and Duchess of Windsor imploring important Americans not to join the war on Britain’s side, it’s astonishing. It’s close to treachery actually”” [8]. “Chief Inspector Storrier, Edward’s most trusted bodyguard, was secretly reporting back to London on the royal couple, and an internal Metropolitan Police memo from 1937 states the bill for spying was “paid for by HM”” [9]. “One of Britain’s top spies, David Eccles, watched the couple when they lived in Portugal in 1940. He reported back: “They are very clearly fifth column”” [10]. “Churchill and Roosevelt were left fuming when it was uncovered that they had been urging influential Americans to abandon Britain rather than enter the war. According to one intercept, Edward was asserting it was “too late to do any good”” [11].

Altro fenomeno interessante è il loro antisemitismo, altrettanto simulato: “‘My parents were horrified by their dinner-table talk, where they made it perfectly clear that the world would have been a better place if Jews were exterminated,’ recalled Dr Leinhardt.

At one dinner party, the Duke told an English friend: ‘I have never thought Hitler was such a bad chap.’

At another party, he took hold of the hands of a lady guest, intertwining his fingers in hers to illustrate his view that the Jews had their tentacles around German society.

‘All Hitler tried to do was free the tentacles,’ he told her as the other guests looked on in horrified silence” [12].

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In foto: Joseph Stalin (crittoebreo), è uno dei mandanti politici dell’omicidio di Benito Mussolini, nel documentario “Europa: The Last Battle”, si cita un segretario della Massoneria Ebraica, il B’nai B’rith, che ha ammesso che Stalin ha origini ebraiche. Questo individuo – un agente doppio dei servizi segreti inglesi, o per meglio dire dell’Intelligence Service – è stato uno dei più grandi assassini di massa della storia. È vero, durante il suo regno del terrore un gran rabbino è stato fucilato, ma Stalin ha posto gli ebrei a capo dei Gulag, attraverso l’OGPU, e tali ebrei sono responsabili del genocidio di più di sessanta milioni di russi, stando alle stime di Solgenitsin. Stalin è anche quello che, dopo la Seconda Simulazione Mondiale – nonostante la propaganda giudeo-sovietica starnazzasse sulla rottura tra giudaismo mondiale e giudeo-bolscevismo – ha piazzato etnocentricamente ebrei a capo di tutti i satelliti dell’Unione Sovietica. Stalin è anche responsabile – insieme alla cricca di assassini ebrei dei quali si circondò, tra i quali Jagoda (ebreo) e Kaganovic (ebreo) – del genocidio per denutrizione forzata di dieci milioni di ucraini durante le “collettivizzazioni” degli anni trenta. Questo orribile crimine, forse uno dei più orribili nella storia dell’umanità, deve essere visto come una vendetta degli ebrei sul popolo ucraino, per via del suo nazionalismo secessionista, ma soprattutto, per i pogrom di Petliura e dei suoi sostenitori nel biennio 1918-1919 , di cui abbiamo già parlato, con riferimento al mimetismo ideologico degli ebrei tra nazionalismo ucraino e giudeo-bolscevismo, nel nostro articolo che dimostra come gli ebrei “italiani” siano felici e contenti di riempire l’Italia di merda. Gli ucraini avevano precedenti imperdonabili per gli ebrei, come la percezione del giudeo-bolscevismo, e il desiderio di libertà. L’holodomor è il prezzo che gli ebrei hanno fatto pagare agli ucraini, per aver osato opporsi al giudeo-bolscevismo. Quanto alle sue relazioni intime, Stalin era attorniato da amanti ebree, in particolare Cabrini riferisce che gli ebrei “mentre abbattevano in Ispagna la Monarchia di Alfonso XIII, al polo opposto insidiavano lo stesso Stalin al quale procuravano come seconda moglie Rosa Kaganovic dopo aver avvelenata la prima” [13]. In realtà si dibatte ancora oggi sull’esistenza stessa, di questa Rosa Kaganovic, e i resoconti che la riguardano sono da sottoporre a una verifica.

Vogliamo qui anticipare alcuni marcatori di ebraicità su Stalin:

  • Ha utilizzato la tattica giudaica del mimetismo ideologico (in una simulazione giudaica con Hitler, e con il popolo russo a Stalingrado).
  • Ha utilizzato la tattica giudaica del mimetismo anagrafico.
  • Ha utilizzato la tattica giudaica del modulo Kennedy con proiezione giudaica, sui suoi colleghi, più volte, e probabilmente stava per riutilizzarlo all’indomani dell’affare dei medici.
  • Stalin dice a Roosevelt di essere un sionista (ipocrisia giudaica).
  • Le sue liti con Trotsky sono simulazioni giudaiche divergenti, perché anche Stalin è un teorico della “Rivoluzione Permanente” (tattica giudaica).
  • La sovversione ideologica di Stalin, supervisore della pace mentre elabora la “Rivoluzione Permanente” (tattica giudaica).
  • La sostituzione di Maksim Litvinov (ebreo), con Vjaceslav Molotov (crittoebreo), è una simulazione giudaica convergente.
  • La sostituzione di Jejov (crittoebreo) con Laurenti Beria (crittoebreo), è una simulazione giudaica convergente (tattica giudaica).
  • La sostituzione di Jagoda (ebreo) con Jejov (crittoebreo) all’NKVD è una simulazione giudaica convergente (tattica giudaica).

(Per dimostrare l’esistenza degli ultimi due marcatori, è fondamentale dimostrare che Beria era ebreo, e abbiamo trovato diversi marcatori di ebraicità che ci hanno convinto delle sue origini ebraiche).

In foto (da sinistra verso destra e dall’alto verso il basso): Aga Khan III (crittoebreo), capo della setta dei Nizariti, una volta nota come setta degli Hashashin o setta degli assassini. Aga Khan III, come i suoi predecessori e il suo successore, sono riusciti in un tentativo di alterazione della percezione della realtà negli islamici che seguono questa branca dell’islam ismailita. Infatti gli ismaeliti (una parte degli islamici sciiti) versano parte del loro stipendio – qualunque lavoro facciano – ai vari Aga Khan, in altre parole si tratta di estorsione per diritto di sangue. Aga Khan III era un agente dei servizi segreti inglesi, diversore strategico in una ramificazione dell’Intelligence Service. Quanto alla setta degli Hashashin, è almeno dal tredicesimo secolo una diversione strategica del giudaismo, infatti in un articolo di Panorama intitolato “”Bin Laden, Marco Polo e la setta degli Hashashin…Gli antenati dei talebani?” [14], c’è “un brano tratto dal Milione di Marco Polo, dove scrive che aveva incontrato il Gran Maestro di una setta che trafficava oppio e addestrava i ragazzi che allevava ad assassinare i suoi nemici per poter tornare in paradiso!” [15]. Ora, chi sono i primi attentatori suicidi della storia? Gli ebrei, perché li abbiamo già visti in epoca zarista e di sicuro ce n’erano durante le guerre tra i giudei e i romani. Chi ha inventato la Massoneria? Gli ebrei, per questo non c’è dubbio che questo Gran Maestro di cui parla Marco Polo, fosse in realtà un crittoebreo. Chi è in grado di alterare la tua percezione della realtà fino al punto di farti credere che se ti ammazzi vai in paradiso? Gli stessi che dicono che per legge dobbiamo credere che quattro muri e una porta, anche se adiacenti ad un forno crematorio, sono delle camere a gas ad acido cianidrico. Crediamoci dunque. Gli stessi che fanno queste affermazioni, dicono, in tante lingue diverse, in tutta Europa, che l’alba del pianeta delle scimmie sarà un’epoca d’oro perché le scimmie nere pagheranno le nostre pensioni. Aga Khan III è ebreo perché suo figlio è stato classificato da Luigi Cabrini come un membro idoneo a far parte del sinedrio supremo dei diversori strategici, il che vuol dire che, per la nostra definizione di ebreo, deve essere ebreo almeno per metà, e questo può accadere solo se almeno uno dei suoi genitori è ebreo al cento per cento, o sono entrambi ebrei per metà. Se Cleope Teresa Marigliano fosse stata ebrea al cento per cento, qualche prova la si sarebbe trovata. L’ebraicità di Aly Solomon Khan deve perciò venire in buona parte per forza da Aga Khan III. Quest’ultimo deve essere ebreo almeno per metà. Rita Hayworth (ebrea), classificata da Luigi Cabrini come candidata a diventare vestale del candelabro di guerra (sinedrio supremo dei diversori strategici), deve essere ebrea almeno per metà, e infatti il riscontro si trova sia su isjewish.com che su jewnotjew.com. Sul primo sito leggiamo:-“Her father was Jewish, which makes her in some views half Jewish” [16]. Mentre il secondo sito le dà un punteggio di “ebraicità genetica” pari a quattro su cinque [17]. Aly Solomon Khan (ebreo), deve essere ebreo almeno per metà, per i motivi suddetti. Aga Khan IV (ebreo), lo abbiamo classificato come tale per i seguenti motivi:

  • È stato chiamato a dirigere la setta dei Nizariti da parte di un ebreo, sicuramente etnocentrico (tattica giudaica).
  • Circolano voci su Aga Khan IV per cui sarebbe un figlio illeggittimo, abbiamo ragione di credere che la sua ebraicità sia stata ottenuta grazie ad un’inseminazione sporca, di cui Aly Solomon Khan era a conoscenza (tattica giudaica).
  • L’ebreo talmudico e simulatore Nicholas Sarkozy, ha esentato Aga Khan IV dal pagare delle tasse in Francia…con il rispetto religioso che gli ebrei hanno per il denaro e per le prescrizioni halachiche, questa esenzione sembra etnocentrismo, un favoretto tra ebrei (tattica giudaica).

“Now according to a letter leaked to the Paris investigative website Mediapart within a year of coming to power, Sarkozy used ‘exceptional powers’ to assist the 75-year-old Aga Khan, who was born in Switzerland but who has maintained strong links with Britain all his life.

The letter, dated April 4, 2008, pledged that the Aga Khan would be let off all ‘direct taxes, stamp duty, and wealth tax’ – saving him billions.

Mr Sarkozy gave the Aga Khan an obscure diplomatic ‘courtesy’ fiscal status usually reserved for heads of state” [18].

“The then president said a tax bill of zero was justified because the Aga Khan, who claims to be a direct descendant of the prophet Mohammed, runs a charitable foundation funding the poor in Africa and Asia.

Sarkozy wrote in the letter – published in full by Mediapart – that he offered the status after ‘my government informed me about your project to establish in France an important delegation of the Swiss foundation, the Aga Khan Development Network’.

It was approved by Mr Sarkozy’s budget minister Eric Woerth, MP for Chantilly, north of Paris, where the Aga Khan owns an estate and plunged millions into a historic racetrack and equestrian centre” [19].

Ecco poi altri elementi interessanti sulla biografia di questo individuo:

“The Aga Khan is the spiritual leader of some 20 million Ismaili Muslims, who donate money to him their leader, or ‘bringer of light’.

He received the title ‘His Highness’ from the Queen on July 26, 1957, and is a personal friend of both Her Majesty and Prince Philip.

Despite this, he now spends most of his time across the Channel, meaning he can opt out of giving money to the UK’s Inland Revenue” [20].

*Il menorah è il “candelabro a sette bracci del Tempio ebraico, in cui i sette candelieri simboleggiano i sette giorni della creazione e i sette pianeti; in uso anche nelle sinagoghe odierne, fa oggi parte dello stemma dello Stato d’Israele” [21]. Per menorah di guerra, intendiamo l’insieme di sei sinedri dei diversori strategici, con un vestale, una donna ebrea. Nel suo insieme il menorah di guerra viene da noi chiamato sinedrio supremo dei diversori strategici.

Fonti:

[1] “È quindi il centro coordinatore del più potente organismo finanziario del mondo che è l'”Internazionale ebraica” sotto altro nome chiamato “Intelligence Service” e cioè organismo al servizio dell’Impero del denaro il quale tiene in soggezione e in catene tutti i popoli cristiani (anche di lingua inglese), che non sono padroni in casa loro e debbono dare largo contributo di sangue e di beni per ubbidire alle brame dell’insaziato Moloch ebraico” (Luigi Cabrini, Il Potere Segreto, p. 270).

[2] Anche la Svizzera, sede di molte sette dell’Intelligence Service, è un centro di potere del giudaismo da secoli: “La Svizzera è sempre stata amica dell’Italia se la vediamo nella sua anima romantica e cristiana, di autentico “popolo” quindi. È  stata invece la “finzione di amicizia” delle sue classi dirigenti, tutte asservite all’imperialismo industriale e cosmopolita del potente Impero del denaro, che da 500 anni ha le sue leve sulle acque del Tamigi e di Zurigo, che ha fatto credere alla inimicizia del suo popolo e alla tragica commedia della neutralità” (Luigi Cabrini, p. 353). La Rivoluzione ebraica in Inghilterra non ha fatto altro che far uscire gli ebrei dai ghetti, emancipandoli, e peggiorando di gran lunga il problema ebraico, che poteva di lì in poi mostrarsi in piena luce, anziché attraverso le cellule fantasma, come prima delle Rivoluzioni nei vari stati d’Europa e nell’Impero romano.

[3] “Parigi è sempre stata il Gran Quartier Generale della Massoneria Universale con distaccato in quel di Londra il suo “Comitato permanente della Massoneria Universale”, quel Comitato che in tale veste aveva la funzione dal 1924 di “abbattere il Fascismo” o con la soppressione del suo Capo o con la “guerra perduta” o “per tradimento della Monarchia o per effetto di una situazione economica disastrosa”” (Luigi Cabrini, p. 172). I virgolettati di Cabrini sulla guerra perduta, l’abbattimento del fascismo ecc. sono stralci delle minacce che ebrei e massoni vari lanciavano contro Mussolini, fin dal 1924. Ne riparleremo quando tratteremo del ruolo degli ebrei nell’omicidio di Benito Mussolini.

[4] Luigi Cabrini, p. 119.

[5] Ibidem, pp. 307-327. La conferma della natura non convenzionale della Perfidia di Albione arriva da fonti politiche, infatti un “Ministro degli Esteri inglese ci illumina, del resto, su ciò che potevano le società segrete”, in quanto per sua confessione “si apprende che la Francia fu spinta in guerra contro la Spagna per indebolirla. E già fin d’allora l’Inghilterra, con tale guerra, mirava, in definitiva, alla sicurezza della via delle Indie. Tale ministro inglese, Mr. Canning, affermava che “l’Inghilterra non aveva affatto bisogno di inviare un esercito in Ispagna poiché esiste un potere nelle mani della Gran Bretagna più terribile forse e che mai si sia visto in azione nella storia della razza umana” (ivi, p. 302). “Questo “potere” viene all’Inghilterra dalle “Venta” ossia le società segrete orientali comandate e dirette dall’Inghilterra. Infatti da lei dipendevano le logge massoniche di Pietrogrado, la prima delle quali si chiamava “Al Segreto” e costituita nel 1750. Ma in Russia non è mai stato permesso il rito massonico e la massoneria russa fu per molto tempo vietata, fin che solamente nel 1935, veniva riaperta la loggia massonica “Al Celeste Silenzio” (Ibidem, pp. 302-303). Sempre in merito alla massoneria russa, Don Ennio Innocenti invece afferma che la “massoneria francese fu attivissima nel creare logge a Mosca e Pietroburgo. La loggia della Duma, nel 1916, ha ben 40 adepti. il governo provvisorio del 1917 è in mano al massone Kerensky che confida in ben 11 ministri massoni. Kerenski, iniziato nel 1912, è segretario del Consiglio Superiore massonico dei popoli di Russia. Nel 1917 Kerensky viene sostituito dal nuovo capo del governo, il massone Vladimir Lebedev. Anche l’ultimo governo provvisorio, nel periodo settembre-ottobre 1917, è composto da massoni. Massone era anche Ivan Manukin, colui che tenne nascosto Lenin nel luglio del 1917. All’inizio della rivoluzione c’erano in Russia almeno una trentina di logge nelle quali era presente il fermento attivo della società russa. Nell’estate del 1922, tuttavia, la massoneria viene interdetta, e così comincia la diaspora dei massoni russi verso le logge francesi, inglesi ed americane” (Luigi Copertino, Il confronto con la gnosi spuria secondo Ennio Innocenti, p. 382. Disponibile sul nostro canale Telegram al seguente indirizzo: https://t.me/la_questione_giudaica/155). Veniamo poi deliziati da altre amenità, in quanto c’è “poi l’influsso, a detta dell’Innocenti, dell’attuale peso delle tracce gnostiche perduranti nell’ortodossia russa, a livello popolare. La setta “dei Castrati”, emerse nel Settecento, esaltante un ideale evidentemente gnostico che, nell’ottocento, coinvolse anche molte donne (le quali si amputavano il seno o anche il clitoride) e perfino commercianti, perfino nobili, perfino ufficiali dell’esercito. Repressi, molti si stabilirono in Moldavia e Romania, ma si registra un’ulteriore repressione ancora nel 1929. La setta è tuttora operante nella russia post-comunista. Un’altra setta simile – detta “dei Cristi” – proibiva l’unione dei sessi, praticava una danza cultuale la quale produceva effetti “estatici” patologici, e pare che fosse stata frequentata anche da rasputin. Altre due sette di notevole diffusione sono quella detta “dei flagellatori”, che ammettevano la bigamia, e quella “dei lottatori dello Spirito”, descritti come protestanti esoterici professanti dottrine gnostiche. Innocenti richiama un articolo del giornalista Antonio Socci (“il giornale”, 8.7.1999) nel quale è raccontata
la storia dell’esoterismo magico che allignava tra i comunisti sovietici” (Ibidem, p. 385).

[6] https://www.express.co.uk/news/royal/789556/king-george-vi-spies-brother-edward-viii-nazi

[7] Idem.

[8] Idem.

[9] Idem.

[10] Idem.

[11] Idem.

[12] https://www.dailymail.co.uk/femail/article-5355361/Wallis-Simpson-biography-reveals-tired-husband.html

[13] Luigi Cabrini, p. 138.

[14] Antonino Arconte, L’Ultima Missione di G-71, Mursia, 2014, p. 616.

[15] Ibid.

[16] http://www.isjewish.com/rita_hayworth/

[17] http://www.jewornotjew.com/profile.jsp?ID=675

[18] https://www.dailymail.co.uk/news/article-2223084/Sarkozy-exonerated-billionaire-Aga-Khan-paying-tax-corruption-inquiry-hears.html

[19] Idem.

[20] Idem.

[21] http://www.treccani.it/vocabolario/menorah/

“L’odio si copre di simulazione, ma la sua malizia apparirà pubblicamente” (Pr 26:26)

ARALDICA: Stemmi araldici ecclesiastici e della nobiltà laica (di Flavio Barbiero).

“Simboli nelle gerarchie ecclesiastiche

Le prime testimonianze dirette dell’uso di simboli sacerdotali giudaici ci vengono, com’era logico aspettarsi dalla Chiesa, dove hanno cominciato ad essere impiegati dai papi come sigilli e simboli personali fin dal primo medioevo. Apre la lista il successore di Gregorio I Magno, Sabiniano (604-606), che inalbera a proprio simbolo un’aquila con le ali spiegate. Segue Bonifacio terzo, che ha come simbolo distintivo, invece, una torre. I papi successivi adottano simboli più propriamente cristiani, come la croce e il monogramma del Christos (lo stesso impiegato da Costantino nei suoi labari e monete). Nel 715 Gregorio II, romano, torna a impiegare il simbolo di due leoni affrontati, che reggono tra le zampe una rosa, immagine floreale del pentalfa. Nel 904 Sergio III inaugura una serie di cinque papi romani che hanno per simbolo un’aquila asmonea a scacchi oro e neri.

Il secondo millennio si apre con papa Silvestro II, che inalbera un giglio dorato. Il successore, Sergio IV, ha sei stelle disposte a triangolo (1,2,3). Seguono Benedetto VIII, Giovanni XIX e Benedetto IX, con la solita aquila a scacchi; e tornano infine nel 1045, con Gregorio VI, i due leoni affrontati, che reggono un bisante fra le zampe. Stemma scontato per questo papa, appartenente alla famiglia ebraica dei Pierleoni. E poi ancora leoni, con Vittore II, Nicolò II, Gregorio VII, Gregorio VIII, Anastasio IV e così via; l’aquila asmonea bicipite con Onorio II e Gregorio VII; tre gigli disposti a triangolo con Celestino II; stemma a scacchi con Urbano II, Callisto II e Clemente III; la luna crescente con Eugenio III; e così via.

Stemmi papali non riconosciuti, perché del periodo prearaldico. Sono ricavati dai sigilli personali e costituiscono un campionario di simboli sacerdotali giudaici, gigli, torri, leoni, rose, aquile, gli stessi che ritroviamo sulle tombe ebraiche e negli stemmi araldici della nobiltà europea.

Sono in maggioranza simboli che abbiamo già visto nel capitolo precedente: il leone di Giuda, l’aquila asmonea, i gigli di Israele, la luna crescente, la rosa, le figure a scacchi e gli elementi disposti a triangolo. La possibilità che si tratti di coincidenze casuali deve considerarsi remota. Fino al diciannovesimo secolo la quasi totalità dei papi proveniva dalla classe nobiliare ed essi adottavano il simbolo della propria famiglia. In tempi più recenti l’origine nobiliare dei papi non è sempre accertata, ma i simboli che hanno adottato nei loro stemmi sono chiaramente sacerdotali.

Riconoscimento delle proprie origini genetiche o della propria condizione di sacerdoti? Pio XII, per esempio, aveva come stemma tre monti disposti a triangolo con la colomba della pace; Giovanni XXIII ha adottato il leone di Venezia sopra una torre con due gigli affiancati. Paolo VI, sopra i sei monti disposti a triangolo, che costituiscono lo stemma di famiglia, ha posto tre gigli in triangolo; papa Luciani adottò come stemma sei monti disposti a triangolo, sormontati da tre stelle a cinque punte e dal leone di Venezia. Papa Woitila è il primo a rompere la tradizione, mettendo nel proprio stemma una banale croce eccentrica, con una lettera dell’alfabeto (M). Anche il suo successore, Ratzinger, pone nel suo stemma tre simboli non sacerdotali, ma li dispone a triangolo.

Paolo III Farnese                                                 Urbano VIII Barberini

Leone XI Medici                                                        Pio XI

Giovanni XXIII                                                          Giovanni Paolo I

Simboli araldici papali riconosciuti. Riproducono spesso il simbolo araldico della famiglia di provenienza: leoni, gigli, rose, aquile, torri, monti, dragoni ecc. sono i simboli che vi appaiono con maggior frequenza, chiaramente di derivazione sacerdotale ebraica.

L’aristocrazia laica

I Carolingi discendevano da una grande famiglia senatoriale romana, quella degli Anici, e hanno imposto su tutte le terre da essi conquistate una nobiltà derivata da una trentina di famiglie provenienti dall’aristocrazia senatoriale gallo-romana, che li avevano aiutati nella scalata al trono. [1]

Questo fatto trova conferma nell’araldica, perché ritroviamo simboli sacerdotali giudaici negli stemmi di quasi tutta la nobiltà dei territori che hanno fatto parte dell’impero di Carlo Magno. In particolare è la Germania che costituisce la prova più significativa, perché non ha mai fatto parte dell’impero romano e quindi non è mai stata colonizzata da famiglie senatoriali romane, come il resto dell’Europa. Se vi si ritrovano gli stessi simboli, significa che la nobiltà locale ha la stessa origine. Vediamo allora la seguente immagine sintetica che rappresenta gli stemmi dei vari stati e principati della Germania ovest.

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Una vecchia immagine che mostra gli stemmi araldici degli stati della Germania Ovest e quelli dei loro predecessori. La maggioranza dei simboli sono di origine sacerdotale giudaica.

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Emblema dell’impero asburgico, con gli stemmi araldici delle sue varie componenti.
Anche qui in maggioranza si tratta di simboli di origine sacerdotale.

Anche per la maggior parte della nobiltà inglese l’araldica conferma l’analisi storica che la vuole di origine sacerdotale. Basta, ad esempio dare un’occhiata agli stemmi dei cavalieri che hanno partecipato alla battaglia di Agincourt, nel 1415, durante la guerra dei cent’anni, per rendersene conto. E’ un vero e proprio catalogo di simboli sacerdotali giudaici: gigli, leoni, aquile, stelle a cinque punte, lune, galli, triangoli ed elementi disposti a triangolo.

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Stemmi araldici dei cavalieri inglesi che parteciparono alla battaglia di Agincourt
(da S. Friar & J. Ferguson, Basic Heraldry).

Anche gli stemmi delle monarchie europee sono un vero e proprio catalogo di simboli sacerdotali. Sono un resoconto “stenografico” della politica matrimoniale di ciascuna famiglia, e rappresentano le principali linee sacerdotali che vi sono confluite.

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Stemma araldico dell’Inghilterra nel 1554.

Non minore sembra essere il posto occupato nella gerarchia sacerdotale da un’altra grande casata reale europea, quella dei Borboni. Se in Francia essi innalzano uno stendardo composto da soli tre gigli disposti a triangolo, altrove i loro stemmi riportano informazioni dettagliate sulle linee sacerdotali che sono confluite nella famiglia. Come esempio possiamo prendere lo stemma del regno delle Due Sicilie, dove era insediato un ramo laterale dei Borboni di Spagna.

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Stemma araldico dei Borboni del Regno delle Due Sicilie, con a sinistra la provenienza dei vari simboli che lo compongono.

Gli stemmi araldici delle grandi case reali europee di norma indicano che esse discendono direttamente da dinastie sacerdotali “pure”, senza intrusioni di elementi estranei. E’ soltanto nelle case reali alla periferia del nucleo storico dell’Europa che compaiono elementi estranei all’ordine sacerdotale. Vediamo ad esempio gli stemmi della Romania e dell’Ungheria:

Stemmi araldici della Romania, a sinistra, e dell’Ungheria Accanto a simboli di indubbia origine sacerdotale, come l’aquila, il leone, la torre, il sole e la luna, il pentalfa e il sigillo di Salomone, compaiono anche elementi estranei alla tradizione giudaica, come il bue, il furetto e i delfini, indicativi di una nobiltà di origine non sacerdotale” [2].

Fonti:

[1] Questo è confermato, come si è visto, dalle indagini storiche eseguite da Gerd Tellenbach (1903–1999), direttore dell’Istituto di Storia Germanica di Roma, e dagli altri ricercatori della sua scuola.

[2] http://www.altriocchi.com/h_ita/pi5/discendenti/4_ecclesiastici.html

“L’odio si copre di simulazione, ma la sua malizia apparirà pubblicamente” (Pr 26:26)

ARALDICA: Principali simboli degli stemmi nobiliari europei (di Flavio Barbiero).

“Ciascuna delle famiglie sacerdotali che erano entrate nell’organizzazione ricreata a Roma da Giuseppe Flavio doveva essere contraddistinta da un proprio simbolo, in cui potevano comparire due componenti: l’identificativo di appartenenza alla casta sacerdotale e l’identificativo di famiglia vero e proprio. Questi identificativi erano probabilmente impiegati all’inizio soltanto per usi strettamente privati e come segni “segreti” di riconoscimento fra le varie famiglie.

In seguito, con l’assunzione di cariche pubbliche che comportavano l’emissione di documenti ufficiali, i simboli familiari cominciarono ad essere impiegati nei sigilli, attestanti l’identità di chi emetteva il documento e la sua autenticità. Questo uso è documentato nella Chiesa romana fin dal sesto secolo d.C. e nella nobiltà carolingia già ai tempi di Carlo Magno.

E’ soltanto nel dodicesimo secolo, però, con l’inizio delle crociate che i simboli identificativi nobiliari diventano di uso universale e pubblico e nasce l’araldica come oggi la conosciamo. Essa costituisce, oltre che una vera e propria miniera di indizi convergenti a favore della teoria sacerdotale, anche uno strumento per individuare l’origine delle famiglie nobiliari europee, che per la maggior parte di esse deve essere ricondotta a famiglie sacerdotali giudaiche, dal momento che nei loro stemmi compaiono sia simboli riconducibili a famiglie ebraiche, sia simboli che evidenziano una condizione sacerdotale.

Si è visto che i più importanti simboli che caratterizzano singole famiglie giudaiche (indipendentemente dalla loro condizione sacerdotale) sono il leone, l’aquila, il drago, l’arpa e la torre. Essi sono presenti negli stemmi araldici di gran parte delle case regnanti e delle regioni europee e la loro origine può essere agevolmente tracciata fino ai tempi dell’impero romano. Costituiscono pertanto una prova molto importante a favore della teoria qui esposta.

Il leone

L’emblema più sicuramente e chiaramente riconducibile alla tradizione giudaica è il leone, simbolo del regno di Giuda, di cui i sacerdoti giudaici costituivano la classe nobiliare. In particolare il leone doveva essere il simbolo della regalità e quindi uno dei simboli di cui i re di Giuda dovevano fregiarsi a dimostrazione del loro status regale.

I loro discendenti cristiani dovevano affermare con forza il proprio diritto ad indossare una corona reale. Infatti, i primi “re” di stirpe sacerdotale di cui abbiamo notizia storica avevano come proprio emblema proprio il leone. Non occorre neppure arrivare al medioevo per ritrovarli; essi, infatti, fanno la loro comparsa in Britannia all’indomani stesso della partenza di Stilicone dall’isola, agli inizi del quinto secolo. Ce ne dà notizia il monaco Gildas: nella sua cronaca “De excidio Britanniae” ci informa che subito dopo la dipartita delle legioni romane un certo numero di “re” furono “unti” (secondo l’uso ebraico) in Britannia. Gildas ne nomina cinque e almeno due di essi avevano come proprio emblema il leone. Il primo è un certo Costantino, progenie della “leonessa Damnonia”, che regnava sulla Cornovaglia e il Devon; l’altro è Aurelio Canino, definito “whelp of the lion” (progenie del leone), che aveva stabilito il proprio regno poco più a nord, nel Galles. Da notare che Aurelio Canino era quasi certamente figlio, o comunque parente, di Ambrosio Aureliano [1] , che Gildas definisce “uomo modesto … i cui genitori erano stati rivestiti della porpora imperiale per i loro meriti …”.

Il leone, quindi, era l’emblema di alcune fra le prime case regnanti della Britannia e doveva trattarsi del leone di Giuda, dal momento che non era un emblema in uso fra le truppe romane. Né possiamo pensare che fosse un simbolo tratto dalla fauna locale. Verosimilmente era stato portato come simbolo in Britannia dal ramo spagnolo della Gens Flavia, il generale Flavio Teodosio (padre dell’imperatore omonimo), prima, e subito dopo il suo parente e corregionario Flavio Magno Massimo.

Essi provenivano da una regione della Spagna che era certamente un loro feudo incontrastato, dal momento che la sua capitale aveva il nome di Aquae Flaviae, ed il simbolo di famiglia doveva essere il leone, dal momento che successivamente la regione prese il nome di “Leon”, che porta tutt’ora; e il suo simbolo araldico, ovviamente, è il leone. Teodosio e Magno Massimo si impadronirono a titolo personale di vasti territori in Britannia e misero a capo di varie province britanniche propri familiari e parenti.

Diversi re sorti dopo il ritiro delle truppe di Stilicone erano imparentati a vario titolo proprio con Magno Massimo; ed evidentemente il loro simbolo doveva essere il leone, come risulta dalla cronaca di Gildas. Anche alcune delle famiglie che abbandonarono la Britannia sotto la minaccia dei Sassoni e si trapiantarono in Bretagna e Normandia dovevano essere imparentate con Teodosio e Magno Massimo e dovevano avere quindi come proprio simbolo il leone. E infatti lo ritroviamo negli stemmi araldici di famiglie bretoni e normanne e proprio dalla Normandia ritorna successivamente in Inghilterra, entrando in maniera permanente nello stemma araldico della famiglia reale.

Emblema di Guglielmo il conquistatore a sinistra e al centro quello della successiva dinastia dei Plantageneti, che oltre ad un terzo leone aggiungono anche i gigli reali. Goffredo il Plantageneta adotta uno stemma con sei leoni disposti a triangolo.

Uno dei primi sigilli reali inglesi con significato araldico, infatti, è quello del “normanno” Guglielmo il Conquistatore (battaglia di Hastings del 1066), che aveva come emblema due leoni. Anche i Plantageneti, ramo della dinastia angioina, che soppiantarono in seguito la dinastia normanna, avevano come proprio simbolo il leone.

Il normanno Riccardo I, detto Cuor di Leone, famoso per la sua partecipazione alle crociate, aveva come proprio emblema i tre leoni che da allora in poi compariranno sempre negli stemmi delle case regnanti inglesi e diventeranno, insieme al giglio, il simbolo stesso della monarchia. I leoni compaiono in una serie interminabile di stemmi di famiglie nobili e di città inglesi.

Magno Massimo soggiornò a lungo, in qualità di imperatore, anche a Treviri, capitale della provincia delle Gallie, che egli elesse a sede dell’amministrazione imperiale. E’ appunto nella regione intorno a questa città che si trova un altro dei centri principali di diffusione del leone come simbolo araldico, che è divenuto il simbolo di due regioni, le Fiandre ed il Brabante, oltreché di un gran numero di famiglie nobili locali.

Tre secoli dopo Magno Massimo, queste stesse famiglie aiutavano i Carolingi nella scalata al trono e ne venivano compensate con feudi e corone reali soprattutto nel Nord Europa. E’ così che ritroviamo il leone di Giuda nella Germania, Bohemia e Cecoslovacchia, quale simbolo della nobiltà insediata a suo tempo da Carlo Magno. Successivamente lo troviamo fra la nobiltà e case regnanti di Danimarca, Norvegia, Svezia e perfino Finlandia.

Fiandre                          Brabante                  stemma reale        stemma reale di Scozia                                                                                             Norvegia

Leon, Spagna                 stemma reale danese      stemma reale                        Asburgo                                                                                                      Inghilterra

Alcuni fra gli innumerevoli stemmi di regioni e stemmi reali europei con il simbolo del leone.

Il leone è senza dubbio il simbolo che fa la parte, è il caso di dirlo, del leone negli stemmi araldici delle case regnanti e della nobiltà nordeuropea, e denuncia la loro appartenenza al pool sacerdotale, sia per origine diretta, sia anche grazie alla politica matrimoniale tipica della famiglia. Da quanto detto, sembra verosimile che per quanto riguarda il Centro e Nord Europa il suo impiego debba collegarsi al ramo spagnolo della Gens Flavia, che con Teodosio e Magno Massimo, partendo dalla Spagna, si impose in Britannia, Gallia, Belgio e Germania occidentale.

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Ritroviamo il leone maggioritario anche nei simboli delle famiglie ebraiche romane e, nel mondo cristiano, in stemmi di alcune grandi famiglie nobiliari del Centro Italia. Per questi ultimi si prospetta una duplice origine: o discendevano da famiglie ebraiche convertite nel medioevo, oppure appartenevano a famiglie senatoriali romane che avevano ereditato il diritto al simbolo direttamente dai primi sacerdoti giudaici emigrati a Roma. Al primo gruppo appartengono ad esempio i Pierleoni, che dal decimo secolo in poi costituiscono una delle più grandi famiglie nobiliari romane, e presumibilmente un folto gruppo di famiglie nobiliari minori che si fregiano del simbolo del leone.
Al secondo gruppo appartengono non soltanto persone fisiche, come papa Gregorio II (715), ma anche regioni e città; fra queste un posto tutto particolare merita Venezia.

L’Aquila

L’aquila viene normalmente associata con il potere imperiale. E infatti tutte le famiglie imperiali europee hanno nel loro stemma l’aquila. Nella percezione comune il suo impiego viene fatto risalire all’aquila romana, che era il simbolo del padre degli dèi, Giove, e veniva usata spesso come insegna delle legioni romane. Quella che compare negli stemmi araldici europei, tuttavia, non è l’aquila romana, ma l’aquila asmonea, che era impressa su monete del regno di Giuda al tempo degli Asmonei.

L’aquila asmonea compare per la prima volta con Carlo Magno. Egli infatti, da un lato impiegava nei propri sigilli e su altri oggetti personali il simbolo del giglio, dall’altro usava spesso anche quello dell’aquila asmonea. Mentre il giglio stava ad evidenziare la sua condizione sacerdotale (si proclamava re-sacerdote), l’aquila mostrava la sua discendenza asmonea. E’ possibile che sottolineasse in qualche modo anche la sua condizione imperiale, che fosse cioè un simbolo adottato da famiglie sacerdotali che annoveravano fra i propri antenati almeno un imperatore Sol Invictus. Il simbolo dell’aquila, infatti è frequente in famiglie nobili originarie di una fascia di territorio che va dalla Savoia all’antica Pannonia, attraverso il Norico, Illiria e Aquileia (che dall’aquila prese il nome) e di qui verso nord lungo la valle del Reno. Vale a dire l’area di provenienza di tutti gli imperatori Sol Invictus e cristiani del terzo e quarto secolo, i quali certamente possedevano immense proprietà terriere in queste regioni, dove i loro discendenti costituirono il nerbo della nobiltà senatoriale successiva.

Alcune di queste famiglie, come i Savoia, sostituirono nei loro stemmi araldici il simbolo orininario dell’aquila con un altro, nel caso specifico una croce. Altre, invece, come quella degli Asburgo, i cui antenati conosciuti presero le mosse da un castello del villaggio di Hapsburg, nella Svizzera orientale, hanno sostituito il loro primitivo simbolo araldico del leone rampante, con quello dell’aquila, più confacente alla dignità imperiale.

Insegna della Germania            L’aquila imperiale russa              Insegna di Ottone IV

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Sacro Romano Impero

Iugoslavia                               Aquila dei Savoia                         Casata veneziana dei                                                                                                                             Giustiniani

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Insegna araldica del Friuli

Alcune delle innumerevoli insegne araldiche europee con l’aquila asmonea. In particolare essa compare sullo stemma di tutte le casate imperiali.

Altra famiglia imperiale che aveva a proprio simbolo l’aquila asmonea è quella degli ottonidi, scaturita da quel gruppo di famiglie di latifondisti che avevano aiutato i carolingi nella loro ascesa e quasi sicuramente imparentata con essi. Tutte le casate imperiali europee, quindi, avevano come simbolo l’aquila, il che lascia supporre che esso fosse indicativo di una sorta di diritto ancestrale al titolo, derivato appunto dagli imperatori romani di origine pannonica.

L’aquila asmonea, però, è anche il simbolo di famiglie del centro e Nord Italia (ad esempio papa Sabiniano (604-606)) che non hanno mai avanzato pretese imperiali e anche di molte famiglie ebraiche, per cui dobbiamo ritenere che fosse distintiva di una qualche famiglia sacerdotale venuta a Roma al seguito di Tito, e i cui membri si trasferirono poi nella Pannonia, al seguito del Sol Invictus, divenendone classe dominante.

Il Drago

Fra i simboli araldici che caratterizzano le famiglie di sangue reale un posto non secondario è tenuto anche dal drago. Assieme al leone, anzi, è uno dei primi a comparire nelle cronache storiche, riferito ad una famiglia di origine sacerdotale. Fra i re citati dal monaco britannico Gildas, infatti, c’è anche un certo Maglocunno, che viene definito col titolo di “dragone delle isole”, evidentemente dal suo emblema. Il drago era l’emblema di una coorte romana di stanza in Britannia ed era verosimilmente l’insegna del suo comandante, di certo un aderente del Sol Invictus come tutti gli alti ufficiali di quel periodo. Probabilmente si identificava, o ne era parente stretto, col capostipite della famiglia reale di Maglocunno, un certo Cunedda, funzionario romano insediato nel Galles da Magno Massimo. Il drago doveva essere l’emblema di famiglia di Cunedda, da cui discendeva anche un altro dei re gallesi citati da Gildas, Cuneglaso. Il drago era il simbolo anche di quell’Artorius che sconfisse i Sassoni a Badon. Egli era noto anche con il nome di “Pendragon”, evidentemente dal simbolo delle sue insegne. Il drago diviene poi il simbolo stesso del Galles e figura tutt’oggi nello stemma araldico del principe di Galles.

Il Drago, però, non era esclusivo di famiglie britanniche del quinto secolo. Esattamente nello stesso periodo, infatti, l’insegna con la sua immagine sventolava su una nascente città posta a migliaia di chilometri dal Galles, Venezia, quale emblema del suo primo patrono, San Teodoro [2] (il drago troneggia ancor oggi su una delle due colonne poste all’inizio di piazza San Marco).

Esso compare anche in altre famiglie reali e nobili soprattutto del Nord Europa, in Danimarca, Norvegia ed altri paesi del Mar Baltico, dove fu portato probabilmente dai cavalieri teutonici. E’ il primo emblema sacerdotale, anzi il primo emblema araldico in assoluto, che compare nel blasone della dinastia regnante russa, grazie al matrimonio del principe di Mosca Basilio I con una principessa lituana (di origine teutonica), che gli portò in dote il diritto di fregiarsi di uno stemma araldico sacerdotale. [3] E grazie alla politica matrimoniale successiva anche questa dinastia viene fatta rientrare completamente nell’ambito sacerdotale, per cui altri simboli sacerdotali, dall’arpa, al giglio, al leone, per finire con l’aquila bicipite asmonea entrano nell’araldica imperiale russa.

La bandiera del Galles, con il dragone rosso. A destra San Giorgio e il drago, nella piazza San Marco a Venezia.

L’arpa

Anche l’arpa davidica è un simbolo non secondario nell’araldica delle famiglie di sangue reale e della nobiltà, soprattutto nelle Isole britanniche. Essa è il simbolo stesso dell’Irlanda e perciò quasi certamente risale all’epoca della sua conversione. Presumibilmente era l’emblema di famiglia di San Patrizio, o comunque di un qualche membro di famiglia sacerdotale del suo seguito che assunse una posizione predominante nell’isola. Dall’Irlanda il simbolo dell’arpa è stato poi portato in Scozia, entrando a far parte integrante delle insegne reali di quel paese, e tramite la Scozia è entrato anche nello stemma reale dell’Inghilterra. Ovviamente non si tratta della migrazione pura e semplice del solo simbolo, perché essa si accompagna all’insediamento di una persona fisica che di quel simbolo è portatrice, vuoi per matrimonio, conquista o altro.

L’arpa figura negli stemmi araldici di molte famiglie nobili dell’arcipelago britannico, che dobbiamo considerare di discendenza sacerdotale. L’arpa figura anche su monete del moderno Israele, a conferma della sua origine giudaica.

Stemma reale irlandese, con l’arpa. A destra lo stemma araldico adottato dal Commonwealth inglese nel 1649.

La Torre

La torre è un simbolo molto diffuso nell’araldica, specialmente in Italia e Spagna, ed è assieme al leone uno dei due simboli della monarchia spagnola, che ha incorporato gli emblemi di due regni cristiani rimasti nella penisola iberica dopo la conquista araba: Leon e Castiglia. Il suo uso sembra molto antico, al pari del leone, perché la Castiglia ha preso il suo nome proprio da esso (da castello). Con tutta evidenza la torre era il simbolo distintivo della famiglia dominate in questa regione all’epoca in cui cominciò a porsi come entità autonoma. La sua origine, quindi dovrebbe risalire alla classe senatoriale terriera del quinto secolo, che doveva avere stretti legami con la Gens Flavia del vicino Leon.

In Italia è il simbolo di potenti famiglie nobili legate alla Chiesa, come quella dei Torrigiani, che hanno fornito alcuni papi alla Chiesa. Una origine da famiglie senatoriali di Roma appare probabile, perché compare già nel 607 come simbolo di papa Bonifacio III, appartenente alla nobiltà senatoriale.

Simboli riferiti al tempio di Gerusalemme

Tra i simboli più espliciti derivati dal tempio di Gerusalemme abbiamo individuato la colonna, il monte e il pavimento a scacchi. Essi dovrebbero indicare famiglie che vantavano un passato servizio presso quel tempio, dovrebbero quindi essere stati mantenuti, in ambito cristiano, da famiglie vicine alla Chiesa e da istituzioni strettamente legate alla religione.

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Nel mondo nobiliare cristiano la colonna è un simbolo che si ritrova quasi soltanto presso la nobiltà romana legata alla Chiesa, e che ha come maggiore esponente la grande e notissima famiglia dei Colonna (stemma a sinistra). L’origine di questa famiglia, come per molte altre dell’aristocrazia romana, è oscura. Il fatto che porti lo stesso nome del suo emblema lascia ritenere probabile che si trattasse di una famiglia ebraica, convertita al cristianesimo e immediatamente cooptata, nell’alta aristocrazia romana.

Monti

Anche il monte, come la colonna è un simbolo che compare quasi esclusivamente nel Centro Italia, dove diverse grandi famiglie, legatissime alla Chiesa, lo hanno inserito nel proprio stemma. Un esempio notevole è costituito dalla famiglia Chigi, fra cui si annoverano cardinali e papi. Non è un caso che lo stesso simbolo caratterizzi un numero notevole di famiglie ebraiche e anche una fra le più grandi banche italiane e certamente la più antica, che da questo emblema ha preso il nome, il Monte dei Paschi.

A sinistra, stemma originale della famiglia Chigi, con sei monti disposti a triangolo. A destra, sigillo della banca Monte dei Paschi di Siena, con tre monti disposti a triangolo.

Scacchi

Anche gli scacchi sono un simbolo originariamente limitato all’Italia centrale e strettamente collegato alla Chiesa. Li troviamo, infatti, sovrapposti ad altre figure araldiche di derivazione sacerdotale, come le aquile asmonee di ben cinque papi del decimo secolo, il leone della famiglia Pierleoni e varie altre.

Gli scacchi compaiono anche nello stemma dei conti Di Segni, legati alla Chiesa, e ovviamente dei papi forniti da questa famiglia [4] . Compaiono anche negli stemmi di ordini monastici, come ad esempio quello cistercense, creato da Bernardo di Chiaravalle, artefice primo dell’istituzione dell’ordine cavalleresco di Templari.

A sinistra l’aquila a scacchi dei Conti di Segni. Al centro emblema dell’ordine dei Cistercensi. A destra quello della congregazione benedettina di Baviera.

Simboli di appartenenza alla classe sacerdotale

I simboli certamente più impiegati e diffusi nell’araldica europea sono quelli che indicano non l’appartenenza a un determinato clan familiare di origine giudaica, ma l’appartenenza all’ordine sacerdotale stesso, in quanto che rappresentano la divinità. Essi sono il triangolo, l’esagramma e il pentalfa. Questi ultimi sono molto spesso sostituiti dalle loro rappresentazioni floreali, il giglio per il primo e la rosa per il secondo, che hanno un significato del tutto equivalente al simbolo geometrico.

Il triangolo, invece, quando non è espressamente disegnato, è rappresentato dalla disposizione delle figure araldiche, che vengono ripetute tre volte, formando un triangolo equilatero, oppure sei volte disposte in modo da formare un triangolo semplice (3,2,1), o un esagramma (1,2,2,1).

Il pentalfa

La stella a cinque punte, sia nella sua forma geometrica che in quella floreale, è uno dei simboli che compare con maggior frequenza nei luoghi dedicati al culto cristiano nel primo millennio. E’ anche fra quelli che compaiono con maggior frequenza non solo negli stemmi di famiglie legate alla Chiesa e nell’araldica della Chiesa stessa. L’ultimo papa ad inserire la stella a cinque punte nel proprio stemma araldico è stato papa Montini, che ne ha fatte apporre due sopra i tre monti disposti a triangolo che provengono dal suo stemma di famiglia [5] .

Stelle a cinque punte contraddistinguono anche chiese e oggetti dedicati al culto cristiano, come le immagini della Madonna, e perfino entità territoriali e statali dove il cristianesimo è, o era all’origine, imperante.

Non dimentichiamo che l’Italia stessa è sotto l’egida del Pentalfa, che contrassegna ogni suo documento ed ogni persona dedicata al suo servizio. E, com’era da aspettarsi viste le premesse, l’Italia non è la sola ad essere “marcata” con il contrassegno del pentalfa. Anche l’Unione europea e gli Stati Uniti d’America lo sono. Le stelle che compaiono nella loro bandiera, infatti, sono tutte a cinque punte. Non è soltanto una questione estetica; è stata una scelta precisa dal profondo significato simbolico.

Il pentalfa è l’ emblema dell’Italia. Anche le stelle che compaiono sulle bandiere dell’Europa e degli Stati Uniti d’America sono pentalfa.

La rosa a cinque petali

Il pentalfa compare in maniera esplicita in una infinità di contesti, ma ancora più frequente è l’impiego in sua vece del simbolo che con tutta evidenza lo rappresenta: la rosa a cinque petali. La troviamo quasi sempre rappresentata nelle chiese romaniche, in conventi e monasteri. E’ anche il simbolo dei cosiddetti Maestri Comacini, una confraternita di architetti, che a partire dall’epoca dei Longobardi partecipò per vari secoli alla costruzione di chiese e cattedrali in Italia e nel Nord Europa e che vengono considerati da molti come i precursori della moderna massoneria.

La rosa a cinque petali, nelle versioni bianca o rossa, semplice o multipla, figura nello stemma araldico anche di molte famiglie nobiliari. Essa è entrata a far parte dei simboli di regalità quando è stata adottata dalle casate inglesi degli York e Lancaster, che si contesero a lungo il trono d’Inghilterra, in quella che viene definita la “guerra delle due rose”. Successivamente, sempre per via matrimoniale, è stata adottata anche dalla casa dei Tudor, e via via da una parte non trascurabile della nobiltà inglese.

La rosa rossa dei Lancaster e quella bianca degli York. A destra stemma dei Tudor, in cui le due rose sono riunite.

Triangolo singolo e triangolo doppio, o scudo di David

Se il pentalfa è un simbolo sacerdotale, il triangolo e il doppio triangolo nella tradizione giudaica sono simboli che rappresentano la divinità. Nel cristianesimo il triangolo è divenuto il simbolo del Dio uno e trino e viene rappresentato in tutte le chiese, al di sopra o dietro l’altare.

L’espressione più elevata della divinità nel mondo giudaico, però, era costituita da due triangoli sovrapposti in modo da formare una stella a sei punte, che nella percezione popolare è un simbolo essenzialmente ebraico. Molti potrebbero quindi meravigliarsi nell’apprendere che esso compare con estrema frequenza nelle chiese e cattedrali cristiane, disegnato sui pavimenti e sui fregi e decorazioni dei frontoni e delle pareti.

Alcuni degli innumerevoli esempi di stelle di Davide rappresentate sulle chiese cristiane: da sinistra, le facciate di Santa Croce a Firenze, del duomo di Milano e della chiesa di Alet les Bains, in Francia

La stella a sei punte compare non solo in molti simboli familiari ebraici, ma anche in un numero molto elevato di stemmi araldici della Chiesa, da quelli personali di papi, cardinali e vescovi, a evidenziare la loro condizione sacerdotale, a quelli di diocesi e istituti religiosi.

Meno frequente è l’uso esplicito di triangoli, sia doppi che semplici, nell’araldica delle famiglie nobili “laiche”. Nella stragrande maggioranza dei loro stemmi, infatti, l’origine sacerdotale è “suggerita” dalle suddivisioni geometriche dello stemma e soprattutto dal numero e disposizione degli elementi che vi compaiono. Nell’araldica europea oltre a quelli di chiara origine giudaica vengono impiegati, specie nelle casate minori, una grande varietà di altri simboli quali palle, conchiglie, animali e oggetti vari, che non hanno per se stessi un significato sacerdotale e che sono legati probabilmente alla storia o anche alla professione originaria della famiglia.

La condizione sacerdotale è suggerita dal fatto che questi simboli sono ripetuti la maggior parte delle volte in numero di tre, disposti in modo da formare un triangolo equilatero, come ad esempio le tre api dello stemma dei Barberini. Altre volte sono disposti in modo da “disegnare” un triangolo, come i tre monti dello stemma del Monte dei Paschi.

Spesso il triangolo è rappresentato da tre punti che si ripetono più volte nello stemma, a completamento delle figure in esso rappresentate, come ad esempio nello stemma di Pisa, formato da una croce con tre punti al termine di ogni braccio, o l’ermellino che compare in continuazione negli stemmi nobiliari anglosassoni.

Molto spesso gli elementi araldici sono in numero di sei, disposti in modo da formare un triangolo semplice (in file sovrapposte di 3, 2, 1), o un doppio triangolo (1, 2, 2, 1); in questo secondo caso, infatti, basta unire i vertici ai due elementi intermedi opposti, per ottenere una stella di Davide. Alla prima categoria appartiene, per esempio lo stemma della grande famiglia dei Farnese, formato da sei gigli disposti in file di 3,2,1. Un esempio molto conosciuto della seconda categoria è lo stemma dei Medici, formato da 6 palle disposte in file di 1,2,2,1.

Che la disposizione degli elementi, come pure dei punti, a triangolo sia intenzionale e voglia rappresentare proprio un triangolo è provato, per esempio, dal fatto che Lorenzo il Magnifico ha disegnato di suo pugno delle versioni del proprio stemma in cui le palle sono sparite, sostituite da un vero e proprio triangolo geometrico.

Il triangolo, comunque rappresentato o suggerito, è la figura geometrica dominante negli stemmi araldici della nobiltà europea, grande o piccola che sia, ed in quelli a qualunque titolo legati alla Chiesa. Esso indica in maniera immediata e diretta l’appartenenza all’ordine sacerdotale di coloro che se ne fregiano.

Stemma araldico dei Farnese, praticamente identico a quello di altre grandi famiglie europee. Presenta un simbolismo doppiamente sacerdotale, con sei gigli disposti in modo da formare un triangolo isoscele, come le tre api dello stemma Barberini.

Stemma dei Medici, con sei palle disposte 1-2-2-1, in modo da formare una stella di Davide. Nello stemma disegnato dal Vasari le sei palle sono disposte in modo da formare un triangolo equilatero, come pure sulla tomba di Cosimo I. In questo caso, come in moltissimi altri stemmi, l’appartenenza sacerdotale non è rappresentata dagli elementi stessi, ma dalla loro disposizione.

Il giglio

Uno dei simboli più diffusi nell’araldica europea è il giglio, che abbiamo visto essere l’emblema dell’antica Israele. Come la rosa è il simbolo sostitutivo del pentalfa, così il giglio rappresenta la stella di Davide e viene impiegato in sua vece con lo stesso significato. Esso denuncia in modo immediato ed evidente l’appartenenza alla famiglia più elevata nella gerarchia sacerdotale giudaica.

Fin dall’inizio, il giglio si impone come simbolo di regalità. Il primo impiego documentato è fatto ad opera di Flavio Anicio Carlo, alias Carlo Magno, che amava definirlo “fiore insigne di regalità” e lo rappresentava sui propri vestiti, sullo scettro, sulla sua corona e nei propri sigilli (conservati a Roma). I gigli compaiono in continuazione anche nei manoscritti dei carolingi. [6] Che si trattasse di un simbolo di condizione sacerdotale, più che un indicativo di clan familiare, è provato dal fatto che Carlo Magno impiegava anche il simbolo dell’aquila asmonea che è invece indicativo di famiglia.

Prima di Carlo Magno il simbolo del giglio compare in alcune monete bizantine battute fra il 610 ed 685, rappresentanti gli imperatori Eraclio, Costantino II e Giustiniano II.

Non c’è alcuna evidenza, invece, che il giglio fosse impiegato dai Merovingi, che erano franchi di origine barbarica, anche se artisti del quattordicesimo secolo li rappresentano con le vesti coperte di gigli. Gli unici gigli legati alla dinastia merovingia sono quelli che compaiono sulla corona e sullo scettro della regina Fredegonda (evidentemente non di origine gallo-romana), sulla sua tomba di Saint Germain des Près [7] .

Carlo Magno e i suoi successori concedono il privilegio di fregiarsi del simbolo del giglio (o forse sarebbe più appropriato dire che appongono su di loro il proprio marchio di proprietà) a decine di città della Francia, fra cui Parigi, Lille, Brest, Caen, Poitiers, Niort, Tours, Blois, Bordeaux, Angers, Orleans, Reims, Frejus, Le Havre, Laon, Versailles e così via. [8] Questo privilegio fu concesso anche a città italiane, fra le quali l’esempio più notevole è costituito da Firenze. E’ appunto in quell’occasione che il nome della città viene trasformato dall’originario di Fluentia (stando a Plinio) in quello attuale di Florentia.

Anche i Capetingi, succeduti ai Carolingi sul trono di Francia (e poi di mezza Europa) adottano come proprio simbolo il giglio. Il giglio diventa il simbolo stesso della Francia e compare come simbolo della monarchia francese in tutti gli stemmi delle famiglie reali. Dalla Francia si estende in Inghilterra ed in tutti i paesi le cui case regnanti e nobili si imparentano con la dinastia francese.

Anche gli Angioini, il cui simbolo originario di famiglia era il leone, alla fine adottano il giglio. Carolingi, Capetingi e Angioini dovevano ritenersi tutti diretti discendenti degli Asmonei (Maccabei), dal momento che il soprannome Martello (= Maccabeo) compare fra i capostipiti di tutte tre le dinastie.

Altrove, però, ad esempio in Italia, il giglio dovette rimanere soltanto una indicazione di appartenenza alla classe sacerdotale, senza legami con la regalità. Esso infatti entra nello stemma di famiglie nobili che non hanno alcuna aspirazione alla regalità, ad esempio i Farnese, come pure nello stemma di molti papi, ultimo in ordine di tempo in quello di Paolo VI.

Stemma reale di Francia                    Il giglio di Firenze                    Stemma della Bosnia

Stemma dei Capetingi                Bandiera del Quebec                Bandiera acadiana

Inghilterra 1405                                                    Maria I di Scozia

Alcuni fra gli innumerevoli blasoni di famiglie reali, nazioni e città che recano il simbolo del giglio.

Croci

Un simbolo molto frequente tra la nobiltà europea e fra i vari istituti e ordini religiosi è quello della croce, in tutte le sue forme e varianti. Non poteva essere diversamente in un’Europa che si è formata sotto l’egida del Cristianesimo; soprattutto in considerazione del fatto che l’araldica è nata e si è imposta in tutta Europa in concomitanza con le crociate, dove il simbolo della croce contraddistingueva i guerrieri cristiani che si opponevano agli infedeli.

Molte famiglie nobili hanno adottato il simbolo della croce per testimoniare la loro condizione di campioni della fede, militanti sotto le bandiere di Cristo, anche se avrebbero potuto con buon diritto fregiarsi con altri simboli di tradizione specificamente sacerdotale giudaica. E’ il caso ad esempio dei Savoia, il cui simbolo originario, l’aquila asmonea, è stato rimpiazzato con la croce; o quello dei Lorena, che hanno guidato la prima crociata alla sua vittoriosa conclusione, e che hanno adottato a proprio simbolo la doppia croce che porta il loro nome.

In ogni caso, la croce non è per se stessa una indicazione di appartenenza all’ordine sacerdotale. Questa viene spesso suggerita da altri elementi abbinati alla croce stessa, come i tre punti alle estremità dei quattro bracci dello stemma di Pisa, i quattro gigli che talvolta fioriscono alle sue estremità (come nell’emblema di Edoardo il Confessore 1065) o altro ancora. Altre croci suggeriscono il triangolo suddividendo le estremità in due punte separate, altre limitando la croce a tre bracci soltanto, felice simbiosi fra triangolo e croce, e così via.

La croce non è di per se stessa un simbolo di appartenenza sacerdotale. Questa viene “suggerita” da elementi aggiunti alla croce, come i gigli su quella di Edoardo il Confessore (Inghilterra, 1066), i tre punti disposti a triangolo su quella di Pisa, o i triangoli che compaiono alle estremità dei quattro triangoli convergenti che formano la croce dei Templari” [9].

Una digressione aggiuntiva su Carlo Magno

Carlo Magno è sicuramente una cellula fantasma, abbiamo potuto constatarlo in questa brillante ricerca di Flavio Barbiero. Riassumiamo qui, brevemente, i motivi per i quali lo reputiamo un ebreo:

  • Ha attuato un rimpasto dell’intellighenzia, o per meglio dire, della nobiltà, e lo ha fatto in maniera etnocentrica, piazzando nei ranghi di tale nuova nobiltà, famiglie di origine giudaica sacerdotale (tattiche giudaiche).
  • Adotta simboli araldici (marcatore di ebraicità generico).
  • Aveva un agente Ester, cioè un consigliere nelle vesti di diplomatico, di origini ebraiche (tattica giudaica).
  • È stato il primo a contribuire alla cosiddetta “ambiguità prepuziale”.
  • Il suo poeta di corte era un probabile ebreo, visto che chiamava Carlo Magno con l’appellativo di “Flavio Anicio”, sintomo di etimologia giudaica (marcatore di ebraicità generico).
  • Si faceva chiamare Martello, che è l’equivalente di Maccabeo, un chiaro sintomo di etimologia giudaica (marcatore di ebraicità generico).
  • Ha attuato un rimpasto dell’intellighenzia, o per meglio dire, della nobiltà, e lo ha fatto in maniera etnocentrica, piazzando nei ranghi di tale nuova nobiltà, famiglie di origine giudaica sacerdotale (tattiche giudaiche).

Il rimpasto dell’intellighenzia è una fondamentale tattica giudaica, ed è stata applicata da Carlo Magno, per rimuovere le famiglie nobili barbariche, con famiglie nobili di origine giudaica:

“Magno Massimo soggiornò a lungo, in qualità di imperatore, […] a Treviri, capitale della provincia delle Gallie, che egli elesse a sede dell’amministrazione imperiale. E’ appunto nella regione intorno a questa città che si trova un altro dei centri principali di diffusione del leone come simbolo araldico, che è divenuto il simbolo di due regioni, le Fiandre ed il Brabante, oltreché di un gran numero di famiglie nobili locali.

Tre secoli dopo Magno Massimo, queste stesse famiglie aiutavano i Carolingi nella scalata al trono e ne venivano compensate con feudi e corone reali soprattutto nel Nord Europa. E’ così che ritroviamo il leone di Giuda nella Germania, Bohemia e Cecoslovacchia, quale simbolo della nobiltà insediata a suo tempo da Carlo Magno. Successivamente lo troviamo fra la nobiltà e case regnanti di Danimarca, Norvegia, Svezia e perfino Finlandia”. Nelle teorie di Flavio Barbiero, la diffusione di simboli araldici nella nobiltà a suo tempo insediata da Carlo Magno, viene intesa come un chiaro segno di una clamorosa ascesa sociale giudaica per etnocentrismo (ebrei che promuovono altri ebrei in posizioni di potere). Non potremmo essere più d’accordo, visti gli ulteriori argomenti che porta a sostegno della sua tesi, come stiamo per vedere di seguito.

  • Adotta simboli araldici (marcatore di ebraicità generico).

“L’aquila asmonea compare per la prima volta con Carlo Magno. Egli infatti, da un lato impiegava nei propri sigilli e su altri oggetti personali il simbolo del giglio, dall’altro usava spesso anche quello dell’aquila asmonea. Mentre il giglio stava ad evidenziare la sua condizione sacerdotale (si proclamava re-sacerdote), l’aquila mostrava la sua discendenza asmonea. E’ possibile che sottolineasse in qualche modo anche la sua condizione imperiale, che fosse cioè un simbolo adottato da famiglie sacerdotali che annoveravano fra i propri antenati almeno un imperatore Sol Invictus”. Quanto al simbolo araldico del giglio il primo “impiego documentato è fatto ad opera di Flavio Anicio Carlo, alias Carlo Magno, che amava definirlo “fiore insigne di regalità” e lo rappresentava sui propri vestiti, sullo scettro, sulla sua corona e nei propri sigilli (conservati a Roma). I gigli compaiono in continuazione anche nei manoscritti dei carolingi. Che si trattasse di un simbolo di condizione sacerdotale, più che un indicativo di clan familiare, è provato dal fatto che Carlo Magno impiegava anche il simbolo dell’aquila asmonea che è invece indicativo di famiglia”.

  • Aveva un agente Ester, cioè un consigliere, nelle vesti di diplomatico, di origini ebraiche (tattica giudaica).

Don Iulio Meinvielle ci fa sapere che durante l’Impero carolingio, la situazione degli ebrei era più che favorevole, come ci confermano anche gli storici giudei Max L. Margolis e A. Marx” [10]. “Il commercio era nelle loro mani, e ricoprivano anche cariche a corte” [11]. Ma la cosa più importante è che un certo “Isacco formava parte della ambasciata mandata da Carlo Magno a Harùn-al Raschid (e ne fu l’unico sopravvissuto, guarda caso)” [12]. In quel periodo gli ebrei usufruivano “anche di privilegi particolari (mentre i commercianti cristiani versavano al Tesoro di Stato l’undicesima parte dei loro benefici, gli ebrei la decima), e inoltre godevano anche di particolari protezioni” [13].

  • È stato il primo a contribuire alla cosiddetta “ambiguità prepuziale”.

Per ambiguità prepuziale si intende l’ambiguità legata ad una particolare reliquia cristiana, e cioè quello che è stato chiamato “Santo Prepuzio”, poiché si è supposto che appartenesse al messia cristiano, Gesù Cristo. Questa storia comincia proprio con Carlo Magno, leggiamola dunque:

“a Roma apparve il primo prepuzio di Gesù di cui abbiamo notizia, dono di Carlo Magno a quel papa Leone III che ebbe la pazza idea di incoronarlo imperatore. (A Carlo Magno l’avrebbe regalato l’imperatrice bizantina Irene, o un angelo). Con le crociate, e la relativa reliquie-mania, i prepuzi divini si moltiplicano: memorabile quello di Anversa, dono del re Baldovino di Gerusalemme, che fu visto da un vescovo stillare almeno tre gocce di Sangue. A un certo punto in giro per l’Europa ce n’è almeno una dozzina, ormai degradati al rango di amuleti. In quanto residui di un pene, diventano prima o poi un rimedio ai problemi virili; un re inglese (Enrico V) riesce ad adoperarne uno come cura per l’infertilità della moglie (Caterina di Valois), e a procurarsi finalmente un erede (Enrico VI). Sul finire del medioevo ormai tutta l’Europa ha stabilito che l’anno solare si conta secondo lo stile detto “della circoncisione”, ovvero dal primo gennaio: se si accetta infatti come data della nascita di Gesù quella tradizionale del 25 dicembre, il primo gennaio è il giorno in cui secondo la legge mosaica (e secondo il Vangelo di Luca) il neonato sarebbe stato circonciso. Insomma intorno al prepuzio ruota l’anno intero” [14].

“La reazione all’inflazione di prepuzi e altre reliquie è la riforma protestante, che fa piazza pulita dei gadget sacri nell’Europa centrale e settentrionale, ma anche del più prestigioso prepuzio romano, scomparso durante il Sacco di Roma inflitto dai lanzichenecchi (1527). Trent’anni dopo lo stesso prepuzio ricompare a Calcata, provincia di Viterbo, nascosto nella parete di una cella dove era stato rinchiuso un lanzichenecco. La reliquia, in teoria la più ambita, non torna però a Roma: a Calcata si conquista un santuario tutto suo, e un discreto successo di pubblico (il pellegrinaggio valeva un indulgenza di dieci anni), ma i papi della Controriforma stanno già cominciando a prendere le distanze. Ducecentocinquant’anni dopo un’altra ondata iconoclasta, la rivoluzione francese, fa sparire più o meno tutti i prepuzi residui” [15].

“Ma proprio quando il prepuzio di Calcata sembra non avere più rivali, nel 1856 un colpo di scena mette in imbarazzo il Vaticano: nell’abbazia di Charroux, nel Poitou, mentre abbatte una parete un muratore ritrova un altro prepuzio. In effetti secondo la tradizione locale sono i monaci di Charroux, e non Leone III, i destinatari del dono di Carlo Magno. Non è certo la prima volta che una reliquia si rivela un doppione; ma ormai siamo nell’Ottocento, e due prepuzi di Gesù creano più problemi di quanti ne creasse una dozzina nel Duecento” [16].

“Nel frattempo il Vaticano ha reclamato l’infallibilità papale, e quindi tra Charroux e Calcata un Papa non può più rifiutarsi di scegliere: e sceglie di tacere, anzi di zittire chiunque” [17].

“Dal 1900 in poi del prepuzio non si parla più. Solo a Calcata la venerazione rimane tollerata, fino al misterioso furto del 1983. Misterioso anche per la sua semplicità: alla vigilia delle celebrazioni del primo gennaio, il parroco Dario Magnoni avvisa i fedeli di Calcata che la reliquia non si trova più: qualche ladro sacrilego è penetrato nella sua casa, l’ha trovata nella scatola di scarpe in cui la nascondeva, e l’ha portata via. Non è nemmeno chiaro se don Magnoni abbia sporto denuncia” [18].

La questione giudaica considera l’ambiguità prepuziale come una forma eresia anticristiana, fomentata a tutti gli effetti dal giudeo, che aveva interesse affinché la Chiesa rimanesse impegolata in questa questione inutile. Abbiamo ribattezzato questo tipo di eresia con l’epressione “eresia a orologeria”, perché sortisce i suoi effetti soltanto dopo secoli. Abbiamo considerato, alla stessa maniera, quello che chiamiamo “giudeo-mitraismo” – il cui fondatore è Giuseppe Flavio (ebreo) – come un’altra forma di “eresia a orologeria”, viste le speculazioni per cui viene utilizzata oggi, anche se all’epoca è nata per un altro scopo principale, cioè infiltrare il senato romano.

  • Il suo poeta di corte era un probabile ebreo, visto che chiamava Carlo Magno con l’appellativo di “Flavio Anicio”, sintomo di etimologia giudaica (marcatore di ebraicità generico).

Come abbiamo visto tra le fonti di un articolo precedente di Barbiero, in cui asserisce che l’araldica è la stenografia della storia, oggi sappiamo che “i Carolingi discendevano dalla potente famiglia senatoriale degli Anici, che possedevano grandi proprietà terriere, oltre che in Italia, anche nella Gallia e nella Pannonia. Quando nel Natale dell’800 il re dei Franchi Carlo Magno fu incoronato imperatore, il primo in occidente dal 476, fu salutato dal poeta di corte Alcuino con il nome di “Flavio Anicio Carlo” (Richard Krautheimer, Rome, profile of a city, 321-1308, Princeton University press, 2000, pag. 117)

  • Si faceva chiamare Martello, che è l’equivalente di Maccabeo, un chiaro sintomo di etimologia giudaica (marcatore di ebraicità generico).

Abbiamo visto in questo stesso articolo, come Carlo Magno si facesse chiamare Martello: “Anche gli Angioini, il cui simbolo originario di famiglia era il leone, alla fine adottano il giglio. Carolingi, Capetingi e Angioini dovevano ritenersi tutti diretti discendenti degli Asmonei (Maccabei), dal momento che il soprannome Martello (= Maccabeo) compare fra i capostipiti di tutte tre le dinastie”.

carlo_magno

Nella raffigurazione soprastante: Carlo Magno (ebreo), un famoso membro della dinastia dei Carolingi, diventato poi capo del Sacro Romano Impero. Abbiamo ragione di credere che il prepuzio che regalò a papa Leone III – spacciandolo per quello di Gesù – fosse in realtà il suo, non esiste nessuna prova che questo prepuzio sia stato regalato a Carlo Magno dall’imperatrice bizantina Irene d’Atene, la quale non ha mai potuto confermare questa storia. Se un crittoebreo etnocentrico e orgoglioso della sua ascendenza sacerdotale – che per inciso, è anticristiana fino al midollo – afferma di aver ricevuto il prepuzio di Gesù Cristo in persona da un angelo, abbiamo ragione di credere che menta in maniera interessata, o in altre parole, finalizzata a fomentare un’eresia a orologeria all’interno della Chiesa Cattolica di Roma.

Fonti:

[1] Leslie Alcock, Arthur’s Britain, pag. 124.

[2] J.J. Norwich, Storia di Venezia, p. 48. Una statua di San Teodoro di Amasia, con il drago, può ancora essere vista a Venezia sulla colonna occidentale della piazzetta adiacente a San Marco.

[3] M. Maclagan, Lines of succession, Heraldry of the royal families of Europe, Rochester, 2002; p. 199.

[4] Non è forse un caso che i Di Segni siano anche una famiglia cohen ; un Di Segni, infatti, è dal 2001 rabbino capo della comunità ebraica di Roma.

[5] B. B. Heim, L’Araldica nella Chiesa Cattolica – Origini, Usi Legislazione; Ed Vaticana, Città del Vaticano, 1981.

[6] A. De Beaumont, Recherche sur l’origine du blason et en particulier sur la fluer del lis, Puiseaux, 1996, pagg. 88, 119.

[7] Ibidem, pag. IX.

[8] Ibidem, pag XXI.

[9] http://www.altriocchi.com/h_ita/pi5/discendenti/3_simboli_nobiliari.html

[10] Julio Meinvielle, Influsso dello gnosticismo ebraico in ambiente cristiano, Sacra Fraternitas Aurigarum in Urbe, Roma 1995, p. 77. Cfr. M. Margolis – A. Marx, Storia del popolo giudaico, Parigi, Payot, 1930, p. 323. Disponibile sul canale Telegram di “laquestionegiudaica”, al seguente indirizzo: https://t.me/la_questione_giudaica/153

[11] Ibid. Cfr. Joseph Kastein, Historia y destino de los judios, Buenos Aires, Claridad,
1915, p. 230.

[12] Ibid. Cfr. Simone Dunow, La historia del pueblo judio en Europa, IV, p. 104.

[13] Ibid.

[14] https://www.ilpost.it/leonardotondelli/2018/12/31/quel-sacro-prepuzio-di-cui-non-si-puo-parlare/

[15] Idem.

[16] Idem.

[17] Idem.

[18] Idem.

“L’odio si copre di simulazione, ma la sua malizia apparirà pubblicamente” (Pr 26:26)

ARALDICA: La famiglia sacerdotale e il senato romano (di Flavio Barbiero).

“La convinta e appassionata perorazione di Simmaco in favore della conservazione dei simboli pagani nel Senato va vista più come un tentativo di difesa di altrettanti centri di potere del Sol Invictus, piuttosto che un improponibile tentativo di restaurazione del paganesimo, come hanno voluto interpretarla gli storici.

Non è neppure da sottovalutare quanto insinuato da alcuni storici (ad esempio il Gibbon) che fosse motivata anche dal desiderio di conservare le ricche prebende che erano legate alle cariche religiose stesse. Dopo tutto era pur sempre un fiume di denaro che veniva ad inaridirsi con l’abolizione dei templi pagani.

Questo spiegherebbe come mai Simmaco non fu punito per la sua temeraria azione, ma al contrario l’anno dopo fu addirittura elevato agli onori del consolato dallo stesso Teodosio, il più fanatico e intransigente fra gli imperatori cristiani contro il paganesimo. E come mai la sua famiglia divenne immediatamente uno dei pilastri della Roma cristiana, a cui fornì in seguito uomini di governo e papi, fra i quali uno santo.

Non è chiaro quando questa famiglia sia entrata a far parte del Senato e tanto meno quale sia la sua origine. All’epoca di Settimio Severo ebbe grande rinomanza fra i cristiani un certo Simmaco, detto l’Ebionita, di cui si sa soltanto che ha curato una traduzione della Bibbia ripresa da Epifanio e Girolamo. Viene citato come un giudeo convertito al cristianesimo, ma non è probabilmente una semplice coincidenza che si chiamasse Simmaco e che fosse vissuto all’epoca di Severo, cui tante famiglie equestri dovettero la propria fortuna.

Nel 319 un certo Aurelio Giuliano Simmaco, nonno del senatore in questione, era proconsole nell’Achea (o secondo altri vice-prefetto in Macedonia); era quindi un funzionario imperiale, quanto meno di classe equestre. Quella carica, in ogni caso, gli dava il diritto automatico a transitare nel Senato. Suo figlio Aurelio Aviano Simmaco, che fu prefetto di Roma nel 364, era infatti senatore. Non possiamo nutrire dubbi sul fatto che i Simmaci della fine del quarto secolo, una delle famiglie senatoriali più ricche dell’intero impero romano, fossero di condizione sacerdotale.

Alcune (non molte) famiglie senatoriali romane del quarto secolo portano nomi che ritroviamo anche in epoca repubblicana. Questo non significa necessariamente che ci fosse una discendenza genealogica diretta. Lo si è visto per la Gens Flavia, che non aveva alcuna relazione genetica con la famiglia di Vespasiano.

Nella Roma antica niente era più facile che appropriarsi del nome di una grande famiglia. Era prassi consolidata, infatti, che i liberti, quando venivano liberati e assumevano la cittadinanza romana, assumessero anche il nome della famiglia che li aveva affrancati. Ad esempio, al tempo di Augusto più di mille persone divennero improvvisamente Giulii, perché da lui liberati. Così Giuseppe assunse il nome di Flavio e con lui anche un numero imprecisato di sacerdoti giudaici liberati da Tito, fra cui quel Tito Flavio Igino Efebiano, il cui nome compare nel primo mitreo romano, forse un parente di Giuseppe, o comunque uno degli “amici” da lui fatti liberare a Gerusalemme. E’ presumibile che altre nobili famiglie romane abbiano “ceduto” in tal modo [1] il loro nome a famiglie di origine sacerdotale giudaica, che le hanno in seguito soppiantate nel Senato.

Fra queste possiamo annoverare la famiglia dei Deci, che figura fra quelle senatoriali fin dall’epoca repubblicana. Il Decio, però, che venne nominato prefetto del pretorio (carica, ricordiamo, riservata all’ordine equestre, non ai senatori) da Filippo l’Arabo, e che si fece poi proclamare augusto dall’esercito, non era romano, ma proveniva da una famiglia di quella Pannonia che allora più che mai era un feudo incontrastato del Sol Invictus. Che poi egli abbia scatenato persecuzioni anticristiane non significa nulla: era forse dovuto alla sua cattiva coscienza e al tentativo di eliminare chi poteva chiedergli il conto delle sue malefatte (qui Flavio Barbiero si incarta, volutamente, perché deve sostenere l’origine del cristianesimo dal giudaismo, cioè una falsità nda). Tentativo del resto infruttuoso, perché fu eliminato dopo neppure due anni in battaglia contro i Goti [2]. Il fatto, però, che la famiglia sia sopravvissuta alla caduta del Decio “persecutore” di cristiani e abbia mantenuto il suo rango senatoriale costituisce un pesante indizio a favore della sua origine sacerdotale.

La più eminente e ricca delle famiglie senatoriali romane alla fine del quarto secolo era quella degli Anici, che lo storico Prudenzio cita come la prima a professarsi apertamente cristiana, all’indomani della vittoria di Costantino su Massenzio [3]. La famiglia era certamente di tradizioni cristiane anche in precedenza, dal momento che alcuni suoi membri figurano fra i martiri di Diocleziano in Illiria e vengono venerati come santi [4].

Quanto alle sue origini, esse sono in apparenza assai antiche e indubbiamente romane. Il primo Anicio a comparire sulla scena romana fu un certo M. Anicio Gallo, tribuno del popolo nel 247 a.C., seguito nella carica due anni dopo da un Quinto Anicio. Era una famiglia di estrazione popolare, quindi; Tito Livio (XIV, 43) la annovera fra la piccola nobiltà di provincia. Ciononostante essa sale agli onori del consolato nel 160 a.C. e di nuovo nel 65 d.C sotto Nerone.

Poi scompare dalle cronache per un secolo e mezzo, per tornare al consolato nel 214, sotto Caracalla, sacerdote del Sole, nemico giurato dei senatori, di cui fece stragi inaudite [5]. E’ verosimile che il console Anicio, che si distinse per la sua piaggeria nei confronti del sovrano, tanto da essere messo alla berlina da Tacito [6], appartenesse a famiglia sacerdotale, innalzata fra i ranghi della nobiltà dallo stesso Caracalla (o da suo padre Severo, che immise numerose famiglie equestri fra la nobiltà senatoriale) e non avesse niente a che vedere, dal punto di vista genetico, con gli Anici di repubblicana memoria.

In ogni caso, quando ricompare sulle scene, la famiglia Anicia dimostra una sicura connessione con l’imperatore Probo, adepto del Sol Invictus, originario della Pannonia. E il ramo gallico della famiglia, cui appartenevano i santi citati dianzi, era imparentato con l’imperatore Carino (mitraico, grande protettore dei cristiani di Gallia), e aveva proprietà terriere fin nella stessa Pannonia.

Le fortune della famiglia furono incrementate oltre misura dal senatore Probo Anicio, che divise il consolato con l’imperatore Graziano e fu per quattro volte prefetto del pretorio. I suoi profondi legami con la Chiesa sono dimostrati dal fatto che egli fu sepolto in una tomba monumentale costruita proprio nel Vaticano, dove sorgeva la basilica di S. Pietro e dove aveva la sua sede il Pater Patrum del Sol Invictus. La famiglia degli Anici divenne la più influente e ricca del Senato, con possedimenti terrieri in tutto l’impero, e conservò il primato in occidente per diversi secoli a venire, fornendo imperatori e papi.

Le rimanenti famiglie senatoriali erano in gran parte di recente acquisizione, provenienti dal ceto equestre, per le quali è più immediato ed evidente il collegamento con il Sol Invictus e quindi l’origine sacerdotale. Molte di esse, non potendo legittimamente ricollegarsi a famiglie nobili del passato, non disdegnavano di crearsi delle genealogie ad hoc, che le collegavano a grandi personaggi leggendari. Un esempio illuminante a questo proposito è costituito dalla famiglia senatoriale cui apparteneva la matrona Paula, benefattrice scandalosamente ricca di S. Girolamo, il quale confezionò per lei una genealogia fittizia, che ne faceva una donna di sangue reale, discendente nientemeno che dall’eroe omerico Agamennone. [7]

In conclusione, alla morte di Teodosio, nel 395, la situazione della classe dirigente dell’impero d’occidente doveva essere la seguente: l’antica nobiltà di origine pagana era praticamente scomparsa, o comunque privata di ogni ricchezza e potere [8] , mentre la grande nobiltà, che si identificava con la classe senatoriale dei proprietari terrieri, era costituita da famiglie di origine sacerdotale. Sul piano religioso, il paganesimo era stato messo al bando e il cristianesimo era ormai divenuto la religione della totalità degli abitanti dell’impero ed era controllato da gerarchie ecclesiastiche dotate di immense proprietà fondiarie e di poteri quasi regali nell’ambito delle proprie diocesi.

La famiglia sacerdotale mosaica era diventata padrona assoluta di quello stesso impero che aveva distrutto Israele e il tempio di Gerusalemme. Tutte le alte cariche dell’impero, civili e religiose, e tutte le sue ricchezze erano nelle sue mani e il potere supremo affidato in perpetuo, per diritto divino, alla più illustre delle tribù sacerdotali, la Gens Flavia. Tre secoli prima il suo capostipite, Giuseppe Flavio, aveva scritto con orgoglio: “La mia famiglia non è oscura, anzi, è di discendenza sacerdotale: come presso ciascun popolo esiste un diverso fondamento della nobiltà, così da noi l’eccellenza della stirpe trova conferma nell’appartenenza all’ordine sacerdotale” (Vita 1,1). Alla fine del quarto secolo i suoi discendenti potevano a buon diritto applicare quelle stesse parole all’impero romano.

L’unica differenza stava nel fatto che la massa della popolazione ignorava che l’intera classe dirigente dell’impero apparteneva ad un ordine sacerdotale cancellato dalle cronache storiche tre secoli prima” [9].

Fonti:

[1] O anche tramite adozione o matrimonio: si è visto che era sufficiente, dal quarto secolo in poi, sposare una donna della Gens Flavia per assumerne il nome e le prerogative (un esempio della tattica giudaica nota come matrimonio strategico, nda).

[2] I campi di battaglia erano luoghi ideali per liberarsi di imperatori scomodi, come dimostrano le vicende di Valeriano, Gallieno, Carino, Giuliano e altri ancora.

[3] Il Gibbon suggerisce che il senatore Anicio Giuliano si sia convertito per farsi perdonare da Costantino il fatto che si era schierato con Massenzio; ma la cosa non ha senso, dal momento che a quell’epoca Costantino era ancora un “pagano”.

[4] I santi Canzio, Canziano e Canzianella, venerati il 31 maggio.

[5] Secondo Dione Cassio, Caracalla, dopo aver ucciso il fratello Geta, nel 212, uccise almeno ventimila persone a Roma, sospettati di essere stati suoi sostenitori; fra essi un numero imprecisato, ma certamente assai elevato, di senatori.

[6] Tacito, Annali, XV, 74.

[7] E. Gibbon, Op citata, cap XXXI, p. 169.

[8] E. Gibbon, Op citata, cap XXXI, p. 170.

[9] http://www.altriocchi.com/H_ITA/pi5/discendenti/senato.html

“L’odio si copre di simulazione, ma la sua malizia apparirà pubblicamente” (Pr 26:26)

La famiglia sacerdotale infiltra il senato romano (di Flavio Barbiero).

LA FAMIGLIA SACERDOTALE
ALLA FINE DEL QUARTO SECOLO

Per scoprire come la famiglia sacerdotale giudaica abbia attraversato queste vicissitudini, quale parte vi abbia svolto, e in quali condizioni sia emersa alla fine, è indispensabile innanzitutto stabilire quali fossero le posizioni da essa raggiunte nella società romana alla fine del quarto secolo, al culmine della sua potenza ed espansione.

Abbiamo visto come le famiglie sacerdotali giudaiche venute a Roma al seguito di Tito nel 70 d.C. abbiano cominciato immediatamente, tramite l’organizzazione mitraica creata da Giuseppe Flavio, ad infiltrare l’apparato amministrativo imperiale, i traffici mercantili diretti alla capitale, le dogane, la guardia pretoriana e l’esercito. Agli inizi del secondo secolo le ritroviamo insediate, oltre che a Roma e ad Ostia, in tutte le zone periferiche dello stato romano dove erano presenti importanti centri dell’amministrazione imperiale e legioni di confine.

Erano famiglie in possesso di ingenti capitali, insediate nei gangli vitali dell’amministrazione, fornite di innate doti imprenditoriali, appoggiate da una formidabile rete di relazioni interpersonali e supportate da una organizzazione occulta potente, ben insediata a palazzo e con ramificazioni in tutto l’impero.

Esse non dovettero avere alcuna difficoltà ad accumulare ingenti fortune ed emergere come classe dirigente, soprattutto nelle regioni esterne all’Italia, dove non avevano la concorrenza delle grandi famiglie nobiliari che costituivano la primitiva classe senatoriale romana, restie a lasciare la capitale per insediarsi nella lontana e scarsamente civilizzata periferia.

Le famiglie di origine sacerdotale vennero a costituire il nerbo della cosiddetta classe “equestre”, emersa con il consolidarsi della burocrazia imperiale, cui finì per fornire la totalità dei quadri amministrativi. A partire dal terzo secolo, gli imperatori (a parte sporadiche eccezioni, come forse Decio e i Gordiani) provenivano sempre dalla classe equestre e governarono sempre in netta contrapposizione al Senato, appoggiandosi interamente alle famiglie equestri, che avevano praticamente il monopolio dell’amministrazione pubblica.

L’estensione della cittadinanza romana a tutto l’impero, voluta dal Sol Invictus, favorì il consolidarsi delle posizioni delle famiglie equestri a scapito della nobiltà senatoriale e il vertiginoso aumento delle loro risorse economiche, che vennero investite nella formazione di grandi proprietà fondiarie, creando enormi latifondi, che finirono con l’inglobare la maggior parte delle terre coltivabili dell’impero, con gravi conseguenze sull’economia e la struttura della società civile.

Nel corso del terzo secolo le famiglie sacerdotali acquisirono (o sarebbe più giusto dire consolidarono) il controllo totale dell’esercito e del pretorio (la prefettura del pretorio era lo sbocco finale della carriera di ogni burocrate della classe equestre), nonché quello della pubblica amministrazione.

Di pari passo procedeva la presa sulla società civile. Sulla scia dei funzionari e militari mitraici, il cristianesimo si era diffuso in modo discreto ma capillare in tutto l’impero, tanto che alla fine del terzo secolo esistevano sedi vescovili in tutte le principali città, fino ai suoi estremi confini settentrionali, in Britannia.

La stragrande maggioranza della popolazione, tuttavia, almeno l’80%, era ancora pagana, e il Senato romano, benché spogliato di gran parte dei suoi poteri e prerogative, umiliato, impoverito e “infiltrato” già da una maggioranza di famiglie di origine equestre, possedeva pur sempre un nucleo consistente di antiche famiglie nobiliari romane e italiche, depositarie della tradizione pagana e in quanto tali ancora in grado di costituire un polo di attrazione per la maggioranza della popolazione.

Fu questo che rese possibile l’ultimo colpo di coda del paganesimo, al tempo di Diocleziano e Galerio, e che alla fine decise le famiglie sacerdotali a procedere a tappe forzate alla cristianizzazione dell’impero e alla definitiva emarginazione, se non vera e propria eliminazione fisica, di quel che rimaneva della originaria classe dirigente romana.

Nonostante la sua inferiorità numerica, nel 324 il cristianesimo venne proclamato da Costantino religione di stato dell’impero e il paganesimo venne sottoposto ad una serie crescente di restrizioni, fino a che non fu definitivamente proibito nel 380 da un editto di Teodosio, confermato dal Senato romano nel 383.

Nel 393 Teodosio proibì anche tutte le feste e le manifestazioni pubbliche che avessero un legame con il paganesimo comprese le olimpiadi; l’ultima, infatti, si svolse proprio quell’anno. Con la fine del quarto secolo, quindi, ogni singolo cittadino romano era, almeno formalmente, cristiano, soggetto all’autorità di un vescovo.

Di pari passo procedette l’eliminazione e sostituzione dell’antica nobiltà senatoriale italico/romana [1]. La strategia adottata a questo scopo dagli imperatori cristiani nel quarto secolo, però, fu ben diversa da quella seguita dagli imperatori Sol Invictus del terzo secolo. Questi ultimi, infatti, si posero in aperta contrapposizione al Senato, umiliandolo, privandolo delle proprie prerogative e ricchezze, e colpendolo fisicamente con l’esilio e l’esecuzione di un gran numero dei suoi esponenti di spicco, e si appoggiarono completamente al ceto equestre per l’amministrazione civile e militare dello stato.

I secondi, invece, restituirono al Senato, almeno formalmente, il ruolo centrale che aveva sempre avuto, reintegrandone o addirittura ampliandone gli antichi privilegi; ma non prima di aver rimpiazzato completamente le famiglie senatoriali originarie con altre provenienti dal ceto equestre, appartenenti al Sol Invictus [2] .

La politica di immissione delle famiglie equestri nel Senato era stata inaugurata da Settimio Severo e imposta per decreto da Gallieno (che, ricordiamo, fu anche l’autore, nel 261, dell’editto che proclamava il cristianesimo “religione lecita”), il quale stabilì che tutti coloro che avevano ricoperto la carica di governatori di provincia e di prefetto del pretorio, cariche entrambi riservate all’ordine equestre, entrassero di diritto a far parte dell’ordine senatoriale.

Questo diritto fu poi esteso dagli imperatori cristiani ad altre categorie di funzionari, a cominciare dai cosiddetti “comites” (i futuri comtes, o conti), funzionari, sia civili che militari, scelti dagli imperatori fra i propri compagni d’arme ( o di loggia), per finire con i grandi burocrati e gli alti ufficiali dell’esercito. Nel giro di alcuni decenni praticamente l’intera classe equestre transitò nelle file del Senato, sommergendo le famiglie dell’originaria aristocrazia italico/romana.

Contemporaneamente queste ultime furono soggette ad una vera e propria campagna persecutoria, sia sul piano fisico, con esecuzioni capitali ed esilio, sia su quello economico, con espropri e un uso mirato dello strumento fiscale, che finì per eliminarle completamente. Sotto il profilo economico, infatti, gli imperatori cristiani fecero quanto in loro potere per favorire i membri delle famiglie sacerdotali.

Tanto per cominciare, i vescovi furono esentati dalle tasse e furono garantite rendite e proprietà alle chiese. Poi fu introdotta una serie di leggi che favorirono la formazione di grandi proprietà terriere nelle mani “giuste”, che furono a loro volta esentate dal pagamento delle tasse.

Il provvedimento finale, che doveva completare la trasformazione della classe senatoriale, che costituiva la classe nobiliare dell’impero, fu la riforma introdotta da Valentiniano I, che suddivideva i senatori in tre livelli, basati non sull’antichità o nobiltà della famiglia e neppure sugli incarichi svolti, ma esclusivamente sulla ricchezza della famiglia, misurata in base alle proprietà terriere. I più ricchi in alto, a formare la classe senatoriale vera e propria, i più “poveri” in basso. Naturalmente, stando alla tesi sviluppata fino a questo momento, al vertice dovevano esserci soltanto famiglie di origine sacerdotale, che a quell’epoca avevano ormai concentrato nelle proprie mani la quasi totalità delle terre coltivabili.

Per queste famiglie il quarto secolo fu veramente un secolo d’oro. Due erano le prospettive di carriera che si aprivano ad un qualunque giovane di questa condizione, come ad esempio al giovane Girolamo, nato in quella Pannonia da cui uscirono tutti i generali cristiani delle prime dinastie imperiali: o la carriera burocratica, o quella religiosa.

La prima offriva prospettive di rapido e immenso arricchimento; ma anche la seconda non si presentava avara di soddisfazioni, vista l’enorme espansione che aveva avuto il cristianesimo in quegli anni e il vertiginoso incremento del patrimonio ecclesiastico, grazie alle generose donazioni ed esenzioni degli imperatori cristiani.

Una testimonianza dell’atmosfera da bengodi che regnava fra le gerarchie ecclesiastiche in quel periodo d’oro ci è fornita da uno storico “pagano”, Ammiano Marcellino, che scrive: “Quanti si prefiggono di raggiungere il pontificato ambitissimo, mettono in campo ogni arma, perché sono certi, una volta eletti, di diventare ricchi con le offerte delle matrone, di marciare in carrozza vestiti lussuosamente, partecipando a eleganti festini, che superano sicuramente quelli imbanditi presso le mense regali. I vescovi potrebbero portare un contributo positivo alla vita cittadina, se disprezzassero le ricchezze di Roma…” [3] . Parole che abbiamo viste confermate da Girolamo, durante il suo soggiorno romano” [4].

Fonti:

[1] La nobiltà senatoriale di antica origine repubblicana era stata già rinnovata nel primo secolo d.C. Tacito (Annali, III, 55), infatti, afferma che tra la battaglia di Azio ed il regno di Vespasiano, il Senato era stato gradualmente riempito con famiglie nuove, provenienti dai municipi e dalle colonie italiane.

[2] Alla fine del quarto secolo, come vedremo in seguito, la quasi totalità dei senatori erano o mitraici o apertamente cristiani.

[3] Ludovico Gatto, “Storia di Roma nel Medioevo”, Roma, 1999, pag.38

[4] http://www.altriocchi.com/h_ita/pi5/discendenti/situazione.html

“L’odio si copre di simulazione, ma la sua malizia apparirà pubblicamente” (Pr 26:26)

ARALDICA: L’araldica è la stenografia della storia (di Flavio Barbiero).

INTRODUZIONE

L’araldica è la disciplina che “ha per oggetto lo studio delle armi o stemmi nobiliari in generale, della loro origine e specie, della composizione dello stemma (cioè delle sue forme, degli smalti, delle partizioni, delle figure, ecc.)” [1], e può essere utile per poter effettuare delle indagini storiche, oltre che genealogiche. Ma cosa c’entra con il problema ebraico? In questo articolo introduttivo, Flavio Barbiero, un ex alto ufficiale della NATO in pensione, si è messo a studiare la questione giudaica, e ne ha ricavato strabilianti conclusioni, che noi condividiamo. I suoi studi lo hanno portato alla teoria per cui, le famiglie nobiliari europee, sono in realtà famiglie di crittoebrei, che hanno prima infiltrato il senato romano – attraverso la conversione strategica al cristianesimo o al paganesimo, e altre tattiche giudaiche, come il patrocinato nobiliare strategico – e si sono lentamente sostituiti al senato romano, alle famiglie nobili romane, all’intellighenzia dell’impero romano in generale, dominando anche la pubblica amministrazione, attraverso il loro etnocentrismo e la capacità di riconoscersi tra loro nonostante l’assimilazione strategica. Tutto ciò ha portato l’impero romano, uno dei più grandi imperi mai esistiti, a marcire lentamente sotto il giogo del giudeo, che lo faceva marcire dall’interno, per circa quattrocento anni, attraverso una scalata sociale irresistibile. Questo, ovviamente, non è stato mai discusso nel nostro yeshiva per gentili (scuola superiore dell’obbligo). Quella di Barbiero sulla reale causa del crollo dell’impero romano è una tesi rivoluzionaria, perché pone il popolo ebraico come Dio della Guerra. Nessuno può dire agli ebrei che non sanno fare le guerre, quando sono sempre loro a vincerle, e hanno sgominato uno dei più grandi imperi di tutti i tempi, senza mai sguainare la spada, o comunque facendola sguainare ad altri.

Ma perché condividiamo le tesi di Barbiero al punto di ospitarle su questo sito, fino a creare una rubrica a parte, denominata appunto “Araldica”? Lo facciamo perché siamo arrivati alle stesse conclusioni di Barbiero, attraverso vie diverse da quelle che ha imboccato lui. Le vie che ci hanno portato alle sue conclusioni sono le tattiche giudaiche e quella che consideriamo la “Bibbia del problema ebraico”: l’opera “Due Secoli Insieme”, di Aleksandr Solgenitsin.

Le conclusioni di Flavio Barbiero sulle famiglie nobiliari europee spiegano molte cose:

  • Le invettive precristiane di Cicerone, che denunciava l’eccessiva influenza degli ebrei nel senato romano, influenza che era pronta a spingersi fino all’infiltrazione diretta all’interno di quest’ultimo, come poi è effettivamente successo.
  • LA SCARSITÀ DI FONTI NON CRISTIANE CHE ATTESTINO L’ESISTENZA STORICA DI GESÙ CRISTO: gli ebrei si sono premurati di infiltrarsi ovunque si manifestasse uno spiraglio di cristianesimo, per distruggere quante più prove documentali possibili riguardanti Cristo.
  • Le accuse mosse dai pagani contro i primi cristiani, cioè quelle di essere dei sovversivi e di praticare omicidi rituali.
  • La teoria sacerdotale, riguardando anche il vescovato di quinto sesto e settimo secolo, in quanto discendente dalla classe senatoriale romana, è in grado di spiegare l’origine ebraica di molte eresie cristologiche comparse inizialmente dal IV al VII secolo dopo Cristo.
  • La facilità con la quale gli ebrei hanno applicato la tattica giudaica del patrocinato nobiliare strategico, per cambiare cognome e diventare cellule fantasma all’interno della nobiltà.
  • La formazione di famiglie di fannulloni mangiapane a tradimento per diritto di sangue, ovvero la nobiltà (tipico comportamento talmudico).
  • L’eccesso di focolai di gnosi spuria proprio nel Medioevo e nel Rinascimento, quando le famiglie nobiliari avevano maggiore influenza.
  • Come il sintetizzatore e cantore di tutte le eresie della gnosi spuria antica nonché profeta di tutte le eresie che lo hanno seguito con la gnosi spuria moderna (gioachimita), Martin Lutero – la cellula fantasma più letale in assoluto, nella storia del giudaismo – abbia riscosso un successo insperato nel nord Europa, godendo tra l’altro dell’appoggio e della protezione delle famiglie nobili di tale parte del mondo.
  • Come la famiglia nobile dei Borgia, ha potuto fondare diversioni strategiche del giudaismo come L’Ordine dei Gesuiti, ha potuto piazzare diversi papi nel Vaticano ed è stata accusata di incesto, un tipico crimine ebraico.
  • L’inerzia e/o la connivenza della nobiltà europea rispetto all’usura giudaica ai danni della popolazione meno abbiente.
  • L’eccesso di Agenti Esther (consiglieri politici ebrei), nei salotti di re, zar, papi, sultani, e imperatori in tutte le nazioni.
  • Il significato di taluni “oopart” – reperti archeologici fuori posto – come quelli che sembrano provare la presenza degli ebrei in Nord America, ben prima di Colombo, nonché secoli prima di Cristo.
  • Il filo rosso – studiato dal prof. Silvio Calzolari – che lega zoroastrismo (mazdeismo) e buddismo, nonché la presenza di Agenti Esther mazdeisti alla corte degli imperatori giapponesi, e l’infiltrazione ideologica del culto di Mitra all’interno del buddismo: gli ebrei inseguirono gli apostoli fino all’India e in Cina, pur di ostacolarli, come hanno fatto nell’impero romano.

Per quello che ci preme di far comprendere, per il momento, ci soffermeremo solo sul secondo punto:

  • La facilità con la quale gli ebrei hanno applicato la tattica giudaica del patrocinato nobiliare strategico, per cambiare cognome e diventare cellule fantasma all’interno della nobiltà.

Proprio perché la Polonia non ha mai fatto parte dell’impero romano, a maggior ragione, dobbiamo sempre ricordarci di Dzerjinski (ebreo), padre ufficiale della prima diversione strategica della storia, l’operazione “Trust”: “Felix Edmundovich, suo padre, un istruttore al Taganrog Gymnasium, dove Chekhov ha studiato, veniva chiamato Rufin Iosifovich. Un personaggio storico chiamato Rufin ricoprì una carica importante nell’impero romano nel quarto secolo, ma la sorella di Dzerzhinsky, Yadwiga, per qualche motivo scrive il nome in modo diverso nelle sue memorie: Rufim, che è già simile a “Ruvim” (Reuben). Nessuno dovrebbe essere sviato dalla storia dell’ascendenza nobile polacca di Dzerzhinsky. I re polacchi per secoli hanno patrocinato gli ebrei, in conseguenza di ciò centinaia di ebrei polacchi acquisivano titoli (nobiliari)” [2].

Perfino il successore di Dzerjinski, Menjinski (ebreo), alla guida dell’OGPU, era non solo un esperto di diversioni strategiche, ma proveniva anch’egli dalla nobiltà polacca, sicuramente grazie alla tattica giudaica del patrocinato nobiliare strategico, questo spiega la presenza di nobili “polacchi” tra le fila del bolscevismo russo, sempre attivi e scaltri nello scavare una fossa comune al proletariato russo. Menjinski è stato reclutato da un crittoebreo (Vladimir Lenin), per entrare nei ranghi della Cheka, e poi è stato voluto esplicitamente da un altro crittoebreo, Dzerjinski: “Sent by the Central Committee on the orders of Dzerzhinsky,” written by him in the KGB questionnaire in the “recommendations” column. So in September 19th, Vyacheslav Menzhinsky, the former people’s commissar of finance and the consul general in Berlin, gets into the thick of the Lubyanka” [3].

Per non parlare dei falsi Dimitri, dei quali in particolare bisogna ricordare il falso Dimitri I (ebreo), una cellula fantasma inviata dalla nobiltà “polacca” del XVII secolo per distruggere la Russia dall’interno e infiltrarvi maggiormente gli ebrei.

“L’aspirante Dmitrij compare in Polonia intorno al 1600 in qualità di domestico di un nobile polacco Adam Wiśniowiecki. Secondo un racconto postumo, egli rivela per la rabbia la sua identità mentre il suo padrone lo sta schiaffeggiando. Dmitrij afferma in seguito che sua madre, la vedova dello zar Ivan IV, preconizzando il tentativo di assassinarlo, lo avrebbe affidato ad un medico che lo avrebbe nascosto in un monastero russo. Dopo la morte del medico, Dmitrij afferma di essersi trasferito in Polonia dove, dopo aver lavorato per breve tempo come maestro, entra al servizio di Wiśniowiecki” [4].

L’ospitalità del nobile “polacco” è in realtà quella di un crittoebreo, e crittoebreo deve essere anche il medico che lo ha effettivamente nascosto in un monastero russo. Anche il Commissario agli Affari Esteri Molotov, era un crittoebreo che aveva acquisito titoli nobiliari polacchi, infatti Luigi Cabrini lo definisce “aristocratico terriero polacco di nome Aschikrin, ebreo” (Luigi Cabrini, Il Potere Segreto, p. 320). Ma riparleremo di lui quando tratteremo un modulo Kennedy noto tra gli ebrei come il “miracolo di Purim”: l’omicidio di Stalin.

Nel primo volume del saggio “Due Secoli Insieme”, di Aleksandr Solgenitsin, abbiamo modo di constatare che la tattica giudaica del patrocinato nobiliare strategico, e la conversione strategica, sono ottimi strumenti adoperati dagli ebrei per diventare delle cellule fantasma.

“Sotto il regno di Alessio Mikhailovic*, troviamo indizi della presenza degli ebrei in Russia – il Codice non contiene alcuna restrizione concernente gli ebrei […] essi avevano allora accesso a tutte le città russe, compresa Mosca” [5].  “Hessen afferma che nella popolazione catturata in occasione dell’offensiva russa in Lituania negli anni Trenta del XII secolo si trovavano un buon numero di ebrei, e “nei loro riguardi le disposizioni erano le stesse che per gli altri”. Dopo le azioni militari degli anni 1650-1660, “si ritrovarono di nuovo nello stato moscovita degli ebrei fatti prigionieri, e il comportamento nei loro confronti non era affatto peggiore di quello verso gli altri prigionieri”. Dopo la firma della pace di Andrussov nel 1667, “si propose agli ebrei di restare nel paese. Molti di loro approfittarono di questa occasione, certuni abbracciarono il cristianesimo e tra i prigionieri alcuni furono fondatori di famiglie russe nobiliari” [6].

“(Alcuni ebrei battezzatisi sono insediati nel XVII secolo sul Don, nel villaggio cosacco di Starotcherkassk, e circa dieci famiglie cosacche ne discendono)” [7].

Durante il regno di Elisabetta I di Russia, avviene “l’ascesa del mercante sassone Grunstein, luterano, che si convertì all’ortodossia in seguito a un infruttuoso commercio con la Persia dove era stato trattenuto in cattività. Integrò il reggimento Preobrajenski**, partecipò al colpo di Stato di Elisabetta***, ricevette in ricompensa il grado di aiutante di campo, la nobiltà ereditaria, e la fonte di ricchezza costituita da 927 “anime” di servi della gleba” [8]. Come si può vedere da questo esempio, patrocinato nobiliare strategico e conversione strategica, sono tattiche giudaiche che, anche quando non consentono di diventare sempre delle cellule fantasma nell’immediato, consentono comunque un’integrazione molto solida all’interno delle società dei gentili.

Il quotidiano online “Patria Indipendente”, afferma che gli ebrei “s’insediarono nel Regno di Polonia nel XII sec, a causa delle persecuzioni del Sacro Romano Impero” [9]. Ma Aleksandr Solgenitsin, nel suo saggio, cita migrazioni ebraiche in Polonia in riferimento ai tatari: “L’invasione dei tatari (1239 nda) mise fine all’esuberante attività commerciale nella Russia di Kiev e, a quanto pare, numerosi ebrei partirono allora per la Polonia” [10].

Anche se Solgenitsin fa notare che l’arrivo degli ebrei nelle terre polacche “si è fatto più visibile a partire dall’XI secolo” [11].

Per quello che ne sappiamo, quindi, abbiamo ragione di credere che la nobiltà “polacca” sia stata fin dall’inizio ebraica, oppure gli ebrei si sono lentamente sostituiti a quest’ultima, come sono riusciti a fare per le famiglie nobili e senatoriali romane.

La rubrica “Araldica” si aprirà e si chiuderà con gli scritti di Barbiero, perché li riteniamo più che sufficianti a comprendere ulteriormente, ma con uno sguardo verso l’antichità, molti fenomeni “moderni” descritti sul nostro sito. In particolare gli scritti di Barbiero sono un ulteriore fonte di discredito della teoria della Khazaria, in quanto Barbiero descrive il chiaro utilizzo di tattiche giudaiche come la conversione strategica, da parte degli ebrei del I secolo dopo Cristo, o anche la diversione strategica e il mimetismo ideologico, che trovano la loro espressione in Giuseppe Flavio (ebreo), diversore strategico a capo della diversione strategica nota come Sol Invictus Mithra, un’organizzazione secernente moduli ideologici sia pagani che cristiani, necessari per infiltrare una società che guarda caso era perlopiù pagana, ma nella quale era stato piantato il seme del cristianesimo. Quanto alla teoria sciocca che il cristianesimo derivi dal mitraismo – come lo stesso Barbiero sostiene – discuteremo in seguito le sue incongruenze. Inoltre Barbiero stabilisce un filo rosso che lega le scoperte archeologiche – riguardanti il popolo ebraico – alla simbologia giudaica moderna. Ancora di più, Barbiero ci da uno spiraglio di luce su una questione che abbiamo lasciato aperta: quella sull’origine giudaica della società cristiana, in altre parole, la società giudaico cristiana. Barbiero ci mostra, coi suoi scritti, quella che sembra essere una menzogna per traslazione: è vero che gli ebrei hanno creato la società giudaico-cristiana, ma non perché ci sono dei valori condivisi tra giudaismo e cristianesimo (basta guardare la letteratura rabbinica) quanto più che altro perché gli ebrei si sono infiltrati in tutto il vescovato d’Europa e nelle famiglie nobili e reali, per distruggere la società cristiana dall’interno, in continuità con quello che abbiamo visto in un articolo in cui gli ebrei istigano l’immigrazione di scimmie nere e arabi per islamizzare l’Occidente. Gli facciamo i più vivi complimenti, e ci auguriamo che ci renda partecipi di ulteriori spunti di ricerca sul problema ebraico, attraverso i suoi scritti. Questa nostra, seppur breve, introduzione, come vedremo nei successivi articoli di questa nuova rubrica, servirà ad arricchire e rinforzare le tesi di Barbiero, che ha portato degli elementi a sua volta, che rinforzano le nostre tesi sul problema ebraico, come già scritto. Quanto alla questione giudaica nell’antichità, verrà ulteriormente trattata, aggiornata, ed eventualmente corretta in seguito.

FINE DELL’INTRODUZIONE


“L’araldica è stata definita da alcuni la “stenografia della Storia”. Forse mai definizione è risultata più azzeccata perché con pochi tratti ci fornisce una serie di informazioni essenziali sulla storia di famiglie, istituzioni, località e nazioni.

L’informazione più importante fornita dai simboli araldici, però, quella relativa all’origine lontana delle famiglie che se ne fregiano, è sistematicamente ignorata dagli studiosi, che si limitano a leggervi la loro storia matrimoniale e altre informazioni che non vanno all’indietro oltre il dodicesimo secolo. É a quell’epoca, infatti, che l’araldica si impone come sistema identificativo delle famiglie nobiliari europee.

La nobiltà del dodicesimo secolo discendeva in gran parte dalla nobiltà emersa al tempo dei Carolingi**** , la quale a sua volta era costituita dai grandi possidenti terrieri, in massima parte appartenenti a famiglie senatoriali romane. Anche i vescovi dell’Europa intera, allora come nei secoli precedenti, provenivano interamente dalla classe senatoriale*****.

Poiché il senato romano, alla fine dell’impero d’occidente, era costituito da famiglie discendenti dal gruppo dei sacerdoti giudaici che si erano riuniti attorno a Giuseppe Flavio dopo la distruzione di Gerusalemme, se ne deve concludere che gran parte della nobiltà europea medioevale era di discendenza sacerdotale. In ultima analisi poiché le famiglie sacerdotali giudaiche, come dimostrato dall’analisi della Bibbia, discendono da Mosè, la gran parte della nobiltà europea discende da Mosè, origine che condivide con i cohanim, i sacerdoti ebrei.

Una sorprendente dimostrazione di questo fatto è costituito proprio dall’araldica. Gran parte dei simboli che vi compaiono, infatti, sono riconducibili ad antiche famiglie sacerdotali giudaiche, a Israele e al tempio di Gerusalemme. L’informazione chiara ed evidente che essi forniscono è che le famiglie che li hanno assunti a proprio “biglietto da visita” sono discendenti di sacerdoti provenienti dalla Giudea.

Le informazioni fornite dall’araldica sono del tutto coerenti con l’analisi storica fin qui condotta sull’origine di quelle famiglie, il che non può essere casuale. L’araldica, in conclusione, costituisce una formidabile conferma della teoria sacerdotale qui esposta e fornisce nel contempo un criterio per valutare quali siano i progenitori di ciascuna famiglia nobiliare ed anche quale fosse la loro posizione nella gerarchia sacerdotale giudaica, aiutandoci a vedere sotto una nuova luce certe dinamiche storiche che per l’innanzi apparivano del tutto casuali” [12].

Giuseppe_Flavio1

Nella raffigurazione sovrastante: Giuseppe Flavio (ebreo), discendente da una famiglia di cohanim (sacerdoti), storico del giudaismo nel tempo libero, agente sionista a tempo pieno, utilizzerà la conversione strategica, fonderà una delle prime diversioni strategiche della storia nota come Sol Invictus Mithra, permetterà ai membri della sua stirpe di infiltrare il senato e la pubblica amministrazione dell’impero romano, con una scalata sociale irresistibile. Flavio Barbiero afferma che il giudeo-mitraismo è l’altra faccia del cristianesimo, e che quest’ultimo sia stato una mera forma di sovversione ideologica per distruggere l’impero romano. Noi affermiamo una cosa diametralmente opposta: il giudeo-mitraismo è una forma di sovversione ideologica, più precisamente un’eresia anticristiana, finalizzata a paganizzare il cristianesimo nascente. L’altra faccia del giudeo-mitraismo, per noi, è lo gnosticismo “cristiano”, cioè un sistema di sette capeggiato da diversori strategici giudaici che fomentano la gnosi spuria, nel tentativo di giudaizzare il cristianesimo nascente. Infatti, i primi gnostici dell’età antica, chiamati erroneamente “primi cristiani”, sono in realtà tutti o quasi tutti di origine ebraica, e perfino i Padri della Chiesa – che hanno combattuto lo gnosticismo a colpi di confutazioni – lo hanno sottolineato: “Secondo The Jewish Encyclopedia (“Gnosticismo”) lo gnosticismo giudaico è indiscutibilmente anteriore al Cristianesimo, e, d’altronde, i Padri della Chiesa sono concordi nel sostenere che i principali esponenti dello gnosticismo erano giudei, e dal giudaismo fanno derivare tutte le eresie” [13].

*”Figlio del precedente (Michele Feodorovitch, nda), zar della Russia dal 1645 al 1676″ (Aleksandr Solgenitsin, Due Secoli Insieme, t. 1, p. 28n).

**”Reggimento della Guardia creato da Pietro il Grande nel 1687 (dal nome del villaggio Preobrajenskoe, vicino Mosca) N.d.T.” (A. Solgenitsin, p. 34n).

***”Per salire al trono, dovette allontanare e esiliare Anna Leopoldovna [N.d.T.]” (A. Solgenitsin, p. 34n).

****”I Carolingi, come pure i precedenti “maestri di Palazzo” dei Merovingi (franchi) e le famiglie loro alleati, erano tutti grandi possidenti terrieri e discendevano quindi da famiglie senatoriali romane. In particolare i Carolingi discendevano dalla potente famiglia senatoriale degli Anici, che possedevano grandi proprietà terriere, oltre che in Italia, anche nella Gallia e nella Pannonia. Quando nel Natale dell’800 il re dei Franchi Carlo Magno fu incoronato imperatore, il primo in occidente dal 476, fu salutato dal poeta di corte Alcuino con il nome di “Flavio Anicio Carlo” (Richard Krautheimer, Rome, profile of a city, 321-1308, Princeton University press, 2000, pag. 117)” [14].

*****”Da un’analisi condotta da studiosi medievalisti sulla origine sociale dei vescovi dell’intera Europa del quinto, sesto e settimo secolo risulta che la quasi totalità di essi apparteneva alla classe senatoriale romana. (Joseph Morsel, L’Aristocratie Medieval, V°, -XIV° siècle, pag 30)” [15].

Fonti:

[1] http://www.treccani.it/vocabolario/araldica

[2] Joseph Orlitzky, Essays on Polish-Jewish Relations, Szecin, 1983, p.10.

[3] http://www.fsb.ru/fsb/history/author/single.htm!id%3D10318026%40fsbPublication.html

[4] https://it.wikipedia.org/w/index.php?title=Falso_Dimitri_I_di_Russia&oldid=97984431

[5] A. Solgenitsin, p. 28. Cfr. EG (Enciclopedia giudaica in 16 volumi, San Pietroburgo, Società per la promozione delle edizioni giudaiche scientifiche e Brokhaus e Efron, 1906-1913), t. 13, p. 611.

[6] Ibid. Cfr. J. Hessen, Istoria evreiskogo v Rossii (Storia del popolo ebreo in Russia), in 2 voll., t. 1, Leningrado 1925, pp. 9-10.

[7] Ibid.

[8] Ibidem, p. 34.

[9] http://www.patriaindipendente.it/persone-e-luoghi/servizi/antisemitismo-polacco-scomoda-storia/

[10] A. Solgenitsin, p. 19.

[11] Ibidem, p. 36.

[12] http://www.altriocchi.com/h_ita/pi5/discendenti/1_araldica.html

[13] Julio Meinvielle, Influsso dello gnosticismo ebraico in ambiente cristiano, Sacra Fraternitas Aurigarum in Urbe, Roma 1995, p. 65. Cfr. Egesippo in Eusebio, Historia Ecclesiastica, IV, 22; cfr. Harnack, Dogmen Geschichte, III ed., p. 232, nota 1. Disponibile sul canale Telegram di “laquestionegiudaica”, al seguente indirizzo: https://t.me/la_questione_giudaica/153

[14] http://www.altriocchi.com/h_ita/pi5/discendenti/1_araldica.html

[15] Idem.

“L’odio si copre di simulazione, ma la sua malizia apparirà pubblicamente” (Pr 26:26)

AGENTI CRITTOSIONISTI: Vladimir Lenin è una cellula fantasma, una spia ebrea “tedesca” di nome Goldberg inviata da Guglielmo II per distruggere la Russia dall’interno, e che poi ha tentato di bolscevizzare la Germania.

Abbiamo spesso parlato, in questo blog, di Vladimir Lenin, il tristemente famoso capo giudeo-bolscevico che ha sterminato, con le sue politiche, milioni di russi cristiano-ortodossi innocenti. È ora però giunto il momento, di fare un resoconto dei marcatori di ebraicità che abbiamo trovato su di lui, convogliandoli in un unico articolo.

Siamo arrivati alla conclusione che Vladimir Lenin è una cellula fantasma, ottenuta forse per conversione strategica dei suoi antenati, ciò avrebbe permesso di cambiare la loro identità nei registri battesimali. Una cellula fantasma, o agente crittosionista, si può ottenere per dispersione e reclutamento, inseminazione clandestina (i genitori sono entrambi ebrei e la gravidanza è extraconiugale), o gentilizzazione anagrafica, quest’ultima attraverso una conversione strategica per l’appunto, o con altri modi. Forse sono stati proprio i servizi segreti tedeschi a manipolare la documentazione dell’albero genealogico di Lenin per farlo apparire russo. Vladimir Lenin è un crittoebreo inviato dai servizi segreti tedeschi nell’illusione di distruggere la Russia dall’interno e ottenere condizioni di pace vantaggiose dopo la Prima Simulazione Mondiale. Così non è stato, poiché gli ebrei sono agenti tripli che fingono di essere agenti doppi. La storia ci insegna che tra due nazioni che litigano, Israele gode.

I tedeschi hanno fatto male i loro conti. Nessuno sembra notare che non appena Rathenau (ebreo) e Bernard Baruch (ebreo) hanno disarmato la Germania, con la Costituzione della Repubblica di Weimar e i trattati di Versailles, sono subentrati Karl Radek (ebreo) e Deshinski (ebreo) a portare il giudeo-bolscevismo in casa dei tedeschi. Questo proprio quando volevano essere i tedeschi – sempre su istigazione e col finanziamento di ebrei e crittoebrei – a portarlo in Russia. Il gioco di acquisizione-restrizione dei territori fatto contro la Germania serviva soltanto a favorire, da un lato immigrazioni di ebrei dall’est, funzionali ad infettare ancora di più l’intellighenzia tedesca di ebrei dall’etnocentrismo più feroce, e dall’altro assicurare ai giudeo-bolscevichi un controllo maggiore della Russia, separandola momentaneamente da un terzo dei suoi territori.

Bernard Baruch (ebreo), ha disarmato la Germania perché conosce bene il valore delle armi, dopotutto è “proprietario di almeno 250 fabbriche di armi” (Luigi Cabrini, Il Potere Segreto, p. 275). Questa è tipica ipocrisia giudaica. È per questo che i cittadini americani devono difendere il secondo emendamento, dai ripetuti tentativi degli ebrei di distruggerlo, poiché i gruppi terroristici, perlopiù islamici e armati fino ai denti, sono già in America, e hanno campi di addestramento.

Ma tornando a Lenin, ecco i marcatori di ebraicità che ci hanno convinto che si tratta di un ebreo al cento per cento, o per metà, o più probabilmente per tre quarti:

  • Due fonti distinte ed esperte di questione ebraica sostengono che Lenin è ebreo di madre.
  • Lenin ha parlato spesso di diversione strategica (tattica giudaica).
  • Le menzogne per omissione/traslazione di Lenin (tattica giudaica).
  • La logica giudaica di Lenin (comportamento talmudico).
  • È un razzista biologico filo-semita, come gli ebrei (comportamento talmudico).
  • È etnocentrico, ma a favore degli ebrei, non dei russi (tattica giudaica).
  • È il fautore della simulazione giudaica del “comunismo di guerra” (tattica giudaica).
  • Ha un comportamento fin troppo “filo-tedesco”.
  •  Il vero significato della frase “la fiducia è bene, il controllo è meglio” (tattica giudaica).
  • La proiezione giudaica di Lenin per l’omicidio di Yushinski (tattica giudaica).
  • La chutzpah di Lenin nel riproporre menzogne vecchie (tattica giudaica).
  • Lenin esternalizza l’antisemitismo (tattica giudaica).
  • Un giornale dell’epoca lo accusa di essere una spia ebrea “tedesca” di nome Goldberg.
  • Lenin ha affermato che il giudeo-capitalismo è un opposizione controllata (diversione strategica) del giudeo-bolscevismo.
  • La sua disputa con il Bund è una simulazione giudaica, ha anche avuto l’ipocrisia giudaica di proiettare su loro la germanofilia (tattiche giudaiche).
  • Il governo provvisorio è una diversione strategica del giudeo-bolscevismo, i dissapori tra Lenin e Kerensky sono simulazioni giudaiche, perché anche lui è un crittoebreo (tattica giudaica).
  • Nella sua famiglia si parla Yiddish (tattica giudaica).
  • Dice che gli ebrei non sono una nazione (tattica giudaica).
  • Ha “scoperto” di essere ebreo, come Gianfranco Fini, John Kerry, Madelaine Albright e tanti altri ebrei che “non sapevano di essere ebrei” (tattica giudaica).
  • Il suo ambiente familiare gode di ambiguità anagrafica/genealogica, come quelli di  Vladimir Putin,  Barach Obama, Meghan Markle e tanti altri… (tattica giudaica).
  • Ha parlato di mimetismo ideologico nei suoi scritti (tattica giudaica).
  • PER VERIFICARE: Nel libro di Lenin “Che Fare?”, è stato disperso materiale talmudico? Stalin ha forse concluso così in prigione, il suo addestramento talmudico?
  • Due fonti distinte ed esperte di questione ebraica sostengono che Lenin è ebreo di madre.

Elizabeth Dilling si sofferma sul cognome Ulyanov per mostrare l’ebraicità di Lenin:-“Lenin’s real name was Ulyanov. His father was of Mongol origin, his mother a German Jewess” [1].

Considerando che il nonno materno di Lenin si chiamava Israel ed era ebreo, Anna Iohannovna (Ivanovna) Groschopf, sua nonna materna – se lo vogliamo considerare ebreo di madre, per la nostra definizione di ebreo – deve essere stata altrettanto ebrea, questo farebbe di Lenin un ebreo per metà. Solgenitsin riassume così il suo albero genealogico: “Lenin era un meticcio, generato da razze differenti: il suo nonno paterno, Nikolai Vassilievic, era di sangue calmucco e ciuvascio, la sua nonna, Anna Alekseievna Smirnova, era una calmucca, un altro suo nonno, Israel (Alessandro era il suo nome di battesimo) Davidovic Blank, era ebreo, un’altra sua nonna, Anna Iohannovna (Ivanovna) Groschopf, era figlia di un tedesco e di una svedese, Anna Beata Estedt” [2].

Luigi Cabrini invece parla del “”compagno” massone tedesco, figlio di madre ebrea, Vladimiro Ulyanov (Lenin) spedito, in vagone sigillato” [3] (dalla Svizzera in Russia, passando per la Germania). Cabrini, ha ricevuto nutriti dossier da Giovanni Preziosi, sulla presenza ebraica in Italia, e su massoni eccellenti sparsi per il mondo. Quindi se aggiunge che Lenin è un massone, in via del tutto eccezionale, come già precisato, gli concediamo fiducia. In altri punti del libro gli dà del meticcio, ma non conosciamo casi di ebrei per un quarto che usano le tattiche giudaiche, mentre crediamo che un ebreo per metà possa rientrare benissimo nel novero del problema ebraico. Un ebreo per metà, è per noi un ebreo, un ebreo solo per un quarto non può considerarsi tale secondo noi.

Quindi per “ebreo di madre”, volendolo intendere in senso stretto, dovremmo ipotizzare che la madre di Lenin sia al cento per cento ebrea, ma per quello che ne sappiamo potrebbe avere ascendenze ebraiche anche da parte paterna.

Infatti il vero problema è che il cognome di Lenin potrebbe anche non essere mai stato Ulyanov, bensì Goldberg, come vedremo in seguito, e poi Cabrini ci segnala che è un “massone tedesco”, quando ufficialmente è nato in Russia. Ciò è dovuto principalmente al fatto che la madre di Lenin apparteneva ai Blank, una famiglia di ebrei aschenaziti, anche “tedeschi”, diventati cristiani per conversione strategica.

  • Lenin ha parlato spesso di diversione strategica (tattica giudaica).

Eric Hufschmid sostiene che “Lenin continuava a ripetere che il modo più semplice per avere il controllo sui dissidenti è quello di fondarne i relativi movimenti, finanziarne i manifestanti, instaurarne i capi, e pilotarne il pensiero” [4]. Questa si chiama diversione strategica, è una tattica giudaica della quale abbiamo già dimostrato l’ebraicità. La citazione esatta si trova probabilmente nei “Quaderni Filosofici” di Lenin.

  • Le menzogne per omissione/traslazione di Lenin (tattica giudaica).

Quando Lenin dice che “la pace è un’altro modo di continuare la guerra”, compie una menzogna per omissione, perché omette di dire che la guerra viene continuata in altri modi contro la Russia e il suo popolo, non contro il capitalismo o la Germania (o almeno non subito contro quest’ultima). Solgenitsin porta più di una prova al riguardo, ma limitiamoci a riportare che per lui non si può scendere a patti col giudeo:-“La Germania di Guglielmo II ha aperto la strada a Lenin perché distruggesse la Russia e, ventotto anni più tardi, si è ritrovata divisa per mezzo secolo” [5]. Solgenitsin cita anche esempi per Russia, Inghilterra, Finlandia, e Polonia, evidenziando come il giudeo, da dietro le quinte della storia, è riuscito ad ingannare più nazioni in più decenni.

  • La logica giudaica di Lenin (comportamento talmudico).

Per giustificare quella che abbiamo classificato come “la simulazione giudaica del comunismo di guerra”, Lenin si è espresso così: “Nel marzo 1921, Lenin pronunciò le seguenti parole al Congresso del Partito: “Fintantoché non c’è rivoluzione negli altri paesi, impiegheremo decine di anni a cavarcela, perciò non bisogna esitare a prelevare centinaia di milioni, se non addirittura miliardi sulle nostre inesauribili ricchezze in materie prime, per ottenere l’aiuto del grande capitalismo moderno” [6]. Orbene questa si chiama logica giudaica, cioè l’uso delle scuse più assurde da parte degli ebrei per giustificare i loro crimini più orribili.

La parafrasi di quello che ha detto Lenin è più o meno questa:-“È proprio perché vogliamo distruggere il capitalismo che dobbiamo dare tutto quello che abbiamo al capitalismo, ottenendo così il suo aiuto a distruggerlo”.

  • È un razzista biologico filo-semita, come gli ebrei (comportamento talmudico).

Lenin avrebbe anche detto la frase  “”An intelligent Russian,” […] “is almost always a Jew or someone with Jewish blood in his veins” [7] (“Un russo intelligente,” […] è quasi sempre un ebreo o qualcuno con sangue ebreo nelle sue vene”). Questo è chiaramente filo-semitismo razzista un po’ ingiustificato.

  • È etnocentrico, ma a favore degli ebrei, non dei russi (tattica giudaica).

Basta guardare le violazioni di numerus clausus degli ebrei nei commissariati sovietici. Il controllo su tali strutture apparteneva al Sovnarkom, in italiano Consiglio dei Commissari del popolo, del quale Lenin è stato presidente. Ogni commissario del popolo è a sua volta direttore di un Commissariato del popolo, in russo Narkomat. Nel 1920 era così composto:-“Presidente: Lenin (ebreo); Affari Esteri: Tjiljerin (russo); Nazionalità: Stalin (crittoebreo); Agricoltura: Protian (armeno); Istruzione: Lunacharsky (russo); Finanze: Larin (ebreo); Beni alimentari: Schlichter (ebreo); Affari militari e marittimi: Trotsky (ebreo); Controllo statale: Lander (ebreo); Public Land: Kauffman (ebreo); Lavoro: Schmidt (ebreo);  Sicurezza Sociale: Lelina (ebreo); Religione: Spitzberg (ebreo); Affari Interni: Zinoviev (ebreo); Salute: Anvelt (ebreo); Finance: Goukovsky (ebreo); Stampa: Volodarsky (ebreo); Elections: Uritsky (ebreo); Giustizia: Steinberg (ebreo); Refugees: Fenigstein (ebreo); Refugees (ass.): Savitj (ebreo); Refugees (ass.): Zaslovsky (ebreo)” [8].

Un altro esempio di etnocentrismo da parte di Lenin, è dato dalle modalità con le quali ha inserito un crittoebreo, Menjinski, alla direzione della Cheka, la polizia segreta giudeo-bolscevica.

Menjinski è un crittoebreo che si spaccia per polacco, grazie alla tattica giudaica del patrocinato nobiliare strategico. È una cellula fantasma per i seguenti motivi:

  • Per lo storico Paul Wieczorkiewicz, è un ebreo.

E per i marcatori di ebraicità a suo carico:

  • Le sue liti con Lenin sono simulazioni giudaiche (tattica giudaica).
  • Menjinski, proprio come Dzerjinski (ebreo), è un campione della diversione strategica (tattica giudaica).
  • È etnocentrico (tattica giudaica).
  • Proviene dalla nobiltà polacca, e alla luce dei casi precedenti abbiamo ragione di credere che tale nobiltà sia, oltre che un serbatoio, anche una sorgente di cellule fantasma (tattica giudaica).
  • Per lo storico Paul Wieczorkiewicz, è un ebreo.

Anche se potrebbe essere messa in discussione, questa illazione, viene fatta comunque da uno storico, e deve essere presa in considerazione, fermo restando che noi identifichiamo gli ebrei in base al loro modus operandi (marcatori d’ebraicità), e non in base a chi dice che questo o quel personaggio sono ebrei.

Ad ogni modo, la voce dei sionisti su internet, Wikipedia, riporta:-“Vyacheslav Menzhinsky, was born into a Polish-Russian family of teachers. According to historian Paul Wieczorkiewicz, Menzhinsky was a Jew, and he spoke every day in the Polish language, like other Jews in Congress. He graduated from the Faculty of Law at Saint Petersburg University in 1898″ (i bastardi hanno prontamente modificato questa versione troppo veritiera sulle origini di Menzhinsky, russificandolo, ma non importa, tanto sono i marcatori di ebraicità che contano, e quelli non li può cancellare nessuno, nda) [9].

  • Le sue liti con Lenin sono simulazioni giudaiche (tattica giudaica).

Menjinski accusa Lenin, prima della rivoluzione ebraica in Russia nel 1917, di essere un “gesuita politico”, che sfrutta il marxismo per i propri scopi: “In July 1916 Menzhinsky attacked Lenin in an anonymous article published in an emigre newspaper, Our Echo: “Lenin is a political Jesuit who over the course of many years has molded Marxism to his aims of the moment. He has now become completely confused…. Lenin, this illegitimate child of Russian absolutism, considers himself not only the natural successor to the Russian throne, when it becomes vacant, but also the sole heir of the Socialist International. Should he ever come to power, the mischief he would do would not be much less than that of Paul I (the Tsar who preceded Alexander I). The Leninists are not even a faction, but a clan of party gypsies, who swing their whips so affectionately and hope to drown the voice of the proletariat with their screams, imagining it to be their unchallengeable right to be the drivers of the proletariat”” [10].

Inutile dire che, come in ogni simulazione giudaica che si rispetti, se un criminale giudaico ti chiama agente doppio, tu in cambio lo fai diventare Commissario del Popolo alle Finanze!

“Lenin appointed Menzhinsky as People’s Commissar of Finance. According to David Shub, the author of Lenin (1948), Lenin told him: “You are not much of a financier, but you are a man of action”” [11].

Dopodiché Lenin, non contento, lo inserisce nei ranghi dell’istituzione preferita dagli ebrei: la Cheka.

“”After October he was made People’s Commissar of Finance, but created such chaos that he was quickly removed. Then, in 1919, Lenin suddenly remembered that Menzhinsky was a lawyer and found a suitable place for him in the senior ranks of the Cheka”” [12].

  • Menjinski, proprio come Dzerjinski (ebreo), è un campione della diversione strategica (tattica giudaica).

Tradotto dal russo all’inglese col traduttore automatico del browser, sul sito dell’FSB (servizio segreto dell’attuale Federazione russa), leggiamo:

“”Sent by the Central Committee on the orders of Dzerzhinsky,” written by him in the KGB questionnaire in the “recommendations” column. So in September 19th, Vyacheslav Menzhinsky, the former people’s commissar of finance and the consul general in Berlin, gets into the thick of the Lubyanka” [13].

He turned out to be a born counterintelligence officer. It was under his direct leadership of the OGPU that he conducted his first brilliant operations: Trust, Syndicate-2, when the largest anti-Soviet centers were completely defeated, and their leaders Savinkov, Reilly were lured to Russia and arrested” [14].

Difficile che la prosecuzione di due diversioni strategiche come “Trust” e “Syndicate-2”, in un organismo come la OGPU – pieno zeppo di ebrei – vengano affidate ad un gentile, quando gli ebrei usano questa tattica giudaica da migliaia di anni.

  • È etnocentrico (tattica giudaica).

Solgenitsin racconta che la Ceka “rivelava i nomi di coloro che servivano nelle sue fila con la più grande parsimonia – la sua forza era nel segreto che avvolgeva il suo lavoro. Ma ecco che scocca l’ora di celebrare il decimo anniversario della gloriosa Ceka!” [15]. Infatti in un “numero speciale delle Izvestia, possiamo ugualmente scoprire una grande foto: Menjinski, un sorriso beffardo sulle labbra, fiancheggiato dal suo fedele e taciturno Iagoda (ebreo nda), ma anche Trilisser (ebreo nda) – non poteva non essere là” [16]. Menjinski è stato nei ranghi della Ceka almeno dal 1921, ed è diventato direttore della struttura nota come OGPU il 30 luglio 1926. L’anniversario della Ceka si è celebrato nel 1927, e deve essere da direttore dell’OGPU che  Menjinski si fa ritrarre  insieme a Iagoda e Trilisser, col privilegio di comparire sulle Izvestia. Menjinski muore nel 1934 mentre è ancora direttore dell’OGPU, e successivamente, durante le grandi purghe di Stalin, Iagoda dirà di aver usato il modulo kennedy su Menjinski, in altre parole dirà di averlo ucciso per avvelenamento. Menjinski non ha certo inserito dei russi nei ranghi dell’OGPU, si è tenuto gli ebrei al suo fianco fino a quando non è stato probabilmente eliminato, dai suoi stessi compagni di merende, quindi è giusto dire che era etnocentrico.

  • Proviene dalla nobiltà polacca, e alla luce dei casi precedenti abbiamo ragione di credere che tale nobiltà sia, oltre che un serbatoio, anche una sorgente di cellule fantasma (tattica giudaica).

La nobiltà polacca sembra proprio una tana di crittoebrei. Lo abbiamo potuto constatare con il caso di Dzerjinski e la serie dei falsi Dimitri. Abbiamo perciò ragione di credere che tale nobiltà sia una sorgente così come un serbatoio di cellule fantasma. Una sorgente di cellule fantasma, è il luogo o l’evento con il quale tali cellule fantasma vengono prodotte. Un serbatoio di cellule fantasma è invece il luogo nel quale solitamente possono essere rinvenute. Ad esempio, se il voto di castità da parte di prelati marrani è rispettato, allora la Chiesa Cattolica è un serbatoio di cellule fantasma ma non una sorgente di tali cellule. L'”Olocausto” degli ebrei, è invece una sorgente di cellule fantasma, perché giustifica l’utilizzo della tattica giudaica nota come dispersione strategica (tattica delle cellule fantasma). Il serbatoio diventa quindi delocalizzato perché i figli degli ebrei vengono dispersi in diverse famiglie di gentili. Il meccanismo è identico a quello utilizzato dagli armeni durante il loro Olocausto, avvenuto decenni prima di quello ebraico. Nel caso della nobiltà polacca, invece, questa è una sorgente di cellule fantasma perché è composta da crittoebrei che si legano ad altri crittoebrei generando altri crittoebrei come loro. Ma è anche un serbatoio di cellule fantasma, perché i crittoebrei nobili polacchi non si spostano da dove sono nati, si ritrovano e si accumulano sempre nella nobiltà polacca. In altre parole, se le cellule fantasma non si spostano dalla loro sorgente, questa coincide col serbatoio.

Adesso però torniamo ai marcatori di ebraicità riguardanti Vladimir Lenin:

  • È il fautore della simulazione giudaica del “comunismo di guerra” (tattica giudaica).

“Alla fine del 1926, “la Russia era già entrata nella seconda fase della reazione comunista che si tradusse […] nel completo smantellamento della NEP. Questo processo iniziò con l’interdizione del commercio privato delle granaglie. Poi, questa misura fu estesa al cuoio, agli oleosi, al tabacco […] Si chiusero mulini, burrifici, manifatture di tabacco. Nel corso dell’estate 1927, si cominciò a procedere alla fissazione dei prezzi di vendita nel commercio privato. Ormai, la maggior parte degli artigiani si ritrovarono senza lavoro, in mancanza di materie prime” [17].

“La situazione delle piccole città delle regioni occidentali commosse la comunità ebraica internazionale. Nel 1922 (al termine del “comunismo di guerra”), Pasmanik scrisse non senza qualche esagerazione: “Sotto il bolscevismo, gli ebrei sono puramente e semplicemente condannati a sparire”; il trionfo dei bolscevichi ha trasformato “tutti gli ebrei russi in un branco di mendicanti” [18]. (Qui viene usata la strategia della compassione, a mezzo di iperbole strategica, esagerando le proprie sofferenze nda).

“Tuttavia, non è questo che l’Occidente voleva sentire. L’opinione pubblica – compresi gli ebrei – vi restava benevola nei confronti del potere sovietico […] Dal canto suo, la propaganda sovietica si dava abilmente da fare per magnificare addirittura la prosperità e le prospettive aperte agli ebrei. Questa sensazione generale di simpatia permetteva ai dirigenti sovietici di ottenere più facilmente l’aiuto finanziario dell’Occidente, particolarmente quello dell’America. Senza questo aiuto, erano incapaci di uscire dal marasma economico provocato dal glorioso “comunismo di guerra”” [19].

““E l’affare fu concluso: il capitalismo moderno non ricalcitrò a rubacchiare un po’ delle ricchezze della Russia. Nell’autunno 1922, fu fondata la prima banca sovietica internazionale – la “Roskombank”, con a capo personalità che ci sono già familiari: Olof Aschberg, che aveva drenato verso Lenin l’aiuto internazionale durante tutta la rivoluzione, ex banchieri del tempo degli zar (Schlesinger, Kalachkin, Ternovski), e Marc Mei, che tanto aiutò i Soviet negli Stati Uniti; si elaborò un sistema di scambio in base al quale tutti i fondi disponibili “dovevano servire all’acquisto negli Stati Uniti di beni per uso civile”. Il segretario di Stato americano ebbe un bel protestare che si trattava “di un riconoscimento de facto dei Soviet”, non venne ascoltato. Dal canto suo, il professor G. Kassel, consigliere presso la “Roskombank”, coniò questa formula: “Non sarebbe ragionevole abbandonare la Russia al suo destino, tenuto conto delle risorse di cui dispone” [20]. “E così arrivarono nell’URSS i primi concessionari – tanto attesi, tanto desiderati dai Soviet! – con, tra loro, il preferito di Lenin, Armand Hammer. Sin dal 1921, “è negli Urali […] dove decide di contribuire alla rinascita dell’industria di questa regione”; ottiene la concessione dei giacimenti di amianto di Alapaievsk. In una nota del 14 ottobre 1921 indirizzata ai membri del Comitato centrale, Lenin annuncia che il padre di Hammer “dà un milione di pud* di grano agli operai degli Urali a condizioni molto vantaggiose e si incarica di rivendere le preziose produzioni degli Urali in America” [21]. “Più tardi, in cambio di consegne di matite ai Soviet, Hammer esportò senza vergogna i tesori delle collezioni imperiali. (Ritornò frequentemente a Mosca, sotto Stalin come sotto Kruscev, e continuò a importare intere navi da carico piene di icone, quadri, porcellana, pezzi di oreficeria di Fabergé)”” [22].

Il cosiddetto “comunismo di guerra”, aveva anche un’altro scopo: l’applicazione della tattica giudaica nota come “RIMPASTO DELL’INTELLIGHENZIA”. In altre parole, la parte acculturata e con capacità gestionali, di una nazione, viene eliminata dagli ebrei, che si sostituiscono ad essa. Il rimpasto dell’intellighenzia può essere lento e graduale, oppure immediato, per eliminazione diretta della precedente intellighenzia. Nel caso della Russia Sovietica, ciò si è svolto in maniera violenta, in varie tappe, una delle quali è appunto il “comunismo di guerra”, anche se si tratta in realtà dell’eliminazione della borghesia media e piccola, ciò non deve trarre in inganno, perché quando si tratta del popolo ebraico, anche piccola e media borghesia partecipano alle simulazioni giudaiche e hanno un quadro più o meno chiaro di ciò che ha in mente l’intellighenzia vera e propria. Infatti, all’inizio “del 1927, Bucharin dichiarò nel corso di una conferenza del Partito che “durante il comunismo di guerra, abbiamo ripulito tanto la grande borghesia quanto quella media e piccola”. Non appena è stata misurata la libertà di commercio, “la piccola e media borghesia ebraica ha occupato le posizioni della piccola e media borghesia russa […] Si osserva pressappoco la stessa cosa con la nostra intellighenzia russa che si è ribellata e ha fatto del sabotaggio: qui o là, è stata l’intellighenzia ebraica a prenderne il posto”. Per di più, “la borghesia e l’intellighenzia ebraiche hanno lasciato le regioni dell’Ovest e le città del Sud per concentrarsi nel centro del paese”. Ed ecco che “non è raro che nel seno stesso del nostro Partito si manifestino tendenze antisemite, in un certo qual modo una leggera deviazione […] Compagni, dobbiamo combattere spietatamente l’antisemitismo” [23].

  • Ha un comportamento fin troppo “filo-tedesco”.

Aleksandr Solgenitsin si è fatto la sua idea, su chi fossero in realtà Trotsky e Lenin:-“La prima azione di rilievo dei bolscevichi consistette, firmando la pace di Brest-Litovsk, nel cedere alla Germania una enorme porzione del territorio russo, per consolidare il loro potere sulla parte restante. Il capo della delegazione firmataria era Ioffré; il capo della politica estera Trotzkij. Il suo segretario e procuratore, I. Zalkin, aveva occupato il gabinetto del compagno Neratov al ministero e operato una purga in seno al vecchio apparato per creare un nuovo organismo, il Commissariato agli Affari esteri. Nel corso delle audizioni effettuate nel 1919 al Senato americano sopra citate, il dottor A. Simons, che dal 1907 al 1918 era stato decano della Chiesa episcopaliana metodista di Pietrogrado, fece un interessante osservazione: “Mentre non avevano peli sulla lingua per criticare gli alleati, Lenin, Trotzkij e i loro accoliti non hanno mai espresso – almeno a quanto mi risulta – il minimo biasimo nei confronti della Germania” [24].

L’autore Pietro Ratto, traducendo in italiano un articolo del Der Spiegel, ci segnala:-”

16 novembre 1917. I compagni Polivanov e Zalkind, alti funzionari del Commissariato per gli Affari Esteri dell’appena nato regime bolscevico, firmano un documento indirizzato al Presidente del Consiglio dei Commissari del Popolo, Lenin. Sul documento si legge: “Secondo la risoluzione presa alla riunione dei commissari del popolo compagni Lenin, Trotskij, Podvojskij, Dybenko, Volodarskij, abbiamo eseguito quanto segue:

1) nell’archivio del ministero della Giustizia dall’incartamento sul “tradimento” dei compagni Lenin, Zinoviev, Kamenev, Kollontaj, ecc. abbiamo tolto l’ordine della banca imperiale germanica n. 7433 del 2 marzo 1917 con l’autorizzazione di un pagamento ai compagni Lenin, Zinoviev, Kamenev, Trotskij, Sumenson, Kozlovskij, ecc. per la propaganda di pace in Russia.

2) Sono stati controllati tutti i registri della Nya Banken di Stoccolma contenenti i conti dei compagni Lenin, Trotskij, Zinoviev, ecc., aperti dietro l’ordine della banca imperiale germanica n. 2754“” [25].

Pietro Ratto continua così:-“Il 17 di quel mese un telegramma era partito da Stoccolma. Il capo dei servizi segreti tedeschi avvisava Berlino: “L’ingresso di Lenin in Russia è riuscito. Sta lavorando esattamente come richiesto“” [26].

E sintetizza in breve i finanziamenti ai giudeo-bolscevichi:-“Se ne evince che per ben quattro anni il solo Ministero degli Esteri tedesco versò nelle casse sovietiche 26 milioni di marchi (circa 75 milioni di euro attuali). Ma i finanziamenti totali furono molto più ingenti, e si concretizzarono in armamenti, esplosivi e, naturalmente, molti, molti soldi. Anzi, il periodico tedesco sostiene che già nel settembre 1914, a guerra appena iniziata, “due personaggi particolarmente influenti” avessero ricevuto dal Kaiser un anticipo di 50 mila marchi d’oro per mettere in piedi in Russia un’insurrezione che, una volta verificatasi, avrebbe ottenuto un’ulteriore copertura tedesca di altri due milioni di marchi” [27].

È evidente che i “due personaggi molto influenti” sono Trozkij e Lenin. E a giudicare dal virgolettato del capo dei servizi segreti tedeschi dell’epoca, non ci sorprende affatto che  Lenin sia stato accusato di essere un agente tedesco.

  • Significato della frase “la fiducia è bene, il controllo è meglio” (tattica giudaica).

Quando Lenin dice la frase “la fiducia è bene ma il controllo è meglio”, parla della tattica giudaica di infiltrare tutte le fazioni (ciò rappresenta il controllo) e della tattica del ricatto dell’intellighenzia (basato sulla fiducia reciproca) al fine di ottenere gentili corrotti tra le nazioni e/o gentili del sabato, servi degli ebrei. Ovviamente avere dei gentili del sabato infiltrati nelle nazioni dei gentili è bene (ma ci si basa sulla fiducia), mentre avere dei consanguinei ebrei o crittoebrei è meglio (rappresenta il vero controllo).

Anche Aleksandr Solgenitsin ha parlato di tale tattica nel suo saggio “Warning To The West”:

“A system that, in the 20th Century, was the first to introduce the use of hostages, that is to say, not to seize the person whom they were seeking, but rather a member of his family or someone at random, and shoot that person.

This system of hostages and persecution of the family exists to this day. It is still the most powerful weapon of persecution, because the bravest person, who is not afraid for himself, still shivers at the threat to his family” [28].

E Alfred Rosenberg è arrivato alle stesse conclusioni:

“The remnant of Russian intellectuals, that had survived the massacres, was forced to take service under the Jews by the application of the clever stratagem of decreeing all their relatives as hostages, a guarantee for their good behaviour, for their willingness to work and for their efficient zeal in the furtherance of bolshevist enterprises.
Stupefied by hunger and the ever present menace of death, continually surrounded by spies disguised as political commissaries, they had no other choice than to put their practical knowledge and their expert intelligence to the service of their merciless enemies. Many, indeed, have preferred death, but many have yielded. The supremacy of the Jews is complete” [29].

  • La proiezione giudaica di Lenin per l’omicidio di Yushinski (tattica giudaica).

In merito all’omicidio rituale ebraico di Yushinski (meglio noto come “caso Beiliss”), Lenin ha affermato che ad ucciderlo è stato un cristiano, quando il profilo delle ferite inferte ad Andrei è compatibile con il processo di dissanguamento operato dagli ebrei in questi omicidi:

“The ex-General Alexandre Netchvoldov of the Russian Imperial Army, tells us the rest in an article, “La Russie et les Juifs,” in Le Front Unique, published at Oran, 1927, p. 59: Quoting Evrijskaja Tribuna of 24th August, 1922, he says “that at a visit of the Rabbi of Moscow to Lenin, the first word Lenin said to his visitor was to ask him if the Jews were satisfied with the Soviet tribunal which had annulled the Beiliss verdict, saying that Joutchinksy had been killed by a Christian!”” [30].

Si tratta chiaramente di una proiezione giudaica, il signorino non mostra alcun dubbio, non gli passa per la mente neanche per un secondo, che possano essere stati gli ebrei ad uccidere Yushinski. Distrutte le prove da parte di Kerenski, non è stato poi difficile da parte dei giudeo-bolscevichi cambiare il verdetto del processo Beiliss!

  • La chutzpah di Lenin nel riproporre menzogne vecchie (tattica giudaica).

Lenin ha detto la frase: “Una menzogna ripetuta in continuazione diventerà la verità”. La citazione è più o meno questa, e verrà puntualmente ripetuta da altre cellule fantasma come Joseph Stalin (ebreo) e Adolf Hitler (ebreo). Queste tre persone conoscono molto bene il valore di riproporre menzogne vecchie, come lo sanno gli ebrei nelle loro “risposte” ai revisionisti dell’Olocausto, così come lo sa Mark Regev (ebreo), quello che ha affermato che i cinque “israeliani danzanti” – che sono stati visti festeggiare la caduta del primo edificio delle Torri Gemelle – non sono in alcun modo collegati al Mossad, quando un alto ufficiale che ha voluto restare anonimo, ha dichiarato sul Forward che almeno tre di loro erano degli agenti del Mossad. Non appena il Forward ha rimosso furbescamente la notizia dai suoi archivi, altrettanto furbescamente Regev ha riproposto menzogne già smontate, un esempio perfetto…

Riproporre menzogne vecchie è chutzpah o comunque una sua forma, a quanto ci dice Alain Soral: “This is the chutzpah, which consists in repeating counter-truths with a smile on their lips thinking that the morons will believe it” [31].

  • Lenin esternalizza l’antisemitismo (tattica giudaica).

Esternalizzare l’antisemitismo è una tattica giudaica, consiste nell’asserire che l’antisemitismo viene infiltrato nella nazione ospite da una nazione nemica, in questo modo gli ebrei possono fingersi amici dei gentili nella nazione che infettano e dire “vedete, non siete voi ad essere antisemiti, sono i nostri nemici ad esserlo, e sono sempre loro a fomentare l’antisemitismo a casa nostra”. Degli esempi verranno forniti successivamente.

Quanto a Vladimir Lenin, anche lui ha utilizzato tale tattica giudaica, Aleksandr Solgenitsin ne riporta l’utilizzo da parte di quest’ultimo:

“Al culmine di questo stesso 1918, Lenin registrò su grammofono un “discorso speciale sull’antisemitismo e gli ebrei”. Egli vi denuncia “la maledetta autocrazia zarista che ha sempre lanciato contro gli ebrei gli operai e i contadini incolti. La polizia zarista, aiutata dai proprietari terrieri e dai capitalisti, ha perpetrato pogrom antiebraici. L’ostilità verso gli ebrei è tenace solo là dove il complotto capitalista ha definitivamente oscurato la mente degli operai e dei contadini […] Tra gli ebrei ci sono operai, uomini di fatica, essi sono la maggioranza. Sono nostri fratelli, oppressi come noi dal capitalismo, sono nostri compagni che lottano con noi per il socialismo […] Male incolga al maledetto zarismo! […] Vergogna a quelli che seminano l’ostilità verso gli ebrei!” [32]. Solgenitsin commenta in questo modo le prese di posizione di Lenin sugli ebrei:- “In fondo, a causa del suo internazionalismo e in seguito alla sua disputa con il Bund nel 1903, Lenin condivideva la tesi che non c’è e non può esserci affatto una “nazionalità ebraica”; che questa è una macchinazione reazionaria che disunisce le forze rivoluzionarie” [33]. E continua:-“Di conseguenza, Lenin vedeva nell’antisemitismo una manovra del capitalismo, una facile arma tra le mani della controrivoluzione, qualcosa che non era naturale” [34].

  • Un giornale dell’epoca lo accusa di essere una spia ebrea “tedesca” di nome Goldberg.

Nel secondo volume de “La Rivoluzione Russa” del giornalista Enzo Biagi, sottotitolato “La battaglia per sopravvivere” leggiamo questo:

“Secondo il “Figaro”, Lenin è il ‘pallido zar della canaglia’. Gustave Hervé, vecchio rivoluzionario e antipatriota, definisce Lenin e i suoi accoliti << un mucchio di traditori, di dottrinari, di maleteste, di illusi, di ignoranti >>. << Ah! >> esclama Hervé << perché Kerenski ha soppresso la potenza del knut**? >> In generale, per la stampa francese, Lenin e i bolscevichi non sono che dei Bronstein, dei Rosenfeld, dei Goldmann, << una banda di ebrei rinnegati, traditori della comunità israelitica, traditori della patria, traditori degli alleati di quest’ultima e di tutta quanta l’umanità >>.

Il ”Journal de Genève” che rimane ‘il foglio più reazionario d’Europa’, come lo definiva Karl Marx, non voleva certamente passare per meno antibolscevico dei suoi confratelli parigini. Eppure, dimenticando di stabilire gli accordi del caso, a volte i giornali facevano passare Lenin come un pangermanista intossicato dal marxismo, a volte affermavano che, durante il suo soggiorno in Svizzera, egli si fosse dato alla teoria della violenza di Georges Sorel!

Vladimir Ilic è russo al cento per cento. Il “Matin” che sa tutto scoprì che Lenin altro non era che una spia tedesca, << il cui vero nome sarebbe Goldberg >>! Tripla manifestazione d’antigermanismo, d’antibolscevismo e d’antisemitismo!” [35].

Ad oggi sappiamo che non è vero che Lenin è russo al cento per cento, ufficialmente lo è per tre quarti. Ma i marcatori d’ebraicità sono d’accordo con il Matin. Se Lenin è più ebreo di quello che da a vedere, e il suo vero nome è davvero Goldberg, allora si tratta di un figlio ebreo disperso in una famiglia composta per la maggior parte da gentili, come di regola dovrebbe essere la famiglia Ulyanov. In altre parole Vladimir Lenin è uno splinter cell, una cellula fantasma. Quanto ad Enzo Biagi, è molto bravo nelle sue inversioni accusatorie, ma non reggono alla prova dei fatti, cioè delle violazioni di numerus clausus palesi in seno all’intellighenzia sovietica degli anni venti. Il “Journal de Genève” invece lo abbiamo già incontrato per parlare dell’insider racket commesso dagli ebrei durante la guerra civile tra Armata Rossa e Armata Bianca, e se su tale giornale è stato scritto che Lenin era un pangermanista, non c’è motivo per non crederci. Il pangermanesimo, come il panislamismo wahabita o quello di Erdogan o quello di Alija Izetbegovic, sono il sintomo dell’infiltrazione ideologica, attraverso il mimetismo ideologico, dei moduli ideologici insiti nell’imperialismo giudaico, che si evince dalla letteratura rabbinica. Ma in un articolo a parte sarà necessario discutere l’origine giudaica di queste forme di imperialismo, dopotutto Israele ha saputo inserirsi, con l’ideologia sionista, all’interno dei progetti colonialistici delle grandi potenze dell’Ottocento, come ad esempio l’Inghilterra, che non a caso è stata ribattezzata l'”Israele britannico” per via delle vaste operazioni di sovversione ideologica attuate in quel paese, sempre per il tornaconto del giudeo. Un raffronto tra gli scritti di Sorel e quelli di Lenin potrebbe essere necessario per l’individuazione di moduli ideologici di stampo talmudico, abilmente camuffati per compartimentazione dei moduli, come ha saputo fare Karl Marx con il suo “Il Capitale”.

Esiste anche un’altra accusa, non solo di crittoebraicità, ma di autentica dispersione strategica (o tattica giudaica delle cellule fantasma, come l’abbiamo finora chiamata), a carico di Lenin. Tale accusa è stata formulata dal conte zarista Arthur Cherep-Spiridovich, nella sua opera “Secret World Government or The Hidden Hand”:-“Lenin (or Oulianov by adoption, originally Zederbaum, a Kalmuck Jew, married a Jewess, and whose children speak Yiddish) is no more. The press assures us, women fainted and leaders wept . Such is the report published by the press . Who purveys such ‘gup’ to swallow and what is its object? The Hidden Hand wangles it into our press” (The Patriot . Jan. 31, 1924, Capt. A. Proctor” [36].

In altre parole Lenin sarebbe stato adottato/disperso nella famiglia Ulyanov, ed è stata quasi sicuramente sua madre adottiva, per metà ebrea, ad averlo indirizzato verso quegli ambienti ebraici/crittoebraici, che gli avrebbero poi fornito l’addestramento rabbinico/talmudico necessario per ingannare il popolo russo. Ad ogni modo, anche se da soli i marcatori d’ebraicità non possono fare una distinzione tra i due (Goldberg e Zederbaum), noi sosteniamo la versione del quotidiano “Matin”, anche perché Spiridovich non fornisce alcuna prova – per giustificare come possa aver affermato che Lenin è uno Zederbaum, anziché un autentico Ulyanov – mentre il “Matin” sembra informato quanto il “Journal de Genève”, sulla questione giudaica.

  • Lenin ha affermato che il giudeo-capitalismo è un’opposizione controllata (diversione strategica) del giudeo-bolscevismo.

In  uno dei suoi discorsi, raccolti nel libro “Warning To The West”, Solgenitsin ci fornisce alcune citazioni di Lenin molto interessanti, perché dipingono il giudeo-capitalismo come una diversione strategica del giudeo-bolscevismo:

“This is something which is almost incomprehensible to the human mind: that burning greed for profit which goes beyond all reason, all self-control, all conscience, only to get money.

I must say that Lenin foretold this whole process. Lenin, who spent most of his life in the West and not in Russia, who knew the West much better than Russia, always wrote and said that the western capitalists would do anything to strengthen the economy of the USSR. They will compete with each other to sell us goods cheaper and sell them quicker, so that the Soviets will buy from one rather than from the other. He said: They will bring it themselves without thinking about their future. And, in a difficult moment, at a party meeting in Moscow, he said: “Comrades, don’t panic, when things go very hard for us, we will give a rope to the bourgeoisie, and the bourgeoisie will hang itself.”

Then, Karl Radek, whom you may have heard of, who was a very resourceful wit, said: “Vladimir Ilyich, but where are we going to get enough rope to hang the whole bourgeoisie?

Lenin effortlessly replied, “They’ll supply us with it“” [37].

  • La sua disputa con il Bund è una simulazione giudaica, ha anche avuto l’ipocrisia giudaica di proiettare su di loro la germanofilia (tattiche giudaiche).

In questo interessante aneddoto, si vede un crittoebreo, Lenin, accusare di parassitismo gli ebrei bundisti, per bocca di Plechanov. Infatti, nel 1917, il cosiddetto Comitato esecutivo “combatté l’antisemitismo con la massima energia […] (anche nda) rifiutando di far entrare Plechanov in seno a questo Comitato, si sanzionò il suo articolo diretto contro il Bund, “La tribù dei parassiti”, reso famoso da Lenin” [38].

È patetico anche che dei documenti tedeschi classifichino Lenin come agente doppio dei loro servizi segreti in funzione anti-russa, mentre tale agente doppio accusa di germanofilia il Bund. Infatti Solgenitsin giustamente si chiede, in riferimento all’atteggiamento degli ebrei verso la Russia durante la Prima Guerra Mondiale, “nel 1914 […] in nome di cosa aiutare l’esercito russo? In nome della Zona di residenza? Al contrario, la guerra non lasciava balenare la speranza di una liberazione? Con l’arrivo degli austriaci e dei tedeschi, non si sarebbe comunque instaurata una nuova Zona di residenza, non si sarebbe mantenuto il numero chiuso negli istituti scolastici!” [39].

“È appunto nella parte occidentale della Zona di residenza che il Bund conservava influenza e Lenin ci informa che i suoi membri “sono in maggioranza germanofili e gioiscono della disfatta della Russia” [40]. “Apprendiamo ugualmente che, durante la guerra, il movimento ebreo autonomista Vorwarts adottò una posizione apertamente filo-tedesca” [41].

Nell’atteggiamento di Lenin verso il Bund, ipocrisia e proiezione giudaica si confondono, diventando una cosa sola.

  • Il governo provvisorio è una diversione strategica del giudeo-bolscevismo, i dissapori tra Lenin e Kerensky sono simulazioni giudaiche, anche lui è ebreo (tattica giudaica).

Kerensky, il primo ministro del governo Provvisorio che nel 1917 ha abolito la Zona di Residenza, permettendo così agli ebrei di infiltrare a piacimento tutta la Russia, è un agente crittosionista, ovvero una cellula fantasma. Le liti tra Lenin e Kerensky sono simulazioni giudaiche, e gli ebrei conoscono la crittoebraicità di entrambi. Quindi le barzellette su Lenin “goy del sabato” sono delle simulazioni giudaiche divergenti, utilizzate per sviare i sospetti dei gentili sull’ebraicità di Lenin.

Kerensky è una cellula fantasma a capo di una diversione strategica, per i seguenti motivi:

  • Documenti conservati negli Stati Uniti provano che il comportamento di Kerensky, è quello di un tipico diversore strategico.

“”To quote from the 1920 four-volume report of the New York State Committee Investigating Subversive Activities (headed by Senator Clayton R. Lusk): “Alongside of the provisional government headed first by Prince Lvov, the socialist and anarchist elements of Petrograd’s population established a Soviet of Soldiers’, Workmen’s, and Sailor’s Deputies… Its president was at first Tcheidze [Menshevik leader] and its vice-president Kerensky [leader of the socialist Social Revolution Party]. In May, 1917, the Soviet [Kerensky’s] forced the resignation of the first cabinet … Kerensky then succeeded Prince Lvov, the first premier of the provisional government, who proved to be a weak and vacillating character.” (Vol. 1, Page 218) Kerensky was “weak and vacillating,” not because he did not know about the Lenin-Trotsky revolution being financed by the Kuhn, Loeb cabal, and which was to follow him. The State Department papers herein show he knew every move in advance and did nothing about it. About five months after Kerensky became Russian Premier, the Bolsheviks took over. The wrecking Red work of Jewish Kerensky during his time in office is described in part as follows in the above N.Y. State Lusk Report: “The liberal decrees of the Provisional Government had destroyed the discipline of the army and the disintegration of the once powerful Russian military machine became complete.” (Page 219) “Kerensky’s Social Democrats distributed hundreds of thousands of leaflets among Russian soldiers” urging “that the soldiers should disobey their officers and lay down their arms.” (Page 215) The “swift success” of the final Revolution was “attributed in large measure by Lenin to a fortuitous cooperation between contending groups and factions.” (Page 217)” [42].

“While the Army was disintegrating, Premier Kerensky knowing all the time what was to
follow, was fluttering with small talk when the take-over by the Red murderers came in
November, 1917. The day of the “Coup D’Etat,” November 7, 1917, Ambassador Francis communicated with Lansing, telling him that the Secretary of the Embassy, Sheldon Whitehouse, had met Kerensky hurrying out of Petrograd, and acknowledging that the Bolsheviks held the city and the Ministers of his government would be arrested (page 224). From then on, the reports go like this: “All Ministers arrested except Kerensky.” “Bolsheviki took possession of Winter Palace where all Ministers except Kerensky were located, all Ministers except Kerensky in Peter and Paul Fortress.” Conflicting reports screen Kerensky’s safe exit, not a hair of his head being harmed. Kerensky later retired to New York, to live graciously after performing his part in the Russian Red Revolution.
It is plain to see from State Department papers that at first Ambassador Francis saw the “German money” financing the Bolsheviks as just that and nothing more. He sensed, however, that a general European revolution was being fomented. And his information came from the files of “Kontrerazvedka, Government secret service organized under Kerensky.” Concerning this, Ambassador Francis stated in February, 1918:“If so, unavoidable questions arise why K [Kerensky] did not use evidence against Bolsheviki last July.” “Many clues lead to Stockholm and Copenhagen.”” [43].

Bostunitsch, il dissidente che ha scritto “A Sea of Blood”, ci parla dell’enorme chutzpah di Kerensky, nello stracciare un mandato d’arresto per Trotsky, e nell’annichilire sezioni intere dell’esercito, oltre che della sua comodissima esfiltrazione mai del tutto chiarita. Bostunitsch spiega infatti che: “to provide a show for the friendly and pacifistic democracies there had to be street battles and a firing upon the Winter Palace, in the course of which Kerensky [the prime minister] (whose real name was Kirbis meaning “pumpkin”, a half-Jew) did not hesitate to send a battalion of women and young officer cadets into the jaws of a howling and murderous mob, where they were sadistically annihilated. Kerensky, meanwhile, dressed in a sailor suit, fled St. Petersburg. On the same day the infamous foreign minister of the provisional government, Paul Milyukov, also fled the scene.
Just before that, Kerensky had signed, for publicity reasons, an arrest warrant against the “traitor Trotsky” [Bronstein]. But when General Polovtsev showed up with his Cossacks in Trotsky’s apartment, there was Kerensky sitting in a plush armchair with Trotsky, enjoying liqueurs. He took the arrest warrant from the astonished general’s hand, theatrically tore it up, and sent the general on his way — a man who lacked the courage to simply arrest both of these scum, for in a revolution the first one to pick up his stick is on top. In any case, the Russian and foreign publics were treated to scenes of urban warfare and bloodshed — Aryan blood, of course — and the heroic vanguard of the proletariat, consisting of busted-out jailbirds, deserted soldiers, too-lazy-to-work thieves, foreign agents and other trash, were able to celebrate the collapse of all support for the old regime” [44].

Solgenitsin, nel capitolo sull’anno 1917, ci fa notare che nel corso “di questo stesso anno, non si rivela il minimo sospetto di sentimento nazionale russo nel ministro e storico Miliukov” [45]. “E nemmeno nell'”uomo forte della rivoluzione”, Kerenski. Mai. Un sospetto, invece, viscerale e permanente nei confronti degli ambienti conservatori e, in primo luogo, di coloro che difendevano la causa nazionale russa. E il 24 ottobre, nel suo ultimo discorso al Pre-parlamento, mentre le truppe di Trotzkij prendono d’assalto Pietrogrado, casa per casa, e il palazzo Maria è già in fiamme, Kerenski si prodiga per dimostrare che i giornali che ha appena proibito – il Rabotchy Put (la “Pravda”) dei bolscevichi e la Novaia Rus di destra – hanno lo stesso orientamento” [46].

Un primo ministro che si applica sull’aria fritta, diffusa a mezzo stampa dai giornali infiltrati dal giudeo, anziché concentrarsi sull’operato di quello che dovrebbe essere un suo oppositore – Trotzkij – è chiaramente un agente doppio, nel caso specifico è un diversore strategico.

Come se non bastasse già tutto questo, Solgenitsin ci fa una confessione:-“Nel 1975, a Parigi, l’ultimo comandante del reggimento di Kornilov, M.N. Levitov, mi dichiarò che abbastanza numerosi corpi di fanteria ebrei, promossi al tempo di Kerenski, restarono fedeli a Kornilov in occasione delle storiche giornate dell’agosto 1917” [47]. Il problema è che per “prevenire un colpo di stato bolscevico, il generale Kornilov, comandante in capo dell’esercito russo, marciò su Pietrogrado (nel mese di settembre nda), ma fu arrestato da Kerenski e imprigionato” [48].

Quando è Trotzkij a prendere d’assalto Pietrogrado non c’è nulla di strano, quando invece è Kornilov a farlo viene subito arrestato, grazie probabilmente anche ai “numerosi corpi di fanteria ebrei” che “restarono fedeli a Kornilov”. E per arrestare Kornilov c’è ovviamente bisogno di liberare Trotzkij, dalla sua finta prigionia.

  • La liberazione di Trotskij e degli altri bolscevichi per liquidare Kornilov è una simulazione giudaica (tattica giudaica).

Se l’episodio del generale Polovtsev incapace di arrestare sia Kerenski che Trozkij mentre bevono insieme anziché essere nemici, è vero, allora la liberazione di Trozkij per contenere il colpo di stato del generale Kornilov è una simulazione giudaica convergente***.

Il New York Times segnala:-“there was a dramatic reversal of Kerensky’s fortunes in mid‐July, when a Bolshevik adventurist attempt to seize power in Petrograd was suppressed (although Kerensky barely escaped being captured) and a number of Communist leaders, Trotsky among them, were jailed. The Provisional Government’s ordeal in quelling the uprising intensified conflicts within the Cabinet, and Prince Lvov, its nominal but shadowy Premier, resigned his office to Kerensky” [49].

Poi continua così:- “In early September Kornilov, believing he had Kerensky’s secret personal support, marched on Petrograd in an attempt at a coup detat. To counter this threat to the Government, Kerensky was obliged to seek help from the Left. Trotsky and other Communist leaders were released from prison as Kerensky appealed to the soviets and the populace of Petrograd to repulse Kornilov.

Lenin was quick to grasp and to exploit the Kornilov plot. Urging Bolsheviks to fight the general without building up Kerensky, he said, “We shall now show everybody the weakness of Kerensky”” [50].

“Kerensky himself regarded the Kornilov affair as decisive. He argued afterward that financiers, industrialists and Rightists had supported the general and that he had also enjoyed British and French backing” [51].

Tutto questo quando nel rapporto Lusk, come abbiamo visto, ci sono le prove che Kerensky sapeva della collusione dei bolscevichi con il governo tedesco. Era venuto a sapere di tale collusione attraverso il “Kontrerazvedka”, il servizio segreto da lui stesso organizzato. Quindi la liberazione di Trozkij per contrastare il generale Kornilov è una simulazione giudaica (convergente).

Perfino la marcia dello stesso Kornilov, su Pietrogrado, sembra una farsa, stando a quello che afferma il nipote di Kerensky, cioè Stephen Kerensky:

“One of the tantalising possibilities around the whole Kornilov affair is the role of the British. Now we know a few weeks, possibly a few days before the Kornilov rebellion that the American military attache William Judson wrote in a private letter that he believed something was going to happen but that the Americans would have clean hands: “suspicions could not attach to us”. So it’s very obvious that he had picked up that some allied representatives were playing with the idea of some kind of military counter-revolution. The question is: what was British involvement?

Now at some point, Commander Locker-Lampson of the Royal Navy Air Service, armoured car division which had been in Russia since 1915, was told that if Kornilov invited him or ordered him to his HQ, he was to take his armoured division of 500 men [and support Kornilov]. And he did. Now the only reports I know of this is what’s in grandfather’s book … [Locker-Lampson] went to Kornilov’s HQ and Kornilov tried to get to St Petersburg to close down the soviet and the railwaymen wouldn’t transport his men. So it was a farce” [52].

Di conseguenza non possiamo sapere se Kornilov abbia fatto parte della squadra di simulatori.

  • Ha mostrato la sua ipocrisia giudaica accusando Lenin di essere un agente tedesco, omettendo che anche lui è uno di loro, ha usato un’esca di verità su un amo di menzogne (tattica giudaica).

Lenin e Kerensky sono entrambi degli agenti doppi dei servizi segreti tedeschi, che nelle loro simulazioni giudaiche si accusano a vicenda, di essere degli agenti doppi:-“Kerensky, Lenin wrote during the revolution, was a “loud mouth,” an “idiot” and “objectively” an agent of Russian bourgeois imperialism.

Kerensky’s assessment of Lenin was scarcely less cordial. In his “Russia and History’s Turning Point,” published by Duell, Sloan & Pearce in 1965, the former Russian leader insisted that Lenin was a paid agent of the German General Staff who had thwarted the Provisional Government “with a stab in the back.”

“Lenin,” he wrote, “had no moral or spiritual objection to promoting the defeat of his own country.” He argued that “Lenin’s chief aim [in 1917] was to overthrow the Provi sional Government as an essential step toward the signing of a separate place [with Germany]”” [53].

Abbiamo già visto in un articolo sui finanziatori ebrei del giudeo-bolscevismo, che non solo Lenin, ma anche Kerensky, era un “paid agent of the German General Staff”. Il suo silenzio al riguardo, è la prova che dice la verità su un argomento mentre mente su un altro, tipica tattica giudaica, ovviamente presente nella letteratura rabbinica.

Dobbiamo ricordarci che “Appena arrivato a San Pietroburgo, Thompson si preoccupò di incontrare, presso l’ambasciata americana, Alexandr Kerensky (1881-1970), cui si premurò di assicurare l’appoggio economico di Wall Street al suo governo. Ma analogo appoggio fu assicurato ai bolscevichi, ai quali Thompson versò un milione di dollari, pagati sull’unica banca di San Pietroburgo sfuggita alla nazionalizzazione: la National City Bank dei Rockefeller“ [54]. Ma anche che “Thomas Lamont (1870-1948), incontrò David Lloyd George (1862-1945)Nel colloquio, Thompson assicurò il suo interlocutore che Trotskij e Lenin non erano agenti tedeschi e che un appoggio alla Rivoluzione bolscevica era necessario per fare sì che i russi continuassero la guerra contro la Germania“ [55].

Kerensky ha ricevuto i soldi dalla Federal Reserve americana e da Wall Street, e la Federal Reserve era in ottimi rapporti con la Khun Loeb & Co., banca letteralmente coniugata alla banca Warburg di Amburgo, che ha dato sostegno ai bolscevichi. In più secondo l’autore Pearson, per quanto riguarda Lenin, la ragione “delle sue frenetiche pressioni perché il partito agisse in ottobre sarebbe stata la notizia avuta da Berlino, secondo cui gli austriaci stavano per offrire a Kerensky un accordo di pace separata, e che questo avrebbe fatto crollare tutte le speranze dei bolscevichi di arrivare al potere” [56].

Dal canto suo, Kerensky può obiettare:-““The Germans needed a coup detat in Petrograd to stop Austria from signing a separate peace treaty. For Lenin, an immediate peace with Germany after his accession to power was the only way he could establish a dictatorship,” Kerensky wrote in 1965 in “Russia and History’s Turning Point.” Then he added:

“I am firmly convinced that the uprising of Oct. 24–25 was deliberately timed to coincide with the serious crisis in Austro‐German relations” [57].

In altre parole, agenti doppi del nemico sono sempre gli altri, e la pace separata con la Germania per consolidare il potere a discapito dell’altra fazione, la vogliono sempre gli altri. Lenin dice che è Kerensky a volere la pace separata con la Germania perché è un agente doppio, e Kerensky dice l’opposto ribaltando le accuse. Si tratta chiaramente di una simulazione giudaica ambivalente****.

  • È stato oggetto della tattica giudaica nota come “esfiltrazione all’ultimo secondo”, necessaria a salvare il capo di una diversione strategica.

“Kerensky always maintained that he had rejected an offer to be driven out of Petrograd under the American flag and that he had ridden boldly in his own automobile. Many his torians, however, dispute this. William Henry Chamberlain, writing in “The Russian Revolution” (Macmillan) and citing the American Ambassador in Russia, said:

“About 10 in the morning [of Oct. 25] Kerensky decided that his only hope was to make his way to the front and return at the head of reinforcements. One of his adjutants requisitioned a car which belonged to Secretary Whitehouse of the American Embassy; and Kerensky made off in this car, which carried the American flag and, aided by this dis guise, slipped through the numerous Bolshevik patrols which were already active in the city”” [58].

Mentre tutti i ministri del Governo Provvisorio vengono arrestati dai bolscevichi, Kerenski e Miliukov si salvano, scomparendo entrambi dalla circolazione il 24 ottobre 1917. Si chiama esfiltrazione all’ultimo secondo, molti casi del suo utilizzo sono, ancora oggi, discussi tra gli storici, ma quello più lampante è sicuramente il caso dei due agenti provocatori dell’FSB, esfiltrati all’ultimo secondo, poco prima che Vladimir Putin, uccidesse terroristi ceceni e civili russi in una strage strategica col letale gas Sarin, presso il teatro Dubrovka. Ma questa è un’altra storia.

  • Un libro edito in Russia, AFFERMA CHE KERENSKY È UNA CELLULA FANTASMA ED È IL FIGLIO DISPERSO DELLA TERRORISTA HESIA HELFMAN (EBREA).

Il quotidiano israeliano “The Times of Israel”, segnala un libro edito in Russia, la cui tesi è che Kerensky sia una cellula fantasma, più nello specifico sarebbe il figlio disperso di Gesia Gelfman (ebrea), una terrorista che ha contribuito ad uccidere lo zar Alessandro II:-“In 2002, a book published in Russia and entitled “The Shadowy People,” claimed that Kerensky’s real name was Aaron Gelfman, and that he was actually the son of a female Jewish terrorist Gesya Gelfman who had tried to assassinate the Tsar, said Gitelman, who read the book after stumbling on it at the University of Michigan library” [59].

Zvi Gitelman è “professor of Judaic Studies and Political Science at the University of Michigan” [60].

Un test del DNA comparativo, tra i discendenti di Kerensky e quelli di Gesia Gelfman ( anche conosciuta come Hesia Helfman), potrebbe provare questa teoria, e potrebbe essere anche un’importante prova documentale – o sarebbe meglio dire molecolare – dell’applicazione della tattica giudaica delle cellule fantasma, in quanto l’unica applicazione ad oggi riscontrata unanimamente e ammessa dagli stessi ministri israeliani, è la dispersione dei figli dei sefarditi all’interno delle famiglie degli aschenaziti agli albori della fondazione dello stato di Israele. Tale dispersione è stata attuata principalmente per i seguenti motivi:

  1. Contrastare l’infiltrazione di arabi tra i nuovi immigrati ebrei dalle fattezze arabe, importati nello stato di Israele.
  2. Applicare la tattica giudaica inversa dell’assimilazione strategica, ovvero il rimpasto genetico, per dissolvere, nelle generazioni, l’arabicità delle fattezze dei discendenti dei sefarditi.
  3. Schedare tutti i sefarditi dello stato di Israele come se fossero arabi palestinesi.
  4. Evitare anche la minima possibilità di sovversione ideologica da parte degli ebrei sefarditi recentemente immigrati (ipotesi remota, ma comunque plausibile).
  5. Lucrare sugli organi dei figli dei sefarditi attraverso il “mercato nero alla luce del sole”, ed effettuare esperimenti sugli esseri umani, testando armi biologiche e chimiche, che nei piani di Ben Gurion avrebbero fatto da deterrente non-convenzionale contro gli arabi.

Si sa, in quel periodo dello stato di Israele, se eri un genitore sefardita ti poteva andare bene oppure male, nel migliore dei casi i tuoi figli venivano dis-persi, nel peggiore semplicemente persi. In ogni caso si rientra nella definizione di genocidio fornita dalle Nazioni Unite, anche se qualche ebreo “di destra” ultrasionista, potrebbe obiettare con qualche giudeo-statistica che se dal 1948 ad oggi i sefarditi in Israele sono aumentati, non si può parlare di genocidio.

  • È filo-tedesco quanto e più di Lenin.

Kerensky è quello che ha fornito i passaporti agli ebrei bolscevichi residenti negli Stati Uniti, permettendogli così di applicare il “gioco dei ritornanti”, la tattica giudaica per la quale gli ebrei, lasciata una nazione, ne infettano di nuovo una dalla quale erano stati precedentemente cacciati, riaggravando il problema ebraico.

Solgenitsin infatti ci segnala che, durante il governo provvisorio, “numerosi furono gli ebrei che ora sbarcavano a centinaia provenienti dagli Stati Uniti – emigrati della prima ora, rivoluzionari o disertori che avevano evitato il servizio militare – ormai li si chiamava “combattenti rivoluzionari” o “vittime dello zarismo” e, su ordine di Kerenski, l’ambasciata russa negli USA rilasciava loro senza difficoltà un passaporto russo dal momento che si presentavano in compagnia di due testimoni – talvolta sollecitati per strada” [61].

Tra l’altro, nel corso “del “raduno russo di New York” che si svolse il 26 giugno, in un’atmosfera esaltata (sotto la presidenza di P. Rutenberg, lo stesso che aveva prima manipolato e poi assassinato Gapon), il redattore capo del giornale ebreo Forwards, Abraham Kagan, si rivolse in questi termini all’ambasciatore russo Bakhmetiev, “in nome dei due milioni di ebrei che vivono negli Stati Uniti d’America del Nord”: “Abbiamo sempre amato la nostra patria;  ci siamo sempre sentiti legati da sentimenti di fraternità con l’insieme  della popolazione russa […] I nostri cuori sono pieni di dedizione verso la bandiera rossa e la bandiera nazionale tricolore della Russia libera”. Aggiunse ancora che il sacrificio dei militanti de “La Volontà del Popolo” “è stato la conseguenza diretta dell’aggravamento delle persecuzioni contro gli ebrei” e che “persone come Zundelovic, Deutsch, Gerchuny, Lieber e Abramovic sono da annoverare tra le più coraggiose” [62].

“E cominciarono ad affluire, i ritornanti, e forse non soltanto da New York, poiché nel mese di agosto il Governo provvisorio decise di accordare biglietti di favore, sulla linea ferroviaria di Vladivostok, agli “emigrati politici” provenienti dall’America. A Londra, nel mese di giugno (ma quanti erano già tornati in Russia?), nel corso di un raduno a White Chapel, “fu stabilito che nella sola capitale britannica 10 mila ebrei avevano manifestato il loro desiderio di ritornare in Russia”, e fu adottata la seguente risoluzione: ci rallegriamo che “gli ebrei ritornino per partecipare alla lotta per una nuova Russia sociale e democratica” [63].

Peccato però che con i ritornanti c’erano anche i giudeo-bolscevichi, tanto fintamente temuti dall’agente doppio Alexander Kerensky:

“Troviamo ugualmente il gruppo dei compagni new-yorkesi di Trotzkij, chiamati ad esercitare alte funzioni: il gioielliere G. Melnitchanki, il contabile Friman, il tipografo A. Minkin-Menson (avrebbero presto assunto  la direzione dei sindacati sovietici, della Pravda e della spedizione della cartamoneta e dei titoli bancari), l’imbianchino Gomberg-Zorin (futuro presidente del Tribunale rivoluzionario di Pietrogrado)” [64].

Alla luce di ciò non c’è nessuno di più filo-tedesco/antirusso di Alexander Kerensky, il quale ha liquidato la Zona di Residenza per aprire le porte agli ebrei bolscevichi dall’interno – che avevano tutto da guadagnare dalla collusione con la Germania – e ha fatto penetrare in Russia, dagli Stati Uniti, i bolscevichi ebrei amanti della “bandiera rossa e la bandiera nazionale tricolore della Russia libera”, ovviamente anche loro più filo-tedeschi che mai, ma sempre al fine di mandare l’intera Russia gambe all’aria, eliminarne l’intellighenzia, e sostituirvisi finalmente.

Alexander Kerensky è anche quello che, dal rapporto Lusk, sappiamo aver istigato abbondantemente la diserzione in seno all’esercito russo, tutto ciò mentre continuava assieme al principe Lvov a istigare l’esercito a combattere la guerra contro la Germania, smembrando ancora di più la Russia e facendo impazzire il generale Kornilov. Ricordiamoci sempre: “The liberal decrees of the Provisional Government had destroyed the discipline of the army and the disintegration of the once powerful Russian military machine became complete.” (Page 219) “Kerensky’s Social Democrats distributed hundreds of thousands of leaflets among Russian soldiers” urging “that the soldiers should disobey their officers and lay down their arms.”

Congiuntamente con la volontà di Kerenski, Miliukov e Lvov di continuare ad oltranza la guerra contro la Germania: “In May also there was a grave ministerial crisis in the Provisional Government when the Foreign Minister resigned at Kerensky’s insistence. The issue was Pavel N. Milyukov’s espousal of annexationist aims in the war. In the resulting shifts Kerensky became Minister of War and the Navy. The Cabinet, in which Kerensky was definitely the strongest man, still agreed to continue the war and called for “a general democratic peace.”

To revive shattered discipline among the armed forces and to instill patriotism in the troops, Kerensky toured the battle fronts and exhorted the men to fight on. He would cry in his mighty voice:

The destinies of the country are in your hands, and she is in great danger. We have drunk liberty and we are slightly intoxicated. However, we do not need intoxication but the greatest soberness and discipline. We must enter history so that on our graves it will be written: ‘They died but they were never slaves’”.

(In questo virgolettato estratto dall’articolo di commemorazione di Kerensky sul New York Times, si può notare la fusione tra l’ipocrisia giudaica di Kerensky e la sua divergenza assertiva, parla di disciplina mentre il suo governo istiga la diserzione tra i soldati, solo un ebreo può arrivare a tanto nda).

But words were not enough. The massive offensive that Kerensky ordered late in June against German and Austrian forces ended in disastrous defeat for the Russians. The only winners were the Bolsheviks, and their insistent appeals for peace and bread” [65].

Kerensky è anche quello che si risparmia di scrivere, nelle sue memorie del 1965, che il potere, ai tempi del Governo Provvisorio, era tutto nelle mani di un sinedrio di diversori strategici i cui nomi venivano dissimulati con pseudonimi per tenerne i membri nel più completo anonimato: stiamo parlando del Comitato Esecutivo di Pietrogrado, la cui composizione, ovviamente, è perlopiù giudeo-bolscevica filo-tedesca.

In teoria Kerensky è un patriota russo, in pratica è un crittoebreo momentaneamente filo-tedesco, perennemente etnocentrico e leale alla tribù ebraica della quale fa parte.

Il Comitato Esecutivo, ha avuto anche un ruolo chiave nel favorire i bolscevichi durante la loro insurrezione nel mese di luglio: “E quando ebbe luogo l’insurrezione bolscevica, il 3 e 4 luglio, il suo obiettivo non era un Governo provvisorio allo stremo, ma il solo, vero concorrente, il Comitato esecutivo – e i bolscevichi rinfocolarono di nascosto l’odio dei soldati contro gli ebrei: non era là che si erano imboscati?” [66].

Chiaramente qui si nota una simulazione giudaica, ci sono ebrei nel Comitato esecutivo, e ce ne sono ancora di più tra i bolscevichi, ai quali si aggiungeranno poi gli ebrei “rinnegati” per mimetismo ideologico.

“Dopo il fallimento dell’insurrezione, il Comitato esecutivo nominò una commissione d’inchiesta che contava un buon numero di ebrei, membri dell’Ufficio del CE. Ma la loro “coscienza rivoluzionaria” impedì loro di condurre sino in fondo le loro investigazioni e di mettere in luce le criminali intenzioni dei bolscevichi; la commissione fu immediatamente disciolta senza essere arrivata alla minima conclusione” [67].

  • Ha contribuito alla distruzione delle prove dell’omicidio rituale di Andrei Yushinski (il cosiddetto “affare Beyliss”). Ha contribuito all’arresto di testimoni e persone con informazioni dirette sul caso Beyliss.

“Il ministro della Giustizia Kerenski richiese al tribunale regionale di Kiev tutti i documenti concernenti l’affare Beyliss, in vista di una clamorosa revisione del processo, che però non potette aver luogo a causa dei tumultuosi avvenimenti del 1917” [68]. In realtà per capire quello che ha fatto Kerensky bisogna tornare più indietro, e cioè a quando non era ancora ministro della giustizia durante la rivoluzione di febbraio:

“Il primo ad essere arrestato, il 27 febbraio, fu il ministro della Giustizia, Tcheglovitov, accusato di aver dato personalmente istruzioni affinché l’affare Beyliss fosse gestito in modo non imparziale. I giorni successivi, si procedette all’arresto del procuratore Vipper e del senatore Tchaplinski, che in quel processo sostenevano l’accusa. (Tuttavia, contro di loro non si avanzò nessun preciso indizio, e nel marzo 1917 Vipper fu semplicemente dimesso dalle sue funzioni di procuratore generale presso la camera criminale di cassazione del Senato; la repressione lo attendeva più tardi, sotto i bolscevichi). Al giudice istruttore Machkevic si intimò di dimettersi per aver ammesso all’epoca, oltre alla perizia che negava l’esistenza di omicidi rituali, un’altra che li ammetteva” [69].

Si tratta di preparare il terreno per la vendetta degli ebrei, che deve essere esplicitata solo quando il loro controllo è assoluto, per questo queste persone venivano arrestate e trattenute senza prove né indizi, Kerenski non ha mai avuto intenzione di fare una revisione del processo Beyliss, perché da crittoebreo quale egli era, non poteva permettersi di rivedere un bel niente – a meno di distruggere delle prove – sapeva che i suoi compagni di merende erano colpevoli, ma per salvaguardare la sua copertura non poteva agire apertamente, per questo sapeva in anticipo dei movimenti dei bolscevichi e non ha fatto nulla. Probabilmente nel rapporto Lusk citato da Dilling c’è anche la consapevolezza, da parte di Kerenski, delle attività distruttive nei confronti dell’esercito, da parte del Comitato Esecutivo – e anche da parte dello stesso Kerenski – una forma di sinedrio dei diversori strategici – contornato da pochi gentili idioti come specchietto per le allodole –  che doveva togliere il potere al Governo Provvisorio senza far notare ai gentili la propria presenza.

  • Luigi Cabrini, esperto della questione ebraica, così come Elizabeth Dilling (e anche Bostunitsch), lo hanno classificato come ebreo.

Il riferimento di Luigi Cabrini è stato già citato, quelli di Elizabeth Dilling e Bostunitsch sono disponibili sul nostro canale Telegram.

Tornando ai marcatori di ebraicità riferiti a Vladimir Lenin

  • Nella sua famiglia si parla Yiddish (tattica giudaica).

Nel libello “The Grave Diggers of Russia”, leggiamo questa delizia su Lenin:-“His wife is a Jewess; the family speaks Yiddish. However, he is said not to be a Jew, though his face… speaks for Itself” [70].

L’utilizzo dello Yiddish da parte degli ebrei aschenaziti, è tattico come l’utilizzo del Ladino da parte degli ebrei sefarditi, perché queste lingue sono costituite da miscele di token/significanti presi da lingue diverse, ciò conferisce ambiguità linguistica, che consente mimetismo linguistico, che consente a sua volta di mantenere le opzioni (di infiltrazione nelle società dei gentili) aperte. In questo senso gli impianti linguistici costruiti dagli ebrei hanno la stessa struttura generale del Talmud.

  • Dice che gli ebrei non sono una nazione (tattica giudaica).

Per “teoria della Khazaria” si intende una teoria per cui la maggior parte degli ebrei, composta da aschenaziti, sia in realtà composta da gentili convertitisi al giudaismo, in particolare slavi e turchi-caucasici. Questa teoria è proposta da ebrei tutti appartenenti al partito comunista, che vogliono convincerci che “è l’ambiente a formare la coscienza”, come affermava l’ebreo Lenin, in maniera Lamarckiana. Il problema di questa teoria però è che non spiega perché gli slavi e/o i caucasici siano influenzati dalle esecrabili pratiche contenute nel Talmud, o come facciano ad interpretare maliziosamente la Torah, addirittura suggerendo lo sterminio anticipato di bambini palestinesi, prima che possano diventare “come i genitori”, cioè dei terroristi. Come vedremo in seguito, i sefarditi commettono le stesse violazioni di numerus clausus degli aschenaziti, e invocano il genocidio degli arabi allo stesso modo in cui fanno gli aschenaziti. In realtà, come dimostreremo in seguito, la “teoria della Khazaria”, non è altro che una forma di proiezione giudaica sui gentili, dell’intero problema ebraico, con separazione propedeutica di quest’ultimo dal concetto di etnia. Parafrasando in sintesi ciò che vogliono dire questi studiosi ebrei come Shlomo Sands e Koestler (entrambi giudeo-bolscevichi):- “Il problema ebraico esiste, ma in realtà non sono gli ebrei il problema, bensì dei gentili convertiti al giudaismo, che nel loro nome, commettono orribili atrocità, e hanno rubato le terre agli arabi, senza averne diritto”. Questa è una tattica combinata, la proiezione giudaica, e il separare il problema ebraico dal concetto di etnia, insieme, portano a far credere ai gentili che il problema non sono gli ebrei, ma altri gentili come loro, ideologizzati e vittime inconsapevoli del giudaismo e/o del sionismo. Nella storia delle conversioni bisogna ricordare che soltanto i cazari hanno abbracciato il Talmud – e senza mostrare prove, anche i berberi – gli altri convertiti al giudaismo lo hanno rifiutato. Perfino gli ebrei etiopi, esfiltrati agli albori della fondazione dello stato di Israele, in Israele, dall’Etiopia, attraverso l’Operazione Moses, non si sono mai integrati nella società israeliana e non hanno mai accettato il Talmud. Nonostante ciò, affermano di essere discendenti di una tribù di Israele. Shlomo Sands e Koestler arrivano all’assurdo per cui i veri ebrei, che hanno scritto il Talmud, si sono assimilati e non esistono addirittura più, mentre i gentili convertiti al giudaismo (cazari e berberi), hanno rimpiazzato gli ebrei occupando Israele. I razzisti iniziali che rappresentavano un’etnia sono scomparsi e i discepoli che non la rappresentano sono ancora più razzisti e non si assimilano, che assurdità senza senso, senza contare che la teoria della Khazaria non è in grado di spiegare le origini degli ebrei mizrahi, cioè gli ebrei orientali. Inoltre la teoria della Khazaria va contro il lungo elenco di cacciate degli ebrei nella storia, questo elenco data molte cacciate di ebrei ben prima della conversione dei cosiddetti “cazari” e prima ancora della stesura del Talmud.

Poteva mai, un razzista biologico filo-semita come Lenin, non contraddirsi dicendo che gli ebrei non sono una razza/etnia? Certo che no, che chutzpah sarebbe senza contraddizioni (leggasi divergenza assertiva)?

In una simulazione giudaica, con il Bund, Lenin afferma che la tesi centrale di tale organismo politico, “era che il proletariato ebreo “è una parte del popolo ebreo, che occupa un posto a parte in seno alle nazioni” [71].

Solgenitsin sentenzia così l’atteggiamento di Lenin verso gli ebrei:

“Qui Lenin vede rosso e si sente obbligato a tirare lui stesso di scherma con il Bund. Non invita soltanto a “mantenere la pressione [contro l’autocrazia] evitando una frammentazione del partito in diverse formazioni indipendenti”” [72], “ma si lancia in un appassionato ragionamento tendente a provare (in verità, dopo Kautski) che gli ebrei non sono affatto una nazione: essi non hanno né lingua né territorio comuni (un giudizio piattamente materialistico: gli ebrei sono una delle nazioni più autentiche, più unite che ci siano sulla terra; è unita spiritualmente. Con il suo superficiale e volgare materialismo, Lenin non capiva niente della profondità né del radicamento storico della questione ebrea)” [73].

“”L’idea di un popolo ebreo a parte è politicamente reazionaria” [74], poiché giustifica il particolarismo ebreo. (E tanto più “reazionari” erano per lui i sionisti!)” [75].

A Lenin però non è dispiaciuto affatto accogliere i vari ebrei che per mimetismo ideologico, da bundisti, socialdemocratici, sionisti socialisti che fossero, si sono trasformati in bolscevichi. Non aveva alcun dubbio che avrebbero rigettato le loro idee, anziché costituire una frazione reazionaria all’interno del partito, perché le liti tra ebrei sono un gioco delle parti, simulazioni giudaiche appunto, come quelle discussioni tra rabbini – riportate nel Talmud Babilonese – che si dilungano su qualunque questione. Tali simulazioni servono ad ingannare i non-ebrei, e costituiscono il vero cuore del problema ebraico o questione giudaica.

La stessa persona che “si lancia in un appassionato ragionamento tendente a provare […] che gli ebrei non sono affatto una nazione” ha anche detto la frase: ““Un russo intelligente,” […] è quasi sempre un ebreo o qualcuno con sangue ebreo nelle sue vene”. Se diceva che un russo intelligente è uno che studia il Talmud, come fanno gli ebrei, lo avremmo potuto capire, ma non si può asserire che gli ebrei non sono una nazione, e al contempo dire che se i russi hanno sangue ebreo nelle vene sono più intelligenti, dei russi al cento per cento. Si tratta chiaramente di divergenza assertiva, come quella dei ministri israeliani che durante e dopo l’Operazione Piombo Fuso hanno detto di aver ordinato l’uso di fosforo bianco contro i palestinesi un giorno, e il giorno dopo dicono di non averlo mai ordinato, tutto ciò detto e contraddetto per mesi interi.

Gilad Atzmon (ebreo) aggiunge qualcosa in più: “Le sue obiezioni alla richiesta di autodeterminazione culturale (non territoriale, anche se alcune fazioni bundiste volevano anche tale autodeterminazione nda) del Bund erano di tre ordini:

  1. Il sostegno di vessilli inneggianti alle autonomie cultural-nazionali avrebbe condotto a dividere le nazioni, distruggendo di conseguenza l’unità del loro proletariato.
  2. L’incontro e amalgama delle nazioni sarebbe stato un progresso, mentre la decisione di muoversi in direzione opposta avrebbe costituito un passo indietro. Egli non risparmiava critiche a quelli che “gridavano allo scandalo contro l’assimilazione”.
  3. La “indipendenza culturale non territoriale” sostenuta dal Bund e da altri partiti ebraici non era né vantaggiosa, né pratica, né praticabile” [76].

Inoltre “Lenin metteva in dubbio, per motivi etici e politici, il diritto degli ebrei all’autodeterminazione, mentre il Bund chiedeva che gli ebrei fossero considerati una identità nazionale come tutte le altre. La risposta di Lenin fu semplice: “Mi dispiace amici, ma non lo siete; non siete una minoranza nazionale semplicemente perché non siete legati a nessun territorio geografico” [77].

  • Ha “scoperto” di essere ebreo, come Gianfranco Fini,  John Kerry, Madelaine Albright e tanti altri ebrei che “non sapevano di essere ebrei” (tattica giudaica).

“Scoprire l’ebraicità” è la tattica giudaica inversa della “dissimulazione di ebraicità”, come quella applicata dagli agenti sionisti che convincono – nelle trasmissioni televisive – i gentili che Arnold Rothstein e Meyer Lanski non sono ebrei, così come fa anche il nostro caro Trotsky (Gad Lerner, ebreo) quando vuole farci credere che Antonio Mastrapasqua non è ebreo, ma è stato selezionato per dirigere l’Ospedale Israelitico di Roma grazie alle sue capacità gestionali (sicuramente dovute alla sua laurea falsa, aggiungiamo noi). Ma torniamo a Lenin:

““Tra le dozzine di documenti rilasciati recentemente in esposizione al Museo di Storia dello Stato c’è una lettera della sorella maggiore di Lenin, Anna Ulyanova, che afferma che il loro nonno materno era un ebreo ucraino che si è convertito al cristianesimo per fuggire dalla Zona di Residenza (zona di confino per gli ebrei nell’impero russo nda) e ottenere l’accesso ad un istruzione superiore.

“Arrivò da una famiglia ebraica di umili origini ed era, stando al suo certificato di battesimo, il figlio di Moses Blank, un nativo di (la parte occidentale della città di) Zhitomir”, ha scritto Ulyanova in una lettera del 1932 a Josef Stalin, che succedette a Lenin dopo la sua morte nel 1924.

“Vladimir Ilych ha avuto sempre grande stima degli ebrei”, ha scritto lei. “Sono molto dispiaciuta dal fatto che la nostra provenienza – della quale avevo in precedenza sospettato – non fosse conosciuta durante la sua vita”” [78]. Anche se non è stato Lenin a “scoprire di essere ebreo”, bensì una sua parente, crediamo che la cosa sia stata fatta di proposito in forma di simulazione con Stalin. Dopotutto, oggi come oggi, quanti skinheads hanno “scoperto” che in realtà erano ebrei?

  • Il suo ambiente familiare gode di ambiguità anagrafica/genealogica, come quelli di Putin, Obama, Meghan Markle e tanti altri… (tattica giudaica).

Abbiamo già precisato sopra, che gli antenati di Lenin sono fortemente sospetti. Come molti gentili sospettati di essere dei crittoebrei, i suoi antenati hanno le origini etniche più disparate:-“Lenin era un meticcio, generato da razze differenti: il suo nonno paterno, Nikolai Vassilievic, era di sangue calmucco e ciuvascio, la sua nonna, Anna Alekseievna Smirnova, era una calmucca, un altro suo nonno, Israel (Alessandro era il suo nome di battesimo) Davidovic Blank, era ebreo, un’altra sua nonna, Anna Iohannovna (Ivanovna) Groschopf, era figlia di un tedesco e di una svedese, Anna Beata Estedt” [79].

  • Ha parlato di mimetismo ideologico nei suoi scritti (tattica giudaica).

Il New York Times ci informa delle tracce di mimetismo ideologico presenti nella letteratura di Lenin:

“Lenin argued in his 1915 pamphlet “Socialism and War” that revolutionaries should instead infiltrate the armies and turn them red, promoting mutinies and actively seeking the defeat of “ ‘their’ governments” (Lenin’s own quotation marks).

So explosive were the implications of Lenin’s program, known as “revolutionary defeatism,” that the German Foreign Office intervened to prevent this program from being distributed to front-line soldiers, lest it lead the czarist government to arrest Bolshevik Party members for treason” [80].

Incontreremo di nuovo il cosiddetto “disfattismo rivoluzionario”, che assumerà la forma di “disfattismo socialista” in Italia, descritto da Luigi Cabrini in merito alla disfatta di Caporetto, che doveva essere il  punto di partenza per una rivoluzione bolscevica in Italia, nel 1917. Ma questa è un’altra storia.

Tornando a Lenin, avrebbe mentito riguardo al cosiddetto “treno sigillato”:

“In reality, the train was not sealed: Lenin got off on several occasions, and stayed overnight in a German hotel at Sassnitz. According to witnesses, Lenin even gave political speeches on German soil at Russian prisoner-of-war camps” [81].

Si può perfino osservare la sovversione ideologica in Lenin – nell’accezione sovietica del termine – quando vuole convincere il popolo russo che quello tedesco è un popolo alleato, anziché nemico:-“Nor did Lenin conceal his antiwar views after returning to Russia. The “April Theses” advocated toppling the provisional government that had come to power after the February Revolution. During the April Days putsch, which occurred two weeks after Lenin’s return, Bolshevik activists held up antiwar placards that openly urged fraternization with the enemy (“the Germans are our brothers”)” [82].

  • PER VERIFICARE: Nel libro di Lenin “Che Fare?”, è stato disperso materiale talmudico? Stalin ha forse concluso così in prigione, il suo addestramento talmudico?

CONCLUSIONE: I marcatori di ebraicità di nostra invenzione, collimano con i documenti pubblicati dal Der Spiegel, così come collimano con le affermazioni della cellula fantasma Alexander Kerensky, e con l’accusa di crittoebraicità e connivenza con i servizi segreti tedeschi, da parte del giornale citato nel secondo volume sulla rivoluzione russa redatto da Enzo Biagi, e queste accuse, come abbiamo visto, sono state formulate anche da altri giornali come “Le Notizie di Borsa”, di cui abbiamo già parlato. I marcatori di ebraicità dicono che Lenin non può essere ebreo solo per un quarto, quindi abbiamo cercato un’accusa di ebraicità maggiore, e l’abbiamo finalmente trovata.

È evidente, da quello che si sa oggi, che non si trattava di mere voci, bensì di vere e proprie fughe di notizie, che stavano per bruciare la copertura di Lenin, se non fosse per il fatto che sono passate inascoltate. La storia del “treno sigillato” – sul quale erano presenti gli ebrei che hanno fatto la rivoluzione del 1917 – che attraversa la Germania per arrivare fino in Russia, allo scopo di dimostrare che non ci sono connivenze con il governo tedesco, sembra un’autentica barzelletta e un’offesa all’intelligenza, e, paradossalmente, dimostra ancora di più la vicinanza tra il governo tedesco e i giudeo-bolscevichi. Alla luce di queste convergenze, riteniamo che l’ebraicità di Lenin debba essere innalzata almeno di un venticinque per cento in più, considerandolo ebreo per metà. Innalzarla è importante perché ci permette di stabilire che Lenin non era chi diceva di essere, perché per definizione le tattiche giudaiche vengono applicate tutt’al più dagli ebrei per metà, mentre non crediamo possibile che vengano applicate da un ebreo per un quarto, come Lenin, di regola, dovrebbe essere. Abbiamo visto Roberto Saviano (ebreo, per quanto ne sappiamo, per metà) applicare la sovversione ideologica, la minimizzazione dei crimini degli immigrati, lo abbiamo visto in tutta la sua chutzpah quando ha detto di aver “risposto” al provocatorio video di Vittorio Arrigoni sulle operazioni israeliane a Gaza. Si può anche osservare l’iperbole strategica di Saviano nell’esagerare la storia della camorra napoletana, con la citazione del famoso episodio dei cinesi morti che traboccano da un container del porto di Napoli, quando, in realtà, ciò non è avvenuto a quanto dicono testimoni diretti. Si può vedere l’ipocrisia giudaica di Saviano da come si esprime su Israele e la sua politica di protezionismo etnico, mentre chiama gli italiani razzisti xenofobi.

E che dire del fatto che non menziona mai il ruolo criminale degli ebrei nella storia? Un’altra tattica giudaica, applicata da tanti ebrei, tra i quali Anne Applebaum (ebrea), che sputa sul buon nome di Solgenitsin, e si permette di riscrivere la storia dei gulag, omettendo il ruolo dirigenziale degli ebrei in tali strutture. Aspettiamo che il signor Saviano ci parli del suo sempre compagno di merende Gusinskij (ebreo), mafioso in ottimi rapporti con la camorra di cui blatera così tanto, oppure del ruolo degli ebrei nel traffico di organi in Kosovo, descritto da Hervé Ryssen. Parleremo in seguito dell’atteggiamento di censura che gli ebrei applicano sui propri crimini.

Invitiamo qualunque gentile pensante tra le nazioni, così come qualunque ebreo, a segnalarci dei sicuri ebrei per un quarto che applicano un numero rilevante di tattiche giudaiche, tra quelle menzionate su questo sito. Ma non vorremmo che il nostro appello restasse inascoltato come la sfida di Faurisson: “disegnatemi una camera a gas nazista, e  mostratemi come avrebbe dovuto funzionare”. Tale sfida, aspetta da quarant’anni di essere anche solo accettata.

In foto: a sinistra Alexander Kerenski (ebreo, è una cellula fantasma forse di nome Kirbis, forse è il figlio disperso della terrorista ebrea Gesia Gelfman, un controllo del DNA sui discendenti di entrambi potrebbe confermare tale teoria), primo ministro del cosiddetto Governo Provvisorio del 1917 in Russia, ha tutte le caratteristiche tipiche del diversore strategico: ha a disposizione occasioni e informazioni per liquidare i bolscevichi, ma non lo fa, anzi, se proprio può li libera dalla loro finta prigionia, ha l’occasione di concludere la Prima Simulazione Mondiale contro la Germania, per occuparsi del suo paese disastrato, ma istiga la diserzione mentre chiede la disciplina, e chiude un occhio sui terroristi giudeo-bolscevichi al fronte, al punto che, dopo la sua offensiva di primavera, anche se non fa nulla per liquidarli, “prova a dare la colpa ai bolscevichi infiltrati tra le truppe, scrive un telegramma agli ambasciatori alleati, denunciando l’invio da parte dei loro governi di forniture belliche difettose. Dal fronte, il comandante Denikin lo accuserà di “isterismo””[83]. I marcatori giudaici che lo riguardano traboccano da ogni sua sentenza, mostrando che si tratta di un agente provocatore dei servizi segreti “tedeschi”, opportunamente esfiltrato all’ultimo secondo quando ha finito di svolgere il suo compito. A destra Vladimir Lenin (ebreo, è una cellula fantasma ed è più ebreo di ciò che vuole dare a vedere sua sorella maggiore, probabilmente è un Goldberg disperso in una famiglia Ulyanov, al fine di “russificarlo”, o meno probabilmente si tratta di uno Zederbaum), agente provocatore dei servizi segreti “tedeschi” nel tempo libero, assassino di massa etnocentrico a tempo pieno, a capo di una banda di maschiach che si fanno chiamare bolscevichi, proclamano in grande stile la “pace”, che non è altro che un altro modo di continuare la guerra, o con termini giudeo-bolscevichi, “comunismo di guerra” e “nuova politica economica” (che sono le prove più forti a sostegno del fatto che Lenin era un agente doppio, lo stesso Solgenitsin ha scritto:-“L’opinione pubblica – compresi gli ebrei – vi restava benevola nei confronti del potere sovietico […] Dal canto suo, la propaganda sovietica si dava abilmente da fare per magnificare addirittura la prosperità e le prospettive aperte agli ebrei. Questa sensazione generale di simpatia permetteva ai dirigenti sovietici di ottenere più facilmente l’aiuto finanziario dell’Occidente, particolarmente quello dell’America. Senza questo aiuto, erano incapaci di uscire dal marasma economico provocato dal glorioso “comunismo di guerra””“. La NEP, ovvero la “Nuova Politica Economica”, ha ucciso milioni di persone ed è riuscita nell’intento che Jacob Schiff (ebreo), si prefiggeva: isolare economicamente la Russia (che parafrasato significa derubare i gentili russi delle ricchezze dell’impero zarista, nella maniera più completa, affidando tali ricchezze nelle mani dell’alta finanza giudaica che ha finanziato il giudeo-bolscevismo). Elizabeth Dilling, nel “Jewish Communal (Kehillah) Register of New York City”, dell’anno 1917-18, ha trovato questo:-““Mr. Schiff has always used his wealth and his influence in the best interests of his people. He financed the enemies of autocratic Russia. [This was written in 1918, after the Bolshevik revolution had been made secure] … and used his financial influence to keep Russia from the money market of the United States” [84]. Poi continua così:- “It is stated that “all factions of Jewry” hailed him for this” [85].

Non bisogna dimenticare che in piena NEP, “le posizioni economiche della popolazione ebraica conobbero un rafforzamento su basi nuove, sovietiche” [86]. “Mosca, 1924: il 75% delle farmacie e delle profumerie sono gestite da ebrei; allo stesso modo, il 55% dei commerci di prodotti lavorati, il 49% delle gioiellerie, il 39% delle mercerie, il 36% dei depositi di legna da riscaldamento” [87]. “Tra coloro che si sono arricchiti per primi durante la NEP troviamo spesso degli ebrei. L’odio nei loro confronti era dovuto ugualmente al fatto che agivano sul terreno delle istituzioni sovietiche, non soltanto su quello del mercato: numerosi maneggi erano per loro più facili, grazie alle relazioni che intrattenevano in seno all’apparato sovietico. Talvolta, questi legami arrivavano alla conoscenza delle autorità – così, ad esempio, in occasione del celebre “affare della paraffina” (1922) nel quale furono implicati i dirigenti di cooperative fittizie. Come abbiamo visto, gli anni Venti crearonno condizioni molto favorevoli all’acquisizione dei beni appartenenti ai “nobili” – esposti a ogni genere di persecuzioni – in particolare della mobilia di valore” [88]. “Ettinger nota che “la maggioranza dei nepmen o nuovi ricchi era costituita da ebrei” [89], “il che è confermato dall’impressionante lista, pubblicata nelle Izvestia nel 1928, di “coloro che non avevano pagato le tasse o si erano sottratti alle collette” [90].

Il maggiore Anatoliy Golitsyn, dal canto suo, afferma che la NEP (o per meglio dire il Trattato di Rapallo) indebolì la Repubblica di Weimar tedesca: “Although the NEP failed to attract large credits from the West, it brought technology and efficient new equipment. Thousands of Western technicians helped to industrialize the Soviet Union, and Western firms built essential factories there. It is fair to say that the foundations of Soviet heavy and military industry were laid in the 1920s with American, British, Czechoslovak, and, after the Treaty of Rapallo (1922), German help. Germany played an especially significant role in the Soviet militarization. According to the secret clauses of the treaty, Germans helped to build modern aviation and tank factories in the USSR. Communists spoke cynically of foreign concessionaires and businessmen as “assistants of socialism””[91]. “The Treaty of Rapallo, signed with Germany in 1922 (the crowning achievement of Lenin’s activist diplomacy), raised Soviet prestige, helped to increase Soviet military strength, precluded a united anticommunist front in Europe, and weakened the Weimar Republic” [92].

Probabilmente nelle relazioni commerciali tra Unione Giudeo-Sovietica e Repubblica giudaica di Weimar, sono comparsi vari “Hammer”, ebrei, stavolta “tedeschi”, che hanno fatto da concessionari per l’Unione Giudeo-Sovietica, all’insegna delle simulazioni giudaiche finalizzate al racket.

C’è poi un altro elemento, che non viene mai considerato quando si tratta della germanofilia di Lenin, e cioè che la “”leggenda nera” dell’accordo Sykes-Picot nacque perché il leader bolscevico Lenin ne fece pubblicare la copia conservata negli archivi dello zar dopo la Rivoluzione di Ottobre. Fu un grande scandalo all’epoca, perché l’accordo era rimasto segreto fino ad allora, mentre pubblicamente Francia e Regno Unito si erano impegnate a non suddividersi quello che rimaneva dell’Impero Ottomano prima di aver concluso la guerra e consultato le popolazioni locali” [93]. Questa decisione di pubblicare l’accordo Sykes-Picot, è chiaramente germanofila e anti-inglese e anti-francese, in quanto Inghilterra e Francia erano in guerra con la Germania all’epoca, quindi se Vladimir Lenin fosse stato il rivoluzionario “idealista ma senza scrupoli”, avrebbe pubblicato tale accordo DOPO la pace di Brest-Litovsk, e non PRIMA. Avrebbe dovuto semplicemente dire “date alla Rivoluzione un attimo di respiro, stipuliamo la pace separata, e in cambio io pubblicherò un documento che screditerà Inghilterra e Francia, così ci possiamo alleare anche con l’impero Ottomano”. Questa pubblicazione invece sa di regalo gratuito alla Germania, in quanto “Lenin ordinò (23 novembre 1917) ai giornali russi <<Pravda>> e <<Izvestija>> di pubblicare il testo integrale dell’accordo Sykes-Picot” [94]. Non conosciamo prove che il governo tedesco, all’epoca dei fatti, sapesse già di tale accordo per la spartizione del Medio Oriente tra Francia e Inghilterra, facendo così pressioni, anche finanziarie, su Lenin, affinché pubblicasse una prova documentale dell’accordo Sykes-Picot, quindi consideriamo tale pubblicazione un esempio di germanofilia di Lenin. Vladimir Lenin è quello che ha posto gli ebrei in condizione di superiorità intellettuale rispetto ai gentili, su base biologica quindi, ma che al contempo dice che gli ebrei non sono una nazione perché non sono “legati a nessun territorio geografico”. È anche quello che dice di non creare fazioni in grado di separare il movimento bolscevico, e dice anche di infiltrare l’esercito per propagare il bolscevismo, ma non ha affatto paura che possa succedere lo stesso al partito bolscevico, accogliendo gli ebrei populisti, socialisti, menscevichi ecc. che per mimetismo ideologico si rinnegano e si riversano nel suo partito, chissà perché. Vladimir Lenin non sembra affatto né un russo né uno che agisce negli interessi di tale popolo, visto che non ha mai “manifestato il minimo sentimento di affetto per qualunque cosa, nemmeno per il fiume sulle cui rive aveva trascorso la sua infanzia, il Volga (e non intentò un processo ai suoi contadini per dei danni perpetrati sulle sue terre?). Di più: fu lui a consegnare senza pietà tutta la regione alla spaventosa carestia del 1921. Sì, tutto questo è vero” [95].

Parla di un certo “complotto capitalista”, ma dalla sua parte ha il supporto dell’Inghilterra (vedi il bombardamento a danno dell’armata bianca a Riga nel 1920), della Germania attraverso le “D banks” e la banca Warburg, e di sicuro ha l’appoggio dell’americanismo-giudaismo attraverso Wall Street, la Federal Reserve, e la Khun Loeb & Co., grazie all’onnipotente magnate ebraico delle ferrovie Jacob Schiff, senza contare il suo compagno di merende Armand Hammer (ebreo), grazie al quale ha potuto derubare la Russia e portarne le ricchezze in America in mani giudaiche, attraverso la simulazione giudaica del “comunismo di guerra”. Di quale “complotto capitalista” parla esattamente Vladimir Lenin? L’unico complotto capitalista che vediamo noi, è quello di cui ha fatto parte lui. I giornali francesi hanno parlato del pangermanesimo di Lenin, se questo è vero, ulteriori prove del fatto che era un agente doppio dei servizi segreti tedeschi, devono trovarsi nei suoi scritti, dove ci devono essere tracce di pangermanesimo.

Ad ogni modo, il New York Times è categorico nell’asserire che Lenin ha sicuramente servito, almeno per un certo periodo, gli interessi della Germania, in funzione antirussa: “The evidence assembled by Kerensky’s justice department, much of which has only recently been rediscovered in the Russian archives, was damning. No matter Lenin’s real intentions, it is undeniable that he received German logistical and financial support in 1917, and that his actions, from antiwar agitation in the Russian armies to his request for an unconditional cease-fire, served the interests of Russia’s wartime enemy in Berlin. They also brought about disastrous consequences for Russia herself, from territorial dismemberment in 1918 to decades of agony under the suffocating Bolshevik dictatorship” [96].

ALTRE INFORMAZIONI UTILI SULLA RIVOLUZIONE GIUDEO-BOLSCEVICA IN RUSSIA (LA “RIVOLUZIONE COMPRATA”), E COME LENIN HA POI PROVATO A BOLSCEVIZZARE LA GERMANIA.

“Il Giornale” sintetizza così il contesto in cui Lenin fece la sua rivoluzione:-“I tedeschi avevano il fiato corto e far ritirare la Russia dal conflitto avrebbe dato loro la possibilità di lanciare tutte le loro divisioni sul fronte occidentale” [97]. “Come spiega una recente biografia – The first nazi, tradotta in Italia come L’uomo che creò Adolf Hitler per i tipi di Newton Compton – scritta da Will Brownell e Denise Drace Brownell, della pratica si occupò soprattutto il generale tedesco Erich Ludendorff (a cui va anche la responsabilità di aver favorito l’ascesa del Führer). Il generale fece pressione su un suo amico, Arthur Zimmermann, perché contattasse un faccendiere russo-polacco (ebreo nda), Alexander Parvus, che contattò Lenin. Era disposto a tornare a fare il rivoluzionario in Russia? Lenin disse che gli serviva un treno dotato di mandato extraterritoriale. Glielo fornirono” [98]. “Lenin e 32 compagni si imbarcarono il 9 aprile 1917 su quello che poi sarebbe stato a lungo chiamato il «vagone piombato»” [99]. “Il convoglio attraversò una Germania spettrale sino a giungere a Berlino. La leggenda vuole che i volenterosi comunisti, circondati dalle truppe tedesche in stazione, facessero un bel discorso ai militari di guardia per spingerli alla rivoluzione. Non ottennero risposta. Di sicuro vennero a far loro visita degli alti ufficiali, tra cui forse lo stesso Ludendorff. In questo caso si parlò solo di soldi. I tedeschi promisero a Lenin svariati milioni di marchi-oro. Gli storici non sono mai riusciti a ottenere la stima esatta, ma oscilla tra i 30 e 40 milioni: un’enormità. Lo scopo del finanziamento era chiaro, far uscire la Russia dal conflitto” [100]. Una volta arrivato a Pietroburgo, Lenin utilizzò la Pravda per diffondere la sua propaganda di pace tra i soldati russi. Ma Lenin non si limitò soltanto a questo, perché utilizzò i soldi dei tedeschi “anche per diffondere materiale rivoluzionario comunista tra le truppe degli Imperi centrali. Per dirla con le parole del generale tedesco Max Hoffmann: «Il nostro vittorioso esercito sul fronte orientale si infettò di bolscevismo»” [101].

I tedeschi hanno fatto male i loro conti, non si può scendere a patti con gli ebrei.

“La Corte imperiale, la diplomazia, i servizi segreti, non temevano che il crollo dello zarismo e una vittoria rivoluzionaria avrebbe messo in pericolo anche gli Hohenzollern. «Al momento giusto convinceremo elementi del movimento a collaborare con noi», scrisse l’ ambasciatore a Copenhagen, conte Ulrich von Brockdorff- Rantzau. E il piano per lasciar passare Lenin dal territorio tedesco, nell’ aprile 1917, non sollevò obiezioni, né da parte del Cancelliere del Reich Bethmann Hollweg, né dal comandante in campo delle forze armate Paul von Hindenburg. Max Hoffmann, un alto ufficiale vicinissimo a Hindenburg, scrisse: «Così come faccio sparare granate o lanciare gas contro il nemico, ho il diritto di usare i mezzi della propaganda contro la sua occupazione»” [102]. Ma importantissimo è stato il ruolo di Helphand Parvus (ebreo capitalista), che se da un lato “suggerì a Leon Bronstein Trotskij (1879-1940) la teoria della «Rivoluzione permanente»” [103], dall’altro “contattò l’ ambasciata imperiale a Costantinopoli. «Gli interessi del governo tedesco sono identici a quelli dei rivoluzionari russi», disse. A fine febbraio 1915, era pronto un piano di 23 pagine, stilato da Helphand: suggeriva finanziamenti in marchi e forniture di esplosivi per organizzare scioperi, attentati, sabotaggi” [104]. “A Helphand, ufficialmente ricercato dalla polizia politica imperiale, fu concesso un passaporto di polizia con cui poteva muoversi liberamente nel Reich, in territori occupati o paesi neutrali. Helphand si stabilì in Svezia, e dalla città di confine di Haparanda esportò o contrabbandò in Russia merci di ogni genere. Non si sa quanto, ma certo parte del ricavato finì ai bolscevichi. Che vi finanziarono propaganda, scioperi, proteste. Helphand pare organizzò anche attentati e sabotaggi” [105]. “Von Brockdorff-Rantzau nelle sue note lodò Helphand, «uno dei primi ad aver lavorato per questo successo ora conseguito»” [106]. “Più volte, scrive Spiegel citando i documenti finora riservati, il Reichsschatzant (Ministero del Tesoro imperiale) fornì allo Auswaertiges Amt (ministero degli Esteri) cospicui pagamenti per «la propaganda rivoluzionaria in Russia». Due milioni di marchi l’ 11 marzo 1915, quindi poco dopo il piano di 23 pagine. Poi cinque milioni di marchi il 9 luglio 1915, e di nuovo cinque milioni il 3 aprile 1917, pochi giorni prima della partenza di Lenin dall’ esilio elvetico alla volta di Pietrogrado” [107].

In tutto questo, i bolscevichi “«hanno fornito utili informazioni sulla situazione nella Russia zarista», scrisse allora Walter Nicolai, capo del servizio segreto del Kaiser” [108].

“Dopo la rivoluzione d’ ottobre, Lenin firmò con Berlino la dura pace di Brest-Litowsk. Le potenze dell’ Intesa sostenevano la «controrivoluzione» anticomunista. Ma l’ Impero di Guglielmo II continuò ad aiutarli. «I bolscevichi sono bravi ragazzi, finora si sono comportati benissimo», scrisse Kurt Riezler, responsabile della politica verso la Russia allo Auswaertiges Amt, chiedendo nuovi soldi per loro” [109].

La germanofilia degli ebrei e le implicazioni di questa alleanza, tra loro e la Germania, attraverso, soprattutto banche ebraiche della Germania stessa, verranno approfondite in un articolo a parte, perché vanno oltre gli scopi di questo scritto.

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In foto: Vyacheslav Menzhinsky (o Menjinski, un crittoebreo proveniente dalla nobiltà “polacca”), esperto di diversioni strategiche e assassino professionista. È stato direttore dei servizi segreti sovietici quando si chiamavano OGPU, dal 1927 al 1934, anno in cui Iagoda (ebreo, nonché suo successore alla direzione dei servizi segreti), lo avrebbe eliminato con modulo kennedy, per avvelenamento.

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Nella mappa sovrastante si può osservare il percorso sul “treno piombato”, affrontato nel 1917 da Lenin e gli altri giudeo-bolscevichi, da Zurigo fino a Pietrogrado, ATTRAVERSANDO TUTTA LA GERMANIA!

* Un pud equivale a 16,38 chili.

** knut: “knut s. m., russo [dall’ant. nord. knútr, ant. sved. knuter «nocchio, nodo», in origine quindi «frusta nodosa»]. – Strumento di tortura e di punizione usato in Russia dai tempi più antichi sino alla metà del sec. 19°: consisteva in una frusta costituita da un manico di legno alla cui estremità era unita una treccia di cuoio con un anello di rame, al quale facevano capo strisce di cuoio ruvido e arrotolato terminanti con ganci o punte metalliche” [110]. Il riferimento di Gustave Hervé al knut indica l’atteggiamento di Kerenski verso l’esercito russo, che Kerenski ha personalmente indebolito con le sue stesse manovre.

***Una simulazione giudaica convergente, come le altre simulazioni giudaiche, è un’operazione psicologica attuata dagli ebrei per ingannare i gentili e/o alterare la loro percezione della realtà. Tale tipo di simulazione si propone di ottenere un effetto opposto o nullo rispetto a quanto vuole far credere ai gentili. La legge Bossi-Fini sui migranti, la sostituzione di Litvinov (ebreo) con Molotov (crittoebreo) al Commissariato agli affari esteri da parte di Stalin (ebreo), il passaggio dei beni dalla famiglia di Mikhail Khodorkovsky (ebreo) alla famiglia Rothschild (famiglia di ebrei) da parte di Vladimir Putin (in seguito verranno discussi i suoi marcatori), la liberazione di Trozkij (ebreo) da parte di Kerenski (ebreo) per risolvere l’affare Kornilov, e le discussioni dei rabbini nel loro insieme in Sanhedrin 69b, Yebamoth 55b, Yebamoth 56 e 56b, apologizzanti verso l’incesto e la pedofilia, sono tutti esempi di simulazioni giudaiche convergenti (l’esegesi  delle diatribe rabbiniche nel Talmud richiederebbe però una classificazione a parte, perché contengono sfumature in termini di simulazione giudaica, e per vedere le tattiche giudaiche di “legalizzazione” di un crimine). La simulazione giudaica convergente non deve essere confusa con la simulazione giudaica direzionale, nella quale gli ebrei scrivono e/o dicono cose a cui non credono, nel tentativo di portare le società dei gentili in una determinata direzione, senza apparente dibattito. A tale proposito, la simulazione giudaica sui migranti tra Lilli Gruber e Tito Boeri, è di tipo direzionale, entrambi sono d’accordo sul fatto che le scimmie nere pagheranno le nostre pensioni, quando in realtà non ci credono affatto. In questa simulazione invece (https://t.me/la_questione_giudaica/157) tra gli ebrei Lilli Gruber e Corrado Augias si può notare che sono entrambi in disaccordo con l’Islam, Gruber per dei motivi, Augias per altri, ma sono fondamentalmente d’accordo sull’integrazione di scimmie nere, nessuno dei due dice chiaramente che non si deve attuare. Tale simulazione, dal punto di vista strutturale, è praticamente identica alle simulazioni giudaiche talmudiche sopra menzionate.

****Una simulazione giudaica ambivalente è una simulazione giudaica, in cui gli ebrei si accusano a vicenda di crimini o nefandezze che hanno in realtà commesso entrambi, o comunque tutti o quasi tutti i soggetti coinvolti nella simulazione. “laquestionegiudaica” ritiene che l’Italia, sia il paese nel quale si assiste al più elevato numero di simulazioni giudaiche ambivalenti di tutta Europa.

ARTICOLO IN FASE DI COSTRUZIONE

Fonti:

[1] Elizabeth Dilling, Judaism and its influence today, p. 144. Disponibile sul nostro canale Telegram al seguente indirizzo: https://t.me/la_questione_giudaica/107.

[2] Aleksandr Solgenitsin, Due Secoli Insieme, t. 2, pp. 90-91.

[3] Luigi Cabrini, Il potere segreto, p. 51.

[4] http://hugequestions.com/Eric/JIB/disinformation-I.html

[5] A. Solgenitsin, Due Secoli Insieme, t. 1, p. 533.

[6] A. Solgenitsin, op. cit., p. 287. Cfr. V. Lenin, Opere in 55 volumi [in russo], t. 32, p. 201.

[7] http://www.ihr.org/jhr/v14/v14n1p-4_Weber.html, cfr. Richard Pipes, The Russian Revolution (New York: Knopf, 1990), p. 352.

[8] David Duke, The Secret Behind Communism, p. 104.

[9] https://en.wikipedia.org/wiki/Vyacheslav_Menzhinsky

[10]  https://spartacus-educational.com/RUS-menzhinsky.htm

[11] Idem.

[12] Idem.

[13] http://www.fsb.ru/fsb/history/author/single.htm!id%3D10318026%40fsbPublication.html

[14] Idem.

[15] A. Solgenitsin, op. cit., pp. 251-252.

[16] Ibid. Cfr. Izvestia, 1927, 18 dic., pp. 1, 3, 4.

[17] Ibidem, p. 132. Cfr. B. Brutskus, Ievreiskoie naselenie pod kommunistitcheskoi vlastiu [La popolazione ebraica sotto il regime comunista], Sovremennye sapiski, 1928, n. 36, pp. 513-518.

[18]  Ibidem, pp. 286-287. Cfr. D.S. Pasmanik, Tchevo je my dobivaemsia? [Cosa cerchiamo esattamente?], ReE: La Russia e gli ebrei [Rossia i evrei], YMCA Press, Parigi 1978 (ed. originale, Berlino 1924), pp. 194, 195.

[19] Ibidem, p. 287.

[20] Ibidem, p. 288. Cfr. A. Sutton, Wall Street e la rivoluzione bolscevica [tradotto dall’inglese in russo], Mosca 1998, pp. 64-66, 193.

[21] Ibid. Cfr. V. Lenin, Opere complete in 55 volumi, t. 53, p. 267.

[22] Ibid.

[23] Ibidem, pp. 244-245. Cfr. N. Bucharin, La Pravda, 1927, 2 febb., p. 4.

[24] Ibidem, pp. 98-99. Cfr. Oktiabrskaia revoliutsiia pered amerikanskikh senatorov [La rivoluzione d’Ottobre davanti al tribunale dei senatori americani], resoconto ufficiale della Commissione Overmen del Senato, M.; L., GIZ, 1927, p. 7.

[25] http://www.incontrostoria.it/Lenin2.htm.

[26] Idem. Più precisamente la frase sarebbe di un diplomatico tedesco in Svezia: “Soon after his arrival, a German diplomat in Sweden wrote a note to a colleague: “Lenin’s entry into Russia successful. He is working exactly as we would wish”” (https://www.newyorker.com/culture/culture-desk/lenin-and-the-russian-spark). “Poco dopo il suo arrivo, un diplomatico tedesco in Svezia ha scritto una nota ad un collega:”Entrata di Lenin in Russia riuscita. Sta lavorando proprio come vorremmo””.

[27] Idem.

[28] http://www.orthodoxytoday.org/articles7/SolzhenitsynWarning.php.

[29] Eckart Dietrich, The Gravediggers of Russia, p. 6. Alfred Rosemberg è stato testimone diretto anche della germanofilia degli ebrei durante la Prima Simulazione Mondiale – osservata anche da Solgenitsin – che distribuivano la “propaganda di pace” diffusa dalla Pravda, quotidiano al soldo delle banche ebree “tedesche”: “I myself have seen Jewish students distributing the ‘Pravda’ (Truth) among the wounded, in the hospitals of the Crimea” (Ibidem, p. 1). “Io stesso ho visto studenti ebrei distribuire la ‘Pravda’ (Verità) tra i feriti, negli ospedali della Crimea”.

[30] Arnold Leese, My Irrelevant Defence, p. 33. Disponibile sul nostro canale Telegram: https://t.me/la_questione_giudaica/8.

[31] Hervé Ryssen, Le Judaisme: Unification mondiale, domination mondiale, disponibile sul nostro canale Telegram al seguente indirizzo: https://t.me/la_questione_giudaica/34.

[32] A. Solgenitsin, op. cit., , pp. 112-113, cfr. Iu. Larin, Evrei i antisemitism v SSSR* [Gli ebrei e l’antisemitismo in URSS], pp. 7-8.

[33] Ibidem, p. 92.

[34] Ibidem, p. 92.

[35] Enzo Biagi, La Rivoluzione Russa, Istituto Geografico De Agostini, 1965, t. 2, p. 29.

[36] Maj. Gen. Count Cherep Spiridovich, The Secret World Government or The Hidden Hand, p. 36.

[37] http://www.orthodoxytoday.org/articles7/SolzhenitsynWarning.php

[38] A. Solgenitsin, op. cit., p. 79. Cfr. V.I. Lenin, Opere in 45 volumi (in russo), Mosca, 1941-1967, t. 4, p. 311.

[39] A. Solgenitsin, t. 1, p. 574.

[40] Ibid. Cfr. V.I. Lenin, Opere complete in 55 volumi [in russo], 1958-1965, t. 49, p. 64.

[41] Ibid.

[42] E. Dilling, p. 144. https://t.me/la_questione_giudaica/107.

[43] Ibidem, p. 147.  https://t.me/la_questione_giudaica/107.

[44] Gregor Schwartz-Bostunitsch, A Sea of Blood, p. 13. Disponibile sul canale Telegram di “laquestionegiudaica” al seguente indirizzo: https://t.me/la_questione_giudaica/100.

[45] A. Solgenitsin, op. cit., p. 75.

[46] Ibid.

[47] Ibidem, p. 179.

[48] Ibidem, p. 179n.

[49] https://www.nytimes.com/1970/06/12/archives/alexander-kerensky-dies-here-at-89-alexander-kerensky-who-led-first.html.

[50] Idem.

[51] Idem.

[52] http://www.independent.co.uk/news/long_reads/alexander-kerensky-russia-bolshevik-revolution-interview-1917-centenary-a8036256.html.

[53] https://www.nytimes.com/1970/06/12/archives/alexander-kerensky-dies-here-at-89-alexander-kerensky-who-led-first.html

[54] Cfr. A. C. Sutton, Wall Street and the Bolshevik Revolution, Arlington House, New Rochelle 1974, pagg. 82-83. L’episodio fu registrato, tra l’altro, dalla Washington Post del 2 febbraio 1918 in questi termini: «William Boyce Thompson, che è stato a Pietrogrado da luglio fino a novembre scorso, ha offerto un contributo personale di un milione di dollari ai bolscevichi per la propagazione della loro dottrina in Germania e in Austria».

[55] Ibidem, pagg. 91-95.

[56] Cfr. M. Pearson, Il treno piombato, Sperling and Kupfer, Milano 1976, pagg. 311-317.

[57] https://www.nytimes.com/1970/06/12/archives/alexander-kerensky-dies-here-at-89-alexander-kerensky-who-led-first.html.

[58] Idem.

[59] https://www.timesofisrael.com/before-the-bolsheviks-this-man-abolished-russias-pale-of-settlement/.

[60] Idem.

[61] A. Solgenitsin, op. cit., p. 62.

[62] Ibid., cfr. Retch, 1917, 27 giugno, p. 3; 28 giugno, pp. 2-3.

[63] Ibidem, p. 63. Cfr. Retch, 1917; 2 agosto, p. 3.

[64] Ibidem, p. 64.

[65] https://www.nytimes.com/1970/06/12/archives/alexander-kerensky-dies-here-at-89-alexander-kerensky-who-led-first.html

[66] A. Solgenitsin, op. cit., p. 80.

[67] Ibid.

[68] Ibidem, p. 36. Cfr. La Libertà russa, 1917, 21 aprile, p. 4.

[69] Ibid.

[70] Eckart Dietrich, p. 12.

[71] A. Solgenitsin, t. 1, p. 298. Cfr. V.I. Lenin, Sotchineniia (CEuvres in 45 voll., 4ª ed.), Gospolitizdat, 1941-1967, t. 7, p. 77.

[72] Ibid. Cfr. supra, t. 6, p. 300.

[73] Ibidem, pp. 298-299.

[74] Ibidem, p. 299. Cfr. V.I. Lenin, Sotchineniia (CEuvres in 45 voll., 4ª ed.), Gospolitizdat, 1941-1967, t. 7, pp. 83-84.

[75] Ibid.

[76] Gilad Atzmon, L’errante chi?, pp. 151-152.

[77] Ibidem, p. 152.

[78] https://www.ynetnews.com/articles/0,7340,L-4073133,00.html.

[79] A. Solgenitsin, op. cit., pp. 90-91.

[80] https://www.nytimes.com/2017/06/19/opinion/was-lenin-a-german-agent.html. Tecnicamente, Lenin qui propone una delle prime forme documentate di entrismo, cioè l’infiltrazione fisica diretta degli agenti provocatori in una o più organizzazioni, per favorire meglio l’infiltrazione ideologica. In questo caso il “disfattismo rivoluzionario” doveva fare leva sulle necessità comuni dei soldati e far credere che l’ammutinamento fosse negli interessi sia dei comunisti che di coloro che invece volevano una democrazia in Russia, quindi utilizzando il mimetismo ideologico. Nell’opera “Socialismo e guerra” di Lenin si ha quindi uno dei primi esempi documentati di entrismo, ben prima che lo proponessero i trozkisti dunque. Ma su Wikipedia leggiamo comunque:-“L’entrismo è una pratica politica impiegata da alcuni gruppi trotskisti della IV Internazionale che consiste nell’affiliazione nei grandi partiti di massa (comunisti, in primo luogo, ma, se del caso, anche socialisti, socialdemocratici e perfino anche solo genericamente progressisti) dei rispettivi paesi, con l’obiettivo di trasformarli da riformisti a rivoluzionari. Con questa tattica si voleva tentare di mantenere un contatto quotidiano con decine di migliaia di lavoratori, guadagnare il diritto a partecipare alla discussione sugli obiettivi del movimento e allo stesso tempo provare ogni giorno le idee nelle azioni delle masse. […]…Stalin, dopo aver vinto il quindicesimo congresso del Partito Comunista dell’Unione Sovietica, cominciò a imporre la sua concezione di socialismo in un solo paese sia nell’Unione Sovietica che nel comunismo internazionale. I trotskisti e altri oppositori allo stalinismo, che formavano l’opposizione di sinistra internazionale, erano rimasti in minoranza in tutti i Partiti comunisti, e Stalin cominciò a perseguitarli in tutto il mondo, usando membri dei partiti comunisti locali e agenti del NKVD. […]…In questo contesto venne proposta la pratica entrista, per conquistare simpatizzanti e trasformare i partiti locali da riformisti a rivoluzionari; fu sostenuta dallo stesso Trotski e da altri membri distaccati a partire dagli anni trenta, e ciò provocò grandi polemiche che acutizzarono le fratture interne. Molti attaccarono gli entristi condannandoli come opportunisti che volevano dissolvere la IV Internazionale nella II” (https://it.wikipedia.org/wiki/Entrismo). Tutto questo baccano deve essere interpretato come una serie di simulazioni giudaiche divergenti, utilizzate dagli ebrei quando restano uniti nel fingersi divisi agli occhi dei non ebrei, alterando così la loro percezione della realtà. L’entrismo non è altro che l’ennesima tattica giudaica, antichissima, e proposta ufficialmente da Lenin, ancor prima che da Trotsky, ad ulteriore prova della crittoebraicità del primo. Dopotutto, abbiamo già visto l’entrismo, quando è stato applicato dai crittoebrei che per conversione strategica, si sono infiltrati in Vaticano con l’intento di annacquare il cristianesimo e i suoi dogmi, provando anche a giudaizzarlo tra un’eresia e un’altra.

[81] https://www.nytimes.com/2017/06/19/opinion/was-lenin-a-german-agent.html. Il “The New Yorker”, già citato, aggiunge, in merito al viaggio sul “treno piombato”:-“Lenin tried to avoid leaving his carriage, to be able to say later that he had never set foot in Germany, but in Frankfurt the band of passengers secretly stepped off the train to spend the night” (https://www.newyorker.com/culture/culture-desk/lenin-and-the-russian-spark). “Il Foglio dei Sefarditi”, facendo riferimento allo stesso libro cui fa riferimento il “The New Yorker”, si esprime nel modo seguente: “il treno non era affatto piombato, solo circondato da un servizio di sicurezza, in verità abbastanza lasco; le coincidenze che l’hanno favorito – su tutte, la risposta dell’imperturbabile Miljukov, nel frattempo spostato al dicastero della giustizia, il quale, avvertito dell’arrivo del pericoloso agitatore e invitato a bloccarlo alla frontiera, serafico risponde: “La Russia democratica non vieta l’ingresso ai suoi cittadini”” (https://www.ilfoglio.it/una-fogliata-di-libri/2017/06/28/news/recensione-libro-lenin-sul-treno-141933/). È una coincidenza se Miljukov, ministro degli esteri del Governo Provvisorio – che ha consentito ai giudeo-bolscevichi di invadere la Russia – è stato poi oggetto, anche lui, di esfiltrazione all’ultimo secondo? Il già citato Bostunitsch afferma che mentre gli altri ministri del governo provvisorio venivano arrestati, lo stesso giorno, Kerensky e Miljukov venivano esfiltrati: “On the same day the infamous foreign minister of the provisional government, Paul Milyukov, also fled the scene” (Gregor Schwartz-Bostunitsch, A Sea of Blood, 1926, p. 13, Disponibile qui: https://t.me/la_questione_giudaica/100). “Lo stesso giorno il famigerato ministro degli esteri del governo provvisorio, Paul Milyukov, ha altresì lasciato la scena”.

Ancora sul “treno piombato”, “La Repubblica dei Sefarditi”, si esprime così citando un quotidiano tedesco:-“nota Der Spiegel, «ma non è vero che fosse un vagone tutto piombato come si è detto finora: aveva tre porte piombate, ma una libera»” (http://ricerca.repubblica.it/repubblica/archivio/repubblica/2007/12/10/la-rivoluzione-comprata-cosi-il-kaiser-finanzio.html).

[82] Idem. Il New York Times si spinge oltre, asserendo che la Germania aveva attuato operazioni psicologiche con agenti doppi anche contro la Francia e l’Inghilterra. Inoltre cita altri esempi di queste operazioni psicologiche, attuate da altre nazioni: “In a sense, there was nothing particularly new about a German plot to undermine an enemy government in wartime. For centuries, great powers had played at this game. During the Napoleonic wars, France aided Irish rebels to undermine Britain, and Polish nationalists against Russia. Britain, in turn, backed Spanish guerrillas fighting French occupation forces. The Germans, though latecomers to the arena, were quick learners after Germany’s unification in 1871. They even coined a word for this specific type of influence operation: “Revolutionierungspolitik,” or policy of revolutionizing.
Had the British or French governments been weaker in World War I, they might have been undermined by other Lenins. In fact, Germany did target them, too, though German support for Irish nationalists and French pacifists never amounted to much” (Ibidem).  “Il Foglio dei Sefarditi”, quanto a questo tipo di operazioni psicologiche, afferma che la pace imposta alla Russia, attraverso il soviet di Pietrogrado, sarebbe “per i tedeschi una festa e per gli anglo-francesi una iattura, perché permetterebbe al Kaiser di spostare milioni di soldati dal fronte orientale a quello francese, e ribalterebbe forse le sorti della guerra. Così, ciascuno gioca le sue carte. Gli inglesi mandano in Russia una vecchia gloria del comunismo russo in esilio, Georgij Plechanov, che “seppur marxista, riguardo alla guerra era un uomo affidabile, un patriota che ad altri socialisti poteva dire quale fosse il loro dovere”: proseguire la lotta contro i capitalisti tedeschi. Ma la missione di Plechanov è un fiasco. I tedeschi puntano invece su un avvocato di Pietroburgo, esule in Svizzera, al tempo voce abbastanza isolata nel dibattito del comunismo internazionale ma noto per la sua straordinaria energia, che alla notizia della caduta dello zar ha subito lanciato ai socialisti russi il suo appello, rivoluzione subito, pace al più presto: Vladimir Il’ic Ul’janov, Lenin. Così lo caricano su un “treno piombato”, gli fanno attraversare le zone di guerra e lo recapitano tra i piedi del malfermo governo russo, pacco-bomba destinato a esplodere di lì a poco, con le conseguenze che tutti conoscono” (https://www.ilfoglio.it/una-fogliata-di-libri/2017/06/28/news/recensione-libro-lenin-sul-treno-141933/).

[83] https://www.repubblica.it/cultura/2017/05/22/news/al_palazzo_arriva_kerenskij_e_da_ordini_allo_zar-165393025/?refresh_ce

[84] Elizabeth Dilling, p. 134. Cfr. Jewish Communal (Kehillah) Register of New York City, 1917-18, p. 1019.

[85] Ibid., cfr. supra.

[86] A. Solgenitsin, op. cit.,p. 281. Cfr. G. Aronson, Evreiskii vopros v epoku Stalina [La questione ebraica all’epoca di Stalin] p. 137.

[87] Ibidem, pp. 281-282.

[88] Ibidem, p. 282.

[89] Ibid. Cfr. Samuel Ettinger, Russian Society and the Jews, Bullettin on Soviet and East European Jewish Affairs, 1970, n. 5, pp. 38-39.

[90] Ibid. Cfr. Izvestia, 1929, 22 aprile, p. 7.

[91] Anatoliy Golitsyn, New Lies for Old, p. 16.

[92] Ibidem, p. 17.

[93] https://www.ilpost.it/2016/05/16/accordo-sykes-picot/.

[94] Giacomo Gabellini, Israele, p. 67n.

[95] A. Solgenitsin, op. cit., p. 90.

[96] https://www.nytimes.com/2017/06/19/opinion/was-lenin-a-german-agent.html

[97] http://www.ilgiornale.it/news/spettacoli/cos-lenin-trionf-colpi-marchi-doro-forniti-dai-prussiani-1324405.html

[98] Idem.

[99] Idem.

[100] Idem.

[101] Idem.

[102] http://ricerca.repubblica.it/repubblica/archivio/repubblica/2007/12/10/la-rivoluzione-comprata-cosi-il-kaiser-finanzio.html.

[103] Idem.

[104] Idem.

[105] Idem.

[106] Idem.

[107] Idem.

[108] Idem.

[109] Idem.

[110] http://www.treccani.it/vocabolario/knut/.

“L’odio si copre di simulazione, ma la sua malizia apparirà pubblicamente” (Pr 26:26)

DOSSIER CEFIS: I rapporti tra Eugenio Cefis e il Vaticano, nelle memorie e nei documenti di Carlo Calvi, PARTE 5. Il gruppo di influenza occulta e l’archivio segreto della Esso.

“Ian Logie mi confermò di essere stato presente ad incontri tra John Patrick Silcock della Rothschild e Florio Fiorini. Le entità offshore Hydrocarbons e Tradinvest avevano ottenuto emissioni obbligazionarie gestite da NM Rothschild in stretti rapporti con Fiorini. Fiorini lasciò l’ENI e acquisì alla fine del 1982 dall’APSA del Vaticano la Sasea di Ginevra.

Da Ministro del Tesoro Andreatta nella dichiarazione al PM Luigi Fenizia disse di essere stato informato da Carlo De Benedetti di una sua iniziativa di contatto con il Vaticano circa l’esposizione estera dell’Ambrosiano. Al processo per la bancarotta del Banco Ambrosiano a domanda del PM Pierluigi Dell’Osso ha rettificato la precedente dichiarazione precisando che era stato il Vaticano a prendere contatto con De Benedetti e non viceversa.

Secondo Orazio Bagnasco, che doveva partecipare al piano proposto da Florio Fiorini, esisteva uno scambio di informazioni tra Roberto Rosone del Banco Ambrosiano e il consigliere Carlo De Benedetti per il tramite di Francesco Micheli.

Francesco Micheli fu portavoce di Carlo De Benedetti nella vicenda relativa al suo ingresso nel consiglio del Banco Ambrosiano. Io lo incontrai alla nostra casa di Drezzo con Carlo De Benedetti nel novembre 1981. A Drezzo in quel periodo incontrai anche Carlo Binetti che il Ministro Beniamino Andreatta aveva nominato come rappresentante alla Banca di Sviluppo Interamericano di Washington.

Francesco Micheli il 9 agosto del 1982 ha dichiarato al PM Pierluigi Dell’Osso: «avevo avuto occasione di conoscere Roberto Calvi diversi anni prima …all’epoca ero dirigente della Montedison responsabile del settore partecipazioni finanziarie …la Corrocher a vedermi scoppiava a piangere».

Francesco Micheli, proveniente dall’esperienza nella Montedison di Eugenio Cefis, cenò con mio padre e Florio Fiorini il 9 giugno 1982. Alla cena partecipò Karl Kahane cugino del Barone Edmond de Rothschild.

Enrico Mattei fu partigiano, prossimo alla Democrazia Cristiana, finanziatore di tutti i partiti come Eugenio Cefis. La sua morte si incrocia con le indagini sul tentato colpo di stato del principe Borghese su cui testimoniò Raffaele Girotti. In Canada, conobbi a Edmonton Raffaele Girotti, succeduto a Eugenio Cefis alla presidenza dell’ENI. Felice Guarducci, che era stato presentato a Raffaele Girotti da Erminio Pennacchini, grande esperto di ENI e servizi, doveva interessarsi delle sabbie bituminose per Ultrafin Canada del Gruppo Ambrosiano.

Franca Mangiavacca segretaria di Mino Pecorelli ha testimoniato alla PM Elisabetta Cesqui che OP si interessò allo scandalo dei petroli e che tra le fonti vi erano i generali Vito Miceli e Gianadelio Maletti. Vito Miceli, lo incontrai a Washington con mio padre e Phil Guarino, era prossimo a Licio Gelli, il generale Maletti ha avuto stretti rapporti con Eugenio Cefis.

La corrispondenza tra Sismi e Guardia di Finanza di Milano, acquisita dal Dott. Antonio Pizzi al procedimento per la bancarotta Ambrosiano, mostra che le indagini in relazione alle stragi su Licio Gelli e riguardo a ENI e Montedison furono sostanzialmente scontate su questo aspetto.

Tab

Giorgio Corsi, Bruno Tassan Din, Florio Fiorini, Francesco Micheli sono i discendenti del sistema Cefis per generare con operazioni su cambi e petrolio delle risorse al riparo dei controlli italiani e compaiono in tutte le tappe drammatiche della vicenda di mio padre.

Esisteva un gruppo di influenza occulta dei notabili e uno dei corpi separati dello stato e forse erano la stessa cosa. Licio Gelli era in possesso dell’archivio della Esso che Vincenzo Cazzaniga usava per far pressioni su Eugenio Cefis” [1].

Fonti:

[1] https://fraudauditing.blogspot.com/2015/06/il-gruppo-di-influenza-occulta-e.html

“L’odio si copre di simulazione, ma la sua malizia apparirà pubblicamente” (Pr 26:26)